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Salve
a tutti. Questa mia storia è ferma da 3 anni.
Imperdonabile, me ne rendo conto. Inutile star qui a giustificarsi con
magari ragionevolissime attenuanti.
Fatto sta che un po’ di tempo fa ho ritrovato queste pagine
sul mio pc, le ho rilette e mi sono trovata a rimpiangere di non essere
riuscita a portarla avanti. Contemporaneamente ho ricevuto alcuni
stimoli di diversa natura che, insomma, mi hanno spinta a decidere di
provare a riprendere.
E’ una prova, diciamo, per me per prima, e vediamo come va.
Non so se quanti in quel lontano 2008 stavano leggendo la mia storia
sono sempre disposti a risvegliare un interessamento, in ogni caso
spero che questa prova riesca bene sia per voi che per me! Magari fatemi sapere!
CAPITOLO DIECI
.
Veronica era seduta sulla poltrona di
quella che fino a pochi mesi
prima era la sua casa. La casa di suo padre. Stava lì e
fissava con aria affranta il pezzo di carta che aveva trovato sul
tavolino del salotto.
- Tesoro, scusa se non faccio in tempo ad
avvertirti di persona ma devo
partire subito per un lavoro urgente. Forse dovrò stare via
qualche giorno in più questa volta, non so esattamente
quanto, ma ti chiamerò presto e ti spiegherò
tutto. Ti lascio il timone della baracca, Backup non aspetta altro che
passare un po’ di tempo con la sua Mars preferita,
e’ stanco di me, lo capisco dall’odore.
Fa’ la brava e cerca per quanto possibile di tenerti lontana
da prigioni, sparatorie, rapimenti alieni e simili almeno
finché non torno. Ti voglio bene. Papà.
–
“Fantastico! Mio padre prende e parte senza dirmi
una parola.
Ci voleva tanto a fare una telefonata per dirmi –Ehi! Parto
per cercare fortuna, ti porterò un bel regalo!–??
Se non fossi passata qui e trovato il biglietto avrei pensato che fosse
scomparso... Ma che gli prende a quell’uomo?”
Veronica sospirò allungando i piedi sul tavolino.
“Ah mia cara ragazza, comincia ad abituarti a
tranquille
serate in solitudine! Mio padre si dimentica improvvisamente di avere
una figlia e il mio ragazzo probabilmente sta già preparando
le valige per andare dall’altra parte del mondo!
Già…”
Da quando la sera prima Logan aveva ricevuto quel messaggio Veronica
ormai non pensava ad altro. Evidentemente alla fine Logan era riuscito
a convincere Bill Connor a rivelargli dove Lynn si stesse nascondendo.
Un piccolo paesino vicino Sydney, migliaia e migliaia di chilometri
lontano da Neptune. Era felice per lui, ovviamente, ma da quel momento
era inquieta e non riusciva a farne a meno. Ma che si aspettava? In
fondo era stata lei la prima ad impegnarsi ad aiutarlo a ritrovare la
madre e ci teneva sul serio, voleva davvero che Logan riuscisse a
mettere le cose a posto con sua madre, che recuperasse un po’
di quella serenità e sicurezza di cui spesso era stato
costretto a fare a meno. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato e in
fondo lui sarebbe stato via poco tempo, al massimo qualche settimana.
Finché non aveva visto quel biglietto nelle mani di Logan
non aveva idea che la cosa l’avrebbe agitata tanto
Sinceramente non ne capiva il motivo. Non era da lei e si sentiva del
tutto ridicola. Una stupida ragazzina che non riesce a sopportare che
il proprio ragazzo parta per un viaggio. Quasi si faceva rabbia. Ma
perché, perché, pensava, stava reagendo
così? Era sempre stata abituata ad essere una ragazza forte
e indipendente e sapeva di esserlo ancora. Che gli sarebbe mancato lo
immaginava benissimo, ma non si aspettava di provare questa grande
tristezza all’idea che partisse. Comunque avrebbe cercato di
non darlo a vedere. Un po’ per quella certa
imperturbabilità che da tempo si era sforzata di rendere
parte integrante del suo carattere e che, alle volte, neanche lei
stessa riusciva a sopprimere. Soprattutto però voleva
mostrarsi il più comprensiva possibile, perché
quel viaggio sarebbe stato molto più duro per Logan che per
lei. Dopo il modo in cui era andata l’ultima volta che aveva
visto sua madre quell’estate, poteva immaginare quanto fosse
difficile per lui ritrovarsela un’altra volta davanti e
sforzarsi di non odiarla per quello che gli aveva fatto. Andare
lì non per cercare le rassicurazioni che avrebbe meritato,
ma per offrire un aiuto che con mille attenuanti le aveva negato.
Tornare laggiù con mille cose da farsi spiegare, questa
volta. Chissà cosa aveva spinto quella famiglia a sparire
così, a scappare in quel modo improvviso lasciando dietro si
sé nient’altro che un cugino spaventato a morte,
era evidente. Veronica era davvero curiosa, doveva veramente sforzarsi
per non seguire Logan e andare lei stessa a scoprire tutto di persona.
Quello il suo istinto le avrebbe suggerito di fare, se solo questa
volta non avesse deciso di ignorarlo. Sapeva che questa volta doveva
farsi da parte. In questa storia stavolta lei non c’entrava,
almeno non direttamente. La riguardava, è ovvio,
perché Logan era e sarebbe sempre stato affar suo, ma
l’unico contributo che sentiva di dovergli dare era tutto il
suo appoggio, perché quello era un conto in sospeso solo tra
lui e il suo passato. Sapeva che Logan aveva bisogno di sbrigarsela da
solo, che se non fosse riuscito a dare un senso alla storia con sua
madre, quel fantasma avrebbe continuato a perseguitarlo in silenzio,
nel profondo, senza che lui dicesse mai una parola, che si lamentasse o
che soffrisse apertamente. Ma era così, a volte riusciva a
vederlo nei suoi occhi, riusciva a vedere i segni di un passato
difficile e sotto molti aspetti lasciato in sospeso, segni che a volte
assumevano le vesti di un tormento interiore. A volte, anzi, neanche
troppo interiore… e poteva fare più di un
esempio, perché molti li aveva vissuti sulla sua pelle, ma
decise di sorvolare, di smetterla di rivangare vecchie storie. La
mattinata era appena iniziata e lei doveva attivarsi. Certo, non era
iniziata nel migliore dei modi. Suo padre covava chissà
quali segreti e la faceva impazzire che non la mettesse al corrente dei
casi che seguiva, ma tanto in giornata avrebbe messo sotto sopra
l’ufficio ed era sicura di riuscire a scoprire che cavolo
stesse combinando quell’uomo, a costo di svuotarlo da cima a
fondo! Più che altro avrebbe sperato di passare qualche
giorno con lui, ora che Logan sarebbe partito.
“Vuol dire che sarò proprio costretta a
studiare.
Poco male.”
Veronica cominciò a raccogliere la borsa e
aprì
il frigo per rubare una bottiglietta d’acqua al padre.
“Mi pare il minimo… ah papà
troppe
bottiglie d’acqua dovrai darmi per farti perdonare!”
A stare ferma in poltrona a perdersi nei suoi pensieri Veronica stava
rischiando di fare tardi. Doveva passare dall’amico di suo
padre a prendere quelle famose cassette, finalmente. Almeno quello suo
padre non se l’era dimenticato! Per quando fosse sicura che
si fosse ormai dedicato a sniffare colla al punto di soffrire di
alterazioni improvvise del comportamento, alla fine finiva sempre per
non deluderla. Però questa volta l’avrebbe
sentita! Scese di corsa le scale e corse verso l’auto,
cavolo, aveva fatto proprio tardi, doveva sbrigarsi se voleva riuscire
a prendere quelle cassette, dargli un’occhiata, avvertire
Wallace delle eventuali buone notizie e riuscire ad arrivare in orario
per vedersi con Logan a pranzo.
°°°
Mezz’ora dopo Veronica era ferma in macchina nel parcheggio
della Hearst e anche se era ancora indietro sulla tabella di marcia
mentale che si era prefissata, si era concessa un minuto per riflettere
sul da farsi.
“Mmm. Questo potrebbe rappresentare un
problema…
proprio non mi aspettavo che fossero così tante. Chi era che
diceva se qualcosa è troppo facile da risolvere non
è divertente?”
Sul sedile posteriore della sua auto era poggiato un intero scatolone
di videocassette. Le registrazioni di sorveglianza della banca di due
mesi. Ma non era questo il problema. Forse per un eccesso di sicurezza
di questa particolare banca, o magari perché i pianeti
proprio quel giorno si erano allineati a modo a lei sfavorevole...
Veronica non sapeva quale fosse la ragione, fatto sta che il suo gancio
nella banca – o meglio il gancio di suo padre – era
riuscito a farsi accordare solo la consegna delle copie delle
videocassette originali. Per ragioni di sicurezza l’agenzia
era solita fare una copia di ogni cassetta, per procedere ogni mese
all’immagazzinamento delle stesse. Il problema? Ovviamente le
copie venivano fatte alla bell’e meglio, accumulate e in modo
assolutamente casuale, senza nessunissima indicazione sulla custodia
circa le date delle registrazioni contenute nelle cassette. Veronica
aveva provato a lamentarsi, ma aveva capito quasi subito che arrivare a
tanto era troppo anche per lei e la sua testardaggine. In fondo, quello
che l’amico di suo padre le faceva era un grosso favore e lei
non poteva mettersi a cavillare troppo se il risultato era poco
soddisfacente o le costava eccessivo dispendio di tempo, soprattutto se
voleva sperare in futuro di ottenere altri “favori”
da lui! Forse, doveva ammetterlo, in passato si era abituata troppo
bene, ma certamente non si sarebbe fatta scoraggiare troppo da questo
in fondo piccolo intoppo.
“Certo che... si può sapere che razza di
organizzazione è mai questa? E me la chiamano una
banca”
Comunque, bando alle lamentele, avrebbe dovuto vederle una per una fino
a trovare quella giusta. Difficile sicuramente finire per pranzo.
Chissà anzi se avrebbe finito per cena! Sapeva quanto
Wallace stesse sulle spine, ma avrebbe dovuto attendere almeno il
pomeriggio inoltrato, quello stesso pomeriggio che invece lei avrebbe
voluto dedicare interamente a stare con Logan, prima che lui partisse.
Nonostante il proposito di non scoraggiarsi, entrando nella caffetteria
della Hearst Veronica non poteva evitare di avvertire un certo malumore
all’idea di non poter seguire i piani che si era prefissata.
Si guardò intorno rapidamente, il bar era affollato e non
c’erano tavoli liberi, ma Logan non era ancora arrivato.
Giusto il tempo per prendere un caffè con doppia panna e
farsi tornare il sorriso prima del suo arrivo, non voleva che la
vedesse così. La nuvola nera non aveva mai donato ai suoi
capelli!
La fila chilometrica alla cassa certo non aiutava. Veronica si
sistemò pazientemente in coda e sbuffando si immerse di
nuovo nei suoi poco allegri pensieri. Eppure quella nuvola nera sulla
sua testa bionda non accennava a dileguarsi.
Mentre l’intera fila si muoveva di un passo avanti, Veronica
si sentì prendere alla vita.
“Nervosa?”
Logan le era piombato alle spalle senza che lei se ne accorgesse,
cingendole la vita con entrambe le braccia. Veronica si girò
verso di lui e cercò di regalargli il sorriso più
luminoso che potesse.
“Nervosa?! Che te lo fa dire?”
“Lo capisco dai tuoi capelli.” Sorridendo Logan le
baciò la guancia. Sembrava proprio rilassato, allegro come
nei suoi momenti migliori.
“Scherzi?”
“Veramente si.”
Risero entrambi, appena in tempo per vedersi soffiare sotto il naso un
tavolo che si era appena liberato.
“Colpa tua! Mi hai distratta!”
“Non pensavo di avere tanto potere su di te Veronica
Mars…” Con tono malizioso Logan la spinse avanti
per seguire la fila che avanzava. “Che ne dici di mangiare in
giardino?”
“Se non hai niente di meglio da offrire a una
ragazza…”
Finalmente era arrivato il loro turno di pagare e prima che la cassiera
infastidita dalla folla potesse chiedergli cosa prendevano, Veronica si
rese conto di aver ritrovato il buon umore. Era una bella giornata,
limpida con un leggero vento tiepido.
“Intanto mi permetta di offrirle il pranzo.”
Senza smettere di sorridere per la leggera punta di ironia che spesso
coloriva le loro conversazioni, Logan tirò fuori il
portafoglio dalla tasca dei jeans mentre Veronica gli strizzava
l’occhio per fargli capire che la sua proposta, tutto
sommato, era accettabile.
L’erba del grande prato nel cortile
dell’università era morbida e un po’
umida. Veronica lo sentiva sotto le dita accarezzandola. Era seduta con
le gambe distese, la schiena addossata al tronco dell’albero
che li teneva sotto la sua fresca ombra. I resti del loro pranzo erano
sparsi un po’ ovunque, tranne la Coca Cola che Logan
continuava a sorseggiare mentre se ne stava sdraiato con la testa
comodamente poggiata sulla pancia di Veronica, ascoltandola raccontare
di suo padre che l’aveva così sorpresa partendo
senza lasciarle nient’altro che uno spiccio biglietto.
Il tempo passava placidamente, le vite quasi routinarie degli studenti
del college scorrevano intorno a loro come ogni giorno, mentre il sole
ancora alto del primo pomeriggio contribuiva ad accompagnare il loro
via vai attraverso plastiche ombre allungate.
Veronica e Logan erano entrambi esperti nel non fare troppo caso agli
altri. In fondo, entrambi quasi stupiti di riuscire finalmente a
godersi di nuovo quella serena naturalezza tra loro. Eppure nessuno dei
due poteva ignorare le ombre che si addensavano il quel sole invece
alto. Nessuno dei due ancora voleva parlare del fatto che una rottura
di quella naturalezza era vicina, eppur necessaria. Avrebbero dovuto
cliccare sul tasto “pausa” della loro riunione nel
momento stesso in cui Logan sarebbe salito su quell’aereo
diretto verso un altro, lontanissimo, continente. Nessuno ne parlava,
ma questa comune consapevolezza non poteva che rendersi evidente ogni
volta che, tra una parola e l’altra, ognuno rimaneva in
silenzio a guardare davanti a sé, chi verso
l’ultima scolatura della propria bibita, chi lontano verso
uno studente che chiude il lucchetto della sua bicicletta.
°°°
Seduta sul tappeto del luminoso salotto di casa sua,
un’annoiatissima Veronica inseriva ad una ad una le
videocassette della registrazioni della banca nel suo VHS. Ormai era
diventata veloce. Dentro, fuori, dentro, fuori. Si trattava solo di
controllare la data segnata in basso sul video fino a trovare il video
del giorno che le interessava. Un secondo, e fuori.
12 settembre… 23 settembre…2 settembre... di
nuovo 12 settembre... e così via.
Ancora incredula sul fatto che le toccasse quel lavoro così
ingrato, quando invece sarebbe risultata un’accortezza
così minima inserire una semplice etichetta sulle custodie,
la ragazza inserì l’ennesimo nastro proprio nel
momento in cui i lineamenti delicati del suo volto si andavano
deformando in un enorme sbadiglio. Mentre le immagini si caricavano sul
video Veronica lanciò una rapida occhiata
all’orologio a muro del soggiorno. Le 18:40.
“Dannazione”, pensò
tornando a rivolgere
la sua attenzione allo schermo. “… un
momento… ci siamo!”. Finalmente aveva
trovato la
registrazione giusta! Il giorno corrispondeva. L’orario
corrispondeva. Improvvisamente impaziente premette il tasto di
avvolgimento veloce, nella frenetica attesa di raggiungere il fatidico
esatto momento in cui si sarebbe visto il suo innocente e onestissimo
migliore amico entrare a piedi nel vicolo nell’orario che
l’avrebbe inequivocabilmente scagionato. “Coraggio
Wallace… andiamo... dove sei…”
Due ore dopo Veronica stava attraversando la grande hole illuminata del
Naptune Grand. L’espressione distesa, il passo tranquillo, la
rasserenante sicurezza che il suo amico se la sarebbe cavata senza
problemi, il piacere di ricordare l’allegria esplosa sul
volto del ragazzo alla notizia che lei gli aveva portato direttamente
in ospedale di aver trovato la prova che avrebbe una volta per tutte
mandato a farsi benedire ogni plausibile sospetto di una sua
colpevolezza nella rapina al cinema.
Un colpo veloce della tessera magnetica attraverso il sensore e
Veronica stava già varcando con decisione la porta della
suite di Logan, il quale, al momento di separarsi dopo pranzo, aveva
preso teatralmente male la comunicazione che lei avrebbe dovuto
lavorare qualche ora sul caso di Wallace prima di potersi vedere,
ammonendola scherzosamente con i suoi occhi maliziosi che non si
sarebbe ritenuto in alcun modo responsabile delle azioni consolatorie
eventualmente necessarie ad alleviare la propria solitaria
prostrazione.
“Ehi di casa… Indovina chi ha buone
notizie?” gridò Veronica al vuoto della stanza non
trovando ancora nessuna traccia del ragazzo nella zona soggiorno.
Disordine, quello si.
Notando la luce accesa attraverso la porta socchiusa della camera di
Logan, Veronica poggiò la borsa sul divano avviandosi verso
la camera e si apprestò a spalancare la porta con il viso
che si stava già atteggiando in un piccolo sorriso malizioso.
“Atti consolatori in corso?”
Mimando il gesto di irrompere irruentemente nella stanza Veronica
sorrideva. Poco prima di notare la grande valigia aperta e semipiena
sul letto.
°°°
Nella sala d’attesa affollata del Gate 43
dell’aeroporto di Los Angeles, Keith Mars chiuse con un
vigoroso sospiro la quarta rivista di gossip di bassa lega che nelle
ultime due ore e quarantacinque minuti si era dedicato più
che altro a stropicciare indelicatamente, mentre sfogliava una pagina
dopo l’altra soffermandosi su niente poco di più
che le fotografie delle inserzioni pubblicitarie.
Due ore di ritardo del volo erano molto di più di quanto in
quel momento il detective potesse sopportare. La frustrazione si
accumulava, il nervosismo ormai era quasi fuori controllo, forse anche
a causa dei quattro caffè, oltretutto pessimi, della
macchinetta elettronica della sala d’attesa che
già si era concesso nonostante generalmente tendeva ad
evitarlo in ore serali, a meno che non dovesse lavorare ovviamente.
Quasi sempre la troppa caffeina gli causava una tormentata
difficoltà a prendere sonno, ma tanto la prospettiva di
farsi una bella dormita in un letto vero era per adesso lontana anni
luce.
Era stanco. Davvero esausto. Da quando era partito da Neptune quella
mattina non si era mai fermato. Era partito per San Diego in treno e
trascorso tutta la giornata in città a discutere con il
procuratore i dettagli dell’ingaggio, dopo di che aveva
raggiunto all’ultimo momento l’aeroporto spendendo
per il taxi una cifra che sarebbe risultata eccessiva persino a
Montecarlo.
E troppo avrebbe dovuto ancora stancarsi prima di
raggiungere la sua destinazione finale, il viaggio non era praticamente
neanche iniziato. Anzi, si trovava ancora alla fase “il volo
569 previsto per le 16:30 dal Gate 43 porterà due ore di
ritardo. Ci scusiamo per il disagio”. Keith Mars odiava gli
aeroporti, specialmente quelli molto affollati. E odiava le attese. Ma
soprattutto la cosa che detestava sopra ogni altra era mentire a sua
figlia.
Veronica… immaginava come lei aveva reagito alle sole poche
parole che per il momento lui aveva potuto lasciarle con quel
biglietto. Rivendicazioni, minacce di vendetta, promesse fatali di
scoprire cosa lui stesse tramando a sua insaputa… Keith
sorrise nel rendersi conto di poter quasi sentire nella testa le parole
pensate dalla figlia. Aveva adottato ogni accortezza che la sua lunga
esperienza di detective gli aveva insegnato per assicurarsi che lei non
potesse seguire le tracce. E quando lei se ne sarebbe accorta
– perché Veronica se ne sarebbe accorta, di quello
era sicuro – si sarebbe infuriata ancora di più.
Peggio, si sarebbe sentita da delusa da suo padre che
inequivocabilmente le stava nascondendo qualcosa, nonostante tutte le
promesse che si erano sempre fatti di essere tra loro sinceri ad ogni
costo.
Ma era necessario. Quella volta era davvero necessario. Se Veronica
avesse saputo su cosa lui era stato chiamato a lavorare, o meglio, per
chi, neanche la Guardia Nazionale sarebbe stata capace di impedirle di
entrarci anche lei. Ci si sarebbe buttata a capofitto, poteva metterci
la mano sul fuoco.
Era qualcosa che la toccava troppo da vicino. Keith non sarebbe mai
stato in grado di tenere sua figlia lontana da quella storia, complessa
e troppo pericolosa persino per Veronica Mars. Oltretutto avrebbe
sicuramente messo da parte i suoi studi, la nuova casa, il lavoro, gli
amici... non gli sembrava giusto. No, doveva cercare di tenerla
all’oscuro di tutto per adesso, almeno finché non
fosse diventato impossibile fare altrimenti.
Più ci pensava, più Keith Mars cercava di
convincersi che quella fosse la decisione giusta, l’unica
possibile.
°°°
Due secondi dopo che veronica era entrata in camera, Logan apparse
dalla porta del bagno e notò subito lo sguardo della ragazza
rivolto alla valigia che aveva iniziato a preparare quel pomeriggio.
I loro sguardi si incrociarono con serenità. Non
c’era molto da dire, sapevano che li attendeva un'imminente
separazione, proprio in quel momento in cui invece avrebbero avuto
così bisogno di stare uno accanto all'altra. Di ritrovarsi e
ritrovarsi ancora. Di ritrovare ogni sguardo, ogni tocco. Ogni profumo,
nuovo e familiare al tempo stesso. Di provare a costruire una nuova
quotidianità, solida e unica nella sua naturalezza.
Di
questo in particolare Logan sentiva un desiderio intenso, il bisogno di
abituarsi alla certezza di Veronica, di abbandonare finalmente quel
senso di incertezza che spesso in passato lui aveva avvertito nella
loro relazione, quell'allerta di sottofondo, latente, che a volte
sembrava parlargli. Parlargli e dirgli: "attento a come ti
muovi.
Attento, potresti perderla da un momento all'altro".
Quella stessa imprevedibilità che si era concretizzata
quella dannata sera nel suo hotel, quando lei era piombata nella suite
mentre lui la attendeva emozionato per una serata romantica che aveva
organizzato con una cura e un'attenzione che avevano stupito persino se
stesso.. si era comprato addirittura una camicia nuova, non ricordava
l'ultima volta che lo aveva fatto, in genere non gli importava molto.
Preferiva pratiche polo o leggere t-shirt. Grigia. Ce l'aveva ancora in
un cassetto, piegata con cura. Mai messa.
Quella sera aveva pensato che sarebbe stata divertente un po’
di eleganza, agghindarsi per una serata speciale, non si concedevano
spesso queste frivolezze, loro due. Era eccitato all'idea di vederla,
quando voleva Veronica sapeva tirar fuori una classe e una
sofisticatezza impareggiabile, che - sebbene a lui risultasse evidente
anche nella sua più ordinaria quotidianità,
quando lei indossava solo jeans, maglietta e un fermaglio a tenere
fermi indietro i più ribelli ciuffi biondi - già
in passato in alcune occasione erano riuscite a lasciarlo senza fiato.
E invece anche quella sera riecco i jeans... e quello sguardo duro.
Vetri che si infrangono, quei vetri su cui lui sentiva di camminare. Ed
ecco il baratro, Veronica che come sempre strappa fuori quegli
scheletri che dal suo armadio Logan aveva sempre sentito urlare,
battere, ridere. Ridere di lui. Anche loro sembravano ammonirlo,
avvertirlo che prima o poi avrebbero trovato una via d'uscita per
venire a gettare ombre in quella giornata di sole che per lui era la
sua relazione con Veronica.
Allerta, cautela, incertezza... Sospensione. Di quelle paure lontane
Logan sentiva solo il bisogno di liberarsi definitivamente, di
cancellarle per sempre, con violenza e arrivare finalmente a
rilassarsi, a vivere quella serena naturalezza che da troppo tempo
sentiva di non conoscere, ma immaginava tingere di un colore diverso
tutte le cose, di un altro, inesplorato e più fantastico
sapore.
Logan comunque non stava pensando tutto ciò mentre
riconosceva in Veronica che guardava quella valigia la stessa velata
tristezza che aveva provato lui nel disporci con più
lentezza del necessario le sue cose.
La guardò con gli occhi accesi e vivaci, nella serena
certezza che lei lo capiva. Questa volta non avvertiva quel latente
presentimento di star per commettere un errore che in passato aveva
più volte accompagnato le sue azioni, senza purtroppo che
lui riuscisse a riconoscerlo e ad ascoltarlo in tempo. Era questo il
vero problema. Logan Echolls non era mai stato capace di ascoltarsi
veramente. Troppe volte quando stava per accorgersi di stare per
rovinare tutto, in realtà l'aveva già fatto. Il
problema non era mai stato che non sapeva cosa volesse, ma che quando
riusciva a contattarlo troppe volte era stato troppo tardi.
Logan era pancia. Impulso e agito. Logan era istinto. Violento e
appassionato. Eppure saturo di un sentimento niente affatto
irrazionale, ma limpido e consapevole, e solo gradualmente stava
imparando a integrarlo nei suoi comportamenti, nella sua vita, a
trovare il giusto equilibrio tra emozione e azione. A volte si sentiva
ancora proprio come un bambino che imparando a muovere i primi passi
comincia a fidarsi che il pavimento sia abbastanza solido da
sorreggerlo, che non franerà sotto i suoi piedi spaventati.
Di queste rinnovate consapevolezza era carico il sereno sorriso che
Logan rivolse a Veronica che si era seduta sul suo letto a gambe
incrociate, proprio accanto a quella valigia tanto temuta da entrambi.
“Pensavi di partire senza salutarmi?” si
sentì chiedere dalla ragazza, che, lo capiva, si stava
sforzando di farsi vedere più rilassata e incoraggiante
possibile. Quella volta vedeva chiaramente che quel suo scherzare in
genere così naturale era uno sforzo che lei gli regalava per
appoggiarlo in quello che per lui sarebbe stato uno dei passi
più duri e impegnativi della sua vita. E, ovviamente,
Veronica riusciva nell'effetto sperato.
“Certo che no!” le rispose, “ti avrei
lasciato un biglietto giù alla reception!”
Era sempre lui. Erano sempre loro, anche se Logan capì solo
più tardi che il mezzo sorriso quasi triste con cui Veronica
aveva risposto alla sua inequivocabile battuta era dovuto alla fatica
che evidentemente lei faceva a ironizzare sull'idea, anche solo
scherzosa, che nel giro di un solo giorno entrambi gli uomini della sua
vita fossero partiti lasciandole solo un biglietto di veloce saluto. Il
padre glielo aveva fatto proprio quella mattina e Logan sapeva che lei
non l'aveva presa bene in quel momento in cui era già
così preoccupata per lui ed avvertiva che le stava
nascondendo qualcosa.
La fiducia, il grande storico punto debole di
Veronica Mars.
Comunque lui non stava partendo, non in quel momento, non quella sera.
“Cena fuori o cena a casa?” le chiese
volontariamente allegro mentre la attirava a sé dopo che lei
ebbe afferrato il braccio che lui le aveva teso per tirarla su dal
letto.
“Decisamente la seconda.”
E mentre ridendo Veronica gli cingeva il collo con le braccia, si
concessero ancora qualche minuto prima di chiamare il servizio in
camera.
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