Ho iniziato questa one-shot preso da
un'ispirazione improvvisa, e prima di rendermene conto avevo scritto l'inizio
(per l'esattezza le prime 1700 e rotte parole, qui contenute) di questa
one-shot, divisa per comodità in due o tre parti. Questa è la prima, purtroppo
adesso l'ispirazione è un po' calata, quindi mi ci vorrà del tempo per
scrivere le restanti parti. Anche per questo ho deciso di spezzare la storia: in
modo da poter iniziare a postarla e vedere cosa ne pensate.
Harry si ritrova dentro se
stesso, dentro la sua memoria, alle prese con i suoi ricordi migliori e
peggiori. Riuscirà, armato del senno di poi, ad accettare la sua vita per come
è stata, o continuerà a illudersi che avrebbe potuto fare meglio? Alla fiction
l'ardua sentenza!
MEMORY OF A HERO
Harry si trovava fuori da Privet Drive 4, in una
notte buia e senza stelle. I lampioni erano spenti, e questo conferiva alla
strada un'aria di desolazione. Improvvisamente apparve il rumore di un motore,
che quasi lo assordò. Poi il motore si spense, e Harry riuscì a distinguere
due voci. Ad un certo punto una delle due voci scoppiò in quello che doveva
essere un pianto, anche se assomigliava di più all'ululato della sirena di un
allarme.
Dopo poco la cortina nera che lo circondava
scomparve, ed Harry si ritrovò immerso nella luce dei lampioni. Strizzò gli
occhi un paio di volte, prima di mettere a fuoco l'ingresso della casa dei suoi
zii. Davanti alla porta sempre uguale di Privet Drive 4 giaceva un fagotto,
avvolto dentro una copertina blu, con ricamate delle stelle dorate.
Harry fece qualche passo in quella direzione, ma
già sapeva cosa lo aspettava. Già sapeva cosa avrebbe trovato dentro quel
fagotto. Se solo avesse trovato il coraggio di guardare, perché le gambe
iniziavano già a tremargli per l'emozione e lo spavento. Harry si chiedeva perché
diamine si trovasse in quel posto in quel momento. Non si ricordava nulla di
quello che stava facendo, quando questa visione era apparsa. Si chiedeva se
fosse una cosa saggia darsi un'occhiata intorno, o potesse essere rischioso.
Avanzò ancora di qualche passo, continuando a
scrutare il fagottino, che nel frattempo si stava muovendo tranquillamente. Si
chiedeva perché avesse paura; d'altronde era solo lui; lui all'età di un anno.
Non poteva esserci nulla di pericoloso nel toccarlo e guardarlo. O forse avrebbe
dovuto di re toccarsi e guardarsi. Forse era proprio questo che lo
tratteneva; perché non aveva senso essere lì, a guardare se stesso, in un
ricordo che nemmeno sapeva di avere. Un ricordo che era rimasto sommerso per
tutto quel tempo, cancellato da emozioni più recenti; emozioni che continuavano
a rinnovarsi nel suo cuore.
Harry era ormai ad un passo dal fagottino, ed
allungò una mano, per scoprirlo e vedergli, anzi vedersi, la faccia. Il
piccolo Harry si agitò nel sonno, e una manina sbucò fuori dalla coperta.
Harry, che aveva ritirato rapidamente la mano, si diede dello stupido; uno
spavento del genere per un piccolo bambino; come fa una persona a spaventarsi da
sé, si chiese Harry, dandosi ancora dello stupido. Allungò la mano, e, senza
esitare, afferrò il panno, scostandolo dalla faccia del bambino.
Harry fece un salto indietro. Si aspettava la
faccia di un neonato, con un taglio in fronte. Quello che aveva visto di certo
non poteva esistere. Sicuramente era stata un'immagine prodotta dalla sua mente;
doveva ammettere di trovarsi in una situazione molto strana; probabilmente il
suo cervello aveva reagito in maniera anormale. Non poteva trattenersi,
doveva convincersi che si era immaginato tutto. E quale metodo migliore per
convincersi di questo che guardare di nuovo, si disse Harry.
Il ragazzo fece un respiro profondo ed allungò
di nuovo la mano, ripetendo il gesto con una lentezza inimmaginabile. Harry
scostò di nuovo la coperta dal volto del bambino, dal suo volto di
bambino; ma quello che vide lo fece restare ancora senza parole. Non era
cambiato nulla, quello che stava guardando era il suo volto. Non il volto del
bambino Harry Potter, ma il volto dell'Harry maturo, segnato dalle fatiche della
vita. Una netta cicatrice risaltava in mezzo alla fronte dell'Harry che si
trovava nel fagotto. Harry allungò la mano, esitante, poggiando un dito sulla
fronte, e facendolo scorrere fino alla cicatrice dell'altro sé.
Nel momento in cui il dito del ragazzo sfiorò il
segno inciso nella fronte di Harry Potter una nebbia grigia scese sulla strada,
avvolgendo tutto. La nebbia formò una specie di circolo intorno ai due Harry, e
poi si avvicinò velocissima, fino ad avvolgere Harry. Il ragazzo scattò in
piedi senza vedere nulla. Gli parve di essere diventato cieco, immerso in quel
grigio.
Passò qualche minuto, prima che il terrore di
Harry si dileguasse insieme con la nebbia. Harry si trovava in piedi nello
stesso punto, mentre un bambino di sei o sette anni correva fuori dalla porta
della casa, dirigendosi verso l'unico albero del giardino. Subito dopo di lui
corse fuori un enorme cane, che lo seguiva, abbaiando. Dietro di questo una
donna, così grossa da sembrare sul punto di scoppiare; aveva una faccia così
poco curata da sembrare un uomo. La donna urlava, aizzando il cane. Dalla porta,
lasciata aperta, uscì anche un altro bambino; doveva avere la stessa età del
primo, il viso ancora rigato da lacrime che ora non scendevano più, sostituite
da grasse risate.
Ci volle ancora qualche secondo, prima che
quell'episodio tornasse alla mente di Harry. Il tempo di ricordarsi del ottavo
compleanno di Duddley, e già il giovane Harry era raggomitolato su uno dei rami
dell'albero. Nessuna lacrima solcava il suo viso, ma la sua espressione era un
misto di terrore e rabbia, che faceva quasi impressione. Harry provò un dolore
immenso; quello era uno dei suoi ricordi più brutti, che pensava di avere
rimosso. Tutti i ricordi di zia Marge erano terribili, ma questo lo era perfino
di più.
Harry corse verso l'albero, intenzionato a
salvare il bambino sull'albero. Vista dall'esterno era una scena ancora più
terribile; Harry si chiedeva come fosse possibile che i vicini non dicessero
niente. Harry arrivò di corsa, tirando una spallata alla donna, che cadde
addosso al secondo bambino, estrasse la bacchetta e colpì il cane con un
incantesimo.
Subito si rese conto di quello che aveva fatto.
Non era possibile, non poteva aver interferito con gli avvenimenti. Ma
soprattutto non poteva aver usato la magia; non davanti al sé bambino. Mise via
la bacchetta di corsa, avvicinandosi poi all'albero, a passo lento;
"E' stato forte" l'espressione del
bambino ora sembrava quasi di gioia "ma come hai fatto? e chi sei?"
Harry non disse nulla. Si avvicinò di qualche
altro passo, e tese la mano al bambino; questi la afferrò. Ma proprio in quel
momento la strana nebbia calò di nuovo. Harry sbatté velocemente gli occhi, e
la nebbia si diradò. Si trovava in piedi, in mezzo a quello che sembrava il
cortile di una scuola. Passò qualche secondo prima che una campanella suonasse,
attutita dai portoni della scuola.
Subito le porte si spalancarono, e il suono
accompagnò la carica dei bambini che uscivano in cortile, finalmente liberi di
giocare. Un bambino di quasi dieci anni si fece largo verso il cortile,
spingendo le persone che c'erano davanti. Era decisamente uno dei più grandi,
ma sembrava scappare da qualcosa. Dietro di lui correvano altri tre bambini,
decisamente più lenti.
Il primo corse deciso verso Harry, e in pochi
secondi lo raggiunse, superandolo. Il ragazzo si voltò, seguendo con lo sguardo
se stesso che, a dieci anni, fuggiva dalla banda di Duddley. Il bambino correva
diretto verso dei cassonetti, ripieni di rifiuti alimentari; spiccò un salto,
nel vano tentativo di oltrepassarli, e sparire lì dietro. Ma a metà del salto
qualcosa non andò come doveva; uno dei piedi del bambino si impigliò dentro ad
un sacco. Harry estrasse velocemente la bacchetta, deciso ad impedire a se
stesso di cadere; ma prima ancora che potesse fare qualcosa il bambino era
sparito. Il giovane si guardò intorno per qualche minuto, prima di notare il
fatto che tutti guardavano verso il tetto.
Harry alzò lo sguardo, e si vide appollaiato sul
tetto, attaccato saldamente alla grondaia. Gli tornò alla mente quell'episodio,
e con quello ricordò anche la punizione che ne sarebbe seguita. Di sicuro la
faccia che Duddley aveva ripagava completamente qualunque cosa sarebbe successa
in seguito, anche i diversi mesi di reclusione nel sottoscala.
Ma la sensazione di vittoria negli occhi del
bambino sul tetto svanì subito, alla vista di due persone che uscivano dalla
scuola, portando una scala. Questa fu appoggiata al tetto, e venne intimato al
bambino di scendere. Il piccolo Harry non si fece ripetere due volte l'ordine,
scendendo, con ancora un piccolo lampo di trionfo negli occhi. Una volta che il
bambino fu sceso il preside e il bidello lo scortarono verso l'edificio della
scuola; Harry, che si trovava sul loro percorso, si scostò leggermente, ma
allungò la mano, come a voler dare il cinque al bambino.
La nebbia calò ancora una volta, il contatto tra
le due mani era durato poco più di un secondo, poi Harry si era ritrovato
immerso nel grigio.
Quello che apparve pochi secondi dopo fece
saltare il cuore in gola ad Harry. Diversamente da pochi minuti prima si trovava
in una stanza, insieme ai due piccoli Harry e Duddley, che dovevano avere
entrambi dieci anni. Diversamente dalle volte precedenti, però, sembrava
esistere solo la stanza. Fuori dalla finestra si vedeva solo un grigio uniforme,
che, sotto forma di nebbia, penetrava anche da sotto la porta.
Il piccolo Harry stava rintanato in un angolo,
mentre Duddley si trovava nel mezzo della stanza, ridendo, e continuando a
ripetere "La testa... Ti metteranno la testa nella tazza del water".
La scena sembrava irreale, tanto era disumana la voce di Duddley; era anche
molto snervante, tanto che Harry colpì Duddley, nel tentativo di zittirlo.
Questo cadde a terra, ma non smise la sua sequenza di risate e parole, ne si
rialzò. L'altro bambino era invece rimasto impassibile.
Harry gli si avvicinò, e gli toccò la cicatrice.
Subito la nebbia lo avvolse, e Harry lasciò andare un sospiro di sollievo; per fortuna
il suo desiderio si era esaurito. Era bruttissimo vedersi lì, a subire
impassibile le prepotenze del cugino, forse perfino più brutto che vedersi
inseguito da un cane.
Questa volta la nebbia rimase per qualche minuto,
e Harry si chiese come mai ci volesse così tanto.
Quando finalmente la nebbia si sollevò, Harry si
ritrovò in una scena simile alla precedente; una sola stanza, avvolta dalla
nebbia. Dentro si trovavano schiacciati tutti e tre i Dursley, un piccolo Harry
e un uomo enorme, che Harry riconobbe subito. Era proprio quest'ultimo che
parlava. La sua voce era ancora un continuo ripetersi; sempre le stesse parole
ripetute senza sosta "Harry, tu sei un mago...". Il giovane si soffermò
a guardare le espressioni di tutti i presenti; i Dursley sembravano scossi da un
profondo brivido di rabbia, mentre Hagrid aveva degli occhi che sembravano quasi
mostrargli il suo orgoglio. Da ultimo si soffermò sui verdi occhi dell'altro
se; da questi emanava una felicità che sembrava inimmaginabile; di sicuro una
felicità che il povero Harry non aveva mai provato prima. E che forse
pensò Harry non avrebbe provato più, oppresso da un destino più grande di
lui.
Il ragazzo sapeva già cosa fare; si avvicinò al
bambino con la cicatrice, e gli toccò la faccia, quasi volesse fargli una
carezza. La nebbia calò di nuovo, densa e molto più lunga delle volte
precedenti.
E così siamo alla fine della
prima parte. Spero che per adesso vi sia piaciuta. La seconda delle tre parti
inizierà dal primo viaggio di Harry verso Hogwarts e, se devo essere sincero,
non so proprio dove finirà.
Un commentino è ben gradito,
anche solo per farmi sapere che vale la pena che vada avanti a scrivere!
PS grazie per aver letto questa
storia! |