Tamashi yo, kokoro yo, ai yo, omoi yo di MrEvilside (/viewuser.php?uid=62852)
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Tamashi
yo, kokoro yo, ai yo, omoi yo
«SHION!»
Chiuse gli occhi per un momento e, solo per quel
momento, un sorriso apparve sulle sue labbra.
«Nezumi».
«Mamma? Mamma!»
Sebbene non si vedessero da mesi, sebbene ormai
l’aspetto di Shion fosse irrimediabilmente cambiato
dall’ultima
volta che Karan l’aveva incontrato, non sarebbero stati
sufficienti
quella manciata di settimane, quei capelli bianchi e quella spirale
rossa sulla pelle per impedire a una donna di riconoscere suo figlio.
«Scusa, mamma, stavamo giocando nella foresta
e…»
Il bambino fissava la donna con i grandi occhi
spalancati, imploranti, le guance sporche di terra e i vestiti
sgualciti e incrostati di fango.
Hana indugiò ancora qualche istante in quella
posizione di rimprovero – mani sui fianchi, labbra contratte,
sopracciglia aggrottate – poi si aprì in un
sorriso dolce e fece
un cenno verso la porta del bagno.
«Forza, corri a darti una lavata, altrimenti non
mangi».
«Shion! Shion, stai bene!»
Lo stringeva forte, così forte che non si
distingueva più dove cominciassero le braccia di Shion e
dove
terminassero quelle di Karan, e piangeva nel suo grembo, anche se
Shion continuava a essere più basso di lei – e di
lui.
«Sì, mamma,» sorrideva, e il suo viso
sfolgorava
di una calma gioiosa «sto bene».
«Nezumi? Non hai ancora finito in bagno? Guarda
che è quasi pronto!»
Piegato in due dalla sofferenza, dovette
aspettare diversi secondi prima di riuscire a mettere insieme una
voce sufficientemente ferma.
«Non preoccuparti mamma, sto bene! Arrivo
subito!»
Si strinse nelle spalle e si sforzò di reprimere
un singhiozzo rumoroso quando sfiorò inavvertitamente la
carne cruda
mentre cercava di ripulire la ferita.
Karan si scostò da lui quando le sue mani, nel
tentativo di aggrapparsi alla camicia del figlio, si immersero nel
sangue viscoso che la macchiava.
«E questo cos’è? Che cos’hai
fatto?»
«Ma no, mamma, non è
nient—iiih!…»
Shion arrossì di colpo mentre la donna gli apriva
di scatto la camicia, senza curarsi dei bottoni che saltavano via per
il suo impeto, e scrutò con occhio critico i resti della
ferita sul
suo petto; poi lo afferrò per un braccio e lo
tirò con sé.
«Forza, andiamo a casa, così ti medico».
«Ehi?» Sua madre si sporse nella stanza,
così
inaspettatamente che Nezumi non fece in tempo a nascondere il taglio
sul ginocchio. «Ah, ecco perché ci stavi mettendo
tanto» commentò
Hana con fare di rimprovero mentre il figlio si affannava a tirare
giù i pantaloni.
La donna gli si avvicinò e appoggiò una
mano
sulla sua, corrugando la fronte. «Ma sei scemo? Vuoi
rimettere
questi pantaloni così sporchi sulla ferita ancora aperta?
Stupido!»
«Ma mamma!» Il bambino arricciò
le labbra in
un broncio infuriato. «Sto benissimo!»
«Sembra che ti abbiano sparato, anche se non
c’è
il proiettile…» Karan assicurò attorno
al suo busto le fasce
bianche con un nodo robusto e Shion ebbe una contrazione di dolore
quando la donna lo strinse. «Siete stati voi a distruggere
No.6,
vero?»
Il figlio fece una smorfia nello sforzarsi di
raddrizzarsi a sedere e la madre premette prontamente una mano sulla
sua schiena per aiutarlo, ignorando le proteste imbarazzate del
ragazzo, che era convinto di poterci riuscire da solo.
Poi Shion appoggiò le mani sulle ginocchia ed
esitò, incerto su come l’avrebbe presa.
«Sì, siamo stati io e Nezumi».
«Sei caduto di nuovo da quella parete di roccia,
vero?» Hana sospirò e applicò con cura
un cerotto sul ginocchio
leso, dopo averlo ripulito e disinfettato accuratamente.
«Quante
volte ti ho ripetuto che non devi arrampicarti lassù? Si
può sapere
che cosa stavi cercando di fare?»
Nezumi distolse lo sguardo, in quel modo che
significava che aveva qualcosa da nascondere. Hana inarcò un
sopracciglio e picchiettò spietatamente un dito sul suo
ginocchio,
facendolo sobbalzare.
«Allora?»
Pur se irritato, alla fine il figlio si decise a
infilare una mano in tasca e tirarne fuori un fiore.
«Stavo cercando di prendere questo. Stava
là in
cima. Ti piacciono i fiori, no?»
Karan ne era convinta, ma sentirselo dire da Shion
fu sconcertante.
Nessuno si era mai messo contro No.6 ed era
sopravvissuto tanto a lungo da poterlo raccontare.
Ma adesso non esisteva più alcuna No.6, non
c’erano
più spade di Damocle pendenti sulle loro teste solo
perché si
amavano come ogni madre e ogni figlio dovrebbero fare.
Dapprima il ragazzo credette che si sarebbe
arrabbiata e che la preoccupazione e il dolore che aveva accumulato
in quei mesi sarebbero esplosi in una lunga rimbeccata, ma
all’improvviso Karan si slanciò in avanti e
l’abbracciò ancora,
strappandogli un gemito sorpreso.
La donna allentò la presa per non ferirlo e
appoggiò la fronte sulla sua spalla.
«Grazie, Shion».
Hana rimase così sorpresa che per un lungo
momento non seppe far altro che scrutare il fiore tra le mani del
figlio: era bello come non ne aveva mai visti, con petali larghi di
un soffuso rosa pesca e una corolla rotonda giallo acceso.
In quel piccolo fiore spiegazzato, provato dal
viaggio nella tasca del bambino, risiedeva il motivo per cui Nezumi
aveva insistito per giorni ad arrampicarsi su quelle rocce e ogni
sera, puntualmente, era tornato a casa ricoperto da lividi, fango,
sbucciature e un muso così lungo che Hana aveva pensato
stesse
facendo una sorta di gara d’arrampicata con i suoi amici e
non
fosse ancora riuscito a vincere.
Prese il fiore dalle dita del figlio e se lo
rigirò tra le mani, poi riportò
l’attenzione sul bambino
spettinato e sporco che la guardava curioso, in attesa di una qualche
reazione e timoroso di venire sgridato.
Hana sorrise e lo baciò su una guancia.
«Grazie, Nezumi».
Tirandosi il cappuccio, già calato sul volto, per
sincerarsi d’avere il viso immerso nella penombra, scese con
eleganza dal balcone da dove aveva osservato il medicamento di Shion.
E i sorrisi, i pianti e gli abbracci della madre.
E l’imbarazzo, la gioia e la serenità del figlio.
Confidava che Shion e Karan non avrebbero mai
permesso di appassire al fiore della libertà che si erano
conquistati a prezzo di tanta fatica e sofferenza, così come
Hana si
era affrettata a mettere il fiore rosa nella terra, perché
mettesse
radici e sopravvivesse.
Mentre camminava, seguendo distrattamente la folla
di gente di No.6 che stava andando nel Blocco Ovest in cerca dei
familiari perduti da tempo, sorrise ancora, quasi senza rendersene
conto.
Karan scostò la tenda e osservò con materna
tenerezza quella figura nera che si allontanava.
«Grazie, Nezumi».
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