Quando gli tende la
mano per la prima volta, trovandolo nel tronco cavo in cui si era
rifugiato, gli sembra immenso.
La presenza del
fratellone Noregur dietro di lui lo rassicura, ma quell'uomo è
ancora più grande di lui, che già gli sembrava gigante.
Il signore grande
sfiora il medaglione con le rune e le pietre colorate e gli sorride,
annuendo, come se quel medaglione dicesse tutto di lui.
“Sei ancora
più adorabile di quanto immaginassi! Norge non sa proprio
descrivere le cose carine!” esclama, con una voce allegra ma
forte.
Ísland
nasconde il viso dietro le manine, come se quel gesto potesse
nascondere il rossore incredibile che ha raggiunto le sue orecchie.
O, ancora meglio, potesse farlo scomparire.
L'uomo grande si
schiarisce la voce e gli tende di nuovo la mano, attirando la sua
attenzione. Resta a fissarla, spuntando leggermente da dietro quella
barriera, allungando una delle proprie come per confrontarla con la
sua.
L'uomo grande
sorride, se possibile, con tutti i denti disponibili, capendo
-leggerà il pensiero?- che cosa vorrebbe fare e posando il
palmo sul suo.
La sua mano è
tanto grande ed Ísland la fissa, meravigliato. Non è
morbida come quella del fratellone Noregur, è tanto diversa.
Prende nel pugno il
suo indice, rendendosi conto che si sente davvero minuscolo, in
confronto all'adulto.
“Nor! Nor! Mi
ha preso il dito!” esclama, con la stessa meraviglia -o almeno
così gli sembra-.
“Vedo. Sei
contento, ora? L'hai visto. Torniamo a casa, Dan.” taglia corto
il fratellone Noregur, già spazientito.
Ad Ísland
piace tanto il fratellone Noregur. Gli racconta un sacco di storie
bellissime ed ha degli amici che lo fanno ridere tanto.
Allunga le manine
verso di lui, scuotendo la testa. Non vuole che vadano a casa! Vuole
sentire le sue storie! Vuole parlare con le fate!
Si agita, mentre il
fratellone Noregur lo prende in braccio, lanciando una strana
occhiata al signore grande.
“Oh, andiamo,
guarda com'è carino, si è affezionato!” esclama,
quando nota che, nonostante sia passato in altre braccia -e, a dire
il vero, cercava solo un modo per fargli capire che non voleva che se
ne andasse-, ha di nuovo la mano stretta intorno al suo indice.
“E' così
adorabile, lo possiamo tenere?” chiede il proprietario del
dito, abbassandosi fino al livello del bambino e prendendo ad
osservarlo.
“Non è
un orso, imbecille.” ribatte il fratellone Noregur, stizzito,
mentre l'altro scoppia a ridere sguaiatamente.
“Vi somigliate
così tanto che sembri la sua mamma!”esclama, divertito,
subito interrotto da una manata in fronte.
“Non
confonderlo, con le tue idiozie. Non sa ancora parlare, non dirgli
parole sbagliate.” protesta il fratellone Noregur, con un tono
letale.
Ísland lo
guarda, pieno di dubbi, ma è il signore grande a rispondere.
Parla sempre molto più del fratellone, deve avere una strana
malattia. Ísland spera che non ne muoia subito, perché
è divertente.
“La mamma e il
pabbi sono persone che ti vogliono bene, che si occupano di te e ti
tengono al caldo d'inverno, piccolo Ísland. Pabbi è un
maschio come me o Nor, mamma è... come le sue fatine!”
spiega, serissimo.
“Le tue
spiegazioni mettono i brividi. E tu cosa ne sai delle mie fate.”
chiede il fratellone, guardando di nuovo male il signore alto.
“So che sono
tutte innamorate di te e che ridacchiano quando vai al fiume.”
risponde il signore grande, con naturalezza, facendo imbarazzare il
fratellone Noregur.
Il bambino
ridacchia, nascondendo il viso nel mantello dell'adulto e il signore
grande lo segue.
Ísland non scende dalle braccia del fratellone per tutta la
giornata. E non lascia un secondo il dito del signore grande -che si
chiama Dan... Danmörk-,
obbligandoli a camminare come una strana creatura a due teste. Gli
piace quella creatura.
“Solo un
mese.” chiede Danmörk, con occhi supplichevoli ed Ísland
lo imita, perché anche lui vuole che restino o lo portino con
loro. Sono caldi e divertenti, insieme.
Il fratellone cede,
ma borbotta qualcosa su un associazione di banditi. Ísland è
felice. Vuol dire che vedrà il mare e salirà su una di
quelle grandi barche. Sa che il fratellone voleva portarlo con lui da
tanto tempo. Anche se non l'ha mai detto, i suoi abbracci, quando se
ne andava, diventavano sempre più lunghi.
Anche quando
accetta, c'è qualcosa, nei suoi occhi, che gli fa capire che è
felice quanto il signore alto Danmörk, anche se non ride allo
stesso modo. Il fratellone gli piace anche per questo.
“Pabbi.”
è la sua prima parola. E' la prima parola che ormai gli viene
in mente, dopo tanto tempo accanto a quei due uomini. Che veda l'uno
o l'altro. Pabbi. Perché ricorda quello che ha spiegato il
pabbi Dan e perché tra di loro, la sera, si sente al sicuro,
al proprio posto.
“Pabbi.”
ripete, più forte, ma entrambi hanno sentito perfettamente.
“Vedi, idiota,
che non sapresti spiegare neppure cos'è la neve.” sbotta
leggermente pabbi Nor, senza però distogliere lo sguardo dal
bambino. E' uno sguardo dolce, quello che gli rivolge.
“A... a chi lo
sta dicendo, Nor?” chiede l'altro, immobile nello stesso modo.
“Entrambi?”
Cade un lungo
silenzio, abbastanza lungo da far preoccupare Ísland. Ha detto
qualcosa di male? Dire che sono i suoi pabbi è sbagliato? Ha
ascoltato anche i bambini del villaggio, anche se non ha capito che
cosa volessero dire quando hanno detto che il pabbi e la mamma fanno
i bambini. Non gli sembra di avere dei pabbi così, ma non
importa, no? L'importante è il calore, no?
“Vieni qui,
tu...” sussurra il pabbi Dan, allungando le braccia e
portandoselo al petto. “Siamo i tuoi pabbi, va' bene.”
Più tardi,
nel letto, incastrato tra i loro corpi, fa finta di dormire, come fa
spesso, per ascoltare qualche storia che non osano raccontargli.
Sente solo silenzio, come se entrambi dormissero, ma è un
silenzio pesante, strano. Sente le mani del pabbi Dan muoversi tra i
suoi capelli e il suono regolare lontano lo avverte che non è
il solo a ricevere quelle coccole.
Non è geloso.
Anzi.
“Che cosa
c'è?” chiede all'improvviso il pabbi Dan, con un tono
serio che non sembra quasi da lui. Serio serio come non l'ha mai
sentito.
“E' una
nazione come noi.”
“E?”
“E, imbecille,
quando sarà adulto dovremo lasciarlo andare.”
Dopo questo, non
sente altro. Solo la pressione dei loro corpi e le braccia che
l'avvolgono.
Ísland si
rannicchia fino a diventare una pallina bianca, stringendo forte gli
occhi.
Non parla molto, ma
capisce perfettamente quello che significa quella frase. Capisce
quello che deve capire. Che non ci saranno più storie e
abbracci e promesse e pabbi che si fa chiamare scemo dall'altro
pabbi. Che dormirà solo e non avrà più nessuno a
mandare via i sogni pieni di neve e solitudine e paura.
Perderà
pabbi. Tutti e due i suoi pabbi.
Pensa forte al suo
desiderio, ricordando una storia del pabbi Nor, sulle stelle che
esaudiscono i desideri dei bambini come lui.
Desidera non
crescere mai, non essere mai adulto. Non vuole perdere niente del
tutto che ha.
“Non lo
lascerò andare.”
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