Illuogo silenzioso
Il Luogo Silenzioso
Per
tutta la vita sono stato un
impostore. E non esagero. Ho praticamente passato tutto il mio tempo a
creare
un’immagine di me da offrire agli altri. Più che
altro per piacere o per essere
ammirato. Dopotutto volevo solo sopravvivere in una Londra che ospitava
altri
impostori uguali al sottoscritto. Sono il proprietario di
un’importante
industria tessile che vende in ogni angolo del mondo, così
come molte altre
aziende londinesi. Noi tutti sembriamo identici perché
facciamo lo stesso
lavoro e perché tutti noi abbiamo lo stesso obbiettivo:
raggiungere l’egemonia
in campo economico. Molti pensano al potere come al conseguimento di
una carica
politica, ma io posso affermare che colui che possiede il dominio del
mercato
ha un potere maggiore e più pericoloso di qualsiasi Lord.
Infatti abbiamo il
controllo del popolo perché conosciamo il suo bisogno e
riusciamo a soddisfarlo
dandogli quello che vuole senza tanti giri di parole e senza vuote
speranze.
Io, un tipo estroverso e
decisamente socievole, ho trovato nella menzogna la scala per
raggiungere
questo potere. E’ una scala sporca, infida, su cui si
scivola, si cade nella
melma e nel fango per potersi risollevare più forti e
robusti di prima. Non mi sono
mai fatto scrupoli a mentire, a modellare la figura mia e della mia
azienda a
seconda dell’interlocutore che mi trovavo dinanzi.
Così i nemici mi temevano e
mi rispettavano, oltre che cercare di emulare le mie mosse in campo
economico.
C’è poco da aggiungere: così sono
diventato immortale, oltre che immorale.
Ovviamente nessuno si cura della buona
condizione della concorrenza anzi, al contrario, si esulta per il
fallimento
del nemico e io, personalmente, ho creato questa situazione
più di una volta.
Fu così che incontrai Ifigenia.
Era una sera d’inverno. Una di
quelle in cui l’aria è fredda come una ghiacciaia
ma non c’è un alito di vento;
insomma c’era un tempo da neve.
Io stavo ritornando a casa dopo
aver concluso un cospicuo affare con l’India, quando mi
trovai davanti una
bambina bionda con due grandi occhi azzurri che impediva il passaggio
alla mia carrozza.
Mi fermai di colpo. Aveva
un’espressione così triste da far
piangere gli angeli. Era vestita con un cappottino rosso, come il
fiocco enorme
che aveva in testa. Mi chiesi cosa diavolo ci facesse questa bimba
triste in
mezzo alla strada di sera. Poi voltò il volto verso di me e
– Signore
sostienimi nel raccontare ciò – la sua espressione
divenne una smorfia d’odio e
di disprezzo.
“Ehi piccolina perché non torni a
casa? Ti sei persa?”
Il mio cuore batteva all’impazzata
e un brivido agghiacciante mi corse lungo la schiena: c’era
qualcosa che non
andava in quella bambina. Non ho mai visto bimbe con
quell’espressione,
tantomeno figlie di genitori benestanti, poiché di solito
venivano educate a
sorridere gentilmente a chiunque incontrassero: non proprio quello che
aveva
fatto la piccola alla mia vista.
Raccolsi tutto il mio coraggio e le
andai incontro, solo che lei fuggì via, girando
l’angolo. Ma quando l’angolo lo
svoltai io, la strada era deserta.
Tornai a casa senza pensarci: quel
giorno avevo avuto abbastanza problemi.
Ma il Signore non voleva che io riposassi
in santa pace dopo essere tornato nella mia villa e aver consumato una
cena
deliziosa insieme a mia moglie e ai miei figli.
Infatti stavo fumando la mia
adorata pipa mentre leggevo il giornale, quando, per puro caso, alzai
gli occhi.
Lei era lì.
Inutile descrivere il terrore che
mi attanagliò le viscere e la paura agghiacciante ed
irrazionale che mi serrava
la strozza, impedendomi perfino di urlare.
La bimbetta non faceva nulla; era
seduta sulla poltrona preferita della mia amata Edwige e si limitava a
fissarmi
con uno sguardo decisamente minaccioso.
D’istinto chiusi gli occhi. Lo
faceva anche mio figlio: quando qualcosa lo impauriva strizzava le
palpebre e
restava immobile.
Cercai di riprendermi: “Era solo
un’allucinazione. Sei stanco, hai avuto una giornata
difficile, te la sei
battuta con quelli sciacalli ma alla fine hai vinto. Quella strana
bambina ti
ha fatto solo pena!” mi dissi. Lentamente riaprii gli occhi.
Era sparita.
Tirai un sospiro di sollievo e
ripresi a fumare quasi con allegria.
Ovviamente passai una notte
insonne, cercando di dimenticare la bambina della sera precedente ma
senza
riuscirci. Alcune volte mi sembrava quasi di intravederla seduta sulla
sponda
del letto.
Il mattino seguente mi diressi in
azienda in carrozza cercando di non guardare fuori dal finestrino; di
sicuro la
mia immaginazione non avrebbe fatto scherzi, in questo modo.
Poi mi imbattei in un funerale.
Sporsi la testa incuriosito,
cercando di vedere qualcosa (ovvio che non cercavo di vedere il morto:
come
avrei fatto se era chiuso nella bara?); intravidi una macchia bianca.
Era
quella la bara? Significava che il morto era giovane: una cosa
frequente, di
questi tempi erano molti i giovani che avevano degli imprevisti sul
lavoro e
morivano per tisi o per un’infezione.
“Povera Else …
dopo il marito, ora la figlia”
“La piccola Ifigenia non meritava
ciò … era così adorabile”
“Già … proprio una bambina per
bene”
“Forse è per questo che il Signore
l’ha voluta con sé”
Un rumore, un cicaleccio, un chiacchiericcio,
una rivelazione, un’accusa. Mi voltai di scatto verso le due
signore che
stavano conversando: erano entrambe vestite a lutto e seguivano il
carro
funebre con passo svelto. Avevano affiancato la mia vettura e ora
avevano già
oltrepassato il mio tiro a quattro. All’inizio non avevo
fatto caso alle loro
parole ma poi mi svelarono l’arcano: possibile che la mia
perseguitatrice fosse
la piccola morta che ora giaceva a poche iarde da me? Ma cosa potrebbe
volere
da me una bambina? La bimbetta che ormai vedo ovunque era vestita da
borghese
e… No. Come ha fatto a non venirmi in mente che i poveri
operai seppelliscono i
loro cadaveri nella nuda terra senza un corteo? Come? Quella bimbetta
era
sicuramente figlia di un dirigente d’azienda. Poi mi apparve,
come un flash, la
prima pagina del giornale della settimana scorsa: parlava di Richard W.
Wellington, un mio concorrente, che si era suicidato in seguito ad una
clamorosa ed improvvisa bancarotta, lasciando la famiglia piena di
debiti.
Ebbene nella foto si intravvedeva anche una bimba con un sorriso
raggiante, che
avevo notato perché sembrava colorare la pagina in bianco e
nero con una luce
invisibilmente calda. Era lei la mia ossessione. Ma come poteva essere
la morta
lì dentro? Non poteva esserlo semplicemente
perché in quella foto sembrava
sprizzare salute da tutti
i pori, a meno che qualcuno non
l’avesse uccisa; ma chi ha interesse ad uccidere la
figlioletta di un uomo
morto?
Arrivai al lavoro con un quarto
d’ora di ritardo, quindi ero piuttosto stizzito. Ma rimasi
completamente
sbalordito quando vidi la bambina seduta al mio posto dietro la
scrivania. Mi
guardava con la sua solita espressione inquietante. Decisamente non si
addiceva
ad una fanciullina così graziosa. Mi passai una mano sugli
occhi.
“Chi sei? Cosa vuoi da me?” trovai,
non so dove, il coraggio di domandarle. Mi sentivo svenire. Avevo
bisogno
d’aria e di un buon bicchiere d’acqua.
Lei non rispose, ma mi passò il
quotidiano della sera prima . Esattamente quello che stavo leggendo
quando
l’avevo trovata davanti a me (come faceva ad essere
lì? Non mi faccio mai
arrivare il giornale in ufficio). Io, lentamente, mi avvicinai allo
scrittoio e
afferrai il giornale con mani tremanti. Ripresi da dove
l’avevo lasciato la
sera prima. L’articolo seguente annunciava il funerale che
avevo visto passare
poco prima.
“… e la moglie distrutta del signor
Wellington annuncia il funerale della loro figlioletta, Ifigenia,
deceduta a
causa di un attacco di tubercolosi polmonare. Infatti, a causa del
disastroso
crollo delle azioni della sua azienda, non ha potuto pagare le medicine
per
curare la piccola. Gli agenti sospettano che sia questo il motivo
principale
per cui l’uomo si sia tolto la vita. Il funerale si
terrà domani mattina alle
ore 10:00…”
Voltai la pagina e mi prese un
colpo. La fotografia di Ifigenia riempiva la paginata con il
particolare della
foto che era in prima pagina solo otto giorni fa. Impossibile non
trovare
commovente quel visino angelico, impossibile non trovare inquietante la
maschera d’odio della Ifigenia che era seduta sulla mia
poltrona. Mi ripetei di
stare calmo, che sicuramente quella che avevo davanti era
un’immagine creata
dalla mia mente turbata. Peccato che la mia fantasia se ne stesse
lì davanti
puntandomi i suoi occhioni addosso.
“Senti piccola … non è colpa mia se
il tuo papà …” Appunto. Che
c’entravo io?
Ed eccomi qui, adesso, a cercare un
motivo, anche nascosto nel mio cervello, per cui quella bimba dovrebbe
odiarmi.
Io faccio il mio lavoro, conduco un’azienda, faccio i miei
interessi, non certo
quelli degli altri, e questo è logico; bisognava concludere
un affare che si
trascinava da mesi, e ho puntato tutto sul fallimento di Wellington,
che è
avvenuto; potrebbe essere colpa mia solo se gli avessi rubato delle
azioni,
cosa che non ho fatto. Mi sono limitato ad
appropriarmene, ma la sua azienda era già in
malora e si sentiva già
l’odore del cadavere della mia concorrente. Sono stato un
avvoltoio, forse, ma
se non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto qualcun
altro, sono le leggi dell’economia.
O io o tu. Non entrambi. Qualcuno deve pur rimetterci e quel qualcuno
non
volevo essere io. Tutto qui. Siamo stati buoni compagni di scuola,
eravamo
quasi fratelli e praticamente le nostre aziende sono cresciute insieme,
come
buone concorrenti che si stimano e si rispettano. Un anno guadagno io e
l’anno
dopo guadagni tu, era normale e non c’era alcun rancore. Vedi
piccolina … la
realtà è molto più complessa di quanto
si pensi, non puoi biasimarmi. Se
rimproveri me dovresti rimproverare anche tutti coloro che lavorano sul
mercato
internazionale. Perché proprio io? C’è
gente molto più spietata e crudele al
mondo. Ah! Se
avessi fatto il dottore
come voleva mia madre, invece che seguire le idee di mio padre, forse
ora non
avrei nessun fantasma che mi perseguita! Ma non si può
sempre parlare di
rimpianti; ho scelto questa strada e sono riuscito anche a diventare
una
persona importante. A quale prezzo, mi chiedi tu. Il prezzo che si paga
per
ogni cosa; per ricevere qualcosa bisogna dare qualcos’altro
in cambio. E’ la
vita. Cosa dici? A te non piace una vita così? Beh, cosa
credi? Anche tu, se
fossi diventata adulta, avresti sposato un uomo come me, forse anche
più
meschino! Quindi non ti sarebbe piaciuto diventare un’adulta.
Sai che ti dico:
nemmeno a me. Troppi compromessi, troppe scuse, troppe
responsabilità. Gli
adulti seguono solo l’odore del denaro, scaricano la colpa
sugli altri, sempre
pronti a trovare un alibi. Persino io, in questo momento, sto cercando
di
trovare delle scuse, cerco di reprimere i sensi di colpa per aver
lasciato che
un buon amico si suicidasse. Mah! La verità è che
la colpa è dell’intera
società, che non si potrebbe fare in altro modo, altrimenti
si soccomberebbe.
Capisci? Il mondo è diventato un luogo silenzioso, dove la
gente sta con lo
sguardo fisso senza vedere nulla. Brutto vero? Oh … piccola,
non dovresti
prendere quella in mano … la mia Colt è carica e
potresti fare del male a
qualcuno. Meglio che la prenda io. E’ fredda come la morte,
fredda come il
sistema, fredda come il mondo e mi chiedo se noi siamo qui solo per
farci
venire i geloni. Anche il tuo sguardo è ghiacciato come il
vento dell’inverno.
Meglio che la smetta di farneticare una volta per tutte, mi stai
dicendo, vero?
Vuoi che ti saluti il tuo papà, già che vado nel
Cieco Mondo? Va bene, angelo
del Paradiso, gli dirò quanto sei buona ed ingenua, piccola
Ifigenia; ma sappi
che questo mondo è come un’arancia marcia in cui
nessuno si accorge delle
catene in cui è avvolto.
Note:
Questa storia è stata scritta per un concorso letterario in
cui, a partire da uno degli incipit di libri esitenti, decisi dalla
giuria, bisognava trarne uno scritto.
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