Draco
UN FALLIMENTO VERSO IL FUTURO
Draco osserva il proprio
volto alla finestra.
Si sente stanco. Non fa
nulla da giorni tranne mangiare e dormire, eppure è sfinito. Ecco, è
l’espressione di un ragazzo… finito.
Poi sposta lo sguardo
verso il mondo fuori da lì.
Si vedono solo
interminabili tetti e camini, interrotti con regolarità dalle stradine che
portano ai portoni di ingresso delle case. In alcuni casi si vedono le travi
delle soffitte, in altri i tetti sembrano appena tirati a lucido. Tutto è
avvolto dalla nebbia e dalla fuliggine di una estate che stenta ad
arrivare.
Nel silenzio può sentire,
al piano di sotto, qualcuno che si affaccenda in cucina. Forse sta organizzando
la cena. Quando un rumore più forte (è caduto un coperchio) lo fa sobbalzare,
rivolge lo sguardo verso la porta della stanza. Ma solo per un
attimo.
Non gli interessa quello
che sta accadendo.
I pensieri sono a casa,
nella sua casa.
Fino ad un anno fa circa
la madre, in quel momento, sarebbe stata impegnata in una discussione con la
cuoca riguardante le pietanze della cena del sabato, la cena di lavoro del
padre, la stessa inalterata cena che ogni sabato da anni riuniva a casa Malfoy
tutti coloro che il padre riteneva importanti per la sua carriera, per i suoi
affari, per i suoi interessi politici.
Prima di entrare a
Hogwarts partecipava anche lui.
Partecipava…. Si sedeva a
tavola, sorrideva quando era necessario, rispondeva quando era necessario,
osservava ogni volta che poteva.
Non gli era permesso fare
altro.
Non intromettersi, non
parlare senza motivo, non farsi notare più del necessario.
Ma poi, i giorni
successivi, il padre discuteva con lui di quanto era accaduto, del perché era
presente una persona e non un’altra, della scelta dei posti a cena, degli
argomenti da affrontare, degli atteggiamenti da tenere.
Era la sua personale
rivincita su quel branco di adulti tutti uguali, monotoni, indifferenti alla sua
presenza.
A 10 anni conosceva i
segreti d’ufficio di parecchi dirigenti del Ministero della Magia, conosceva i
loro problemi in famiglia, la situazione economica, cosa temevano e cosa
desideravano.
Durante la scuola era
escluso dalla cena, ma il padre continuava a raccontargli tutto.
Anzi, erano aumentati i
particolari piccanti, le amanti, i ricatti, i segreti che neppure il coniuge
conosceva.
Aveva imparato,
duramente, ascoltando conversazioni che non doveva sentire, che anche i suoi
genitori erano nella stessa situazione.
Aveva imparato a
riconoscere il momento in cui la madre trovava un nuovo amante o il momento in
cui il padre metteva termine ad una relazione.
Aveva anche imparato che
c’era un legame tra loro che non si sarebbe mai spezzato, qualcosa che non aveva
nulla a che fare con l’amore o i sentimenti, ma con il potere.
Anche grazie a queste
cene il padre era rimasto ad Azkaban solo per alcuni giorni alla fine del suo
secondo anno e non c’erano state conseguenze.
Nessuno sapeva quali leve
erano state mosse per far aprire le porte della prigione, ma erano riuscite a
raggiungere lo scopo.
Draco idolatrava il
padre.
Avrebbe desiderato poter
essere esattamente come lui: potere, fascino, controllo.
Nella casa dei Serpeverde
si stava allenando a farlo: era stato il capo indiscusso della Casa, era
ricercato dalla maggior parte delle ragazze, anche più vecchie di lui, sapeva
tutto di tutti perché tutti desideravano compiacerlo raccontandogli cose nuove e
interessanti.
Fuori dalla Casa incuteva
timore. Anche odio, insofferenza, fastidio, disagio, rabbia. Ma non lo
preoccupavano. Erano pur sempre un modo per parlare di lui.
Quello che gli mancava
era essere al centro dell’attenzione: doveva esserci lui, non Potter.
Quel piccolo
insignificante mago attirava tutti come miele.
Ma c’erano stati dei
bellissimi periodi.
Quando era tornato il
Basilisco, per merito di suo padre e Harry era stato considerato colpevole da
molti per la sua capacità di parlare serpentese. E poi durante il Torneo
Tremaghi, quando tutti lo consideravano colpevole della morte di Cedric. E poi
gli articoli di Rita. Aveva indicato esattamente cosa doveva esserci
scritto.
E l’anno precedente
quando aveva potuto rifarsi grazie alla Umbridge.
Era stato perfetto: poter
comandare, pretendere, dirigere. Era stato un anno in gran parte piacevole,
interessante. Aveva potuto muoversi con grande libertà a scuola. Nessuno osava
fermarlo perché erano tutti interessati a Potter.
Aveva spiato parecchi
studenti a loro insaputa, aveva controllato alcuni professori, si era addentrato
in zone sconosciute della scuola scoprendo passaggi segreti.
Peccato alla fine quella
battaglia che aveva portato suo padre in prigione.
Il padre gli aveva
insegnato proprio quello: libertà di fare quello che voleva, capacità di
comandare e di controllare gli altri.
Non certo a preoccuparsi
di quello che accadeva alle altre persone, fossero anche in suoi genitori.
Adesso era cresciuto un po’ troppo per credere ancora che il padre fosse
infallibile.
E poi si era realizzato
il sogno: finalmente poteva servire l’Oscuro Signore, poteva riscattare suo
padre, rinchiuso ad Azkaban dopo la battaglia al Ministero.
Qualcuno diceva che era
stato un errore di Lucius Malfoy, un imperdonabile errore, perdere la profezia,
fallire.
Ma Draco pensava che la
sua missione avrebbe sicuramente permesso anche al padre di uscirne a testa
alta: suo figlio, il suo unico figlio scelto come Mangiamorte, scelto come arma
dall’Oscuro Signore per uccidere il nemico più forte.
Dalla finestra Draco può
vedere, al limite dell’orizzonte, qualche luce che si muove. Delle automobili
babbane probabilmente, che corrono lungo la strada, verso casa.
La luce sta diminuendo
sempre più velocemente. È quasi buio, è quasi notte.
Avevano corso a lungo
quella notte, fuori da Hogwarts. Piton aveva corso e lui lo aveva seguito. Non
sapeva quale fosse la meta, ma non aveva altra scelta.
Aveva fallito.
Aveva fallito.
Aveva fallito.
Non riusciva a pensare ad
altro, neppure al fatto che il suo compito era stato portato a termine da
qualcun altro e che quindi la missione aveva avuto successo.
Silente era morto, lo
aveva visto a terra. Piton aveva agito al suo posto.
Mentre il fiato usciva
con sempre maggiore difficoltà dai suoi polmoni, Draco continuava a ripensare a
quello che era accaduto.
Aveva esultato
all’annuncio che doveva presentarsi come Mangiamorte per poter riscattare suo
padre. Non aspettava che questo. Gli avevano comunicato di presentarsi
all’Oscuro Signore per poter essere ammesso in quel gruppo esclusivo di
potenti.
La madre aveva pianto
disperata.
E aveva pianto ancor di
più quando gli era stata presentata la missione che doveva portare a
termine.
In quel momento, durante
l’estate che precedeva il suo sesto anno, di fronte agli occhi di serpente
dell’Oscuro Signore, Draco aveva cominciato a capire l’enormità di quello che
gli veniva richiesto. Era fermo in piedi, rigido dalla tensione, con la vista
abbagliata dalle candele che non gli consentivano di vedere chiaramente neppure
colui che gli stava parlando. Uccidere Silente, il suo Preside, la persona più
importante di Hogwarts, il mago più potente dopo colui che gli stava dinnanzi in
quel momento.
E proprio allora aveva
cominciato a sentire le prime fitte di dolore allo stomaco, sottilissime, quasi
una lama che incideva leggera la carne.
Durante l’anno
scolastico, quando il dolore era aumentato sensibilmente, aveva cominciato a
comprendere che si trattava di paura. Non tensione, ma paura. Paura di fallire,
di non essere all’altezza. E anche paura di uccidere.
La consapevolezza di
essere solo.
Quando si immaginava la
scena finale si fermava al momento in cui avrebbe lanciato l’Avadra Kedavra. Non
lasciava mai che i suoi pensieri potessero proseguire, potessero immaginare le
conseguenze. Solo fino all’apice del successo, si ripeteva in quei momenti,
mentendo a se stesso, poi tutto sarebbe stato più facile.
Bugie.
Qualcuno sta bussano alla
porta.
Draco sbatte gli occhi,
smette di sognare.
Guarda la porta,
aspettando che si apra, in silenzio.
Bussano
nuovamente.
E la porta si apre
leggermente.
Il volto acquilino di
Piton varca la soglia, stanco.
"È ora di cena.
Scendi."
La porta si richiude.
Gli occhi di Draco si
stringono, finalmente mostrano un po’ di interesse. Chissà dove va il Professore
tutto il giorno. Hogwarts è chiusa, è estate. Silente non c’è più. Chissà se
riapre.
Ma chi se ne importa, lui
non sarà comunque lì.
E dove sarà?
Questa è la domanda che
lo tormenta da settimane. Dove può andare? A casa c’è solo sua madre che
piange.
Nei giornali la notizia
della morte di Silente non ha ancora trovato un colpevole certo, ma è
chiaramente indicato che si tratta di seguaci dell’Oscuro Signore e che è
coinvolto uno studente minorenne.
Suo padre in prigione. La
sua casa perquisita in più occasioni. Lui che non partecipa ai funerali del
Preside. Non ci vuole molto ad immaginare che ci possa essere qualche
collegamento.
Almeno Draco immagina
questo. Non sa ancora che il piccolo Potter era presente, che lo ha sentito, che
ha capito la sua paura e poi il suo piano, che ha capito chi lo ha aiutato e chi
ha colpito Silente. Lo ha visto solo inseguirli nella notte, ha sentito la
rabbia di Piton quando gli ha urlato contro il suo rifiuto di essere considerato
un codardo.
Chissà perché Potter lo
ha chiamato codardo?
Lui, Draco, è un
codardo.
Ha fallito.
Non desidera dividere la
cena e la tavola con quei due derelitti.
Un relitto umano, un
servo implorante e un misero professore di Pozioni e di D.A.D.A.
Un professore che ha
intralciato i suoi piani. Un professore che si è alleato con sua madre, certi
entrambi del suo fallimento.
Draco sospira.
E respira. Ogni tanto é
consapevole che ancora il cuore batte e i polmoni si riempiono di
aria.
Cosa fa lì, dove
andrà?
Per alcuni giorni si è
chiesto, impaurito, perché l’Oscuro Signore non gli chiedeva motivo del suo
fallimento, perché non lo chiamava al suo cospetto.
Erano stati giorni
lunghi, segnati dal pianto e dai crampi allo stomaco della paura per il futuro.
Dalla collera verso se stesso e la propria inettitudine e dalla collera verso
Piton che gli aveva tolto il suo successo.
La rabbia aveva lasciato
spazio solo alla paura.
Soprattutto quando Peter
Minus si era accorto che lui si irrigidiva e tremava quando sentiva nominare il
Signore Oscuro.
Minus gli aveva
raccontato con estrema cura e eccessiva libertà (ne usciva come il protagonista,
come se la presenza di Potter o degli altri Mangiamorte fosse stata ininfluente)
quanto era accaduto durante l’ultima prova del Torneo TreMaghi, insistendo in
particolare sul suo ruolo di fedele servitore, fedele fino a perdere parte di se
stesso, della propria vita, del proprio futuro, del proprio corpo.
Non certo come lui,
imberbe ragazzino impaurito incapace di sacrificare se stesso.
Erano state quelle le
parole che aveva usato.
In pochi giorni la paura
lo aveva avvolto completamente.
Il rientro di Piton dalle
sue scorribande quotidiane era il momento peggiore. La richiesta di Voldemort di
vederlo poteva arrivare solo da Piton, l’unico a sapere in quel momento dove si
trovava Draco.
Solo dopo tre giorni di
terrore Draco aveva osato chiedere qualcosa.
"Perché devo rimanere
qui?"
Piton lo aveva guardato
di sfuggita, come se la sua presenza gli mettesse tristezza.
"Per essere al sicuro. E
pronto a rispondere all’Oscuro Signore quando ti chiamerà."
"Per
uccidermi?"
Piton allora lo aveva
fissato stupito.
"Ucciderti? Perché? Gli
servono tutti i suoi seguaci ora, anche i ragazzi di 17 anni possono essere
utili."
"Non ho agito da seguace
dell’Oscuro Signore."
Draco guardava Piton che
gli aveva risposto sprezzante.
"Era la tua prima volta.
Ed era un compito oltre le tue possibilità. Sei stato scelto perché potevi agire
dall’interno. Ma ti hanno chiesto l’impossibile, per un ragazzo della tua età.
L’ho spiegato chiaramente anche all’Oscuro Signore. Ha risposto che si aspetta
di meglio durante il prossimo scontro."
Draco aveva
capito.
Piton l’aveva difeso,
l’aveva scusato, l’aveva giustificato. E per questo gli era stata data una
seconda possibilità.
Di dimostrare il suo
valore in battaglia.
Allora alla paura si era
avvicinata la tristezza.
In quel momento ricorda
Pansy. Le sue mani sui suoi capelli. Le sue labbra. Il suo corpo.
Chissà se lo vuole ancora
ridotto in quelle condizioni, chiuso in quel tugurio.
Chissà se accetta di
stendersi con lui in quella branda polverosa che usa come letto.
Draco ride. Ride di sé,
ma ride.
Pansy.
Probabilmente verrebbe,
illusa di poterlo aiutare, di potergli essere al fianco. La donna del capo. Un
ruolo adatto a lei.
Mirtilla. Un fantasma per
amico…
Draco ride con tristezza
delle sue conquiste.
Una ragazza quando era
nel successo, un fantasma per consolarlo nella sconfitta.
E adesso è
solo.
Però un messaggio a Pansy
potrebbe anche mandarlo.
Degli altri non gli
interessa poi molto. Tiger e Goyle sono solo dei perdenti. Se li prenderà Zabini
come guardaspalle per il prossimo anno.
Se ancora ci sarà
Hogwarts.
Un bel passato da
ricordare. Ma adesso deve concentrasi sul futuro. Cosa può fare?
Tornare a casa è
impossibile. Sarebbe spedito immediatamente al Ministero. Sua madre gli ha
scritto con fermezza di rimanere al sicuro con Piton.
In quella casa non riesce
più a stare. Si sente prigioniero.
Ad Hogwarts non può
tornare.
Amici dai quali andare
non ce ne sono. Si sentirebbero subito a rischio e nessuno di loro ha abbastanza
fegato o interesse (Zabini ad esempio) per aiutarlo.
Gli amici potenti di suo
padre saranno ormai spariti di fronte al fallimento completo della
famiglia.
Può solo andarsene da lì
e provare a farcela da solo.
Gli servono
soldi.
Ma quelli può chiederli
alla madre, che glieli consegni in qualche posto sicuro, senza farsi scoprire.
Di soldi ce ne sono.
Come scappare dall’Oscuro
Signore è il problema maggiore.
È impossibile farlo, a
dire il vero. Ma Draco pensa che in fondo non importi poi molto a Lui di un
ragazzo fallito di 17 anni. Quindi con buona probabilità non avrà interesse e
energie da spendere per ritrovarlo. È una persona inutile ai suoi
occhi.
Non lo ha tradito e la
missione è stata portata a termine. Si è solo rivelato un incapace. E l’Oscuro
Signore non ha motivo di cercare degli incapaci.
Quindi potrebbe anche
ritenersi libero.
Condannato, ricercato,
inetto, fallito, ma libero.
Draco si porta le mani
alla faccia e rimane così, in piedi, le spalle curve. Mentre le lacrime
scendono, ancora, a bagnargli il viso.
Pochi minuti dopo si
trova a tavola.
Piton lo ha chiamato
ancora e l’ha attirato al piano inferiore con la promessa di una lettera della
madre.
Draco ha accettato il
ricatto ed è sceso. Ha sete.
Mentre beve direttamente
da una brocca l’acqua fresca con gli occhi chiusi sente l’arsura
placarsi.
Poi osserva la tavola con
quei tre piatti pieni di carne e verdura.
Piton è già a tavola.
Minus prende il suo piatto e si siede sul divano, distante.
Draco riempie nuovamente
la brocca e ricomincia a bere.
Si mette seduto per
mangiare qualcosa. Se deve scappare almeno che accada a stomaco
pieno.
Piton gli consegna la
lettera.
Draco la apre per leggere
quelle poche righe.
"Mio adorato figlio, ti
chiedo ancora di rimanere dove sei, al sicuro. Vorrei poterti portare da me,
accoglierti a casa. Ma la situazione non lo permette. Qualsiasi cosa ti sia
necessaria fammelo sapere via gufo e provvederò immediatamente, ovunque ti
trovi. Aspetta momenti meno bui e ricordami. Con affetto. Mamma"
Richiude con cura la
lettera e la appoggia vicino al piatto.
"Avrei bisogno di
vestiti. Quale gufo posso usare per scrivere a mia madre?" chiede guardando
Piton, ancora intento a mangiare.
"Quello che trovi, direi.
Non scrivere nulla che possa svelare dove sei ora." Il professore risponde
osservandolo con curiosità. "Se ti serve qualcosa posso anche andare a
prendertela nuova."
Draco scuote la testa per
rifiutare la proposta.
Meglio mangiare, salire
di sopra e scrivere quando è solo.
Velocemente prende quello
che c’è nel piatto. Anni e anni di educazione aristocratica buttati dalla
finestra: se il padre lo vedesse mangiare in quelle condizioni, curvo, senza
masticare, veloce, lo prenderebbe a schiaffi pur di fargli rispettare
l’etichetta.
Draco sorride tra sé e
sé. Libero anche da questi riti formali.
Finita la cena si alza
senza chiedere il permesso a nessuno prende un pezzo di pergamena da una
scrivania vicina, una penna e sale nella sua stanza polverosa.
Seduto alla finestra, la
pergamena appoggiata alle ginocchia pensa a cosa scrivere per non allarmare la
madre.
Riflette a lungo prima di
tratteggiare le parole sul foglio. Non può sbagliare e lasciare tracce in una
brutta copia. Deve scriverla e spedirla senza possibilità di controllo da parte
di Piton.
Dopo molto tempo si
decide a scrivere.
"Madre, anch’io
desidererei essere con voi. Ma capisco che devo rimanere per il mio bene. Mi
mancate. Per quanto riguarda le mie necessità, vi chiedo di potermi far avere
del denaro per poter pagare ciò di cui posso aver bisogno. In particolare vorrei
potermi prendere dei vestiti nuovi, decorosi e il necessario per poter
approfondire i miei studi con i testi del prossimo anno scolastico, anche se non
potrò frequentare la scuola.
Vi chiedo inoltre la
possibilità di affittare uno spazio mio, più personale qui vicino, dove poter
accogliere i pochi amici rimasti senza chiedere la disponibilità del Professor
Piton oltre il necessario.
Credo sia importante
poter disporre del denaro sufficiente a pagare i primi mesi di affitto. Vorrei
inoltre portare a termine questo progetto prima di renderlo noto al Professore
per non farlo sentire in obbligo nei miei confronti più di quanto non lo sia
già. La sua vicinanza sarà sufficiente ora per la mia protezione. Per questo vi
chiedo di inviarmi il denaro sufficiente direttamente a me con il gufo che
porterà questa lettera.
Vi penso sempre con
affetto. E spero di potervi rivedere quanto prima.
Vostro
figlio."
Rilegge la lettera più
volte per essere sicuro di aver scritto tutto ciò che pensa essere
importante.
Poi la arrotola, la
chiude e la mette attorno alla zampa del gufo.
Ha scelto un gufo che non
è proprietà di nessuno degli abitanti della casa.
Lo manda dalla madre e
rimane in attesa.
La notte è scesa
velocemente. Ora i vedono solo le luci delle case e dei lampioni e qualche
automobile babbana che ancora circola, solitaria.
Draco osserva ciò che
accade nelle case, osserva i proprietari muoversi nelle stanze, impegnati nelle
attività di ogni giorno. Molti sono anziani signori che si godono il silenzio
della sera, qualche libro, quello strano oggetto chiamato
televisione.
Ci sono pochi giovani e
tutti soli.
Draco chiude gli occhi
vinto dal sonno, seduto sul davanzale della finestra, appoggiato alla
parete.
Lo risveglia il
ticchettio del gufo che batte con il becco sulla finestra.
Draco guarda
immediatamente la sua zampa. C’è un sacchetto legato, un grosso sacchetto. E
l’animale appare stanco.
Apre velocemente la
finestra e prende il sacchetto dalla zampa lasciando l’animale libero di andare
a caccia.
Il sacchetto è pesante.
Contiene denaro. Abbastanza per andarsene e stare al sicuro per un po’. La
lettera della madre la lascia sulla finestra. Leggerla farebbe troppo
male.
Ha deciso di provare a
cercare Pansy. È la persona che riesce a manipolare meglio delle altre. Non ha
solo paura di lui, ne è attratta.
Proverà a rimanere
qualche giorno da lei imponendole il silenzio.
Poi deciderà.
Adesso Draco si muove in
fretta, con destrezza. Prende la sacca che gli ha portato Piton con i suoi
vestiti, che ha fatto preparare alla madre settimane prima e ci infila dentro
tutto quello che gli appartiene. Sono poche cose in realtà. Afferra anche la
penna.
Prova a scendere di sotto
per vedere se può rubare qualcosa di utile.
Minus sta russando sulla
poltrona con una bottiglia ai suoi piedi.
Piton non si vede, ma
questo non significa che non ci sia.
Draco osserva la stanza
fermo sulla soglia. Ha lasciato la sacca dietro al muro.
Non vede muoversi nulla e
si decide ad entrare. Gli occhi si sono abituati all’oscurità e si guarda
attorno per scegliere quello che gli può essere utile: della pergamena, una
piantina babbana della zona che ha visto usare a Piton e che è sempre aperta sul
tavolo, un otre di pelle che riempie di acqua e dei biscotti ancora chiusi nella
loro confezione.
Minus continua a
russare.
Draco torna alla porta
osservandosi attorno.
Poi afferra la sacca,
butta dentro quello che ha preso tranne la piantina e apre la porta di
ingresso.
Non accade nulla. Non ci
sono sistemi di allarme particolari.
Draco non li ha mai
sentiti, ma è la sua preoccupazione più grande. Che qualcosa lo fermi proprio
sulla soglia.
Esce.
E chiude la porta dietro
di sé.
Nessun rumore.
Allora comincia a
camminare sempre più sicuro, sempre più veloce. Non sa neppure in che zona si
trova.
Via di là. Via dal
passato.
Può accadere qualsiasi
cosa ora, ma è già nel suo futuro.
Da solo.
Fallito.
Nel suo
futuro. |