ONLY A MEMORY
Era un giorno d’inverno quando Hina arrivò
all’orfanotrofio in Cina. Era situato poco oltre le mura della muraglia, in
aperta campagna, così che i bambini potessero stare tranquilli. Il taxi si
fermò proprio fuori dall’edificio. Quando scese, la
neve e il vento la colpirono ferocemente. Prese dal portabagaglio la sua
valigia marrone ed entrò. Più che una scuola sembrava un castello. Fuori era in
pietra dentro rivestito di marmo bianco o nocciola. Davanti a lei si estendeva
un lungo atrio, si sentì piccola piccola in una stanza
così grande. Nessun rumore si sentiva. Posò la valigia a terra e iniziò a
perlustrare la sala. I suoi occhi vagarono sulle vetrine contenenti strumenti e
trofei, su quadri e su statue che presiedevano ai lati di alte colonne. La cosa
che però la colpì di più fu il paesaggio che si intravedeva
fuori dalle finestre. I prati ricoperti di neve candida,
illuminata di rosa e arancione dalla debole luce del sole al tramonto.
–Oh signorina Mirren!-. Hina si voltò. Una donna bassa sui 59
anni con corti capelli color rame le si avvicinò con fare elegante. Sembrava
una di quelle signore antiche e ricche che esigono da tutti
rispetto. –La preside Joanne immagino.- rispose
la ragazza porgendo una mano, che la preside strinse con forza. –Ci è stato
informato del suo ottimo livello di preparazione sia a scuola con i bambini.
Siamo pienamente soddisfatti.- disse con voce lusinghiera
la donna. Hina sorrise, imbarazzata da quei complimenti. –Venga
le faccio vedere il posto.- disse la preside. Hina si fece guidare in silenzio
per i tanti corridoi. Vide molte aule di studio, una grande biblioteca, un’aula video e un’aula per i giochi. La mensa era una
stanza enorme con lunghi tavoli di pietra. I dormitori dei ragazzi erano al
secondo piano. Dormivano tutti in un’unica stanza e, in parte, c’erano
sgabuzzini e stanze per il personale. –Questa è la sua stanza.- proclamò la
preside aprendo una porta bianca. La camera era piccola e buia. Sul fondo c’era
un letto singolo con in parte un comodino, di fronte
un bagno e di lato un armadio guardaroba. –La cena sarà servita alle otto. Se
le serve qualcosa Alex, il suo collega, le potrà dare una mano.-
finì prima di uscire. Hina sistemò i suoi vestiti nell’armadio. Le sembrò di
essere tornata a scuola per un istante. Lei era là per dare una mano ai
bambini: nei compiti, a giocare, nel caso avessero problemi ecc. Era la più
piccola lì dentro a fare quel mestiere. Prima di scendere per la cena si mise
l’uniforme che le era stato ordinato di mettere per sapere chi era. L’abito era anche bello.
Il tutto consisteva in una maglietta con una scollatura a “v” a maniche corte bianca, dei pantaloni lunghi bianchi e un paio
di scarpe da ginnastica bianche. Sul petto aveva anche il tesserino di
riconoscimento. Quel misero completo le donava, si abbinava perfettamente alla
sua magrezza, ai capelli marroni lunghi fino alle
spalle e gli occhi grigi, che di solito le causavano problemi. Per quella sera
si legò i capelli in una coda di cavallo. Guardandosi
allo specchio si rese conto di non essere più alta del metro e settanta. Alex,
il suo nuovo collega, le si presento alle 7.30. Bussò
alla porta della sua camera e quando lei aprì di trovò
davanti un uomo alto circa 1.90, con occhi marroni penetranti, magrissimo,
corti capelli marroni scuro, vestito come lei e dall’aria simpatica. –Tu devi
essere Hina. Tanto piacere sono Alex.-. Hina, alquanto
sconcertata e imbarazzata, gli strinse la mano e alla fine entrambi si misero a
ridere per la loro goffaggine nelle presentazioni. Per il tempo che poterono
parlare Hina scoprì che lui aveva 37 anni, ovvero
vent’anni in più di lei e che era lì da cinque anni. –Quanti bambini ci sono
qui?- chiese la ragazza interessata. –Ci sono circa 20
bambini e, che rimanga tra noi due, la preside e il dottore li odiano.- rispose
lui in un bisbiglio. –Che dottore?- chiese lei all’oscuro di tutto. –Ah Frank
non l’hai ancora conosciuto. E’ il migliore nel suo lavoro, però certe volte è antipatico.- disse semplicemente lui. –Ho sentito che tu
fai medicina!- esclamò il collega eccitato. –L’ho fatto solo per quattro anni però sì.- rispose lei con una nota d’orgoglio nella
voce –Allora con Frank ne vedremo delle belle.- concluse
lui. –Ma scusa se odiano i bambini perché fanno questo
lavoro?- domandò Hina. –A quanto ne so la preside ha ricevuto in eredità questo
posto con l’incarico di farlo andare avanti e il dottore è stato messo nella
clausola.- spiegò Alex. –Ma scusa non potevano
rifiutare?- chiese la ragazza senza comprendere quella decisione. Alex negò.
–No, perché solo loro potevano farlo andare avanti, con il divieto di cedere la
proprietà o abbandonarla, finchè non fossero stati troppo vecchi.- rispose semplicemente Alex con aria seria. Scesero giusto
in tempo per la cena. Ancora prima di entrare nella stanza si sentivano le voci
dei bambini. Quando entrarono, furono accolti da un chiasso infernale. Alex la
condusse al tavolo dove c’erano i ragazzini che in
futuro avrebbe dovuto aiutare, visto che ognuno aveva il suo gruppo. Un ragazzo
con forse un anno in più di lei, stava cercando di ordinare il silenzio. –Meno
male siete arrivati, non ce la faccio più.- disse
cercando di contrastare le voci. –Mark questa è Hina. Hina lui è uno dei grandi
del nostro gruppo, come noi.- li presentò Alex prima
di sparire e ordinare il silenzio. I due si presentarono. Era simpatico come
ragazzo e non poteva negare che fosse carino, con quell’ammasso di capelli biondo
marrone tirati indietro e il
sorriso continuamente sulle labbra; era solo poco più alto di lei e magro. I
due si sedettero a tavola
osservando Alex che pian piano riusciva a farsi ubbidire. Hina guardò tutti i
ragazzi del suo tavolo che in definitiva erano cinque: due maschi e tre
femmine, e poteva osservare che tutti parlavano, meno uno. Un bambino di circa
dieci anni stava zitto osservando nel vuoto, serio. I capelli dritti,
leggermente lunghi color paglia alla rinfusa, gli occhi azzurro-grigi persi nel
vuoto e uno sguardo perso. Per cena mangiarono pasta e carne e, durante i
pasti, nessuno fiatava. Soltanto una volta Hina riuscì a incontrare lo sguardo
di quel bambino e si sentì che quel bambino non era
come gli altri, avendone la conferma. Appena finirono di mangiare, in silenzio,
tutti si avviarono ai propri dormitori. La sua piccola
e buia stanzetta la accolse al freddo. Si distese sul letto e verificò, che il
giorno dopo, sarebbe dovuta andare in biblioteca e poi
aiutare i ragazzi. Ci mise poco ad addormentarsi e ben presto fu avvolta dalla
piacevole sensazione di calore e riposo. A svegliarla furono dei colpi che
risuonarono lontani e cupi nella sua testa, per farsi via via sempre più forti
e vicini. Quando finalmente si svegliò, scoprì che i colpi erano quelli di qualcuno che stava bussando alla porta. Non appena
si fu svegliata e riuscì a riconoscere i vari oggetti nella luce opaca del
mattino invernale che entrava dalla finestra, andò ad aprire. Davanti a lei
c’era Alex già sveglio ed arzillo, con un grande
sorriso stampato in faccia. –Come? Ancora in pigiama? Forza è ora di
cominciare.- le disse. Tutta quell’allegria la
contagiò. Si vestì e lo raggiunse nella mensa insieme a
Mark. Nell’entrare vide che al tavolo dove c’era la
preside era seduto un uomo sui 58 anni, dallo sguardo serio e severo. –Chi è?-
chiese ad Alex mentre si sedeva. –Quello? E’ il professor David, insegna fisica
e storia ai ragazzi. E’ severo e molto duro. E’ molto difficile parlare con lui
senza che lui ti dica qualcosa e ti faccia sentire un verme.- rispose Alex,
sollevando solo per un attimo il capo dalla ciotola. –Lo vedremo.- ribattè Hina, convinta che la sua preparazione, dopotutto,
valesse qualcosa. Dopo la colazione si recò in biblioteca, mise a posto i libri
nei propri scaffali, e pulì quello che c’era da pulire.
Lì dentro le cose erano messe molto male come responsabilità e dovere. Trovò
persino una piantina del castello, la quale, mostrava i due piani e le stanze
presenti. Per tutta la mattinata girò per i corridoi, guardando in ogni stanza
per sapere cosa c’era e conoscere prima il posto. Quando fece per riportare il
foglio con la mappa in biblioteca si scontrò con un uomo. Non riuscì a finire
di parlare che si pietrificò. L’uomo che le stava davanti non era altro che
il professor David. I corti capelli marroni ben
pettinati, gli occhi blu elettrico per intimorire la gente e lo sguardo fermo
per attestare che era una persona importante. –Oh professor David mi scusi.- disse lei cercando di non perdere le staffe proprio in
quel momento. L’uomo la guardò per un istante, poi disse –Lei deve essere la
nuova aiutante, benvenuta. Ho sentito dalla preside che la sua preparazione è
ottima, bè, meglio così, quelli che c’erano in precedenza facevano
pena. Bè, buona giornata e buon lavoro.- se ne andò
con un sorrisetto sulle labbra che lasciò Hina con un misto di rabbia e
disagio. Quando arrivò l’ora del pranzo era ancora
stravolta dall’incontro con l’insegnante. –Hei come è
andato il tuo primo giorno?- le chiese Mark non appena si fu seduta. –Non dire
niente! Mi sono scontrata con David, non so come ho fatto a resistere a quella
sensazione di strangolarlo.- rispose cercando di
scaricare un po’ la tensione. –Calmati Hina sei troppo
tesa. Non badare a quello che dice, in fin dei conti lui non ti può dir niente,
tu non sei una sua alunna. Ma non per questo non sarà
in grado di farti passare il soggiorno qui in un inferno. Dovrai essere capace
a giostrare la vita e lui. Se riuscirai a farlo non ti
potrà dire più niente.- disse Alex. Hina si meravigliava di come, in così poco
tempo, aveva trovato due amici che la aiutavano e la sostenevano. Quel posto le
sembrava tutto strano, proprio come la prima volta, quando l’aveva visto
dall’esterno, però si sentiva a casa. Sapeva cosa doveva fare e che se ci
voleva rimanere doveva lottare con tutto quello che
aveva, rischiando tutto. –Hei Hina parlaci un po’ di te.- disse ad un tratto Mark. –Sì. Sei qui già da un giorno e non
sappiamo nemmeno chi sei.- concordò Alex. Hina fu
colta alla sprovvista. Non le era mai stato chiesto di parlare di sé stessa. –Che dire?! Ho 17 anni, vengo da New York. Sono
nata il 21 marzo. I miei genitori sono morti in uno scontro fra treni; poi…-
iniziò incerta. –Mi dispiace.- la interruppe Mark
sinceramente addolorato. –Quindi anche tu sei
cresciuta in un orfanotrofio?- chiese Alex; Hina annuì. –Sì! Per questo voglio
fare questo mestiere, per dare l’affetto a chi non può averne dai genitori.
Cosa che dove c’ero io non si poteva fare. Non ho mai
avuto grandi amici o affetti.- rispose la ragazza, serissima. –Qual è il tuo
hobby?- chiese il ragazzo con un sorriso sgargiante sulle labbra. –Allora mi
piace leggere, suonare la chitarra e disegnare.-
rispose lei ricambiando il sorriso. –Allora
Dicci un pregio e un tuo difetto.-
disse Alex. La testa appoggiata alla mano. –Un mio pregio è saper cucinare, i
dolci in particolare. E un mio difetto è quello di
essere testarda.- rispose
pensando bene a cosa dire. –Il tuo colore preferito?- chiese Mark. –Il rosso.- fece lei. –Il tuo cibo preferito?- intervenne Alex ridendo
anche lui. –Questa è difficile! Allora… le polpette.- rispose. –L’animale
preferito?- chiese Mark –Il lupo.- rispose lei. Ormai
tutti
erano contagiati dalle risate,
tanto che avevano le lacrime agli occhi. Quel pomeriggio si ritrovarono nella
sala giochi, dove erano radunati tutti i bambini del loro gruppo. Alessia, la
più grande dei cinque, era intenta a leggere un libro di favole; Julia, invece,
stava giocando con una bambola; Tracy stava facendo un bel disegno colorato;
Simon stava giocando con
le macchinine. Solo un bambino stava in disparte a guardare una
tavoletta con disegnate le lettere dell’alfabeto e sopra ci stava una freccia
di ferro che si poteva muovere per segnalarle. –Chi è?- chiese a Mark, seduto
in disparte a studiare. –Oh lui è Toshio. Non parla quasi mai con gli altri. Ha
un atteggiamento strano.- rispose il ragazzo prima di
immergersi di nuovo nella lettura. Hina si avvicinò a quel bambino che, anche
se come aveva detto Mark, era strano, la incuriosiva. –Hei ciao.-
lo salutò lei, accucciandosi lì in parte. Il bambino la guardò solo per un
istante, poi distolse di nuovo lo sguardo. Hina non aveva per nulla intenzione
di arrendersi e si sedette a gambe incrociate davanti a lui. -–o mi chiamo Hina
e tu?- gli chiese. Toshio prese la freccettina di metallo e, sulla tavoletta,
segnò il suo nome. –Toshio! E’ un bel nome.- disse
lei. Il piccolo non rispose. Era difficile con lui, ma Hina sapeva che ce l’avrebbe fatta. –Deve essere proprio divertente questa tavoletta
se ci giochi così tanto!- esclamò d’un tratto. –Non è
per giocare.- ribattè lui, quasi arrabbiato. –Allora a
cosa serve?- chiese Hina. –Per parlare.- rispose lui,
quasi in un bisbiglio. –Con chi?- chiese Hina senza capire. –Con Reich.-
rispose lui semplicemente. –Chi è Reich?- domandò ancora la ragazza. Non sapeva
perché, ma quell’argomento e quel bambino la coinvolgevano troppo. –Una
persona.- rispose lui. Le loro voci erano diventate quasi dei sussurri. –E’ tra
noi?-, lui negò con il capo. –E’ tra noi, ma noi non sappiamo lui chi è. Vede, parla, sente, tocca. Può fare tutto tranne che
andare via di qui. E’ uno spirito oscuro legato al passato.-
rispose il bambino. Senza sapere il perché, Hina si sentì la bocca dello
stomaco chiudersi. –L’hai visto? Ci parli?- chiese Hina. –L’ho visto. Ma ormai è da molto che non parla. Non so nemmeno come
trovarlo.- rispose semplicemente. Anche lui era
diventato molto teso. Poco lontano Alex li stava ad
osservare, anche se loro non si erano accorti di niente. E parte del discorso
lo aveva capito. Quella sera, dopo cena, mentre stava per andare in camera,
Alex la chiamò. –Hina?-. Lei lo guardò, bloccandosi con la mano sulla maniglia
della porta. –Tutto bene?- le chiese avvicinandosi a lei. –Sì certamente.- rispose lei.- Senti. Ho visto che oggi stavi parlando con
Toshio. Voglio essere franco con te, quel ragazzo mi preoccupa. Si comporta in
modo strano e, per quel che ne so, non ha avuto una vita brillante. Di cosa
stavate parlando?- chiese –Del suo strano modo di comunicare con gli altri.- rispose. Entrambi sapevano che solo in parte era vero, ma
nessuno disse niente. –Bè. Allora ‘notte.- la salutò lui con un grande sorriso.
Lei contraccambiò e poi andò a dormire. Il mattino dopo si svegliò all’ora
giusta e non ci fu nemmeno bisogno che Alex la chiamasse per la colazione.
Quando arrivò di sotto Mark era già lì, Alex arrivò
più tardi. Fu piacevole far colazione con loro. Si parlava, di
rideva. Tuttavia Hina sentì come un’apprensione come se fosse tutto uno
scherzo. Anche quella mattina andò in biblioteca e si sedette ad un tavolo davanti all’entrata a leggere un libro che
parlava della storia della scuola. Verso le dieci sentì la porta aprirsi. Alzò
la testa e vide Toshio accompagnato da un uomo alto e ben piantato, che lo
conduceva in un angolo della stanza. Le cose che l’attiravano
di più verso quell’uomo erano i suoi
capelli grigi, che invece di farlo sembrare più vecchio, lo facevano sembrare
giovane e affascinante, e i suoi occhi azzurro ghiaccio che riuscivano a tenere
a bada tutti. Dopo che ebbe finito di parlare con il bibliotecario, Hina decise
di chiedergli del bambino. –Mi scusi! Come mai Toshio non è in classe?-
gli chiese. Quando lui la guardò si sentì a disagio;
ma non era una che si arrendeva facilmente. –Lei è uno dei suoi controllori?-
le chiese l’uomo; lei annuì. –Toshio ha fatto di nuovo arrabbiare il professor
David. Sinceramente non mi dispiace. Toshio odia quell’uomo e fa di tutto per
rendergli la vita impossibile. D’altra parte anche io
non ce l’ho proprio in simpatia.- rispose infine. Quando lui vide però, che lei
non smetteva di guardarlo, capì che si era dimenticato di presentarsi. –Oh! Mi
scusi! Io sono Liroy, professore di studi sociali.- disse porgendo la mano. –Io
sono Hina.- di affrettò lei ricambiando la stretta di
mano. Continuarono a parlare per un’ora, prima che iniziasse la lezione di
studi sociali e, alla fine, potè concludere che quel
professore era un bravo e simpatico insegnante. Una volta che se ne fu andato Hina riprese il volume che stava leggendo e ricominciò a
sfogliarlo. Le pagine erano gialle e la scrittura quasi del tutto svanita. I
disegni si
vedevano a malapena. Continuò a
girare le pagine, finchè non vide una vecchia piantina del
castello; solo che era strana.
Non c’erano due piani come nella cartina attuale, bensì tre. E questo era
raggiungibile grazie a una scala collegata ad una
stanza del secondo piano. –E’ lì che vive.- disse una
voce dietro di lei. Quando Hina si girò, si trovò faccia a
faccia con Toshio; sembrava spaventato e un po’ lo era anche lei. –Chi?
Chi vive lì?- chiese lei titubante. –Reich.- rispose questo. In quel momento
Liroy lo chiamò e Hina rimase da sola. Da quando era arrivata, tutti quelli che
erano con lei le avevano detto che Toshio aveva dei problemi e strane fantasie,
eppure a lei non sembrava che mentisse. Le sembrava che fosse convinto di
quello che diceva e lei ci credeva. Non sapeva perché, ma sentiva che quel
bambino non mentiva. Che era legato a qualcosa, o qualcuno. Qualcosa che, da
quando lei aveva voluto sapere, era diventata parte anche di lei. Un misto di
paura, curiosità e agitazione la colpirono,
attanagliandole lo stomaco, cercando ognuna di sopraffare l’altra. Per trovare
anche solo una scusa per dire che si stava immaginando tutto, si mise a cercare
tra tutti i libri della biblioteca altre cartine; si ridusse persino a cercare
su Internet e, alla fine, i suoi sospetti erano fondati non si stava
immaginando niente. Per sfuggire a quei sentimenti Hina cercò di non pensarci.
Aspettò il pomeriggio per dare una mano ai bambini e poi si fermò a parlare con
Alex e Mark e, se capitava, anche con Liroy. Per i tre giorni che seguirono la vita continuò normalmente, senza problemi. Ma i dubbi si rimanifestavano la notte, riempiendole la
testa di scale e piani segreti. Per tutto questo tempo non aveva parlato più
con Toshio di quella storia, si limitava ad aiutarlo, anche se lui, ogni tanto,
le lanciava delle occhiate come per vedere quando avrebbe capito che non sarebbe potuta fuggire da lì. Il pomeriggio del quarto
giorno Julia si fece male. I tre controllori, lei compresa, e il medico si
precipitarono da lei. Il dottore, Frank, si dedicò anima e corpo per curarle il
meglio possibile la ferita. –Come stà
dottore?- chiese Alex. –Ha fatto una bella caduta. Rimarrà in osservazione per
qualche giorno.- rispose il medico. –Come?! La lascia
così?- chiese Hina, sorpresa dall’indifferenza di quell’uomo. –Cosa dovrei fare per la precisione signorina?- domandò il
dottore acido, guardandola in tralice –Restare con lei e controllare come va.-
rispose senza esitare la ragazza. –Bè allora perché non incomincia lei, visto che se ne intende.- ribattè Frank. Hina non si fece
scoraggiare, entrò nella stanza di Julia, che era addormentata, e rimase sempre
con lei. Dormì per tutto il giorno e Hina non l’abbandonò,
controllandola ogni volta che sospirava, tossiva o altro. Alle sei, prima di
cena, venne da lei Toshio. Il piccolo prese una sedia e si mise vicino al
letto, in parte a Hina. –Come stà?- chiese, gli occhi
fissi su Julia. –Per il momento bene.- rispose Hina.
–E’ tutta colpa sua.- disse con rabbia Toshio. –Chi?-
chiese la ragazza senza capire. –Di Reich.- rispose seccamente il bambino. In
quel momento Hina sentì qualcosa dentro di sé muoversi. –Toshio non credo che…-,
-Lo so che non mi vuoi credere. Ma tu lo sai. Sai che
stò dicendo la verità! Lei non lo sentiva più ormai,
si era chiusa. Lui si è arrabbiato e l’ha spinta dalle scale. E’ così! Ci devi
aiutare!- la interruppe il bambino osservandola dritta negli occhi. Lui
aveva ragione e per tutto quel tempo lei
non aveva fatto altro che soffocare quel pensiero. –E se ti sbagliassi? E se
dovessimo metterci a confronto con qualcosa di più grande di noi? Qui non si
parla di me e te soltanto. Qui ci sono altre persone
che non centrano niente. Non possiamo mettere a rischio la loro vita.- disse. –Se non lo facciamo noi
lo farà lui.- le disse Toshio. Gli occhi del bambino si facevano sempre più
lucidi. –Tu hai paura!- disse lui quando vide che lei non cercava di sentire e
non gli dava risposta. –Sì ho paura.- confermò lei guardandolo negli occhi. –Ho
paura di mettere in pericolo la vostra vita, di mettermi contro a delle forze
molto più grandi di me. E poi, tu mi hai detto che è una persona che vediamo,
ma non sappiamo chi è. E se fosse qualcuno in grado di batterci? Hai mai
pensato a cosa potrebbe accaderci se falliamo? E se cadendo
noi cadessero tutti? Li trascineremmo nel baratro.- continuò lei. Per un po’ di
tempo nessuno parlò. Entrambi si erano resi conto che il problema che si ponevano di risolvere poteva essere più grande di loro. –Tu
sei mai stato al terzo piano?- chiese d’un tratto
Hina. Toshio la guardò. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, deciso e
leggermente pallido. –No.- rispose tristemente. –Sai
come arrivarci?- chiese ancora lei, lui scosse il capo. –A quanto ho capito è
da molto tempo che quella stanza è chiusa e l’unica che ha le chiavi è la
preside. – disse lui. –Ascoltami bene Toshio. Cercherò di risolvere il tuo
problema, ma non voglio che tu faccia qualcosa. Dovrai starne fuori è chiaro?! Mi occuperò io di tutto. Intesi!- disse lei
guardandolo decisa negli occhi. Il bambino accettò sorridendo per essere stato
finalmente creduto. Dopo cena Mark venne a darle il cambio, così che lei
potesse riposarsi un po’. Ma Hina aveva tutt’altro per
la testa. Si recò al secondo piano e, cercando di orientarsi con la cartina cercò di individuare la stanza che dava accesso al terzo
piano. Dopo molti sbagli giunse alla porta giusta. Il guaio era che, come aveva
detto Toshio, questa era chiusa a chiave; e chi se non la preside possedeva la
chiave? Come
per farlo apposta, proprio in
quel momento la preside si materializzò all’inizio del corridoio. –Oh Hina
tutto bene?- chiese questa con un gran sorriso, anche se Hina capì subito che
era falso. –Sì grazie. Mi stavo giusto chiedendo che stanza era questa.- disse con noncuranza la ragazza. La donna prima guardò
Hina e poi la porta. –Oh questo è uno sgabuzzino.- rispose semplicemente,
cercando di liquidare in fretta l’argomento. –E come
mai è chiuso?- chiese Hina, facendo fallire il disperato tentativo della
preside. –E’ vecchio. Ormai quello che c’è dentro non serve più.- rispose lei. Si vedeva chiaramente che stava iniziando ad
arrabbiarsi. –Ah un’altra cosa.- la fermò Hina. –Mi
spiega che posto è questo e come
raggiungerlo?- domandò la ragazza indicando sul libro che aveva in mano il
corridoio del terzo piano. –Questo posto non esiste. Apparteneva in precedenza
a un luogo attaccato qui vicino. Poi, quando è stato distrutto, è stato distrutto pure il piano in comune. Perciò.-
detto questo la donna si dileguò. Hina potè persino
sentire il suo sospiro di sollievo mentre si
allontanava. Dopo quella breve discussione, Hina potè concludere
che la preside era molto convincente, ma lei sapeva che aveva mentito. Forse
non sul fatto che la stanza era uno sgabuzzino, ma il resto era tutto una
menzogna. Mentre discutevano aveva visto sul viso
della donna una certa inquietudine, agitazione che la spaventavano. Forse c’era
davvero qualcosa al terzo piano dopotutto. Anche se la tentazione di salire e
far cessare tutto all’istante era grande, Hina decise che prima avrebbe
raccolto più informazioni che poteva. Senza pensarci
su due volte si diresse alla stanza di Alex. Il collega le aprì subito e la
fece entrare nella stanza, identica alla sua; l’unica cosa che la differenziava
era che nella sua c’era più luce. –Hina che ci fai qui?- chiese lui. –Alex tu
sei qui da tanto tempo e volevo che mi parlassi del terzo piano.- rispose lei.
Dall’espressione che fece l’amico, capì che l’argomento non era dei più
piacevoli. –Hina io…-,-Lo so che tutti voi pensate che
siano soltanto storie, ma credimi, non sono pazza. Lassù c’è veramente
qualcosa. Ti prego parlamene. – lo interruppe lei. Alex la guardò serio per un
lungo momento poi sospirò. –D’accordo.- e si sedette in parte a lei. –A quanto
ne so il terzo piano è un corridoio come tutti gli altri, pieno di stanze. Non
so se poi esista anche un quarto piano. Si dice che sia chiuso da vent’anni.- disse – E come mai è chiuso?- chiese Hina –Non lo so.
Io non sono molto informato. Forse David, che insegna storia ed è qui da più tempo, sa dirti
qualcosa.- rispose lui. Hina distolse lo sguardo dal viso dell’amico e fissò
pensierosa la porta d’entrata davanti a lei. –Hina. Non per essere noioso. Ma
ti prego, dimentica questa storia, lascia perdere.- le
disse, la sua voce quasi un sussurro. –Perché?- chiese
lei. Stavolta fu lui a dover distogliere gli occhi da quelli di lei. –Si dice
che molte persone abbiano tentato di svelare il mistero di quel posto, e
proprio mentre stavano per risolverlo queste
scomparivano. Alla fine venivano trovati morti o non
li trovavano affatto. Hina queste non sono coincidenze. Quello che è nascosto
deve rimanere tale. Non cacciarti nei guai.- rispose
tornando a fissarla. –Alex, tutte le cose nascoste e misteriose devono essere
svelate.- disse lei normalmente. Quando uscì andò nella sua camera a riposare. Quella storia le
piaceva sempre meno, eppure la incuriosiva. Non si rese conto di quanto era
stanca, tanto che appena toccò il materasso si
addormentò. Il mattino dopo si svegliò presto e si recò nella stanza dove c’era Julia. Mark era crollato, non era riuscito
a vincere la fatica. Appena lui la guardò, lei gli lanciò un sorriso benevolo e
abbagliante. –Hei come va?- gli chiese. Mark alzò le spalle –Sembra bene per il
momento, e tu?- le domandò lui. Hina decise che con i suoi amici poteva essere sincera, quindi gli raccontò tutto quello che
era accaduto e cosa aveva intenzione di fare. L’amico la guardò e preoccupato.
–Hina io ti credo. Ma ti confesso che questa storia
non mi piace. Tutti sentono che lassù c’è qualcosa e ne hanno paura. Proprio
per questo nessuno ci va. Anche se tu riuscissi a scoprire il mistero, quello
che succederebbe lascerebbe il segno. Tutti quelli che si sono salvati per un
breve tempo, secondo le voci, non sono mai tornati come prima.- fece il ragazzo
alla fine. Hina si accorse che lui aveva la fronte imperlata di sudore. Un
sudore freddo, di paura.- Posso capire Mark. Ma finche
nessuno farà qualcosa tutti avranno paura. Io voglio svelare il mistero e ho
bisogno di sapere che tu sei con me per andare avanti.-
disse Hina dopo un po’. Mark rimase in silenzio qualche minuto, giusto il tempo
di riflettere, poi disse- Sono con te. Ma ti prego di essere cauta e di stare
attenta.-. Hina gli sorrise e poi scomparve per il
corridoio. S’avviò decisa verso l’ufficio del
professor David, ma quando dovette bussare il coraggio le venne meno.
Quell’uomo la metteva a disagio e aveva il potere di farla sentire piccola e
insignificante. Il cuore aveva preso a batterle all’impazzata. Deglutendo a
fatica, bussò tre volte. Dall’interno provenne una
voce bassa, che le disse di entrare. Con la mano sudata e tremante abbassò la
maniglia e la porta s’aprì senza fare alcun rumore. La
stanza era piena di scaffali con sopra miliardi di libri. In fondo c’era il
professore seduto dietro alla scrivania, chino a scrivere
qualcosa e, davanti alla
scrivania, c ‘erano due sedie. Hina entrò, chiuse la porta e attese di essere
degnata di uno sguardo. –Oh signorina Mirren! Non mi sarei mai aspettato una
visita proprio da lei.- disse lui, sollevando il capo,
giusto per vedere chi fosse entrato; per poi tornare alle sue carte. – Se è per
questo neanche io mi sarei mai immaginata a fare una
cosa del genere, ma ho bisogno di alcune informazioni.- disse lei con tono
deciso avanzando verso di lui e fermandosi a un metro dal tavolo. David chiuse
la penna e si appoggiò allo schienale della sedia, guardandola interessato.
–Molto bene! Si sieda dunque e mi parli del perché è qui.-
la invitò. Lei si sedette sulla sedia alla sua destra e cercò, nel modo più
rapido possibile, il modo in cui cominciare. Quando parlò, la sua voce era normale, senza titubanza, come in
un’interrogazione. –Vede professore nel visitare il castello ho scoperto una
porta al secondo piano e questa non si apre. Ho chiesto alla signora preside e
mi ha detto che il terzo piano non esiste più e che era di proprietà di qualcun
altro. E’ vero?-. Lui la fissò con i suoi occhi blu elettrici a lungo,
esaminando attentamente ogni sua azione e comportamento. –A quanto pare mi
sembra si sia già informata, quindi è inutile mentire. Allora! Il terzo piano è
sempre stato di nostra proprietà e un giorno di vent’anni fa è stato chiuso.- rispose –Perché?- chiese lei. Il suo tono e il suo sguardo
lo congelarono. In quel preciso momento lei voleva da lui tutto quello che le
poteva dare e senza repliche.- Si dice sia morto qualcuno.- rispose
distogliendo lo sguardo da lei –Un incidente?- chiese lei colta alla sprovvista
da quella notizia. –Un incidente?- continuò. Il professore negò. – Non so molto
al riguardo, però a quel che ho sentito, non è stato un incidente. – rispose in
tono pacato. Stavolta toccò a Hina abbassare lo
sguardo. Non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere. David la fissò e per
un momento dimenticò di essere il crudele professore. –Chi è morto?- chiese lei
una volta che ebbe ritrovato la parola e il coraggio di fare domande. –Questo
non lo so.- rispose lui con un sospiro. –Lei sa chi è
Reick?- domandò decisa ad andare avanti. –Ne ho sentito parlare. Toshio ve lo ha detto vero? Prima di lui c’è sempre stato qualcuno che
diceva di averlo visto. Proprio in base a queste voci
molte persone sono salite al terzo piano, dove si diceva vivesse. Non sono mai
vissute a lungo queste persone. Adesso di dice che
sono solo fantasie e che non c’è niente là sopra, ma è proprio perché sappiamo
che c’è qualcosa che non ci vogliamo andare; abbiamo paura.- rispose lui –Vuole
andare al terzo piano?- le chiese lui guardandola con attenzione. –Voglio solo
svelare il mistero. Non voglio rimanere qui avendo paura.- rispose lei. –Anche
Karin è voluta salire e quando è scesa, era terrorizzata, sconvolta. Subito
dopo se ne è andata o se preferisce è scappata. Io non
credo ci sia qualcosa là ormai a parte i topi; le chiedo solo di non fare
sciocchezze.- disse. –Risolverò il mistero. Glielo prometto.-
disse Hina e poi se ne andò. Karin era la ragazza che c’era prima di lei, di cui
aveva preso il posto. E sentire che era scappata da
quel luogo la terrorizzava. Ma ormai aveva fatto una promessa, non solo con il
professore, ma anche con sé stessa, con l’intenzione
di finire quello che molti, prima di lei, avevano iniziato. Pranzò insieme agli altri, in silenzio. –Hina cosa c’è?- le chiese d’un tratto Alex –Karin è scappata?- gli chiese lei
fissandolo. –Aveva paura vero? Per questo se ne è
andata.- gli disse. Gli occhi le si stavano per
riempire di lacrime. Perché nessuno glielo aveva detto? Perché le avevano
mentito?, si chiedeva; eppure no riusciva a trovare
una risposta. I suoi amici rimasero in silenzio, sapevano che in parte era
colpa loro se Hina veniva a conoscenza della verità
proprio ora. Mentre finiva il suo pasto, un’idea attraversava la mente di Hina
e questa si faceva sempre più concreta a mano a mano che il tempo passava.
Così, finito di mangiare, andò in camera sua e si mise
una maglietta rosa e un paio di jeans. Prese la borsa e uscì di
corsa dall’edificio. Mentre usciva dal portone una
mano le si strinse attorno al braccio, fermandola. –Dove vuoi andare?- le
chiese Liroy. A quanto pareva, la notizia della sua missione, era ormai
conosciuta da tutti. –Karin se ne è andata perché ha
visto qualcosa. Voglio che mi racconti cos’è successo.- rispose lei –Hina ti stai immischiando in cose troppo grandi.- disse lui. –Senti
non voglio vivere qui con il terrore di cosa sta sopra di me. Adesso scusami.- ribatte lei. Si liberò dalla sua stretta e si diresse a
passo risoluto verso la strada più in basso. Prese la prima
filo che trovò e si diresse a Tianjin, un piccolo paese vicino alla
costa, dove si diceva Karin vivesse con i suoi genitori. Erano le tre del
pomeriggio quando si fermò davanti a casa sua. Il cielo era ricoperto da nubi
grigie e un piccolo venticello le scompigliava i capelli. Salì i quattro
gradini che la separavano dall’ingresso e bussò alla porta di un colore verde
scuro. Le venne ad aprire una donna alta e magra, con corti capelli biondi e il
viso di un pallore spettrale. Hina avrebbe detto che fosse americana. –Sì?- le
disse lei. –Mi scusi signora, sono Hina Mirren ho preso
il posto di Karin all’orfanotrofio, potrei parlare con sua figlia un istante
per favore?- chiese gentilmente la ragazza. Nel sentire il nome della figlia gli occhi della donna si
riempirono di lacrime. Un uomo di
colore, un amico di famiglia, cinse le spalle della donna e le disse di andare
a riposarsi, dopo di che la sua attenzione fu rivolta alla ragazza che gli si
parava davanti. –Stava cercando Karin?- le chiese l’uomo. Hina annuì, intuendo
che era successo qualcosa. –Mi dispiace doverle dire che è morta. Durante una
gita in barca è caduta ed è affogata. In quei giorni, dopo che aveva lasciato
il suo lavoro intendo, era diventata molto strana. Non
parlava quasi più e si spaventava spesso. Sa dirmi il perché?- le chiese lui
–Era proprio per quello che ero venuta. Pensavo che potesse dirmi qualcosa.- rispose Hina. –Io e lei non avevamo segreti, ma in questo
caso ha preferito andare da una cartomante del paese, piuttosto brava a
spiegare le origini delle cose.- disse lui. Hina,
colpita da quella tragica notizia, non si arrese. Si diresse alla casa della
cartomante e le si presentò dinanzi una donna giovane,
a cui però si sarebbe detto che avesse visto secoli. La pelle bianca, gli occhi
d’oro e i capelli marroni chiaro rossicci. Questa la codusse in una stanza buia e piena di scaffali e di
stoffe colorate. Libri e pergamene giacevano sparsi dappertutto.
Condusse la ragazza fino ad uno spazio tondo
delimitato da delle tende colorate e al cui centro stavano un tavolino e due
sedie. Sul tavolino brillava un’unica candela accesa, la sola fonte di luce
presente. –Tu sei Hina vero? Sei qui per Karin.- le disse la donna una volta
che si furono sedute al tavolo. –Sai dirmi cosa la
turbava?- le chiese Hina, ammaliata da quella particolare persona. –Tu vuoi
sapere di lei e del terzo piano dell’orfanotrofio vero?- le chiese di nuovo la
donna. Hina annuì nuovamente. Quando gli occhi d’oro della cartomante incontrarono
i suoi, si sentì attraversare da una specie di scossa. –Vedi Hina, Karin era
tormentata dai sogni , dai fantasmi. Questi non la
lasciavano mai: li vedeva di notte e ci pensava tutto il giorno; non riusciva
ad accettarli. I fantasmi non possono nuocere, possono
solo contribuire al nuocere. I fantasmi sono degli spiriti, o delle anime come
si suole chiamarle, che non appartengono a questo mondo. Ci rimangono solo
quando c’è qualcosa che li lega qui anche dopo la morte. E in certi casi,
possono provare anche dei sentimenti.- disse. Hina rimase sconcertata. –Ma… non bisogna avere un corpo per provare emozioni?-
domandò la ragazza. La donna sorrise debolmente. –Oh no. I sentimenti e le
sensazioni non provengono dagli organi, bensì dalla coscienza e nemmeno questa
fa parte del corpo. Quindi uno spirito staccato dal
corpo possiede ancora queste caratteristiche, mentre il corpo no.- rispose lei
–Ma quello del terzo piano ha ucciso. Ma come può se è
uno spirito?- chiese Hina –Vedi, ha fatto del male, eppure non era malvagio. A
sua volta ha subito un torto in passato.-,-E come
possiamo farlo tornare come prima?-,-Non lo so. Ognuno ha il suo modo, ma alla
fine è per tutti la stessa cosa; bisogna risolvere il problema. Comunque sia, è
vero è uno spirito, ma solo al di fuori del luogo in cui è. Se è morto in un
luogo, lui tornerà in quel luogo e solo in quel luogo lui è come noi, in
“carne” se così lo vuoi definire, altrimenti, fuori dal luogo, è solo uno
spirito.-,-Ma come si fa se lui ti uccide appena ti
avvicini alla soluzione?-,-Bisogna solo trovare il modo.- rispose questa in un
sussurro. La cosa appariva a Hina sempre più chiara, ma anche sempre più
impossibile a mano a mano che si raccoglievano informazioni. Quando uscì dalla casa la luce del giorno la accecò e, adesso che era venuta a
conoscenza di alcune cose, il mondo tutto intorno a lei le sembrava diverso in
qualche modo. Prese l’autobus e arrivò all’orfanotrofio che era notte
inoltrata. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che pensare a quello che
la cartomante le aveva detto. Appena si chiuse la porta della sua stanza alle
spalle il buio l’avvolse e sembrò aderirle
perfettamente attaccandosi a lei da ogni parte, soffocandola. Si mise il
pigiama e andò a dormire. Durante le poche ore che aveva a disposizione per
dormire fece un sogno strano. Era nel vuoto, in un buio profondo, sospesa senza
cadere sul nulla. Delle ombre nere e viola le danzavano attorno, stringendo
sempre di più il cerchio che formavano attorno al suo
corpo. Finchè 3 anelli di fumo non la legarono. Uno
alla gola, uno alla vita e uno alle caviglie. Alla fine, mentre stava per
soffocare, si svegliò di siprassalto, la fronte madida di sudore e il respiro accellerato.
Dato che mancava poco all’ora del risveglio si preparò
e uscì. Vide Mark seduto sulle scale e decise di confidarsi. Gli raccontò tutto
quello che aveva scoperto e, alla notizia della morte di Karin, gli occhi gli
si riempirono di lacrime e qualcosa lo spinse a continuare la risoluzione del
mistero del terzo piano; Hina intuì che tra Karin e Mark doveva esserci stato
qualcosa di molto più forte della semplice amicizia. –Che cosa ti serve?- le
chiese il ragazzo. Hina stette un attimo in silenzio prima di rispondere.
–Avrei bisogno delle schede di tutti i bambini che affermano di aver visto
Reick.- disse alla fine. Mark salzò e si diresse subito di sotto. Mentre lo
seguiva Hina sentì un tonfo provenire da uno stanzino.
Rimase indietro e, silenziosamente aprì la porta. Era una stanza molto piccola
piena di scaffali e scatoloni e, lì, al centro, c’era Toshio seduto per terra.
–Toshio che ci fai qui?- gli chiese. Poi, tornando a guardare la
stanza, vide un buco quadrato sul
soffitto; una botola. Hina intuì quello che poteva aver fatto il bambino. –Sei
andato al terzo piano?- gli chiese. Toshio annuì. In quel momento la ragazza
prese una decisione avventata. –Rimani qui.- gli
disse. Aiutandosi con i mobili e gli scatoloni si arrampicò
fino alla botola ed entrò. Il terzo piano si poteva dire che era costruito
tutto in legno. Era lungo come gli altri due piani e aveva molte stanze. Una biblioteca, degli uffici e delle stanze per dormire. C’era
anche una sala giochi. I giocattoli erano tutti per terra, impolverati dal
tempo. In quel posto c’era una calma impressionante. Solo una persiana, mezza
distrutta, mossa dal vento sbatteva ogni tanto. Quel luogo le metteva i
brividi, appure si sentiva incapace di scappare. C’era anche una camera da letto singola, per un bambino considerando le
dimensioni. Questa però, più che una stanza sembrava una prigione. Le sbarre
alla finestra, una piccola lampadina come luce, un bagno disgustoso, una panca in legno e il letto basso e duro. Quando entrò
sentì un forte senso di rabbia invaderla. Su un misero banco contro la finestra
c’erano dei fogli scritti, dei disegni, una tavoletta
con le lettere come quella che aveva Toshio e un libricino con scritto
“Memorie”. La copertina rigida era di un rosso sbiadito e le pagine leggermente
ingiallite. Lo prese in mano e in quello stesso momento udì uno schiocco. Si girò
e sul letto c’era una piegatura, come se qualcuno ci fosse sdraiato. Questa si
alzava e si abbassava regolarmente, come un respiro. Seguirono altri schiocchi
e tutte le volte, la piegatura sussultava. Quando sembrò smettere, Hina allungò
la mano verso la piegatura, ma appena fu a pochi centimetri da essa, la
piegatura si accentuò e un urlo risuonò dappertutto. Hina indietreggiò
ritraendo il braccio e cadde per terra spaventata. Sempre con
in mano il diario si alzò e corse verso la botola fuori dalla stanza.
Quando stette ormai per raggiungerla, dietro ad essa si radunarono delle
ombre nere e viola, come nel suo sogno, a formare l’ombra di un uomo. –Hina.- si sentì chiamare. Toshio era in parte a lei e le tirava un braccio. –Toshio! Ti avevo detto di non venire.- disse lei, ma le sue parole furono soffocate da un urlo di
rabbia dell’ombra. –E’ arrabbiato. Dobbiamo scappare.-
disse il bambino spaventato. Hina non se lo fece ripetere due volte; ma dove
andare se alla botola c’era l’ombra? Toshio la guidò per 3
stanze e aprì una seconda botola, solo rettangolare. L’ombra dietro di loro,
intanto, continuava a lanciare urli sempre più forti e il terreno aveva
cominciato a tremare. Un vento impetuoso iniziò a frustargli il viso. Proprio
mentre stavano per essere colpiti da degli oggetti
scesero nella botola e questa si richiuse sopra di loro. La stanza era buia e
loro erano su delle scale. Fecero cinque scalini e, a tentoni,
si diressero alla porta. La botola iniziò a tremare, come se qualcuno di sopra
volesse scendere. I due si affrettarono e quando uscirono e la porta fu
richiusa, entrambi si sentirono meglio. –Era Reich vero?- gli chiese Hina e il
bambino annuì. –Oh siete qui!- esclamò una voce. I due si voltarono e videro
Mark avvicinarsi con in mano una ventina di cartelle.
Il ragazzo li guardò sospettoso per un attimo –Non sarete
andati di sopra vero?- chiese lui preoccupato. Hina annuì. La ragazza raccontò
all’amico quello che le era successo e cosa aveva visto. Quando ebbe finito
Mark era ancora più preoccupato del solito. –Tieni, queste sono le cartelle che
mi hai chiesto.- disse lui porgendo a Hina le cartelle. Lei
le prese cedendo invece al ragazzo il diario trovato. Il ragazzo si
diede subito da fare leggendo il diaro, Hina prima di andarsene anche lei,
ammonì Toshio, impedendogli di andare al terzo piano. Per la settimana che
seguì Hina lavorò costantemente sulle cartelle,
cercando qualcosa che accomunasse tutti quei venti bambini, tra cui c’era anche
Toshio. Parallelamente, ogni notte, i suoi sogni diventavano sempre più reali.
L’ombra che aveva visto aveva preso le sembianze di un uomo che non aveva mai
visto da nessuna parte; per non contare che era anche carino. E, ogni notte,
questo individuo la corteggiava in sogno, anche se a lei pareva che questo
sogno, in realtà non fosse semplice fantasia, lei si stava davvero innamorando
di quel ragazzo di cui non sapeva neanche il nome. Una notte, un rumore destò
Hina che si sporse dalla finestra e, sotto di lei, disteso sull’erba del
giardino, c’era Mark. Il viso pallido con un’espressione di
terrore dipinta sopra, gli occhi spalancati, il corpo messo in una strana
angolatura e sulla testa, un’enorme macchia di sangue. Si vestì e fece
per scendere, ma una forza la tratteneva come per non seguire lo stesso destino
del suo amico. Lei ignorò tutto. Scese e quando Alex le disse che era morto andò dove Mark stava lavorando. Scese a pian terreno e vide
la porta della segreteria aperta. Un cassetto era aperto e molte cartelle
sparse per il pavimento, così come alcune macchie di sangue. Sopra un
cassettone di metallo c’era il diario che aveva trovato al terzo piano, la copertina
in fondo era aperta e all’interno si leggeva il nome di chi l’aveva scritto
“Yoshi Saito”. Poco distante stava una cartella con alcune chiazze di sangue e
portava il nome di quel bambino. Era di circa vent’anni fa. Hina l’aprì e lesse che quel bambino era particolarmente dotato e
silenzioso. Gli era stato affiancato un tutore, come
lei adesso, ma a quanto pareva
non lo sopportava. Forse per l’uomo che gli stava attaccato, forse il bambino
troppo scontroso, Yoshi era stato chiuso in un stanza
cella e l’unico a vederlo era il tutore che gli insegnava, gli dava da mangiare
e lo aiutava. In quel periodo il bambino era diventato più buono, o almeno così
sembrava. Quando uscì ingannò il tutore e lo uccise,
per quanto riguardava il bambino, anche lui morì poco tempo dopo. La cosa che
la colpì fu il fatto che il tutore si chiamava Adam
Reich, ed entrambi erano al terzo piano. Hina in quel momento capì che il
tutore non era altri che il fantasma e quindi Mark era morto perché si era
avvicinato alla verità. La cosa che non capiva invece era del pechè fosse
ancora lì; in fin dei conti Yoshi era morto. Per quanto le premesse continuare
la ricerca era troppo sconvolta per andare avanti. Con
il diario e la scheda sotto braccio tornò in camera, li mise su un mobiletto e
tornò a dormire. Come per distrarla da tutto arrivò
l’uomo che l’aveva attratta. La corteggiò per molto tempo e solo alla fine si
unì a lei, portandola ad un piacere inimmaginabile. In
quel momento Hina si convinse che non poteva essere tutto solo un sogno. Quano
si svegliò si sentì rinata. Ma il ricordo del suo caro
amico Mark morto la fece sprofondare di nuovo nel dolore. Per tutta la mattina
e gran parte del pomeriggio lesse il diario di Yoshi e la storia della vita che
aveva passato lì quel bambino la sconvolse. A quanto pareva, dal momento in cui
fu messo nella stanza cella, non è che non fosse cattivo, ma
, essendo nascosti da tutti, il tutore poteva difendersi dai continui
attacchi di quel bambino. All’inizio gli aveva dato semplici punizioni, come si
fa con gli studenti biricchini, in seguito Yoshi era diventato più aggressivo e
Reich aveva dovuto difendersi. Aveva iniziato con semplici scappellotti via via
sempre più forti, poi aveva preso a legarlo, altrimenti quel “mostro di
bambino” lo mordeva, graffiava o tagliava. Finchè un giorno, spazientito, non
lo aveva legato e frustato. In quella parte della tortura, era stato Reich in
persona a scrivere; si notava la differenza di scrittura tra i due. Quando,
alla fine Yoshi fu di nuovo ammesso tra gli altri, rabbioso contro il suo
tutore lo aveva colpito, con la sua forbice dalla punta lunga e tagliente, al
costato, per poi usare la frusta come nastro per strangolarlo e farlo stare
zitto. Il bambino aveva calcolato tutto alla perfezione. La forbice aveva
perforato il polmone di Reich e alla fine l’uomo era morto affogato nel suo
stesso sangue. Hina rabbrividì a quella descizione. Yoshi raccontava
vittoriosamente quel giorno. I giorni dopo la morte di Reich però non furono
piacevoli. Il bambino era diventato ancora più silenzioso di
prima e si spaventava come niente. Faceva sogni orribili, in cui c’era anche
l’uomo che aveva ucciso e reclamava vendetta. Ad un
certo punto diceva che Reich, sebbene fosse morto, gil facesse del male ancora,
finchè un giorno non lo aveva soffocato con la sua stessa frusta. Quell’ultima
frase era stata scritta da una mano diversa da quella di Yoshi, una mano
tremante e pesante. E il tutto era firmato “Reich.”. Hina in quel preciso
istante ebbe la conferma che Reich era ancora vivo. In fretta e furia prese le
cartelle confrontandole tra loro e, apparentemente, niente le accomunava. Solo
dopo molti minuti di attenta ricerca vide che tutti i bambini erano giapponesi.
L’unico che non trovava era Toshio, il quale non aveva genitori giapponesi, ma
la nonna e il che lo rendeva una vittima. Un fruscio alla sua destra le fece
voltare il capo. Dal diario usciva qualcosa. Quando Hina lo prese e vide di
cosa si trattava, il suo
cuore si fermò per un istante. Era una foto del bambino e di Reich. Il bambino
era arrabbiato, l’altro era sorridente. Era una foto in bianco e nero e
apparteneva a Reich, proprio come era firmato dietro
la foto. Il problema era che Reich non era nientemeno che l’uomo che sognava
tutte le notti e del quale era segretamente innamorata. Avvertendo il pericolo
incombente andò a chiamare Alex e Liroy; le uniche persone che stavano ad
ascoltarla. Una volta che li ebbe trovati gli raccontò
tutto e i 2 presero delle decisioni all’istante. –Nasconderò Toshio in un posto
che certamente Reich non conosce.- disse Liroy; Alex
invece la accompagnò dalla preside, dal professor David e dal dottore per
raccontargli tutto. L’unico risultato fu che i 3 si
rifiutarono categoricamente di crederle. Hina tornò nella sua stanza
sconsolata. Anche quella notte sognò Reich, ma anche sapendo che era il
fantasma non riuscì a respingerlo; era troppo innamorata di lui. Voleva
sentirlo vicino, perché sapeva che non le avrebbe fatto del male. Un rumore la
svegliò durante la notte. Non vide niente a parte le ombre della notte, eppure
sentiva come una presenza lì con lei. –Alex?- chiamò, ma non ottenne risposta.
Mentre ancora il dubbio e la paura la assalivano, sentì come due mani
invisibili che le percorsero le braccia e arrivarono alla vita, per poi
risalirle sotto la maglietta fino al seno. Si sentì riempire di carezze e poi,
come una bocca, che le lasciava dei baci alla base del collo. Non si preoccupò
nemmeno di chiedersi se stava sognando o chi fosse a farle tutte quelle
premure, si lasciò semplicemente coinvolgere. Tornò nel sonno tra le braccia di
Reich che le stava facendo le stesse cose, finchè la loro unione non fu
completa. I 4 giorni che
seguirono furono del tutto
normali, non successe niente di anormale e, ogni notte, Reich tornava puntuale
per portarla nel mondo del piacere e Hina, di questo, non si preoccupava. Verso
le sei del pomeriggio del quinto giorno, mentre Hina stava percorrendo il
corridoio del primo piano, si sentì osservata. Degli occhi
fissi al centro della sua schiena. Non sapeva perché, ma era quasi del
tutto certa che fosse il fantasma; poiché Toshio era stato nascosto e non
riusciva a trovarlo. Allungò il passo e si diresse verso l’ufficio della
preside, ma prima di arrivare a dieci metri di distanza, davanti all’entrata si
materealizzò dal nulla la sagoma nera di un uomo e, dentro di se, sapeva anche
chi era. Si fermò spaventata e poi prese a correre a perdifiato verso le scale
del secondo piano. Avvertiva i passi felpati e la presenza di Reich sempre più
vicini, malgrado stesse correndo. All’ultimo scalino cadde e chiamò aiuto.
Quando sentì che il fantasma l’avrebbe ormai presa, Alex apparve accanto a lei,
allarmato dalle sue grida e quella presenza misteriosa scomparve.
–Hina cosa è successo?- le chiese l’amico –Non lo so. C’era qualcosa…- tentò di
rispondere lei ancora sotto shock, ma non c’erano parole per descrivere quello
che era accaduto. Alex la accompagnò fino alla sua stanza, dopo di che, anche
se cotrario, la lasciò sola. Hina chiuse a chiave la porta e vi si appoggiò
contro. Non passò molto tempo che questa iniziò a tremare e la maniglia
continuava a muoversi; qualcuno stava cercando di entrare. Hina si allontanò
bruscamente dall’entrata e, dopo aver dato un’occhiata alla
porta, si diresse verso la finestra e tentò di aprirla. Così come
era cominciato, tutto si fermò e il silenzio tornò a riempire la stanza.
Ma per Hina quel silenzio non era normale, era come un
peso su di lei. Continuò a armeggiare con la maniglia
della finestra che non si apriva, quando il silenzio sembrò diventarle ancora
più opprimente. Una mano le afferrò il braccio destro bloccandoglielo dietro la
schiena e un’altra le tappò la bocca; stavolta la paura ebbe
la meglio su tutto il resto. –Adesso io ti toglierò la mano dalla bocca,
ma tu non dovrai urlare, intesi?- disse una voce maschile vicina al suo
orecchio sinistro. Hina annuì, poiché chiedere aiuto
sarebbe stato inutile; chi l’avrebbe sentita? Chi sarebbe stato in grado di
battere quell’uomo che, da come la teneva, pareva forte?.
L’uomo fece scivolare la mano dalla bocca al collo della ragazza e, a poco a
poco, il buio attorno a lei aumentò, finchè non cadde nell’incoscienza. Quando si
svegliò si trovò in una stanza quasi identica alla
sua, a parte per dei pochi raggi di sole che entravano dalle persiane mezze
distrutte di una finestra, i colori spenti, quasi vecchi e i granelli di
polvere che danzavano nell’aria mescolandosi tra loro. Ci impiegò pochi istanti
per capire che quella non era la sua stanza, ma una camera del terzo piano.
Subito la paura minacciò di sopraffarla nuovamente. Si alzò ed esaminò quel che
restava della stanza. Faceva caldo, la tapparella
della finestra era abbassata, i mobili mezzi rotti, la porta in piedi ancora
per miracolo e una poltrona a un metro dal letto ancora intatta. Il bagno era
sporco e la porta lì, a contrario dell’altra, era sfondata in piccolissime
schegge di legno. Dopo circa dieci minuti la porta della stanza venne aperta e il suo rapitore fece irruzione. Entrambi
rimasero pietrificati. Tutti e due indossavano la tuta
bianca dell’orfanotrofio e, di sicuro, non si aspettavano una presentazione,
così per dire, silenziosa. Hina, in quell’istante, si trovò davanti l’uomo che per tutte le notti la corteggiava e l’aveva fatta
innamorare; l’unica cosa era che adesso poteva vederlo chiaramente. Era alto e
magro, gli arrivava poco sopra le spalle, i capelli
marroni scuro cortissimi, quasi a spazzola, che davano solo una piccola piega
alla frangia, gli occhi castano chiari, i lineamenti sottili, un fisico da far
paura, quasi che un venticello potesse portarlo via, ma una forza travolgente e
la maglia attillata che ne delineava la perfetta forma, contraddivano quella
supposizione. In quel poco tempo che rimasero a fissarsi Hina
sentì la paura mutarsi in debolezza. Sotto quello sguardo si sentiva piccola,
ma anche coccolata come se gli occhi la potessero accarezzare. –Hina.- riuscì solo a dire lui, evidentemente ammaliato da
tanta bellezza. Si erano sempre visti nei sogni, ma quante volte ci si sente
dire hc ei sogni non sono mai come la realtà, e in
questo caso erano meglio. –Adam Reich suppongo.- disse
lei con lo stesso tono ipnotizzato. Quando lui fece un passo verso di lei, fu
tentata di indietreggiare, ma alla paura di quello che aveva fatto in passato,
si mescolò la voglia di toccarlo, di baciarlo e di realizzare i suoi sogni in
realtà. Si trovò così a pensare a come si potesse avere paura di una persona e al
contempo amarla, ma ben presto i pensieri furono messi da parte e sostituiti
dal desiderio. Tutto avvenne in sacro santo silenzio.
Adam si sedette sul letto dietro di lei e le sfiorò, da dietro, le mani con le
proprie, accarezzandole, per poi fare il percorso delle braccia. Hina, dal
canto suo, lo lasciò fare. Lui la prese dolcemente per la vita e la fece sedere
sul letto tra le sue gambe, circondandole poi la vita con le braccia. Senza
smettere di muovere le mani, iniziò a insinuarle le dita sotto la maglietta e a
baciarla debolmente alla base del collo, risalendo fin sotto l’orecchio. La
ragazza chiuse gli occhi cullata da quel tocco dolce e
delicato. Non c’erano parole per
descrivere quello che provavano i due giovani, completamente dimentichi della realtà.
Hina scordò che l’uomo che la toccava era in realtà un fantasma e che in
passato aveva ucciso, Adam, invece, dimenticò che il suo vero scopo era
uccidere Toshio e Hina, poiché era vicina ormai alla
verità. Ma erano entrambi follemente innamorati che a
quel punto la ragione non importava. Contavano solo i sentimenti a lungo
repressi e che ora, potevan essere finalmente soddisfatti.
La mano di lui le accarezzò la pelle morbida,
risalendo sul torace e quando arrivò al punto giusto le catturò uno dei seni.
In quel momento una piccola parte di ragione fece aprire gli occhi a Hina,
avvertendola. Ma fallì miseramente. Adam le prese il
capo, voltandola verso di se, e baciandola con passione. La verità fu di nuovo
soffocata. I due si alzarono e, quando il fantasma le disse di alzare le
braccia, lei lo fece. Delicatamente il giovane le fece scivolar via maglia e
calzoni. Hina aprì gli occhi e lo osservò mentre anch’esso si liberava di
maglia e pantaloni. Soltanto gli indumenti intimi erano rimasti a dividerli. Il
fisico di lui era ancora più bello di quello che si
era sempre immaginata. Gli posò la testa su una spalla e una mano sul suo ampio
petto, facendola scorrere su tutto l’addome, tracciandone un percorso ben
definito. L’uomo tornò a baciarla con ardore, un ardore
che Hina ricambiò. Mentre si baciavano lui la prese in
braccio e la fece sdraiare sul letto poi, fu il suo turno. Di distese accanto a
lei standole sopra, rimanendo sollevato da lei quel tanto che bastava per non schiacciarla. Adam prese a baciarla lungo il
collo. Con tocco esperto le slacciò il reggiseno e ne tracciò un percorso
completo con la lingua; lei rabbrividì. Hina gli fece passare le mani sui corti
capelli, tenendo sempre gli occhi chiusi. Lui fece scivolare via le mutandine
che ancora la coprivano e prese a baciarla con più passione. La ragazza si fece
travolgere e ben presto la loro unione fu completa. Lei si addormentò tra le braccia di lui e si svegliò solo nel pomeriggio. Quando
riaprì gli occhi Adam era seduto sulla poltrona davanti al letto e la fissava.
Hina lo guardò per un momento e poi si rimise il
reggiseno, le mutandine e la maglietta, incurante dello sguardo di lui sempre
fisso su di lei. –Che cosa hai intenzione di fare?- gli chiese infine,
guardandolo dritto negli occhi. Lui la guardò un attimo confuso. –Cosa intendi?- chiese. -Per Toshio. Perché non lo vuoi
lasciare in pace?- domandò lei, con voce più sicura. –E’ un giapponese.-
rispose semplicemente lui. –Non è una buona ragione. Non è stato lui a
ucciderti.- disse lei con foga. –E’ per colpa sua che
sono ancora qui.- replicò il fantasma, anche lui ormai
determinato ad averla vinta. –No è colpa tua e del tuo
maledetto odio se sei ancora qui.- ribattè lei. Gli occhi le
si erano inumiditi. Adam si limitò a voltare il capo senza rispondere.
–Perché mi hai portato qui?- gli chiese lei. La sua voce tremava; aveva paura.
–Devi dirmi dov’è Toshio. E poi, ti ricordo che hai svelato il mistero; adesso
ti devo uccidere.- rispose lui tornando a fissare gli
occhi in quelli di lei. Lo sguardo del fantasma adesso era fermo e deciso e il
suo volto era solcato da un sorrisetto malvagio. Ad
Hina venne la pelle d’oca. –Non ti dirò dove si
trova.- disse lei, cercando di riprendere l'autocontrollo. –No? Io penso di sì.- disse lui alzandosi. Hina cercò sul pavimento,
velocemente, i suoi pantaloni e le sue scarpe, doveva andarsene di lì il più
velocemente possibile. –Perché te ne vuoi andare? I tuoi sentimenti per me sono
forse cambiati? Oppure hai paura che mi sia preso gioco di te? Ebbene no, non
l’ho fatto. Io ti amo. Ma come ti amo il mio spirito
ha bisogno di uccidere.- continuò lui. –Smettila di cercare Toshio. Se davvero
mi amassi capiresti perché lo faccio. E se salvare la
vita a quell’innocente vuol dire doverti abbandonare,
ebbene, anche se a malincuore, lo farò.- disse lei. La decisione che aveva
preso le era appena costata una pugnalata al cuore. Lei amava quell’uomo, ma
lui era un fantasma, lei e Toshio no. Se l’avesse aspettata ci sarebbe stato il
tempo per loro, ma adesso, contava solo sopravvivere. –Dov’è il bambino? Tu mi
ami vero?- le chiese lui facendola indietreggiare, fino a farla
sedere sul letto. Quando lei non rispose le infilò le
mani sotto la maglietta e le catturò i seni –Non è così?- disse. Hina sentiva
che l’uomo che aveva davanti non era quello con cui aveva fatto l’amore poche
ore prima. La paura le lambì il cervello. –No Reich! No!- disse lei, quando lui
iniziò a baciarla sul collo. Con grande fatica lo respinse. Nel momento in cui
Reich tornò a guardarla, i suoi occhi erano malvagi. –Dimmi dov’è il moccioso oppure te lo farò dire con la forza.- disse alzando
la voce. Hina riuscì solo a negare con il capo. –Come vuoi.-
il sorriso che fece Adam pietrificò la ragazza. Con una forte spinta la fece stendere sul letto e le salì a cavalcioni.
Quando tentò di scappare le immobilizzò i polsi.
Iniziò poi a baciarla sul collo con una foga, impressionante, quasi avesse
perso il controllo. Seguentemente iniziò a stuzzicarle il capezzolo con i denti
sopra la maglietta, quando poi la sollevò e continuò a stuzzicarla, qualcosa,
un piacere immenso, pervase Hina. Ma la ragione
stavolta non si era fatta abbattere. Quando sembrò sul punto di arrendersi a
lui, lo respinse; o almeno tentò. Adam la baciò
con violenza, una violenza che la
travolse. Qualcosa le riempì la testa, annebbiandole la mente. Lui iniziò ad
accarezzarla tra le gambe, provocandola; lei gemette e si agitò. Hina cercò di
sottrarsi e tornare alla ragione, ma Reich non aveva
nessuna intenzione di farla andare via. Le legò i polsi con un laccio e –Dimmi
dov’è?- chiese. Hina lo guardò con occhi lucidi; stava per piangere. Non gli
rispose. –Come vuoi.- le sussurrò all’orecchio con uno sguardo diabolico.
Quando lui si unì a lei, la ragazza chiuse gli occhi, dal piacere e per paura
di incontrare il suo viso. –Guardami.- disse lui –Non
posso.- rispose lei –Guardami.- insistè lui. Hina si
fece forza e con uno sforzo tremendo sollevò le palpebre per incontrare gli occhi di lui. Dopo pochi secondi si rese conto che stava per
avere un orgasmo colossale, come mai aveva provato. Cercò di liberarsi i polsi,
ma quel piacere l’aveva pietrificata, consumandole tutte le energie. Quando lui
la lasciò, Hina si rivestì. Non sapeva perché eppure aveva il fiatone, come se
avesse corso. La forza bruta di come lui l’aveva presa l’aveva spaventata e eccitata al tempo stesso. Voleva scappare da lui, eppure, voleva essergli anche vicino; ma sapeva che non era
possibile. –Dov’è Toshio?- le chiese lui sovrastandola –Non te lo dirò.- disse lei urlandogli contro decisa; non si sarebbe
fatta mettere sotto un’altra volta. –Dimmelo!- ordinò lui. –No.-
rispose lei e scappò da lui con le lacrime agli occhi. Poteva sentire la sua
furia mentre si allontanava. L’edificio cominciò a tremare; corse come una
pazza e riuscì ad arrivare di sotto. Il terremoto aveva messo in allarme tutti.
–Hina cosa succede?- le chiese Liroy facendosi
incontro. –Bisogna andare tutti via di qua. Reich è
disposto a uccidere tutti pur di avere Toshio.- rispose la ragazza. Lei e il
professore andarono ad avvisare gli altri adulti e, con il loro aiuto,
radunarono tutti i bambini. –Dov’è Toshio?- chiese Hina allarmata, quando non
lo vide insieme agli altri bambini. –Voleva andare a cercarti.- le rispose il medico
con fare indifferente. A quella risposta il cuore di Hina ebbe un tuffo. Come
un razzo si gettò verso le scale che portavano al secondo piano –Dove pensi di
andare?- le domandò Liroy agguantandola per un braccio. –Se Toshio è andato a
cercarmi sarà al terzo piano e lì c’è Reich. Anche se è un fantasma
anche lui prova sentimenti, se riesco a farlo ragionare forse riuscirò a portar
Toshio fuori di qui.- rispose lei. –Vengo con te.-
disse lui deciso –No, tu sei più utile qui. Devi dare una mano agli altri. Non
preoccuparti per me, andrà tutto bene.- ribattè lei e
sparì subito su per le scale. Nonappena arrivò al secondo piano, vide che la
porta della stanza segreta era aperta e il terrore la pervase. Corse a rotta di
collo alla stanza, la percorse in 3 balzi e salì
velocemente le scale che la separavano dal terzo piano; anche la botola era
aperta. Quando arrivò, un caldo tremendo e un odore di chiuso l’avvolsero. Ma non bastò questo a
fermarla. Continuò a correre malgrado il fiato che si
faceva sempre più corto e le gambe che minacciavano di cederle. Vagò per il
corridoio e per tutte le stanze senza trovar nulla, finchè non giunse alla
stanza cella. Quando aprì la porta un buio pesto
l’avvolse. Poco lontano dalla finestra, illuminato dalla luce del tramonto,
c’era Toshio. Di lato alla finestra, nascosto nell’ombra, una figura alta e
nera, stava come di guardia. –Toshio.- disse lei. –Non vuole farmi andar via.-
disse il bambino con voce tremante. La figura piantò i piedi a terra e il suo
volto venne in parte colpito dai raggi del sole. In quella debole luce vide
anche nella mano destra, arrotolata, c’era una frusta. –Vieni
qui Toshio.- disse Hina, cercando di mantenere la voce calma. Il bambino avanzò
e, mentre muoveva incerti passi verso di lei, il pavimento iniziò a tremare.
–Non vi permetterò di andarvene.- disse Reich, quando
il bambino raggiunse la ragazza. –Invece dovrai, perché noi non abbiamo alcuna
intenzione di restare.- ribattè Hina. Lei e il piccolo
si voltarono, ma proprio in quel momento, una parte di pavimento cedette
davanti a loro, bloccandoli. La ragazza prese Toshio per la vita e saltò. Hina
fece da muro e Toshio ed andò a schiantarsi contro la
parete. Entrambi caddero a terra. Nel momento dell’impatto, Hina si era sentita
mozzare il fiato. Quando abbassò lo sguardo, vide che un pezzo affilato di
legno le aveva perforato il fianco. –Corri!- disse al bambino e, dopo una
rapida occhiata al fantasma che si stava arrabbiando sempre di più, cercò di
correre il più velocemente possibile verso l’uscita. Il sudore le rigava il
viso e la schiena, le gambe non la sorreggevano più, i polmoni in fiamme e la
ferita che contribuiva a rallentarla; a Hina venne voglia di arrendersi. Ma la minuta figura del bambino che correva davanti a lei,
le infondeva speranza. Ormai il rombo del terremoto era devastante e copriva
persino le loro voci. Proprio quando una trave minacciava di bloccare la
botola, i 2 fuggiaschi vi caddero dentro. Si
rialzarono e ripresero a correre, ma Hina era allo stremo. A metà del corridoio
si inginocchiò; la mano destra sulla ferita. Toshio
tornò vicino a lei –Hina avanti! Non puoi mollare adesso, che manca così poco!-
le urlò, ma la ragazza non si mosse. –Non ce la faccio. Ormai non posso più
fare niente. Ma tu devi andare. Non ho rischiato la
vita per niente, quindi va.- gli rispose –Và!- urlò,
quanod vide che il
bambino continuava a rimanere lì.
Quando vide che Toshio aveva sceso le scale, scomparendo alla vista, si
accasciò sul fianco sinistro. Il terreno e le pareti cadevano e tremavano sotto
e sopra di lei, ma non le importava; Toshio era salvo e questo non poteva
renderla più che felice. Mentre si sentiva scivolare verso un oblio buio e
nero, vide vicino a un muro l’ombra di Reich e, contrariamente a quello che il
fantasma le aveva sempre
detto, non era felice di vederla morire, anzi, sembrava quasi triste. In
lontananza sentì dei passi e delle voci agitate che urlavano, poi, il suo mondo diventò buio. Liroy, nel frattempo, quando aveva visto
Toshio uscire dall’edificio, gli aveva chiesto di Hina e questo gli aveva
risposto che era al secondo piano, ferita. Veloci come un razzo: lui, Alex e il
dottore si erano precipitati nell’edificio e, dopo averla portata fuori,
avevano cercato di rianimarla. Ma tutte le volte che
ci provavano, lei rimaneva addormentata. Toshio, poco distante da loro,
osservava zitto e, in silenizo, si era messo a pregare, che in qualche modo si
salvasse; gli occhi lucidi per la disperazione. Avvertiva che Reich lo stava
ancora fissando e che, se avesse alzato lo sguardo, lo avrebbe visto ad una finestra del terzo piano, ma non gli interessava,
ormai era tutto finito; grazie a Hina. Ma come poteva
rallegrarsi di tutto ciò se la persona che lo aveva salvato stava morendo? Il
fantasma intanto aveva avvertito le emozioni di Toshio quando era vicino a
Hina, ed anche ora che era fuori e lui di sopra a guardare la scena. Provava
emozioni e sentimenti che si era dimenticato
esistessero e che, da quando era morto, non aveva più provato. Lui sapeva che
Hina sarebbe morta presto, ma l’amore che provava Toshio per lei e quello che
provava lui per la ragazza, erano diversi eppure uguali sulla loro base. Capì
che non poteva strappare quell’amore al bambino e così contribuì a salvare la
ragazza. Quando il battito del cuore si era fermato e il rianimatore non aveva fatto niente i tre avevano ormai perduto la speranza, però
Liroy ebbe il buon senso di provare una quarta volta e Hina riprese a vivere.
Aprì gli occhi e continuò a respirare. Mentre con l’ambulanza lei e Toshio venivano portati in ospedale, Hina avvertì il pensiero di
Reich che le diceva che l’avrebbe aspettata e in un qualche modo, seppe che
anche lui l’aveva aiutata e, cosa più importante, che era cambiato.
Dopo un paio di
settimane Hina uscì dall’ospedale e ricominciò il suo lavoro nella nuova
scuola, costruita appositamente per i bambini scappati
al terremoto. La vita sembrava essere tornata normale, ma non era così. Toshio
era diventato molto più socievole, Alex era rimasto divertente ma nutriva come
una strana paura per Hina da quando aveva saputo che aveva incontrato il
fantasma e Hina, d’altra parte, era diventata molto più distante. Anche Toshio,
che era diventato il suo bambino preferito, aveva notato un mutamento. Aal
bambino aveva raccontato tutto quello che era successo con Reich e lui capiva che
lo amava ancora. Quando gli anni passarono e Toshio se ne andò, Hina rimase, e
il bambino, ora adulto, la andava a trovare tutti i
finesettimana per parlare; ma le cose belle si sa sempre che non durano. Pochi
anni dopo Hina morì in un incidente e al funerale parteciparono solo le persone
che lavevano conosciuta all’orfanotrofio poiché non si era mai fidanzata ne
sposata. Toshio fu l’unico a continuare a vederla e a parlarle, finchè lei non
gli comunicò la sua decisione. La ragazza tornò al castello e vide che Reich
aveva mantenuto la promessa “l’aveva aspettata”. Si incontrarono
al terzo piano e, quando la vide, si meravigliò –Sapevo che saresti tornata.-
disse lui dopo un po’. Hina sorrise e lo baciò. Per quanto ne seppe Toshio, lei
e il fantasma vissero sempre insieme al castello e nessuno più si fece male. E
questa storia la narrò ai suoi figli e al suo unico nipote, ovvero
io. Mio nonno mi mostrò una foto di Hina e quando sentii la storia
non misi in dubbio nulla. E ancora adesso ci credo e ci crederò
sempre. Così, per non dimenticare, ho deciso di riportare il racconto in questo
quaderno, che rammenta una memoria bella e terrificante al tempo stesso.