Novembre
1983
Non
appena bussarono alla porta di casa, il bambino si catapultò
in ingresso. Sull'uscio era appena apparso un signore distinto, con
un'espressione vivace e dei lunghi capelli biondi striati di grigio.
«Nonno!»
esultò il bambino, correndogli incontro e gettandosi tra le
sue braccia. L'uomo lo sollevò da terra e gli schioccò
un sonoro bacio sulla guancia. Il bambino gli rivolse un sorriso
entusiasta. «Sono
il tuo nipotino preferito, eh?»
gli chiese, sicuro che avrebbe ottenuto la solita risposta
affermativa. Era facile vincere in quella gara: era sempre stato
l'unico nipotino.
Ma
il nonno rispose una cosa del tutto inaspettata: «Laughlin,
caro, ora ho due nipotini preferiti».
Laughlin
aveva solo quattro anni, ma certi conti li sapeva già fare:
non si possono avere due cose preferite. Una e basta.
«Ma
sono io il tuo nipotino preferito... non possiamo essere in due!»
mugugnò sconsolato, mentre il nonno lo rimetteva a terra.
«Ma
ora che è nato il tuo fratellino Bearach, non posso mica
scegliere tra voi due» rispose il nonno con un sorriso.
Laughlin
si imbronciò, ma subito la sua attenzione venne rapita dalla
nonna, che era entrata in casa reggendo un cavallino a dondolo con un
grosso fiocco rosso. «È per me quello?»
domandò, con gli occhi che luccicavano in direzione del
regalo.
La
nonna gli scompigliò i capelli biondi con affetto. «No,
Laugh, tesoro. È per Bearach»
rispose con un sorriso.
«Ma
lui è piccolo!»
protestò il bambino, battendo i piedi a terra. «Non
ci può salire!»
«Tu
ce l'hai già il tuo cavallino a dondolo»
replicò la nonna, in un tono dolce ma fermo; non le piacevano
le scenate di gelosia.
«Ma
questo è più bello!»
esclamò Laughlin, incrociando le braccia al petto.
A
quelle parole, nonno Abharrach scoppiò in una risata. «Egoista
ed ambizioso. Sarai un meraviglioso Nagard al Trinity!»
commentò in tono compiaciuto, rivolgendo un sorriso al
nipotino.
«Tesoro,
non incoraggiarlo. A quest'età i bambini possono essere
terribilmente testardi»
lo rimproverò nonna Helvia, che invece non ci vedeva nulla di
buono nella rodente gelosia di Laughlin.
Per
fortuna in quel momento arrivò Eoin, che invitò i
genitori di sopra per vedere il piccolo. Nonno Abharrach prese in
braccio Laughlin e insieme alla moglie salì l'imponente
scalinata di marmo verso il piano superiore.
La
culla del piccolo Bearach era stata temporaneamente sistemata in
un'accogliente stanzetta arredata con tende leggere dai colori
delicati. Sotto un castello di tulle e lenzuola di lino, sbucava una
testolina pelata, con un ciuccio in bocca talmente grande da
coprirgli metà faccia. Dormiva placido, ignaro delle occhiate
curiose dei parenti che si affollavano intorno alla sua culla.
«È
delizioso! Tutto suo padre!»
stava dicendo una giovane signora con il pancione, seduta su una
seggiola comoda per via del suo stato interessante. Il suo tono
zuccheroso doveva essere dato dal fatto che fra qualche mese sarebbe
diventata madre anche lei e già si immaginava nell'atto di
presentare ai parenti una creaturina deliziosa come quella.
«È
un po' presto per dire a chi assomiglia»
commentò saggiamente il marito della signora.
«Vedremo
quando crescerà, cugino»
gli rispose Eoin con un sorriso. Era evidentemente orgoglioso di aver
dato alla famiglia un altro erede maschio e lo sarebbe stato ancora
di più se il piccolo avesse ereditato i tratti dei Maleficium,
ma certo era un po' troppo presto per dirlo.
Laughlin
si imbronciò. Avevano sempre detto a lui che assomigliava al
suo papà, e non solo fisicamente, ma anche perché aveva
dimostrato di essere particolarmente testardo e orgoglioso proprio
come lui. Adesso quel mostriciattolo voleva rubargli anche quel
primato?
Nonno
Abharrach si avvicinò alla culla, sempre tenendo in braccio il
nipote più grande. «Allora,
non ti piace il tuo fratellino?»
gli domandò con un sorriso.
Laughlin
sbirciò sotto le coperte, anche se sapeva benissimo che cosa
vi avrebbe trovato. «Assomiglia
ad una scimmietta spelacchiata»
commentò, storcendo il naso.
«È
perché è appena nato. Vedrai che crescendo migliorerà!»
gli rivelò il nonno, posandolo nuovamente a terra.
Laughlin
mise il broncio: tutti in quella stanza sembravano assolutamente
estasiati dal piccolo ragnetto nella culla e nessuno voleva dargli
retta. Forse, se avesse fatto qualcosa di fico, l'avrebbero
ascoltato.
Corse
in camera sua a prendere il manico di scopa giocattolo che gli
avevano regalato i suoi genitori per il quarto compleanno. Si alzava
da terra giusto mezzo metro, ma per il piccolo Laughlin cavalcarlo
era davvero emozionante. Si mise a cavalcioni e cominciò a
svolazzare per i corridoi della casa, fino alla stanza dove si
trovava la culla.
«Afferra
quella Pluffa!»
esclamò, immaginandosi nel bel mezzo di una partita di
Quidditch. Cominciò a schivare le gambe degli adulti e a
emettere suoni con la bocca, come se stesse guidando una scopa da
corsa: «Sfoosh!
Sfoosh!»
«Laughlin,
smettila di fare casino!»
lo rimproverò la madre Daire, riservandogli un'occhiataccia.
Laughlin
inchiodò la scopa ad un soffio dalla culla del fratellino.
L'aveva fatto apposta: voleva far prendere a tutti un bello spavento.
E poi, insomma, era stata una frenata davvero ganza!
«Laughlin!»
tuonò suo padre.
Alzando
gli occhi su di lui, il bambino capì di averla combinata
davvero grossa. Non aveva mai visto il suo papà così
arrabbiato. Scese lentamente dalla scopa e chinò il volto a
terra, stingendosi nelle spalle in una vera espressione di
pentimento.
Eoin
prese un profondo respiro: non voleva sgridare troppo Laughlin,
perché era ovvio che fosse un po' geloso del fratellino
neonato, ma non poteva nemmeno lasciar correre tutte le sue
bricconate. Gli riservò uno sguardo severo, poi ordinò:
«Vai in camera tua. Subito».
Col
cavolo che ci andava in camera
sua!
Non
aveva fatto niente di male, non si meritava di essere punito.
Laughlin si limitò a portare in camera il manico di scopa
giocattolo, poi sgattaiolò verso il piano di sotto.
«Il
signorino non dovrebbe disobbedire al papà»
esclamò una vocetta proveniente dal salotto. Dopo una frazione
di secondo, la testa di un elfo domestico fece capolino dalla porta.
Aveva uno sguardo perforante puntato su Laughlin. Sembrava proprio
che lo stesse accusando.
«Vai
a fare la cacca, Lappy!»
rispose Laughlin con un ghigno. Gli piaceva dire in continuazione
“cacca”, in quel periodo. Era qualcosa di disgustoso che
lo faceva sentire grande.
«Perché
il signorino fa il maleducato?»
mugugnò l'elfo domestico, dispiaciuto non tanto per l'offesa
in sé, quanto per il fatto che provenisse dal padroncino. «È
così un bravo bambino, quando vuole».
«Be',
ora non vuole!»
replicò Laughlin con audacia, poi se la svignò fuori di
casa.
Il
freddo pungente di novembre lo investì in pieno, ma Laughlin
lo ignorò. Dato che non pioveva, anche se il cielo era
decisamente minaccioso, il bambino era intenzionato a divertirsi un
po' all'aria aperta. Avrebbe potuto cercare gli gnomi, oppure tentare
di staccare la coda alle lucertole, oppure fingere di essere un mago
esploratore pieno di talento. Ma dopo un po' di tempo, tutti quei
giochi gli vennero a noia. Si sedette sconsolato su un masso e si
osservò le mani piene di graffi per aver rovistato tra i rovi
alla ricerca degli gnomi. Gli dispiaceva di aver litigato con Lappy;
visto che si annoiava, avrebbe potuto giocare con lui, se solo non
gli avesse detto quella cosa della cacca.
Cacca,
cacca, cacca! pensò rabbioso, raccogliendo un sasso da
terra e scagliandolo tanto lontano quanto permettevano le sue braccia
di bambino. Era tutta colpa di quella scimmietta nella culla! Senza
di lui, sarebbe stato ancora il nipotino preferito del nonno, la
nonna gli avrebbe portato un grosso regalo e suo papà non si
sarebbe arrabbiato con lui. Quanto avrebbe voluto liberarsene!
«Ehi,
ciao!»
esclamò una vocetta sottile alle sue spalle.
Laughlin
si voltò per ritrovarsi difronte uno strano essere con il muso
peloso, due enormi orecchie da coniglio, degli strani baffi pendenti
e due dentoni enormi. Il bambino sgranò gli occhi, a metà
tra lo spaventato e il sorpreso. Ma la creaturina aveva una faccia
simpatica. «Che
cosa sei?»
gli chiese, allungando la sua mano verso il musetto dell'animale.
«Io
sono un phooka, amico»
rispose questo, con un gran sorriso.
Laughlin
notò che aveva anche una lunghissima coda. Cercò di
afferrarla al volo, ma la creaturina la faceva saettare nell'aria
troppo velocemente. «Tu
sei mio amico?»
si informò Laughlin, abbandonando il proposito di prendergli
la coda.
Il
phooka sorrise di nuovo. «Certo.
Tutti i phooka sono amici dei bambini».
Laughlin
soppesò l'idea per un attimo, ma poi si arrese all'evidenza:
dopo tutto aveva un muso simpatico. «Allora
giochi con me, signor Phooka?»
gli chiese speranzoso.
«No,
però ho una bella proposta da farti»
gli disse il phooka, con uno sguardo d'intesa.
«Che
proposta?»
domandò Laughlin, assumendo un'aria da grande. Anche se non
era affatto sicuro del significato della parola “proposta”.
Il
phooka sorrise e, d'un tratto, Laughlin non lo trovò più
così simpatico. Faceva un pochino paura, in effetti.
«Una
proposta per liberarti del tuo fratellino».
Laughlin
non era del tutto sicuro di fare la cosa giusta. Il signor Phooka
l'aveva rassicurato dicendo che i suoi genitori non si sarebbero
accorti di nulla, che lo spiritello che avrebbero usato per lo
scambio sarebbe stato del tutto identico al rospetto... ma Laughlin
aveva come la sensazione di essere sul punto di compiere un grosso
guaio.
Molto
grosso.
Entrò
di soppiatto nella stanza del fratellino. L'oscurità avvolgeva
ogni cosa, ma la finestra a fianco della quale era posta la culla,
lasciava entrare fiotti di biancastra luce lunare. C'era una luna
piena spettacolare, gigantesca come una Pluffa, che illuminava i
prati di quel verde così intenso da lasciare senza fiato.
Laughlin rabbrividì al pensiero dei lupi mannari che si
aggiravano nelle foreste e ululavano al cielo.
Fece
un profondo respiro e si tranquillizzò. I suoi occhi si
puntarono sulla culla: non si sentiva nessun suono, se non il
debolissimo respiro del neonato.
Notando
che non riusciva a vedere dentro la culla, Laughlin prese una sedia e
ci si arrampicò sopra. Il suo fratellino era il ragnetto di
sempre, sepolto da coperte e pizzi che si alzavano e si abbassavano
piano seguendo il suo respiro. Per un attimo Laughlin ne fu
incantato, ma poi ripensò a tutto quello che il neonato gli
aveva portato via e ritrovò la sua determinazione.
«Fidati,
con il tempo peggiora: per i tuoi genitori esisterà solo lui e
si dedicheranno solo a lui, mentre tu verrai presto dimenticato»
gli aveva detto quella mattina il signor Phooka.
Laughlin
osservò il fratellino con una smorfia e strinse i pugnetti.
«Addio,
Bearach!»
mormorò con cattiveria. Dopodiché si calò sulla
culla e lo prese in braccio.
Bearach
emise uno sbuffo, ma non si svegliò.
«Molto
bene, amichetto!»
esclamò la voce del phooka, comparso in quel momento fuori
dalla finestra. «Ora
dammi il tuo fratellino!»
Quando
Laughlin, quella mattina, gli aveva chiesto perché non se lo
prendeva da solo, il signor Phooka gli aveva risposto che non gli era
permesso di entrare nelle case dei maghi per via delle protezioni che
questi vi imponevano. Per questo aveva bisogno del suo aiuto.
Così
il bambino scese dalla sedia e aprì la finestra della stanza,
per compiere lo scambio. Ma proprio mentre era sul punto di tendere
il fagotto al signor Phooka, Bearach sbadigliò e scalciò
appena. Allungò una minuscola manina, la aprì e poi la
serrò attorno a un dito di Laughlin.
Laughlin
si immobilizzò di colpo. Osservò il fratellino come se
lo vedesse per la prima volta: era piccolo, paffuto e tenero. Le sue
guanciotte rosse, il nasino all'insù, gli occhietti chiusi...
gli veniva voglia di mangiarselo di baci.
Improvvisamente
Laughlin realizzò che non poteva fare quello scambio. Si
strinse il fratellino al petto e indietreggiò di un passo.
«Non
voglio più»
si giustificò con il signor Phooka.
Ma
questo non sembrò prenderla molto bene. «Dammi
il neonato!»
ringhiò con una voce che non aveva più nulla di
simpatico.
Laughlin
indietreggiò ancora, in direzione della porta. Scosse la testa
con determinazione, anche se cominciava ad avere paura.
«Dammelo!»
«No!»
gridò Laughlin.
Fu
allora che il phooka cambiò aspetto. Divenne enorme,
gigantesco; gli spuntarono due corna ricurve e i denti divennero
zanne. Un mostro.
Laughlin
strillò di paura e scappò in direzione della porta, ma
questa sbatté e si chiuse magicamente a chiave. Con tutto quel
trambusto, Bearach si svegliò e cominciò a piangere
come un disperato tanto che Laughlin fu costretto a stringerlo a sé
per tentare di calmarlo.
«Dammi
il neonato!»
tuonò il phooka, facendo tremare i vetri della finestra.
Laughlin
picchiò contro la porta con foga, sempre tenendo in braccio il
fratellino, il più lontano possibile dal mostro.
Il
phooka cominciò a fare strane magie: i mobili della stanza
presero a tremare violentemente, come se qualcuno li scuotesse con
forza, e la culla si ribaltò a terra, per poi trasformarsi in
un grosso serpente.
«Mamma!
Papà!»
gridò Laughlin, con voce terrorizzata, prendendo a pugni la
porta.
Improvvisamente
sentì provenire dal corridoio dei passi e poi delle voci.
«Laugh,
amore, che succede?»
domandò la madre, cercando di aprire la porta.
«Presto,
mamma, presto!» piagnucolò il bambino, voltandosi a
guardare il serpente che strisciava nella sua direzione.
«È
chiusa a chiave»
sentì dire da sua mamma. «Eoin,
vai a prendere la bacchetta!»
«Mamma,
ti prego!»
supplicò il bambino, terrorizzato. Il serpente gli era ormai
addosso, Bearach strillava disperato, il phooka ghignava soddisfatto.
Laughlin
gridò.
E,
magicamente, il serpente tornò ad essere una culla, i mobili
smisero di tremare e la finestra si chiuse di scatto, sbattendo fuori
il phooka.
«Alohomora»
mormorò il padre dal corridoio e la porta si aprì.
Daire
si gettò nella stanza e corse ad abbracciare i figli.
Eoin
osservò il caos che regnava lì dentro e intuì
cosa fosse successo. Guardò verso la finestra e, una frazione
prima che sparisse, riuscì a intravedere il volto di un
phooka.
«Oh
cielo, Laugh, tesoro, tutto bene?»
domandò agitata la madre, vedendo la culla a terra e il
piccolo Bearach che piangeva disperato tra le braccia del fratello.
Laughlin
mugugnò qualcosa, mordendosi il labbro inferiore per imporsi
di non piangere. Ma, nonostante tutti i suoi sforzi, due grossi
lacrimoni gli attraversarono le guance.
Daire
allora gli prese dalle braccia il fratellino e lo cullò
teneramente per tentare di calmarlo. Dopo poco, Bearach smise di
piangere e si acciambellò accanto al seno della madre.
«Che
cosa è successo?»
chiese la donna, con un tono più dolce.
Laughlin
tirò su con il naso. «Un
phooka voleva rapire Bearach»
mormorò infine, guardandosi bene dal far notare che era stato
lui ad accettare la proposta e a offrire al mostro il fratellino, in
cambio di uno spiritello.
«E
tu l'hai salvato?»
gli domandò Daire, riservandogli quel sorriso tenero e
amorevole che solo una madre sapeva fare.
Laughlin
si strinse nelle spalle. Almeno ebbe il buon gusto di non fare
l'eroe. «Ci
ho provato»
mormorò con un mezzo sorriso. Ma quando si voltò verso
suo padre, capì che la faccetta innocente non sarebbe bastata.
Aveva
un'aria seria di uno che sapeva. Come se avesse intuito quello
che doveva essere successo, come se avesse capito che lui aveva
stretto un patto con il phooka per liberarsi del fratellino.
Laughlin
abbassò gli occhi a terra, consapevole che preso sarebbe
arrivata una strigliata con i fiocchi. Questa volta l'aveva combinata
davvero grossa.
Eppure,
quando osò alzare nuovamente lo sguardo sul padre, vide che un
debole sorriso gli incrinò le labbra. Non era più
arrabbiato, l'aveva perdonato. Fu solo quando Laughlin provò a
rispondere timidamente al sorriso, che suo padre gli si inginocchiò
di fronte e lo abbracciò.
«Sono
fiero di te, Laughlin» gli sussurrò l'uomo, prendendolo
per le spalle. «Hai fatto la scelta giusta e hai protetto il
tuo fratellino da quel phooka. È così che si comportano
i fratelli più grandi: difendono i più piccoli»
gli rivelò, con uno sguardo intenso.
Laughlin
sorrise e tirò su con il naso. «Gli voglio bene»
si azzardò infine a dire. «Anche se è un po'
bruttino e piange tanto» aggiunse poco dopo, giusto per mettere
le cose in chiaro.
Eoin
si lasciò sfuggire un sogghigno. «Tutti noi gli vogliamo
bene, perché è il nuovo arrivato nella nostra famiglia»
spiegò poi, con semplicità, per essere capito da un
bambino di quattro anni.
Laughlin
annuì, ormai consapevole e rassegnato che non poteva cacciare
quella scimmietta di casa. Perché un pochino gli voleva bene
anche lui.
«Ma,
Laughlin» lo richiamò suo padre, guardandolo con
intensità. «Noi non smetteremo mai e poi mai di amare
anche te».
A
quelle parole, Laughlin scoppiò a piangere. Era stato un
bambino cattivo: come aveva potuto pensare che i suoi genitori non
gli volevano più bene? Mamma e papà erano sempre così
buoni con lui...
«Oh,
papà!» esclamò Laughlin, gettandogli le braccia
al collo. «Vi amo anch'io!»
E
da allora non ne avrebbe più dubitato.
Ecco
qui la prima one-short di questa mini raccolta!
Un
carinissimo Laughlin di quattro anni è il nostro protagonista;
è stato molto divertente calarsi nei suoi panni, quando è
geloso di Bearach, quando si diverte a ripetere la parola cacca,
quando vuole che la nonna gli porti un regalo... insomma, tutte cose
che fanno i bambini di 4 anni! Non è tenerissimo Laughlin? *-*
Martedì
prossimo, nel pomeriggio, la one-short dedicata a Mairead, oltre alla
spiegazione di come è nata questa raccolta. Edmund chiuderà
il ciclo.
Grazie
a tutti! A presto,
Beatrix
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