When_1
[ Vincitrice del Premio
Pennello per la Miglior
ambientazione gotica
al contest «Bitten
by vampires» indetto da Illunis ]
Titolo: When the death comes
Autore: My
Pride
Fandom: Originali
› Sovrannaturale › Vampiri
Prompt scelto: Fuoco,
Delirio, Cuore, Bara
Tipologia:
One-shot
Genere: Generale,
Vagamente
Introspettivo, Drammatico, Vagamente Erotico, Sovrannaturale
Rating:
Arancione
Lunghezza:
7105 parole escludendo
specchietto introduttivo e note conclusive
Beta Reading: No
Nota1: Questa
storia è il prequel di Under
a bloody sky e fa parte della serie St.
Louis ~ Bloody
Nights
Nota2: Nel
corso della storia, oltre a delle parole in spagnolo, potrebbero essere
presenti espressioni come “Aye” e
“Nay”, che significano rispettivamente
“Sì” e
“No” in italiano, e “Och”, che
è un rafforzativo del “Sì”.
Esse non sono un
errore, bensì una scelta personale dell’autore,
ormai affezionatasi a tale
dicitura.
Avvertimenti: Vagamente
nonsense, Slash, Non per stomaci delicati, Lemon, Accenni
Threesome
DISCLAIMER:
All rights reserved
©
I
personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi
appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura
immaginazione. Ogni riferimento a
cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente
casuale.
This
work
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Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.
Quando
lo incontrai per la prima volta ero ancora una giovane vampira
inesperta.
Viveva in un castello ormai diroccato
che la sua famiglia aveva ottenuto con l’inganno prima ancora
che anche lui
venisse trasformato, e in quei cinquant’anni che si erano
susseguiti si era
circondato di vampiri che, spesso e volentieri, creava lui stesso,
scegliendo
le vittime in base alle loro caratteristiche. Prediligeva gli uomini,
aveva
detto, sebbene non disdegnasse certe volte la dolce compagnia
femminile. Io ero
capitata lì per caso, eppure mi aveva accolta nella sua
cerchia di prescelti
come se fossi sempre stata una di famiglia.
Forse ciò che
l’aveva spinto a
farlo era stata l’espressione sgomenta e quasi umana ancora
dipinta sul mio
viso spettrale, più che il mio aspetto scarno e per nulla
attraente. E pensare
che non ci vedeva nemmeno. Per oltre un anno avevo vagato fra paesaggi
desolati
e terreni impervi, cibandomi delle poche fonti di nutrimento che
riuscivo a
trovare sul mio cammino. Gli esseri umani scarseggiavano, in quei
luoghi, e
molto spesso ero costretta a non bere per giorni interi, se non
settimane.
Ero stata trasformata in un
vampiro contro la mia volontà, venendo strappata dal seno
della mia famiglia
per essere condannata a vivere quella falsa eternità che mi
aveva allontanata
anche dal mio Dio. L’aver in seguito ucciso il mio creatore
non mi aveva dato
quella soddisfazione che tanto avevo sperato di ricevere,
giacché il mio cuore
tormentato aveva capito ancor prima della mia mente sconvolta
ciò che avevo
fatto: avevo ucciso. Anche se si era trattato di un vampiro, di un
mostro
sanguinario che mi aveva rapita e aveva orribilmente massacrato i miei
genitori,
avevo ucciso.
Non avevo mai fatto del
male a nessuno in tutti quei miei venticinque anni, e quel solo
pensiero mi
aveva fatta rabbrividire durante quel primo anno della mia esistenza, o
almeno
finché non incontrai lui, Miguel Rodríguez.
Mi insegnò tutto
ciò che so
adesso, anche se forse avrei preferito restare all’oscuro di
molte più cose di
quante lui stesso non creda tuttora. Mi aveva mostrato cosa
significasse
realmente la parola crudeltà e le innumerevoli perversioni
del mondo,
plasmandole nelle sue mani e scrivendole con inchiostro insanguinato
come se
fossero stati fogli di carta svolazzanti dinanzi ai miei occhi; aveva
fatto sì
che godessi del piacere che il sesso poteva donare a noi creature della
notte,
quasi alla pari del nutrimento, sbattendomi in faccia
l’ovvietà dei fatti e il
suo modo di essere. Per quanto istruttivo fosse stato ne ero rimasta
segnata,
probabilmente perché non avrei mai creduto che esseri come
noi potessero
realmente essere capaci di tali atrocità.
Se continuassi a raccontare in
questo modo sconclusionato e privo di un vero e proprio periodo non
capireste
niente, però, dunque lasciate che vi guidi lungo quei luoghi
inesplorati su cui
avevo camminato, che vi faccia strada nei meandri più
profondi di quella
magione, che vi mostri le atrocità a cui avevo dovuto
assistere per non
divenire io stessa vittima e che vi presenti la moltitudine di vampiri
in cui
mi ero imbattuta stazionando lì per più anni di
quanto io stessa credessi al
principio.
Impazzite con me e non lasciatemi
sola. Se alla fine del mio racconto non sarete più voi
stessi, avrete tutte le
ragioni del mondo per non perdonarmi e per inveirmi contro fino allo
spasimo.
Ma credete davvero che potrà importamene? Io non ci metterei
la mano sul fuoco,
se fossi in voi.
Il
silenzio si
protrasse per un lungo attimo prima che esso venisse infranto dai primi
rintocchi lontani della campana di mezzanotte. Distesa fra
l’erba alta a
braccia spalancate, con lo sguardo vacuo fisso sul quel cielo nero e
senza
stelle sopra di me, tentavo invano di respirare regolarmente,
così stanca e
prosciugata da non riuscire più a muovere un passo.
La città era distante altre
sette
miglia, e, nonostante alle mie orecchie fosse giunto il suono limpido e
cristallino della campana, non avevo la forza necessaria per
raggiungere quel
luogo popolato di esseri umani dai cuori palpitanti. Il loro sangue mi
avrebbe
rimessa in sesto per almeno altri cinque o sei giorni, però
non mi sarebbe
servito a niente se non fossi riuscita ad arrivare in tempo. Mi ero
dunque
lasciata andare su quell’enorme distesa verde e umida, come
se il guardare quel
manto di pece avrebbe potuto lavare via tutti i miei problemi.
Quanti anni erano passati da quando ero
partita, fuggendo dal luogo che era stato testimone della mia morte e
della
colpa di cui mi ero macchiata? Troppi, forse più di tre
decenni. Non ero più
riuscita a vivere in quel luogo con la consapevolezza di ciò
che avevo fatto,
troppo spaventata da me stessa e dal mostro che ero diventata. Era
stato
proprio per quel motivo che avevo cominciato a vagabondare fra quei
luoghi
impervi, sporca e affamata come una povera derelitta.
Adesso, però, ero stanca. Non
avevo
più
la benché minima intenzione di andare avanti e di continuare
quella vita che
non mi apparteneva, quella vita che avevo rubato ad altre persone per
far sì
che il mio cuore continuasse a battere per altri dieci, cento, mille
anni.
Lasciai che quel silenzio surreale mi
cullasse fra le sue gelide braccia, ignorando i richiami dei rapaci
notturni
fra la cappa di fogliame poco distante. Qualcosa di viscido mi
strisciò lungo
una gamba, ma non ebbi neanche bisogno di abbassare gli occhi per
capire che si
trattava soltanto di un serpente che tornava rapido alla propria tana.
Avrei
dovuto nascondermi anch’io? Avrei dovuto forse cercare riparo
per la luce del
sole che sarebbe sorto l’indomani? Nay, sarei semplicemente
rimasta su quella
chiazza d’erba ad attenderlo, sentendone il calore per
un’ultima volta prima di
finire definitivamente ridotta in cenere.
Avevo un’irrefrenabile voglia
di
piangere, eppure le lacrime non scivolavano via dai miei occhi. Da
quando ero
diventata un vampiro avevo pianto una sola volta, ed era stato orribile
vedere
quelle lacrime di sangue sporcarmi le guance e imbrattarmi il viso con
la loro
vischiosa consistenza. Perché il mio Dio aveva voluto
punirmi in quel modo? Se
era vero che amava indiscriminatamente ogni sua creatura,
perché aveva fatto sì
che io meritassi quella fine? Non avevo mai dubitato di lui, la mia
fede non
era mai crollata, eppure... eppure mi aveva lasciata nelle grinfie di
quel
mostro e aveva permesso che i miei genitori morissero atrocemente per
mano sua.
Quale Dio avrebbe mai lasciato che una cosa simile accadesse? Un Dio
perverso e
vendicativo, avrei detto. E nessuno avrebbe mai potuto criticarmi per
quelle
mie parole.
Sarei rimasta lì a rimuginare
ancora a
lungo se il fruscio di passi sull’erba non mi avesse
allertata, e fu con le
sole forze che mi restavano che rotolai a pancia in giù per
issarmi a mezzo
busto, scrutando i dintorni per quanto mi fosse possibile. La mia vista
era
debole a causa del poco sangue di cui mi ero nutrita, e mi era dunque
difficile
distinguere con l’esattezza forme che, in altre notti, avrei
potuto vedere con
la stessa precisione di un gatto. Ero però più
che certa che lì con me ci fosse
qualcuno, sebbene non avessi ben chiaro in testa di chi o cosa fosse.
Era forse
un animale? Oppure un essere umano? In entrambi i casi, per me avrebbe
significato una sola cosa: sangue. In quello stesso momento mi sarei
accontentata di qualsiasi cosa che respirasse, anche se pochi attimi
prima
avevo pensato di farla finita. Com’ero contraddittoria, certe
volte.
Un’ombra nascosta fra gli
alberi, più
scura delle altre e più sottile, si avvicinò a me
ad una velocità disarmante, e
io ebbi solo il tempo di sgranare gli occhi prima di venire atterrata,
sentendo
quello che supposi essere un artiglio serrarmi la gola come se volesse
impedirmi di respirare. Boccheggiai, abbassando ed alzando le palpebre
in
maniera convulsiva, tentando al tempo stesso di allontanare da me
quell’aggressore. Odorava di sangue fresco, ma quel sangue
non era suo; con la
poca luminosità presente riuscii a vederlo in volto,
distinguendo a malapena
due occhi vitrei e neri come il carbone e le fauci spalancate a
mostrare
oscenamente le zanne insanguinate. D’un tratto si
fermò e arricciò il naso,
cominciando ad annusarmi come se fosse stato un cane o la pessima
imitazione di
esso. Si allontanò da me con un uggiolio, quasi fosse stato
d’improvviso
schiaffeggiato, accucciandosi al mio fianco per girarmi intorno a
quattro
zampe.
«Non sei umana». La
voce con cui
pronunciò quelle parole fu bassa e gutturale, una voce che
non avevo mai
sentito provenire da una gola umana. Tossii e mi tenni una mano sul
collo,
scuotendo la testa lentamente senza però perdere
d’occhio quello sconosciuto.
Sembrava un essere umano, ma non aveva affatto l’odore di uno
di loro: aveva un
vago odore di pelliccia ed erba bagnata, misto al sangue che gli
incrostava la
bocca e le mani artigliate. Cosa diavolo era?
Tentai di rimettermi in piedi
quando fra le fronde degli alberi si mosse qualcosa, e una seconda
ombra
discese rapida dai rami più alti, portando dietro di
sé il profumo di fiori
selvatici. Era lo stesso profumo di mia madre, e la cosa mi
spaventò a tal
punto che, sebbene sulle gambe malferme, provai ad indietreggiare per
allontanarmi da quei due uomini, o qualunque cosa essi fossero, che
stavano
adesso discutendo animatamente. Non riuscii però a fare
più di qualche passo
che gli occhi del nuovo venuto si puntarono rapidi su di me,
investendomi di un
tale potere che quasi mi mancò il fiato. «Spero
che Manuel non ti abbia
spaventata», disse con voce chiara e piatta, diversa da
quella del suo compagno.
I suoi occhi avevano una strana sfumatura dorata visibile anche nella
penombra
in cui eravamo avvolti, e nonostante il vago sentore di pelliccia che
aveva
addosso sembrava molto più umano dell’altro. I
capelli, scuri come la notte che
ci circondava, erano legati in un codino che spuntava dalla sua spalla,
drappeggiato su di essa come uno scialle. «Non è
abituato a trattare con quelli
della vostra razza».
Deglutii e, senza che mi venisse
impedito, feci qualche passo indietro. Qualsiasi cosa fossero quegli
uomini,
volevo trovarmi il più distante possibile da loro.
«Voi... sapete cosa sono?»
chiesi poi, anche se la voce che uscì dalle mie labbra fu
tutto fuorché ferma.
Avevo quasi gracchiato, in realtà, ma non avendo parlato per
mesi, se non anni,
con anima viva, era più che normale.
L’uomo che mi aveva atterrata,
Manuel, si limitò semplicemente ad annuire senza aprir
bocca, leccandosi però
le labbra sporche di sangue. L’altro gli lanciò
uno sguardo obliquo che non
seppi interpretare, però fu molto simile a quello di un
serpente che guardava
un topolino. Aveva forse intenzione di aggredirlo, oppure era
l’odore del
sangue a scatenare in lui quelle strane sensazioni? Non volevo saperlo,
ma
qualcosa si era mosso in quegli strani occhi dorati. Per quanto
riguardava me,
invece, quello stesso sangue stava diventato una vera e propria
tentazione,
forse proprio perché ero rimasta per troppo tempo senza
nutrirmi.
«Devi venire con
noi», disse
l’uomo dagli occhi dorati, distogliendomi dai miei pensieri e
dalla momentanea
brama che mi aveva catturata. E forse era stato un bene, altrimenti
quella
notte sarebbe finita in un bagno di sangue.
A quel suo dire scossi la testa,
umettandomi le labbra. «Non ne ho la minima
intenzione», risposi, sentendo su
di me gli occhi di Manuel. Si era nuovamente accucciato fra
l’erba alta, i
capelli arruffati intorno al viso sporco e i vestiti che indossava
quasi
ridotti a brandelli, come se fossero stati squarciati da qualcosa
munito di
grossi artigli.
«Non abbiamo chiesto la tua
opinione», sibilò, e nel muoversi a gattoni nella
mia direzione scoprì un lembo
di pelle, rendendo così visibile gran parte della coscia.
«Eseguiamo solo ciò
che ci viene ordinato. E tu obbedirai a tua volta a quegli ordini, forastera».
Manuel avanzò ancora, ma il
suo
compagno alzò una mano per bloccarlo. Appariva tranquillo,
come se quella
situazione fosse irrilevante. «Non sarà necessario
ricorrere alla forza, Manuel»,
gli disse, lo sguardo dorato ancora fisso su di me. «La senõrita
ci seguirà senza opporre resistenza».
«E se invece la
opponessi?»
rimbeccai, sfidandoli entrambi nonostante non avessi la forza
necessaria per
farlo. Ero troppo debole per fronteggiare quelle creature, qualunque
cosa
potessero mai essere.
La risata che si levò dalla
gola
di uno dei due fu capace di raggelarmi il sangue nelle vene. Con
lentezza
esasperante, quasi non si muovessero affatto, si avvicinarono entrambi
verso di
me, simili a due ghepardi pronti a ghermire la propria preda. Non mi
accorsi
neanche dello scatto che compirono subito dopo: Manuel mi fu nuovamente
addosso
e mi afferrò per il collo, issandomi da terra quasi fossi
stata una piuma; il
ghigno che aveva sul volto fu terrificante, ma mi spaventai molto di
più quando
alla fine il mio mondo si ridusse ad un oscuro oblio e non vidi
più nulla.
Ripresi i sensi solo parecchio
tempo dopo, confusa. Mi trovavo su qualcosa di morbido che solo in
seguito
capii essere un letto, avvolta da lenzuola di seta nera che dovevano di
sicuro
essere molto costose. La testa mi doleva come non mai, quasi fossi
stata
violentemente sbattuta contro un muro da una forza sovraumana. E, beh,
probabilmente era andata davvero così.
Dando un rapido sguardo in giro mi
accorsi di trovarmi in una stanza dalle pareti di pietra, adorna di
arazzi e di
una sola grande finestra piramidale. Non c’era niente che la
arredasse, fatta
eccezione per il letto su cui mi trovavo e la bara di legno che
occupava il
lato nord. Un momento... una bara? Fino a quel momento avevo sempre
dormito in
caverne buie, durante il giorno, credendo che le bare fossero soltanto
una
diceria. E invece... invece eccola lì, una vera e autentica
bara sul cui
coperchio sembrava esserci seduta una persona.
Nell’alzarmi cercai di fare
meno
rumore possibile, avendo tutta l’intenzione di andarmene da
lì, qualunque posto
fosse. L’ultima cosa che ricordavo era l’attacco di
Manuel e del suo compare in
quello sprazzo d’erba, poi soltanto un grande vuoto fino a
quel momento. Dove
mi avevano portata quei due mostri? E soprattutto, chi era la persona
lì con me?
Qualcuno che doveva sorvegliarmi, forse? Beh, chiunque egli fosse, se
avesse tentato
di fermarmi sarebbe morto, soprattutto perché, se il mio
fiuto non mi
ingannava, quella stessa persona era a sua volta un vampiro. Non avevo
la
benché minima intenzione di farmi trattare come una bambola
per la seconda
volta.
Prima ancora che potessi
raggiungere la porta, però, una voce pacata mi
freddò, costringendomi a
fermarmi di botto. «Vedo che ti sei ripresa, chica».
Proveniva dal punto
in cui si trovava la bara, e forse non me ne sarei neanche dovuta
meravigliare.
Lo vidi alzarsi, ergendosi in tutta la sua statura con un movimento
così
elegante che quasi mi mozzò il fiato. Il vampiro che mi
aveva trasformata non
aveva mai dato sfoggio a tutta quella grazia, ma era stato
bensì rude e
violento come una bestia. Lui, invece, era diverso. «Manuel
ha esagerato come
al solito, a quanto pare».
Deglutii sonoramente, a maggior
ragione quando si voltò piano verso di me. I lunghi capelli
scuri gli
incorniciavano il viso pallido e sottile, donandogli un’aria
vagamente
femminea; ma erano i suoi occhi, di un azzurro così chiaro
da sembrare bianco,
a richiamare l’attenzione di chi si soffermava a guardarli.
Era forse... «Non
riesco a vederti in viso, chica,
ma sono più che certo che tu sia
sorpresa dalla mia presenza», soggiunse in tono vagamente
spassoso, confermando
anche la domanda che non avevo espresso ad alta voce. Era cieco.
«Ti aspettavi
forse che lasciassi dormire da sola una sconosciuta nel mio
letto?»
«Chi sei?» chiesi in
risposta,
facendo qualche passo verso di lui con circospezione. Mi sentivo
attratta da
quella novità come una falena alla fiamma,
giacché oltre al mio creatore non
avevo veduto nessun altro vampiro. Quello era il primo in quasi
trent’anni. «E
dove mi trovo?»
Sorrise brevemente, e il suo viso
sembrò diventare ancor più bello di quanto
già non fosse. Era davvero un
vampiro o mi trovavo dinanzi ad un angelo caduto all’Inferno?
«Questa è una
domanda che potrei porti anch’io, chica»,
rispose allegramente, socchiudendo
di poco gli occhi chiari. Si voltò del tutto nella mia
direzione e fece qualche
passo per raggiungermi, fermandosi esattamente a pochi centimetri da
me.
Trattenni il respiro quando lo vidi alzare una mano, d’un
candore tale da
sembrare una falce di luna, per sfiorarmi appena una guancia.
«Sei giovane»,
soggiunse poi in un soffio, chinando il viso per toccare il mio anche
con le
labbra, «eppure viaggi da sola», inspirò
a fondo, facendo scorrere due dita
lungo la linea della mia mascella, «e sono pronto a
scommettere che non sei mai
stata da queste parti prima d’ora».
Annuii automaticamente, quasi
fossi stata stregata dalla voce con cui pronunciò quelle
parole. Era bassa e
densa come miele, una promessa di verità e calore che non mi
sarei mai
aspettata da un essere dalla pelle così fredda.
«Perché sono stata portata qui?»
domandai ancora, forse nella vana speranza che questa volta mi
rispondesse.
Quel luogo aveva tutta l’aria di una stanza di un castello,
ma non poteva
essere possibile, giusto? Nay, doveva di certo esserci uno sbaglio.
«Jacque non te l’ha
spiegato?»
Parve sorpreso, giacché sgranò di poco gli occhi
pallidi. «Questo è il mio
territorio, chica.
Nessun nuovo
vampiro ha il permesso di girovagare da queste parti senza il mio
esplicito
consenso».
Mi allontanai da lui per
ristabilire le distanze e aggrottai la fronte, dimenticandomi per
qualche
attimo che non potesse vedere le espressioni del mio viso. Trassi poi
un
sospiro, guardando con attenzione quel volto immoto. «Jacque
sarebbe il tipo
che era con quel tale, Manuel?» chiesi in tono vagamente
ironico, pentendomi
immediatamente di averlo fatto. Non dovevo essere stupida. La mia vita
sarebbe
potuta dipendere dal vampiro che avevo dinanzi.
Con mia sorpresa, però, lui
sorrise. «Proprio lui, chica»,
mi
disse tranquillo e pacato. Faticavo però a credere che
quella che mi stava
mostrando fosse la sua vera essenza, probabilmente perché
avevo ancora ben
chiara in testa l’immagine sanguinaria del mio creatore. Mi
rifiutavo di
credere che un vampiro potesse essere buono e onesto. «Lui e
Manuel hanno il
compito di sorvegliare la zona in mia vece. Se scovano qualche
straniero, hanno
l’ordine di portarlo qui seduta stante».
«Anche a costo di
attaccarlo?» Non
riuscii a frenare quella mia nuova domanda e quel tono sarcastico,
quasi fosse
la sua stessa persona a far sì che esso fuoriuscisse. Forse
il mio peregrinare
solitario mi aveva fatta diventare un po’ cinica.
Il vampiro diede vita ad una
scrollata di spalle che avrebbe potuto significare tutto o niente.
«Non
necessariamente», mi informò, volgendo lo sguardo
verso la finestra. Il cielo
era ancora nero, e non brillava neanche la luna. Quella era proprio la
notte
ideale per ritrovarsi in una situazione tutt’altro che
piacevole. «Manuel è con
noi da soli sei mesi, chica.
Deve
ancora imparare a comportarsi da bravo lupo».
Feci per aprir bocca e rimbeccare,
ma il modo in cui aveva apostrofato quell’uomo mi
bloccò seduta stante, tanto
che mi ritrovai ad accigliarmi, come se non me ne capacitassi.
Sbagliavo o
aveva proprio detto lupo? Boccheggiai
come un pesce fuor d’acqua, indietreggiando di qualche passo.
«Come sarebbe a
dire lupo?»
gli chiesi incredula. «Che cos’erano quei
tipi?»
Divertito da quel mio sconcerto,
il vampiro si lasciò sfuggire una grossa risata.
«Non hai mai visto un
licantropo?» L’espressione sul suo viso era
sinceramente spassosa. «Noi vampiri
non siamo gli unici esseri sovrannaturali su questa terra, chica. Ci sono
entità che neanche nei tuoi incubi peggiori potresti
mai immaginare». Fece un breve inchino, scostandosi dietro
alle orecchie i
lunghi capelli scuri che possedeva prima di alzare lo sguardo su di me.
«Ma non
temere, avrai tutto il tempo del mondo per conoscere i membri di questa
grande
famiglia, chica.
Per il momento puoi
considerarti mia ospite». Mi afferrò la mano
destra senza che io lo vedessi,
baciandomi il dorso con galanteria prima di spostarsi verso il polso,
facendo
esattamente la stessa cosa. Leccò poi la vena pulsante che
palpitava attraverso
la pelle, e, dopo avermi lasciata andare, ammiccò e si
diresse verso una porta
posta sulla destra. «Oh, dimenticavo le
presentazioni». Diede vita ad un
sorriso sardonico, mettendo in mostra le zanne scintillanti.
«Miguel Rodríguez,
per servirti».
Non
avrei mai immaginato di ritrovarmi in una situazione del genere. Per
tutti
quegli anni avevo solo pensato a sopravvivere come avevo potuto,
stancandomi
ben presto di quella vita che mi era stata imposta. Fino alla sera
addietro mi
sarei lasciata morire su quello sprazzo d’erba su cui mi ero
accasciata, però,
forse, l’essere stata accolta in quel castello avrebbe potuto
farmi rivalutare
quella vita eterna che stavo ancora continuando a vivere.
Con la benevolenza di Miguel ero
rimasta nella sua stanza, riposando per un’intera mattinata
come non avevo mai
fatto fino ad allora, avvolta fra quelle belle e fresche lenzuola e
immersa
nell’oscurità più totale. Non mi ero
minimamente avvicinata alla bara - che sembrava
tra l’altro appartenere al possessore della stanza stessa -,
troppo impaurita
anche solo per farlo di qualche passo. Forse distendermi in essa mi
avrebbe
fatto capire una volta per tutte che, seppur mi muovessi e respirassi,
ero
morta, e che niente avrebbe potuto farmi credere che quello in cui
cadevo
durante il giorno era semplice sonno. Sapevo fin troppo bene anche da
sola che
non era così e che si trattava più che altro di
un annullamento dell’essere, ma
dopo tutti quegli anni nascosta in buie caverne e in rifugi lontani dal
sole,
volevo almeno sentire la morbida consistenza di un materasso.
Ero stata raggiunta da quel tipo,
Manuel,
solo a tarda sera, ed ero stata scortata da lui dabbasso, in
un’ampia sala dai
pesanti tendaggi scuri che cadevano come archi neri dall’alto
soffitto di
pietra. Mi soffermai ad osservare l’arredamento, la bocca
quasi spalancata
dallo stupore e dall’orrore: armature scintillanti erano
poste ai quattro
angoli della sala come a segnare un determinato territorio,
intermezzato da
arazzi raffiguranti scene di caccia in grandi boschi rigogliosi, dove
uomini
provvisti di pesanti archi di legno rincorrevano a cavallo cerbiatte e
volpi;
le finestre erano poco più di piccole feritoie dalle quali
filtrava debolmente
la luce della luna, ma l’illuminazione era stata resa
possibile grazie a delle
torce disseminate in punti strategici dei quattro muri; oltre la
pesante stoffa
nera, poi, sul soffitto ne era stata drappeggiata anche una color
cremisi che
ricordava vagamente il colore del sangue, ed ero certa che la
simbologia fosse
tutto, in quel posto. Ciò che mi aveva lasciata davvero
sconcertata, però, era
stata la presenza di un grande tavolo intagliato in legno di noce sul
quale era
stato riposto quello che, Dio mio, sembrava essere un animale
sventrato.
Intorno ad esso erano accomodati più vampiri di quanto mi
sarei mai aspettata,
ma non apparivano impazienti come gli altri commensali; avevano quasi
lo stesso
odore di Manuel, e mi stupii dunque di vedere quanti - un momento, come
li
aveva chiamati quel tipo, Miguel? - licantropi esistessero. Non me lo
sarei mai
aspettato.
Nessuno, comunque, sembrava
essersi accorto di me e del mio aspetto scarmigliato, o forse non
interessava
affatto. Tutti i presenti, nessuno escluso, sembravano intenti ad
osservare con
devozione quella carcassa sanguinolenta, gli occhi vagamente socchiusi
e le
bocche semiaperte, quasi stessero pregustando il momento di cibarsene.
E io,
sebbene fossi attratta dall’odore del sangue, non sapevo se
essere disgustata o
meno da quella scena. Non avevo mai visto niente del genere, e i miei
occhi si
rifiutavano di credere che stesse accadendo davvero. Cos’era,
quello, una
sottospecie di rito? E se così era, dove diavolo ero
capitata?
Indietreggiai senza volerlo,
andando a sbattere contro qualcosa; mi voltai lentamente e vidi un
vampiro alto
quasi due metri squadrarmi con attenzione, la bocca piegata in un
sorriso
distorto a causa della cicatrice che gli deturpava metà
viso. «Donde
va, senõrita?»
mi chiese con voce
pacata, ben diversa da come ci si sarebbe aspettato da un tipo con una
cassa
toracica grossa come la sua. La gola vibrava, tesa, quasi si stesse
trattenendo
dall’alzare la voce o altro. Deglutii, non
riuscendo ad
impedirlo. Più osservavo quell’uomo in viso,
più mi chiedevo come avessero
fatto a segnarlo in quel modo: la cicatrice partiva dal sopracciglio
per
discendere verso la palpebra, tagliandola a metà fino allo
zigomo; qui ruotava
intorno alla linea di esso, scendendo poi alla bocca, dove rovinavano
la
morbida curva delle labbra. Chi l’aveva fatto e, soprattutto,
che cosa avevano
usato per ferire un vampiro in modo così violento? Era uno
spettacolo
terribile, e non avrei mai voluto fare una fine del genere
anch’io. Fino a quel
momento ero guarita da tutte le ferite che mi erano state inflitte, ma
dubitavo
che sarei riuscita a guarire da uno sfregio del genere. Quel tipo che
avevo
davanti non c’era riuscito, eppure era di sicuro
più antico di me; quante
possibilità avevo io per farlo, dunque? Nessuna.
«Miguel ci ha raccomandati di
non
farti muovere, senõrita»,
riattaccò quell’uomo, sorridendo ancora una volta
in modo affabile. Peccato che
il risultato fosse tutt’altro che rassicurante.
«Potrai andare in giro solo
quando lui sarà di ritorno».
«Dov’è,
adesso?» mi
venne
istintivo chiedere, giacché tra tutti i presenti il meno
pericoloso mi era
sembrato proprio Miguel. Difficile dire se fosse a causa della sua
cecità o del
modo in cui mi si era rivolto la sera addietro.
Quel tipo mi spinse verso la
tavola imbandita senza che io potessi impedirgli di farlo, sebbene
stessi facendo
resistenza puntando i piedi. «Non sono affari che ti
riguardano,
senõrita»,
mi disse semplicemente, gettandomi di malo modo su una sedia.
Più di un paio
d’occhi si voltò nella mia direzione per
scrutarmi, e fu a quel punto che mi
sentii decisamente fuori luogo in quel posto popolato da tutti quegli
antichi
vampiri. In che diavolo di situazione mi ero cacciata? Il peggio,
però, venne
quando i commensali ebbero il permesso di avventarsi sul cibo,
affondando denti
aguzzi e zanne nella carne di quello che un tempo era stato un animale,
afferrando con entrambe le mani le interiora e mordendole come se
fossero state
succulente fette di agnello. Il sangue colava dai brandelli di carne e
dalle
bocche di ognuno di loro, macchiando vestiti, tavolo e pavimento senza
remore.
Se avessi potuto, avrei vomitato.
Era una scena disgustosa, e fu con chissà quale coraggio che
riuscii a reggere
fino alla seconda portata, durante la quale anche il vampiro sfregiato
partecipò. Io approfittai per allontanarmi di corsa, uscendo
da quella sala per
correre via nei corridoi illuminati dalle fiaccole, con i miei passi
che
rimbombavano contro le pareti di pietra. Mi accasciai contro uno di
essi quando
fui sicura di essermi allontanata abbastanza, respirando a pieni
polmoni.
Sentivo il sudore imperlarmi la fronte, e non avevo bisogno di portarmi
una
mano ad esso per asciugarlo e sapere che si trattava di sangue. Tentai
solo di
calmarmi una volta per tutte, cercando di scacciare
l’immagine a cui avevo da
poco assistito. Come se fosse facile, poi. Mi sembrava ancora di
sentire il
succhiare vischioso che provocavano e l’odore di mattatoio
che aleggiava nella
sala, persino le viscere che si contorcevano nelle mani dei commensali.
Trassi un lungo sospiro e provai
ad alzarmi a fatica, riuscendoci finalmente solo dopo svariati
tentativi;
quando ripresi a camminare, poi, poco distante, sentii qualcuno
sussurrare
parole che non capivo in tono basso e accorato, e fu dunque spinta
dalla
curiosità che seguii quei suoni, forse anche nella speranza
che quella nuova
scoperta potesse farmi dimenticare almeno in parte ciò che
avevo veduto.
Svoltai l’angolo e mi ritrovai
in
un vasto disimpegno completamente privo di illuminazione, ma dalle cui
profondità provenivano quei mormorii che avevo
precedentemente udito. Indecisa
se avanzare o meno, non mi accorsi che le mie gambe avevano cominciato
ad
incamminarsi da sole, portandomi dinanzi ad una porta socchiusa. Lottai
contro
me stessa per non sbirciare, ma persi inesorabilmente; spiai
all’interno e, con
gli occhi fissi sul letto che scorgevo, faticai non poco a trattenere
un’esclamazione sorpresa: avvinghiati l’uno
all’altro, con i corpi sudati e
nudi stretti in un abbraccio mortale, Miguel si stava nutrendo di
Jacque, i
visi stravolti da un’emozione che fino a quel momento non
avrei mai creduto che
esistesse. Il lupo mannaro sdraiato sul materasso aveva il capo
reclinato sui
cuscini, i lunghi capelli scuri, che avevo visto legati così
ordinatamente la
prima volta che l’avevo incontrato, erano disordinati e
nettamente in contrasto
con il candido colore della federa; la bocca era socchiusa e sporca di
sangue,
ma la sua espressione era di completa e assoluta estasi, come se le
zanne
aguzze che penetravano il suo collo fossero semplici carezze gentili.
Aveva
afferrato Miguel per le spalle con entrambe le mani, quasi
graffiandolo, e le
sue gambe erano stabili sul suo bacino, quasi volesse diventare un
tutt’uno con
il suo corpo.
Era uno spettacolo affascinate e
terrificante al tempo stesso. Il modo in cui Miguel si muoveva sopra di
lui, la
tenerezza con cui sembrava succhiare il suo sangue quasi si fosse
trattato
della sua pelle, la forza con cui lo ribaltava per far sì
che si trovasse sul
suo ventre, senza che quest’ultimo opponesse la
benché minima resistenza... era
spaventoso e bellissimo.
Ad un tratto Jacque urlò,
assordandomi, ansimando a bocca aperta e lasciando che un rivolo di
saliva
scorresse lungo il mento, mentre cercava al tempo stesso le labbra di
Miguel
per unirsi in un bacio al sapore del sangue. Miguel non glielo
negò, lasciando
che il lupo gli gettasse le braccia al collo e gli graffiasse la
schiena,
sopraffatto dalla brama selvaggia che stava cominciando a scorrere
nelle sue
vene e che sentivo come uno stridio alle mie orecchie. Jacque
dimenò i fianchi
e leccò la pelle candida della spalla destra di Miguel, e fu
a quel punto che
vidi il cambiamento che scaturì dal suo corpo: le mani
dietro le scapole di
Miguel si trasformarono in grosse zampe munite di artigli, la voce con
cui dava
vita a gemiti sempre più bassi e rauchi era ormai simile a
quella di un
animale, ma ciò sembrava non turbare affatto Miguel, che da
dove mi trovavo
potevo veder sorridere come non mai. Cosa diavolo...?
In quel mentre mi accorsi di una
terza figura appollaiata sul bordo del letto, che si torceva le mani e
li
osservava con fare bramoso, dondolandosi avanti e indietro con le gambe
strette
al petto. Potevo sentire l’odore muschiato del sesso sin da
dove mi trovavo,
dunque potevo solo immaginare quanto fosse terribile per lui avvertirlo
da così
poca distanza. «Carlos», lo chiamò
Miguel con voce bassa e suadente,
offrendogli una mano per far sì che lui la prendesse. La
fissò guardingo,
allungandosi poi per afferrarla e lasciarsi trascinare nel bel mezzo
del letto,
venendo attirato da Jacque che subito ne approfittò per
baciarlo con le labbra
sporche di sangue. Vedere poi le sue grosse mani animalesche correre
lungo la
sua spina dorsale e i suoi artigli che lasciavano profondi solchi rossi
e che
subito dopo squarciavano la pelle, fu una vera e propria tentazione.
L’odore
del sangue mi giungeva alle narici, soffocandomi, e una strana
sensazione aveva
cominciato ad impossessarsi di me, sebbene fossi certa che non si
trattasse
unicamente di nutrimento.
«Per quanto ancora hai
intenzione
di stare lì fuori a guardare, mi corazòn?»
La voce
di Miguel mi risvegliò bruscamente da quella contemplazione,
e mi allontanai di
scatto da quella porta non appena lo vidi voltato nella mia direzione,
correndo
a ritrovo per distanziami il più possibile da quella
situazione altamente
imbarazzante. Non avrei mai creduto che sapesse della mia presenza, e
quel che
era peggio era che guardarli mi era piaciuto. Mi ero sentita una vera
pervertita.
Non seppi quanti anni passarono
esattamente da quel momento, ma in quel lungo periodo avevo
praticamente
vissuto sulle spalle di quella congrega, nutrendomi delle loro vittime
e
vivendo sotto il loro stesso tetto, stando ben alla larga da tutti
coloro che
sembravano guardarmi con cupidigia e odio puro. Essendo stata
anch’io l’amante
di Miguel - ovviamente dopo aver superato il momento di imbarazzo che
mi
portavo dietro da quando l’avevo visto a letto con quel
vampiro maschio e con
quel licantropo -, in seguito, erano in molti i vampiri che credevano
mirassi
ad un potere più alto, un potere assoluto che avrebbe
così fatto in modo che
avessi il controllo delle menti dei più giovani; il sangue
di cui mi nutrivo
era prettamente quello di Miguel, e ogni qual volta affondavo le mie
zanne
nella sua carne sentivo il suo grande potere fluire nelle mie vene,
così dolce
e simile all’ambrosia degli Dei. La vampira che ero stata
aveva lasciato pian
piano posto a quella creatura più potente, sebbene non
avessi abbastanza forza
per sfidare chi aveva molti più secoli di me; mi guardavo
bene dall’attaccar
briga con questi ultimi, tenendomi alla larga per quanto concessomi.
Durante gli ultimi giorni della
mia permanenza lì, però, scoprii la terrificante
verità che si celava dietro
quello scambio di sangue: ero stata usata unicamente come contenitore,
in modo
che Miguel potesse accumulare il proprio potere dentro di me per
rivolarlo poi
contro chi tentava di sfidarlo.
Non me ne sarei mai avveduta se
proprio uno di quei vampiri non mi avesse attaccata. Mi trovavo nel
salone,
quel giorno, intenta a sfogliare senza un reale interesse uno dei libri
contenuti nella grande biblioteca di quel castello; quella notte
c’era ben poco
da fare, e a causa della luna piena mi era stato proibito di uscire,
tutto per
non rischiare che i lupi mannari potessero attaccare anche me. A
nessuno di noi
era permesso di uscire quando i licantropi assumevano la loro forma
animale, ma
starmene chiusa lì dentro era peggio di quanto sembrasse.
In quel mentre, un rumore alle mie
spalle richiamò la mia attenzione; alzai lo sguardo dal tomo
che avevo dinanzi
e voltai la testa in direzione della porta, vedendo qualcuno
avvicinarsi a me a
passo malfermo. Carlos, il vecchio amante di Miguel, appariva stanco e
spossato, quasi non avesse bevuto neanche una goccia di sangue per
lungo tempo.
Nere occhiaie gli segnavano il viso scarno, dove l’ossatura
del cranio era ben
visibile sotto la pelle incartapecorita; i capelli erano sottili come
quelli di
un bambino, di un bianco così accecante che quasi credetti
stessi sognando.
Cosa gli era successo? Era diverso dal vampiro dalla bellezza belluina
che
avevo visto la prima volta.
«Carlos?» lo chiamai
piano,
ricevendo uno sguardo tutt’altro che intelligente. Era come
se in quei suoi
occhi profondi, che un tempo erano stati verdi e che adesso sembravano
due
oblii color pece, non ci fosse la benché minima traccia di
attività celebrare.
Avanzò piano, circospetto,
ciondolando avanti e indietro come se fosse ebbro, fermandosi a pochi
passi
quando finalmente riconobbe la mia persona. Mi squadrò per
lungo tempo con quei
suoi occhietti da serpente, nei quali vidi passare un lampo rosso che
non
riuscii a definire; in un attimo mi fu addosso e tentò di
graffiarmi, la bocca
spalancata a mostrarmi le zanne e la gola contratta e tesa, dalla quale
fuoriuscivano versi disarticolati che non avrei definito né
umani né animali.
Il tavolo dietro di me si rovesciò e libri e candele caddero
sul pavimento,
imbrattandolo di cera un attimo prima che la fiamma si spegnesse;
tentai in
tutti i modi di scrollarmi di dosso Carlos, senza capire cosa gli fosse
preso
così d’improvviso.
«Carlos!» esclamai,
quasi volessi
far presa sul suo animo, ma non servì a niente,
poiché per lui, in quel
momento, probabilmente ero solo cibo. Non potevo credere che mi stesse
attaccando a causa di un vecchio rancore, sebbene avesse potuto averne
tutte le
ragioni; pensavo piuttosto che, non essendosi nutrito abbastanza,
avesse
attaccato la prima cosa che gli era capitata dinanzi agli occhi.
Peccato che la
cosa in questione ero io.
Sentii una sua mano lacerarmi la
carne all’altezza della spalla, ed urlai con tutto il fiato
che avevo in gola;
lo colpii ripetutamente al capo con un pugno nel vano tentativo di
farmi
lasciare, ma le sue zanne affondarono nell’incavo del mio
braccio, strappandomi
un altro grido di dolore. I suoi denti raschiarono la pelle e la
squarciarono,
cominciando a spiluccare la carne e a mordicchiare l’osso
ormai scoperto,
succhiando e deglutendo il sangue che fuori usciva da quella ferita.
Urlai
ancora, cercando di afferrare Carlos per i capelli, tirandolo via dal
mio
braccio insieme a lembi della mia stessa pelle, senza riuscire
minimamente a
fermarlo. Sembrava che l’odore del sangue l’avesse
eccitato maggiormente, e
avrebbe di sicuro mirato al mio collo se non avessi reagito
d’istinto. Non me
ne resi neanche conto, ma gli artigliai il petto e lo vidi fermarsi
d’improvviso, gli occhi neri ingigantiti dalla confusione;
guardò il mio
braccio all’altezza del suo cuore e fissò poi me,
tornando a guardare verso il
basso. Sentivo il suo cuore pulsare nella mia mano come se si fosse
trattato di
una farfalla catturata che batteva freneticamente le ali, e fu la
sensazione
più sgradevole che avessi mai provato fino a quel momento.
Non ci pensai due
volte, però, a ritirare quella stessa mano senza mollare la
presa su
quell’organo pulsante, vedendo Carlos accasciarsi nel suo
stesso sangue nel
momento esatto in cui io lasciai cadere il suo cuore sul pavimento,
spaventata
da ciò che avevo appena fatto.
Mi portai entrambe le mani fra i
capelli e mi misi ad urlare, chiudendo freneticamente gli occhi come se
non
volessi vedere quell’orrore; nemmeno con il mio creatore mi
ero comportata in
quel modo, e ciò voleva solo significare che il mostro
dentro di me stava
crescendo e diventava più forte, bramoso di altro sangue e
altro dolore.
«Non pensavo che avrebbe
reagito
così», esordì d’un tratto una
voce, e fu con lentezza inaudita che alzai piano
lo sguardo verso la direzione in cui l’avevo sentita
arrivare, vedendo Miguel
fermo sulla soglia. Non sembrava affatto turbato, e sebbene non fosse
in grado
di vedere ciò che stavo vedendo io, annusava
l’aria come avrebbe fatto un
segugio, con una mano poggiata sul dorso di un grosso lupo. Jacque,
forse?
Oppure era un vero e proprio lupo, giacché i licantropi
erano a caccia? Diede
le spalle a quella scena, scuotendo lentamente il capo.
«Forse non era
sufficientemente forte per affrontare la punizione che gli avevo
inflitto».
Era stato lui a ridurlo in quel
modo? Era stato lui a far sì che non bevesse sangue per
giorni, che mi
attaccasse e che io lo ammazzassi? Non riuscivo a credere che avesse
così poca
considerazione dei vampiri che gli stavano attorno e che gli giuravano
fedeltà.
Lo guardai con odio, chiudendo le
mani a pugno così forte che mi ferii con le mie stesse
unghie i palmi di esse. «Che
tu sia maledetto, Miguel!» gli urlai contro tutto il mio
disprezzo, le labbra
che tremavano per la rabbia che cercavo inutilmente di reprimere.
«Che tu sia
maledetto!»
A quelle mie parole Miguel si
voltò appena verso di me, poggiando una mano contro il muro
di pietre. «Adesso
mi disprezzi, chica,
ma un giorno
farai tesoro di queste tue esperienze e del dono che ti ho fatto.
Credimi», mi
sussurrò, schioccando le dita per richiamare il suo lupo.
Io restai lì, sola, con le
mie vesti
lacere e sporche, in ginocchio nella pozza nerastra del sangue di
Carlos e con
le sue carni divenute ceneri che cominciavano a disperdersi
nell’aria
circostante, affranta e sconcertata da ciò che era appena
accaduto. Fu a quel punto che decisi di scappare
una volta per tutte, allontanandomi da quel luogo di morte e desolazione.
Dopo
quel nostro incontro non ero più stata la stessa.
Miguel, pur non direttamente, mi
aveva praticamente addestrata e mi aveva fatta diventare un vero e
proprio
mostro, facendo in modo che conoscessi il piacere perverso che si
provava
durante una caccia e l’eccitazione innaturale che il sangue
fresco poteva
scatenare in esseri come noi. E quella era stata una cosa terrificante
e
meravigliosa. Nel primo periodo della nostra convivenza pendevo dalle
sue
labbra, assorbendo ogni sua parola come se fossi stata una spugna,
vogliosa più
che mai di imparare. Se avessi saputo prima cosa stessi imparando,
però,
probabilmente sarei scappata da quel luogo di morte seduta stante,
senza
fermarmi neanche una notte. Invece ero rimasta lì, avevo
veduto la vita da
incubo che conduceva la mia stessa specie, avevo ucciso centinaia di
persone
soltanto per cercare di restare a mia volta in vita. Ero diventata un
assassino.
Era stato soprattutto il rendermi
conto di quella consapevolezza a spingermi a lasciare Miguel una volta
per
tutte. Non che non avessi più ucciso, in seguito. Lo facevo
allora come lo
faccio tuttora, ma solo per sopravvivere, non per puro e semplice
divertimento.
Una parte di me non si vergognava di dire che aveva goduto non poco
nell’aver
provato il brivido di quelle notti di caccia, ma l’altra si
era opposta
fermamente per quanto concessole da quella mia natura ormai corrotta.
La mia
vita era diventata un vero e proprio delirio, forse anche a causa di
quel
contrasto che era avvenuto nel mio animo durante quel mio primo secolo
di vita.
Adesso, però, sto bene. So
qual è
il mio posto in questo mondo e ho messo a tacere la parte umana che
avevo
conservato per più di cinquecento anni chiudendola in una
maledetta bara,
sebbene sia diventata piuttosto schiva e distante e, per quanto odi
ammetterlo,
anche particolarmente stronza. Quando si vive troppo a lungo e si
vedono le
epoche cambiare succede, suppongo.
Ho anche lasciato le lande sperdute
del Messico da così tanti secoli che non ho neanche un reale
ricordo di quei
posti lontani dalla rada vegetazione, integrandomi invece perfettamente
in
quella città che porta il nome di St. Louis. Un bel posto,
non c’è che dire,
popolato da oltre un migliaio di vampiri senza che gli esseri umani che
la
abitano se ne siano mai accorti. E’ il posto perfetto per
ricominciare. Che ci
sia arrivato anche Miguel, poi, è un discorso a parte.
State attenti alla vecchia
signora con la falce. Lei è ovunque, pronta a mostrarsi
quando meno la si
aspetta. Forse non lo sapete, ma lei è una signora che ha
tutta l’eternità del
mondo nelle sue fredde mani. Si limita semplicemente a pazientare prima
di
ghermirvi.
Quando vi ritroverete da soli in luoghi
bui, or dunque, ricordate queste mie parole: la morte non bussa, lei
entra e
basta.
WHEN THE DEATH COMES
FINE
_Note
conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
Questa
storia è stata scritta per il contest
“Bitten
by Vampires” indetto
da Illunis, e anche se non abbiamo raggiunto il numero è
stato comunque bello partecipare. Mi
è difatti piaciuto moltissimo
scriverla, forse per il fatto di dovermi calare nel passato della
protagonista e far capire dunque cosa l'avesse spinta a diventare
così.
Come già accennato nello
specchietto introduttivo, essa è il prequel della long
fiction Under
a bloody sky, facente parte della serie St.
Louis ~ Bloody Nights.
Era
ormai da tantissimo tempo che avevo intenzione di scrivere
l’inizio di quel
racconto, quindi il contest è servito allo scopo. Come
già detto, scriverla
per me è stato un vero piacere. Ho potuto così
mostrare un lato di Lewis che
non avevo mai accennato nelle restanti storie, sebbene esso emerga di
tanto in
tanto nelle sue azioni e nel modo in cui si pone.
Spero che la storia sia
piaciuta. ♥
VINCITRICE DEL PREMIO
PENNELLO PER LA MIGLIOR AMIBIENTAZIONE GOTICA/LUGUBRE
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
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