Bell
dai
sette
colori
Il
cielo era in tempesta. I forti venti che venti che avevano picchiato
fin dal mattino contro le finestre avevano raccolto nuvole nere e
sradicato vari alberi nella foresta.
Saltai
fuori dal sicuro riparo delle coperte che vi aveva offerto la vecchia
dama e corsi a perdifiato attraverso la città diretta al
cottage sulla montagna. Il mio vecchio rifugio. Ogni volta che venivo
qui prendevo una campanella e pensavo al passato. Ora che avevo molti
nomi, chissà quali fantasmi regnavano in quella catapecchia.
Un
fortissimo lampo, seguito dal tuono, riempì il cielo. Mi venne
la pelle d'oca. Si sentì un penoso rumore di legno che andava
in pezzi, mi caddero addosso delle gocce. Accelerai il passo senza
pensarci. Un tremore mi scosse.
La
scena che mi si parò davanti fu... indescrivibile.
Una
gigantesca nuvola di fumo mi stordì le narici e mi scottò
la pelle. La montagna era in fiamme e il forte vento stava
accelerando l'incendio. Presa dal panico balzai nella casa di legno.
Sembrava di essere tra le braci di una stufa. Ma, pur in mezzo alle
fiamme e al legno carbonizzato, dovevo salvare le campanelle. Erano
l'unica prova che quelle ragazze avessero vissuto ed erano l'unica
cosa che mi facesse sentire a casa. Raccolsi le sette campanelle e
corsi verso l'uscita, che però trovai già ingombrata
dal fuoco. Saltai attraverso una finestra rotta sul suo davanzale,
pensando che di lì a poco sarei bruciata viva. Potevo
percepire la distruzione che mi circondava.
Fuori
dalla finestra mi attendeva un burrone. Saltai dal mio appiglio e mi
preparai ad affrontare la caduta. Dopo tutto, avevo le campanelle
strette saldamente nella mia bocca.
Dopo
aver perso i sensi, mi svegliai nella pioggia battente. Sentivo
ancora l'odore del fuoco e la pioggia ora stava cadendo ancora più
forte, sapevo di essere tutt'altro che fuori pericolo.
Accasciata
al suolo, non riuscivo a sentire ancora né le braccia né
gambe. Chiesi al cielo se quella fosse la mia punizione. Era questo
che mi meritavo per aver rubato la felicità delle ragazze,
atto folle e sconsiderato?
“...!”
Nel
mondo coperto di cenere, una voce mi stava chiamando.
No.
Non era il mio nome.
Eppure....
“Maria!
Maria!”
Sì,
quello che mi stava chiamando non era altro che il mio amato.
“Maria,
tieni duro! Non morire!”
“Oh,
sì! Mio amato! Mio vero amore! Non abbandonarmi!” urlai
disperatamente. Non mi lasciare nello sconforto, ti prego! Fammi
vivere! Pensai che se mi avesse perso non avrebbe mai più
rivisto la sua amata Maria. E non pensai solo a lui. Anrì,
Fleur, Silvia... Lotte, Bisque, Chris... erano tutte bellissime, e
non le avrebbe mai più riviste nessuno.
“Non
uccidermi!” urlai “Non uccidere la tua amata, ti prego!”
Tremando,
gli porsi le sette campanelle. Se vuoi, prendile. Solo, non lasciare
che le loro famiglie perdano la speranza.
Mi
guardò come se volesse dire qualcosa. Poi, prendendo le
campanelle, si girò e corse via. Sembrava che venisse lavato
via dalla pioggia, mentre si allontanava e si faceva sempre più
piccolo. Provai a chiamarlo, ma non riuscii a mettere in fila le
parole. Se fossi riuscita a parlargli forse avrei fatto l'errore di
dire cose di cui non sarei mai stata capace.
Mentre
pensavo a come la pioggia avrebbe lavato via anche la mia anima,
pensavo all'ultima persona che mi aveva considerato la sua famiglia.
Forse non ero quella che loro avevano amato, ma io amavo le mani
calde e gentili che mi avevano stretto. Avevo mentito e dissacrato la
morte, tutto per vendetta.
Eppure
ero lì che piangevo. Lì, ad un passo dalla morte, ero
molto vicina alle sette ragazze e potevo, finalmente, piangere
davvero per loro. Dopo tutto, lo sapevo. Lo dovevo sapere, no? Tutto
ciò che volevo... era vivere.
La
pioggia bagnava il grigio fianco della montagna, assorbendo la luce
da ogni cosa. Ero immersa nel buio e nella pioggia.
Udii
chiaramente il suono di una campanella. Almeno potevo dire che le mie
orecchie funzionavano ancora. Indirizzai i miei sensi verso la fonte
del suono. Poi, subito dietro, udii dei passi e delle voci
avvicinarsi.
“Forza,
Anrì!”
Pensai
di aver cominciato ad immaginarmi le voci. Doveva essere un ricordo
legato alla campanella. Nessuno mi avrebbe mai cercata.
“Fleur!”
“Silvia!”
Non
poteva essere... sbattei le palpebre. Perché? Da sotto la
cenere cadente, potevo scorgere delle figure. Mi circondarono. Il
ragazzo, il falegname, Mama.
“Lotte!”
“Bisque!”
“Chris!”
No.
I bambini... e il maestro. Lo scrittore, e la signora!
“No”
Provai a dire senza successo.
Non
guardatemi! Vedreste le mie menzogne! Non
odiatemi!
Non sono mai stata la ragazza che voi avete amato.
“Lo
sapevamo già”, fu la risposta di colui che aveva usato
le campanelle per radunare gli altri. Mi strinse, mentre mi avvolgeva
in un asciugamano tiepido. Poi mi diede le campanelle.
“He
he. Lo sapevamo già. Dall'inizio”.
Quando
mi baciò il collo sentii il sapore delle lacrime. “Non
lo vedi? Quella che noi abbiamo amato non è un fantasma del
passato”.
Le
sue parole mi stavano perdonando.
“Sappiamo
che hai detto quelle bugie per aiutarci. Nessun altro avrebbe potuto
farci stare così bene e darci così tanta gioia. Noi
tutti ti ringraziamo. Te e le tue campanelle”.
Chiusi
gli occhi, ma le lacrime scesero ugualmente. Avevo pensato che la mia
vita fosse una bugia dopo l'altra. Non più. Finalmente l'avevo
capito. Il mio nome sarebbe stato Bell, dai sette colori. Un nome
donatomi dalla mia famiglia e dai miei amici.
Io
sono Bell.
Con
i miei sette colori, ero la più amata nella città.
Io
sono Bell.
E,
avendo addirittura sette nomi, sono la gatta più fortunata del
mondo.
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