Storia arrivata quinta al Multifandom Prompt Contest indetto sul forum da alister_, con i prompt “Fiamma” e “Occhi vitrei”. Sono soddisfatta del mio quinto posto, soprattutto perché la storia l’ho scritta davvero al limite della scadenza, nonostante fosse già delineata da un po’, e non mi sono accorta di alcuni errori davvero stupidi. Ma sapete com’è, real life stuffs and all.
By the way, spero vi piaccia! :)
EDIT DEL 17/07/2013: In occasione dell'inserimento di Fuoco cammina con me nelle Scelte di questa sezione, ho deciso di darle una sistemata - sia a livello grafico, con il font che uso ultimamente e un nuovo html, sia a livello grammaticale, sistemando sviste, errori e altre brutture che mi erano sfuggiti. Non so se qualcuno la leggerà dopo tutto questo tempo, ma in tal caso, ancora una volta, buona lettura!
Mana Sputachu
Fuoco.
Un
fuoco che bruciava ogni cosa e che lentamente devastava tutto
ciò che aveva attorno.
Fiamme
che avanzavano senza sosta, e due occhi vitrei che lo seguivano
costantemente nella sua fuga.
Cercò
di urlare ma il grido gli morì in gola, trasformandosi in un
flebile suono.
Corse
a perdifiato tra la boscaglia – credeva di correre, in
realtà stava solo arrancando a fatica, inutilmente; le
fiamme stavano per raggiungerlo, e con loro quello sguardo spettrale.
Sentì
il calore dietro di sé, senti che il fuoco stava bruciando
ciò che rimaneva di quel bosco…
“…E
fra poco brucerà anche te.”
Jin
si svegliò di scatto, trattenendo a stento un urlo.
Si
guardò attorno. Era nella sua stanza, nel suo letto, al
sicuro. Forse.
Quel
sogno maledetto. Ancora…
Diede
uno sguardo alla sveglia sulla sua scrivania. Le cinque. Nel giro di
mezz’ora avrebbe albeggiato – e
il cielo si sarebbe tinto di rosso, la luce del sole nascente avrebbe
accarezzato i profili del paesaggio, dando l’impressione di
bruciare ogni cosa.
Tornò
ad accoccolarsi tra le coperte, contento di non doversi preparare per
la scuola; era già da qualche giorno che si assentava, dopo
essere svenuto un paio di volte durante le lezioni. Il medico aveva
detto che poteva essere un po’ di anemia, e che qualche
giorno di riposo più qualche esame, per precauzione,
avrebbero risolto tutto…
…ma
quel medico ovviamente non ha idea di cosa mi sta succedendo. E ad
essere sinceri non lo so nemmeno io.
In
effetti quei mancamenti erano stati solo l’inizio di qualcosa
ben più preoccupante, di cui non aveva ancora trovato la
causa.
Era
cominciato tutto con alcuni sogni piuttosto strani diventati ormai
ricorrenti.
Incubi
in cui si trovava a correre in un bosco in fiamme, o in corridoi
lugubri che sembravano infiniti; in ogni sogno, c’era sempre qualcuno
o
qualcosa
ad osservarlo.
Inizialmente
erano stati sogni sporadici che non sempre era riuscito a ricordare una
volta sveglio. Ma pian piano avevano iniziato a diventare
più frequenti, più nitidi, riuscendo a ricordare
sempre più particolari. E in ogni sogno, c’era lui.
Non
sapeva chi fosse. All’inizio era solo la presenza che lo
seguiva ovunque e lo osservava; poi aveva cominciato a interagire
con lui, senza però mostrarsi in volto.
Poi
decise infine di palesarsi. Non più solo nei suoi sogni.
Lo
vedo ovunque, per strada, tra la gente… mi ossessiona e
continua a parlare nella mia testa!
È…
è impossibile, sto impazzendo…
Provare
a spiegare tutto questo ad altri era impossibile: chi avrebbe mai
potuto credere a qualcosa – qualcuno
che
dai tuoi incubi riesce a manifestarsi anche nella realtà?
Mi
prenderebbero per pazzo. E anche io comincio a credere di non essere
molto sano…
Si
rannicchiò ancora di più nelle coperte, sentendo
un improvviso bisogno di piangere. Aveva accumulato troppo stress, e
non potersi sfogare con nessuno lo stava lentamente logorando.
Stava
asciugandosi le lacrime quando sentì bussare alla porta
della sua stanza.
“Posso
entrare?” Era la voce di sua madre, Jun.
Non
fece in tempo a risponderle, era entrata comunque. Era una sua
abitudine.
“Jin
sei sicuro non vuoi che rimanga a casa? Non vorrei ti sentissi male
mentre sono a lavoro…” chiese, ma lui fece cenno
di no con la testa. “Sono solo un po’ debole, vai.
Non puoi permetterti di stare a casa altri giorni.”
Sua
madre lo guardò per un momento, poi annuì:
“Ok. Quando hai fame scendi in cucina, ti ho lasciato il
pranzo pronto. Chiama sei hai bisogno di qualcosa.”
Detto
questo andò via.
La
freddezza di sua madre istigò di nuovo a scendere quelle
lacrime che aveva tenuto a bada a fatica, mentre parlavano.
Di
solito sua madre era una persona dolce ed affettuosa, ma da qualche
tempo i rapporti tra loro erano diventati tesi.
La
mancanza di una figura paterna per Jin non era mai stata un problema.
Sua madre aveva fatto davvero di tutto per non fargli mancare nulla, e
casa sua era sempre rallegrata dalla presenza degli amici di lei, ex
partecipanti di un vecchio torneo di arti marziali a cui aveva preso
parte da giovane. Ne aveva sentito parlare spesso, e non si stancava
mai di ascoltare i loro racconti – spesso romanzati e
“riadattati” per risultare più
avvincenti agli occhi del piccolo Jin, ma a lui poco importava se
venivano esagerati. Adorava quei racconti.
L’unica
cosa di cui nessuno gli aveva mai parlato era suo padre.
Quando
da bambino aveva chiesto dove fosse il suo papà, Jun aveva
risposto in maniera piuttosto evasiva. Per un bimbo piccolo quella
risposta può anche andare bene… ma crescendo
aveva maturato una naturale e legittima curiosità
sull’identità del genitore assente, e aveva
più volte chiesto spiegazioni ricevendo però le
solite mezze risposte, che avevano finito per infastidire sia lui sia
sua madre. Ma mentre il suo fastidio era dato dal non riuscire ad
ottenere le informazioni che voleva, quello di sua madre gli era
incomprensibile. Poteva capire che per lei potesse essere forse una
ferita ancora aperta, una parte del suo passato che le faceva male
dover ricordare… ma anche lui aveva il diritto di sapere!
Era una richiesta così assurda?
Perché
non vuole raccontarmi nulla? Mi sta forse nascondendo qualcosa?
Era
ormai certo che doveva esserci ben altro dietro al rifiuto di sua madre
di rivelargli qualcosa su suo padre. Purtroppo affrontarla apertamente
per l’ennesima volta aveva portato alla fase di stallo in cui
si trovavano ora, entrambi arroccati sulle proprie posizioni e senza
intenzione di cedere. Sapeva che prima o poi la tensione si sarebbe
sciolta, era sempre così nelle loro discussioni;
però era davvero pesante da sopportare, soprattutto in un
momento in cui avrebbe davvero voluto poterle parlare di quegli incubi
che lo tormentavano e lo stavano sfiancando mentalmente e fisicamente.
Avrebbe potuto farlo comunque, ovviamente, ma era pur sempre un
adolescente in piena fase di ribellione, cosa che insieme alla
testardaggine – difetto di famiglia – aveva la
meglio sul buonsenso.
Si
girò su un fianco, sperando di riaddormentarsi e sprofondare
in un sonno senza sogni.
Quando
si svegliò erano le due del pomeriggio.
Era
riuscito a dormire a tratti, ma nel complesso aveva recuperato qualche
ora di sonno. E soprattutto non aveva avuto incubi, per quel che poteva
ricordare.
Il
pasto abbondante lasciatogli da sua madre, più qualche snack
non previsto che si era concesso approfittando della sua assenza, lo
aveva rimesso in forze.
Decise
di concedersi un bel bagno. Aveva bisogno di rilassarsi un
po’, e soprattutto era il caso che facesse una doccia, dopo
aver sudato tutta la notte per via del sonno agitato.
Entrò
in bagno, e nel passare davanti allo specchio si fermò ad
osservare il suo riflesso. Era visibilmente stanco e
sciupato… ma non solo. C’era
qualcos’altro nel suo sguardo, qualcosa che non riusciva a
cogliere…
“Probabilmente
perché non è ancora il momento.”
Scosse
la testa violentemente. Non
di nuovo, no!
“Che
c’è, non sono più il benvenuto nella
tua testolina?”
Tutto
questo non è reale, non è possibile,
non… eppure
lui
era
lì che lo fissava.
La
cosa che lo aveva inseguito nei suoi incubi era tornata a tormentarla
anche nella sua mente… e lo osservava dallo
specchio.
Jin
guardò terrorizzato quel riflesso che non era più
il suo: era sempre lui, con la sua fisionomia, i suoi capelli, i suoi
lineamenti. Ma allo stesso tempo non lo era più, era quell’altro;
era identico a lui, ma aveva un pallore spettrale e occhi vitrei che lo
scrutavano, cerchiati di nero come avesse delle profonde occhiaie.
L’espressione che aveva perennemente dipinta sul volto era
melliflua, sorridente in una maniera quasi perversa. Aveva
l’aria di chi era in
attesa di
qualcosa… o di qualcuno.
“Oh
su, smettila di guardarmi come se avessi appena visto il mostro sotto
al tuo letto!” lo
apostrofò.
Si
avvicinò allo specchio, tremante. “Chi sei, c-che
cosa vuoi da me?!”
“Chi
sono? Ma sono TE, sciocchino!” disse
il suo riflesso, lasciandosi sfuggire una risatina isterica che gli
gelò il sangue. Jin continuava a non capire, come poteva
quella cosa essere
lui?
“E’
ancora presto per le spiegazioni, ragazzino, non capiresti…
ti manca ancora qualche tassello della storia, che al momento ti viene
negata” disse,
e Jin non potè fare a meno di pensare a tutte le risposte
evasive di sua madre riguardo l’identità di suo
padre. C’era forse un nesso?
L’altro
sembrò leggergli nel pensiero. “Forse
sì, forse no, chi lo sa? Davvero piccolo, non crucciarti
troppo su questo… arriverà il tempo delle
risposte. Devi solo maturare un po’ di rabbia e di follia nel
frattempo, per completarci…”
disse quasi sussurrando. Jin era più confuso e spaventato di
prima. “I-io non capisco, come puoi essere me? E
perché serve la rabbia per…
completarci?” chiese. L’altro sorrise, un sorriso
folle, e fece cenno di si con la testa, con un movimento quasi
isterico. Nel frattempo, l’ambiente intorno a loro era
cambiato; le pareti del bagno sembravano vecchie di anni, annerite come
se fossero sopravvissute ad un incendio. Poteva sentire distintamente
l’odore di fumo, e un rumore che gli ricordava il crepitio
delle fiamme…
“Certo
che si, la rabbia e la follia sono la mia... la NOSTRA linfa, il NOSTRO
potere! Ma capirai più avanti, piccoletto,
tranquillo… per ora, limitiamoci a dare il via ai giochi, e
facciamo scattare la prima scintilla di rabbia dentro di te!”
“Cosa intendi…?” chiese, pentendosene
quasi subito. L’altro sorrise, mettendo in mostra i canini
come una bestia. Raddrizzò la schiena e allargò
le braccia in un gesto teatrale.
“Dimmi
una cosa amico mio: danzi mai col diavolo nel pallido
plenilunio?” (1).
E
la stanza venne inghiottita dalle fiamme, che divamparono
all’improvviso. Il fumo gli impedì di urlare,
potè solo tossire e cercare di difendersi inutilmente dal
fuoco che avvolgeva ogni cosa.
Da
dietro lo specchio lui
osservava,
con quegli occhi che sembravano cataratte. E
rideva.
Si
svegliò di colpo, e maledisse mentalmente
l’ennesimo incubo.
Per
la frustrazione afferrò il primo oggetto a portata di mano
sulla scrivania, e lo lanciò in fondo alla stanza. Non lo
fece sentire meglio, ovviamente, ma doveva in qualche modo scaricare la
tensione.
Sto
impazzendo. Sto lentamente impazzendo, confondo realtà e
incubi… e lui è sempre lì, e si prende
gioco di me! Che vuol dire che lui è me? Danzare col
diavolo… nel pallido plenilunio? Cosa vuol dire?
Si
portò le mani alle tempie e trattenne a stento un singulto.
Tutte quelle frasi sconnesse, quei giochi di parole, lo stavano
mandando in confusione. Non capiva, eppure sembrava che tutto, per
lui,
avesse un filo logico.
Ma
qual è questo nesso? E perché
c’è sempre il fuoco?
Non
fece in tempo a domandarselo, che un odore di bruciato gli invase le
narici. Non lo aveva notato subito, ma si stava facendo più
intenso.
Viene
dal piano di sotto?
Scese
di corsa al pianterreno. Aveva notato poco prima, dalla finestra della
sua stanza, che era ormai buio. Sua madre doveva essere ormai rientrata.
“Mamma?”
Nessuna
risposta.
“Mamma…?”
Ancora
silenzio. Arrivato nei pressi della cucina l’aria era quasi
irrespirabile per il fumo.
Proveniva
dal giardino.
Si
fiondò fuori dalla porta sul retro, e venne investito da un
calore insopportabile. Le fiamme stavano invadendo il giardino, ma non
capiva da dove era partito l’incendio. Mentre si guardava
attorno alla ricerca di qualcosa con cui spegnere le fiamme, il suo
piede poggiò su qualcosa di umido, vischioso, caldo.
Guardò
in basso.
Sangue.
E
sua madre, stesa su quella pozza, che rantolava a fatica.
“Mamma!
Mamma!”
Urlò
con tutto il fiato che aveva in corpo, ma il crepitio delle fiamme
copriva la sua voce, mentre il fumo lo faceva tossire. Si
accasciò accanto a lei, che debolmente cercava di parlare e
dirgli qualcosa, ma non capiva cosa…
Non
può essere, non sta accadendo a me, non…
“Certo
che sta accadendo a te. Tutto accade per una ragione ragazzino, persino
questo.”
Non
mancò di farsi vivo nemmeno in quegli istanti. Sembrava
addirittura che sapesse che sarebbe accaduto – forse era
causa sua? Non lo sapeva.
“E’
solo una stupida vita umana, un piccolo sacrificio per qualcosa di
immensamente più grande, per il potere!”
Jin
cercò di ignorare quei deliri, e concentrarsi su sua madre.
Doveva aiutarla, chiamare qualcuno – ma chi? E poi non poteva
allontanarsi, non con lei in quelle condizioni.
La
donna gli fece un debole cenno col braccio, ma continuava a non capire.
“Cosa
mamma, cosa vuoi dirmi?! Mi dispiace, mi dispiace, è colpa
mia…” disse, anche se la colpa non era sua si
sentiva in colpa per tante altre cose: per quella stupida discussione,
per la sua insistenza – per non averla abbracciata
un’ultima volta.
Il
viso di lei si deformò improvvisamente in una smorfia
terrorizzata.
“V…
ia… va via…”
Jin
riuscì a sentire solo questo, poi un dolore atroce lo colse
alla schiena, e si ritrovò steso per terra a molti metri di
distanza.
“E’
solo una delle tante prove che affronterai ragazzino, solo una pedina
sulla grande scacchiera che diventerà la tua vita. Le mosse
che farai ti porteranno al compimento di quella che sarà la
tua vendetta. E la mia gloria.”
Fu
l’ultima cosa che sentì.
Poi
un’imponente figura gettò un’ombra su di
lui, avanzando lentamente.
Mentre
le fiamme danzavano attorno a lui- nel
pallido plenilunio,
con quella voce diabolica che ancora gli ronzava nelle orecchie, perse
i sensi.
E
scese il buio.
Fu
il picchiettio leggero della pioggia contro i vetri a risvegliarlo.
Si
guardò attorno, sperando di svegliarsi ancora una volta
nella sua vecchia stanza. Ma sapeva di sbagliarsi. Il suo ufficio della
Mishima Zaibatsu lo accolse così come l’aveva
lasciato prima di perdere
i sensi –
immerso nel buio, i mobili distrutti, documenti sparsi ovunque. Era uno
dei segni del suo
passaggio.
“Buongiorno,
raggio di sole.”
Ovviamente
non mancò di farsi sentire nemmeno in quel momento
– perché
non lo lasciava mai in pace.
Jin
non rispose, e si limitò a osservare il paesaggio fuori
dalla finestra, rannicchiato in un angolo. Pioveva, una pioggerella
leggera. Il cielo iniziava a tingersi di rosso, segno che
l’alba stava per arrivare –e
avrebbe accarezzato i profili della città, dando
l’impressione di bruciare ogni cosa. Ancora e ancora.
Quella
metafora gli fece venire i brividi. L’incubo di prima non era
altro che un dettagliato racconto del giorno in cui sua madre
morì; di come l’altro sé stesso
iniziò a manifestarsi – di
come il fuoco iniziò a segnare il suo cammino, a seguire i
suoi passi, a bruciare ogni cosa che toccava, ogni suo legame, ogni
persona a cui si legava.
Fuoco
cammina con me… (2)
Le
fiamme lo avevano accompagnato per tutta la sua vita, e avevano
distrutto tutto ciò che aveva provato a costruire.
“…dimostrando
come io e te in fondo siamo molto più simili di quanto
credi, ragazzo.”
Gli
bastò voltarsi verso il vetro della finestra, per vederlo
– lì, nel suo riflesso, identico a lui. Vide
quegli occhi vitrei che lo fissavano come avevano fatto per tutta la
sua esistenza, quel sorriso falso che prometteva solo
l’inferno in cui già viveva.
Con
un gesto colpì la finestra, come a voler cancellare quel
riflesso.
Io
non sono come te. Tu non sei me!
Per
tutta risposta, una risata gli risuonò nelle orecchie.
“Ne
sei davvero sicuro? Sai, anche se ero io a muoverti come una
marionetta, era la tua faccia quella che il mondo ha visto! Sei
colpevole tanto quanto me!”
Jin
lanciò un grido disperato, che sapeva non sarebbe servito a
zittire quella voce, né a lenire la sua sofferenza.
“Puoi
continuare a negarlo quanto vuoi, ma lo sai benissimo che non siamo poi
così diversi! Sai, si dice che il fuoco attrae
l’uomo che vi si identifica.(3)
Io
e te siamo le facce di una stessa medaglia, ragazzino. Accettalo.”
Lui
rise più forte, mentre Jin continuava a urlare il suo dolore.
E
mentre l’alba arrivava a illuminare la città, le
tenebre avvolsero la sua mente ancora una volta, facendolo sprofondare
di nuovo nei suoi incubi senza fine.
NdA:
Ho usato diverse citazioni da film, che trovate elencate qui di seguito.
Inoltre nella storia ho dato per assunto che Devil Jin sapesse in qualche modo dell’arrivo di Ogre e dei suoi piani, e di quanto stesse per succedere a Jun. Namco non ha mai specificato nulla su una possibile correlazione tra le due cose, ma mi piaceva l’idea che lui potesse saperlo e usarlo come prima “scintilla” per la rabbia di Jin – che è la causa del risveglio di Devil Jin nel suo finale in Tekken 3, come sappiamo (non solo la pallottola in testa ecco XD). La mia idea era di creare una sorta di incubo alla David Lynch in forma scritta; non so se ci sono riuscita, e davvero ne dubito, ma spero vi sia piaciuta comunque.
(1) Citazione da Batman, il primo film del 1989, con Jack Nicholson nei panni del Joker; questa frase la dice proprio Joker a Batman (Michael Keaton): può sembrare slegata dal contesto della mia storia, ma mi piaceva l’immagine del diavolo-Devil Jin che “danza nel pallido plenilunio” con il piccolo Jin… una metafora che indica Devil Jin che osserva il ragazzino assistere impotente alla morte della madre e iniziare a covare odio e desiderio di vendetta, il tutto alla luce della luna di quella notte maledetta. Ok, nella mia testa aveva più senso, spero si capisca lo stesso <.<
(2) Questa frase, che fa da titolo alla storia, è anche il titolo di uno dei miei film preferiti di David Lynch, prequel della famosa serie tv Twin Peaks, che amo follemente. Visto il prompt scelto era adatto, e mi ha dato anche una guida su come usare l’immagine del fuoco – l’incendio ma anche il fuoco che distrugge qualunque cosa/Jin che distrugge tutto ciò che ha attorno sotto l’influsso del Gene Devil.
(3) Aforisma di Elias Canetti, scrittore e saggista bulgaro e premio Nobel alla scrittura nel 1981. Anche in questo caso la frase era molto adatta all’immagine che avevo scelto di seguire: il fuoco attrae l’uomo che vi si identifica, e così Jin, che pur cercando di allontanarsene finisce per venirne attratto e travolto (in senso fisico e metaforico). |