Grazie a Calime, Cucciola 83 e Tonkseremus4ever per aver letto e
commentato la precedente storia, e grazie a Lu per avermi suggerito il tema di
questa.
Alla fine arriva Tonks.
Ninfadora Tonks era depressa.
Questo suo particolare stato d’animo, che non le si
addiceva minimamente, derivava dal fatto che era sconvolgentemente e oscenamente
in ritardo per il pranzo a casa Weasley. E se c’era una cosa che mandava la
dolce e socievole signora Weasley fuori dai gangheri, più delle orecchie
oblunghe progettate dai gemelli o dalla nuova ragazza di Bill, tale Flebo Fleur,
era che qualcuno osasse arrivare in ritardo ai suoi pranzi domenicali.
Ninfadora era a conoscenza della nevrosi da
ritardatari di Molly, ma nonostante tutto quello che cercava di fare, giorno
dopo giorno, per evitare di presentarsi al suo cospetto per ultima, proprio non
riusciva ad evitarlo. La ragazza si guardò attorno con una punta di panico che
cominciava a salirle dalla bocca dello stomaco e a propagarsi, come una marea
montante, verso l’alto diretta, come l’espresso per Hogwarts, verso il suo
giovane, eppure ultimamente molto provato da pene d’amore, cuore. Si trovava nel
salotto del suo appartamento, completamente vestita con abiti babbani, non
eleganti ma puliti e quasi ordinati (in fondo non era colpa sua se la moda
babbana giovanile prevedeva larghi squarci nei pantaloni, magliette piene di
strass luccicanti e cinture borchiate quasi più pesanti di lei), in mano una
giacchetta, gli occhiali da sole, la borsa e… basta.
Per quanto si sforzasse Tonks non riusciva a
ricordare dove avesse posato le chiavi di casa.
Ora, se Nonfadora fosse stata una persona
normale l’accidentale perdita delle chiavi di casa avrebbe provocato un leggero
moto di rabbia, seguito forse da qualche esclamazione poco educata, un’affannosa
ricerca nei posti più classici e il loro pronto ritrovamento nell’arco di
qualche misero minuto.
Ma Ninfadora non era una persona normale, e non
solo perché era una strega, e neanche perché era un Auror, e meno che meno
perché era una metamorfomagus, no. Non era normale semplicemente perché era, a
detta di tutti quelli che la conoscevano, disordinata. Ma lei sapeva una cosa
che la maggior parte delle persone, in particolare quelle ordinate, ignorava
della vita.
Non c’è un solo tipo di ordine, ci sono molti
ordini, lei ne aveva un tipo che in pochi riuscivano a capire. Si guardò intorno
per la stanza, ovunque c’erano fogli sparsi: non solo sul tavolo, anche sulle
sedie, sul divano, sotto il divano, per terra, sopra l’acquario; c’erano vestiti
un po’ ovunque, in parte a coprire i figli sparsi, in parte coperti da questi,
c’erano scatole, custodie, libri, riviste, tutto ammonticchiato in modo tale da
mandare in crisi chiunque.
Non ovviamente chi, come lei, sapeva dove
cercare quando aveva bisogno di qualcosa. Tonks aveva provato spesso ad
adattarsi all’ordine degli altri, ma sempre con scarsissimi risultati, aveva
bisogno del suo, di ordine e non solo per dove appoggiare gli oggetti, ma anche
del suo ordine mentale.
E era proprio in questo suo schema mentale che
si collocava il rituale magico delle chiavi di casa. Perché Tonks oltre ad
essere leggermente disordinata, era anche spesso leggermente in ritardo: le
piaceva arrivare puntuale, ma non le piaceva per niente alzarsi presto la
mattina, non avere mai tempo per se stessa e, soprattutto, aspettare. Odiava
aspettare e quindi si metteva sempre nelle condizioni tali da poter arrivare ad
un appuntamento spaccando il minuto, cosa che, proprio per la sua vaga
attitudine al disordine, spesso e volentieri non capitava.
Per ottimizzare i tempi aveva escogitato una
vera e propria tattica d’assalto, mentre finiva di prepararsi metteva le chiavi
in un punto ben visibile, dove sarebbe sicuramente passata, in modo da
acchiapparle al volo uscendo di corsa. La pecca in questo suo brillante
comportamento risiedeva nel fatto che spesso, questa fantomatica superficie in
bella vista, non era affatto così in vista.
Capitava, così com’era successo quella mattina,
che prendesse le chiavi in mano, le portasse da qualche parte, le mollasse in
giro, improvvisamente e improrogabilmente attratta da qualche altro oggetto o
situazione assolutamente non dilazionabile e poi… si dimenticasse dove le aveva
appoggiate. Così succedeva, come stava giust’appunto succedendo in quel preciso
momento, che passasse minuti, quando non ore, a cercare quelle benedette chiavi
sotto la pila di fogli, riviste, libri, vestiti, custodie, ecc. che occupavano
l’angusto spazio del suo (dis)ordinatissimo appartamento.
In quel preciso momento Tonks stava
scandagliando con lo sguardo, mentre era altrettanto impegnata a mordicchiarsi
gustosamente l'unghia dell’indice della mano destra, l’appartamento cercando
disperatamente, e rapidamente, di ricordarsi dove aveva lasciato il suo
portachiavi.
Ad aumentare il senso di depressione che stava,
lentamente ma inesorabilmente, impadronendosi di lei, sostituendo il panico da
imminente sfuriata di Molly, c’era il fatto che il suo portachiavi non era
piccolo, no, per niente. Attaccato al mazzo aveva un piccolo lupacchiotto di
peluche, con due occhioni scuri che, quando era così fortunata da averlo tra le
mani, la guardavano con lo sguardo adorante da cucciolo.
Tonks pestò un piede a terra, mugugnando il suo
disappunto e il suo dolore per aver accidentalmente pestato un tomo di pozioni
che era abbandonato lì da qualche mese, utilissimo come antifurto: qualunque
ladro fosse entrato in casa vi avrebbe di sicuro inciampato, finendo per cadere
addosso all’alto cactus che ornava l’appartamento.
Panico.
Non aveva più idea di cosa fare.
Fece un balzo, spaventata dal suono improvviso
del campanello della porta, subito dietro di lei. Si guardò ancora una volta
attorno, sperando di vedere magicamente spuntare le chiavi da qualche parte,
infine, quando di nuovo il fastidioso rumore del campanello si rifece sentire,
indicando che qualcuno, ancora più fastidioso, aveva urgente bisogno di vederla,
si decise ad aprire.
Sulla soglia, vestito con un golf blu scuro,
jeans neri e un sorriso stampato sul volto segnato, c’era Remus Lupin.
- Ciao, Ninfadora! – disse lui allegramente,
evidentemente non notando, o non facendo caso, allo sguardo omicida che era
comparso sul volto della ragazza nel vederlo lì.
- Primo, - grugnì lei. – non chiamarmi Ninfadora,
lo sai che non lo sopporto. Secondo, - continuò imperterrita nella sua arringa,
sollevando le dita della mano destra davanti al volto dell’uomo, per
sottolineare, qualora ce ne fosse stato bisogno, i concetti che stava lentamente
enumerando. – Come mai quando sono in difficoltà mi piombi sempre tu tra capo e
collo.
Remus fece per ribattere che, forse, la suddetta
condizione numero due capitava perché la ragazza era costantemente in difficoltà
per qualche motivo e, quindi, statisticamente era molto molto facile, diciamo
quasi impossibile, che lui non la trovasse in quella particolare disposizione
d’animo. Ma si trattenne, o forse fu trattenuto dal fatto che lei aveva
ricominciato a grugnire.
- E terzo, - riprese Tonks, ricordandosi
improvvisamente della sua innata capacità di accogliere Remus Lupin, l’uomo dei
suoi sogni, sempre come se fosse uno stramaledetto Doxy. – Terzo… si può sapere
che ci fai qui, non dovevi essere da Molly? Comunque, - biascicò infine. - Ciao
anche a te.
Lupin sorrise, ormai troppo avvezzo alle
bizzarie comportamentali di Tonks per esserne particolarmente sconvolto. – Hai
detto bene, dovevo e infatti c’ero. Ma guarda caso mancava una persona
all’appello e Arthur mi ha gentilmente, ma devo dire anche piuttosto
perentoriamente, chiesto di andare a prenderla prima che Molly diventasse una
furia perché il suo perfetto sufflè si era sgonfiato nell’attesa. Hai idea di
chi potesse essere quella persona?
- … Io? – chiese timidamente Tonks, facendo un
sorriso e cercando di mettere insieme in miglior sguardo contrito che fosse in
grado di ottenere, data la situazione.
- Bravissima, - disse lui scompigliandole i
capelli corti, che al contatto con la sua mano divennero viola intenso, come se
fosse una bambinetta. – Possiamo quindi andare a gustarci il meritato pranzo
domenicale? – chiese infine.
- No.
- No? – chiese educatamente perplesso.
- No! – ribadì Tonks.
- Come no?
- No.
- E, se non è troppo da chiedere, posso sapere
il motivo? – provò Lupin, cercando di ottenere come risposta qualcosa di più di
uno stentato monosillabo.
- Non trovo le chiavi, - biascicò lei,
guardandosi con interesse le scarpe da tennis, mentre i suoi capelli esprimevano
la gioia di aver ottenuto l’agognata libertà di colore dando sfoggio della loro
abilità cangiante.
- Scusa?
- Non trovo le chiavi! – urlò quasi lei, questa
volta piantandogli gli occhi addosso.
- Oh, - fu la reazione, come se un grande
mistero dell’universo gli fosse stato appena spiegato e lui, avendolo infine
compreso dopo molta fatica, si rendesse conto della immensa stupidità del
problema.
- Eh, - fece eco lei, fiera di aver saputo così
brillantemente spiegare l’annoso dilemma.
- Tonks, tesoro…- disse Remus, entrando in casa
e chiudendosi la porta alle spalle.
Forse il mago non se ne rese conto, o forse sì,
dato che i capelli di Tonks erano diventati talmente rossi da risultare quasi
accecanti, ma questa sua frase, unita con l’azione che ne era seguita, aveva
scatenato un enorme subbuglio nell’animo della giovane strega che aveva davanti.
In particolare l’uso del termine “ tesoro “ da
parte del suo ideale marito aveva gettato la povera, e già sufficientemente
impanicata Ninfadora, nell’agitazione più completa.
Remus comunque non si fece nel suo intento e
proseguì il suo discorso come se nulla fosse. -… Non so se te ne sei mai resa
perfettamente conto ma, noi maghi e streghe maggiorenni, abbiamo un vantaggio
sui babbani, - disse tranquillamente, senza la minima traccia di ironia nella
voce. – Possiamo usare la magia per superare i piccoli drammi che la vita ci
pone davanti.
Tonks lo fissava sinceramente incuriosita da
quel discorso: certo che potevano usare la magia, che razza di discorso stava
facendo? Poi improvvisamente fu come se un’enorme lampadina le si fosse accesa
nella mente, facendole quasi correre il rischio di rimanere fulminata.
- Ah, potrei usare un incantesimo di appello,
certo. Ma, - disse cercando di salvare le misere apparenze. – Sai non amo usare
la magia, se posso farne a meno, in fondo abito in un condominio babbano.
- Certo cara, ma tra scegliere se farsi scoprire
da un babbano e incorrere nelle ire di Molly Weasley, se fossi in te sceglierei
la prima, - le rispose l’uomo perfettamente serio.
- Dici?
- Oh sì, ne sono assolutamente certo, - rispose
annuendo vigorosamente. – Oppure se, per qualche motivo o gusti tuoi personali,
non ti piacesse l’idea dell’incantesimo di appello, puoi sempre uscire e
chiudere con un bell’incantesimo di protezione. Ideali anche contro i ladri
maghi.
- No, - rispose la ragazza meditabonda,
cominciando a passarsi le mani su tutto il corpo, finora quando, con un sorriso
soddisfatto, non trovò la bacchetta. – Credo che opterò per l’incantesimo di
appello. Accio, - disse sicura puntando la bacchetta al centro della stanza.
Dalla conchiglia gigante che Tonks teneva sul
mobile di fianco all’ingresso, come portaoggetti ( bè? Che sono quelle facce?
Voi non avete una conchiglia gigante in casa? Peggio per voi), si alzò in volo
un lupacchiotto con attaccato un mazzo di chiavi. Entrambi fissarono il
peluche, Tonks con sguardo adorante, prendendolo al volo e coccolandolo un po’,
Lupin seriamente preoccupato per la sanità mentale della giovane.
- Che cos’hai? – chiese infine Ninfadora,
fissando allibita lo sguardo inquisitore di Lupin.
Il mago indicò l’oggetto del suo interesse,
senza dire nulla.
- Ti piace il mio Remmy? Ho pensato che, dato
che voi due avete lo stesso sguardo puccioso, non potevo fare altro che
chiamarlo come te! – rispose lei alla sua muta domanda, facendo un largo sorriso
innocente dal quale Remus, quello vero, non avrebbe mai sospettato che il nome
era stato dato all’animaletto meno di due secondi prima, come risarcimento
morale per lo smacco subito.
- Ehm… come dire… cioè… Non lo sa nessun’altro
vero? – chiese infine in tono depresso.
- No, non ancora almeno.
- Non lo dirai a qualcuno vero?
- Vedremo…, - rispose lei godendosi quel misero
attimo di vantaggio sull’irreprensibile e inattaccabile Remus Lupin, quello
vero.
- Andiamo dai, che siamo tremendamente in
ritardo, - concluse lui prendendola per un braccio e smaterializzandosi insieme
nel cortile della Tana.
Bussarono e venne ad aprire un sorridente Arthur;
Remus sospirò sollevato, facendo entrare Tonks per prima, se Arthur sorrideva la
furia del ciclone Molly non si era ancora scatenata. Arrivarono alla cucina
gremita di teste rosse e Tonks, per cercare di mantenere una sua identità in
quella folla, fece rapidamente virare i capelli ad un giallo acceso, suscitando
le risate dei cuccioli di casa Weasley.
- Alla fine sei arrivata Tonks! – sbottò Molly,
vedendola arrivare, incapace di non lanciare almeno una frecciatina alla giovane
strega che aveva osato, tanta era stata la sua intraprendenza, non innamorarsi
follemente del suo Billino e mollarla con quella sottospecie di francesina
schizzinosa come futura nuora e madre dei suoi meravigliosi futuri nipotini. –
Possibile che sei sempre l’ultima?
- Ti sbagli Molly, - disse con voce tranquilla,
ma molto decisa Remus Lupin, quello vero.
Tonks lo fissò allibita, cosa avrebbe inventato
quella volta per toglierla dai guai, negare l’evidenza non le sembrava una
tattica molto convincente, coraggiosa sì, ma decisamente inutile.
- Ci sono ancora io, sono entrato per secondo,
sono ufficialmente l’ultimo!
Sant’uomo.
Forse (meglio tenersi buona una chance finale in
fondo) si era appena salvato dall’imbarazzo che avrebbe comportato per lui la
conoscenza da parte della famiglia Weasley di Remmy, quello finto.
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