II.
Scar and Voices
«Potter
potrebbe aver udito la nostra conversazione,
Albus.» La voce di Piton era poco più di un sibilo
quando
parlò. «Sapevo che sarebbe stato poco saggio
riferirti il
mio rapporto qui e non ad Hogwarts…»
«Severus, sai benissimo che al momento Grimmauld Place
è
un luogo ben più sicuro rispetto ad Hogwarts»
tagliò corto Silente, guardandolo con intensità.
«Il Ministero potrebbe aver già messo sotto
controllo le
reti di comunicazione e alcune sale… senza contare, inoltre,
che
l’arrivo di Dolores Umbridge è previsto per la
fine di
luglio. Sono certo che – negli ultimi giorni del mese
– il
numero delle sue visite a scuola crescerà
notevolmente.»
Piton sbuffò appena, distogliendo gli occhi da Silente e
rimarcando: «Ciò non toglie che Potter dovrebbe
imparare a
non ficcare il naso nelle faccende più grandi di
lui.» Si
interruppe solo per un attimo, prima di proseguire, gli occhi neri di
nuovo fissi sul Preside: «Se la tua teoria sulla connessione
tra lui
e Voldemort fosse corretta, sarebbe sempre più pericoloso
lasciare che Potter venga a conoscenza dei dettagli riguardo ai piani
dell’Ordine.»
«Domani avrò modo di parlare con Harry riguardo al
collegamento che potrebbe essersi instaurato tra la sua mente e quella
di Voldemort» disse lentamente il mago più
anziano,
soppesando accuratamente le proprie parole. «Tuttavia, non so
perché, ma ho il presentimento che la nostra chiacchierata
mi
permetterà di rivedere le idee che abbiamo formulato
sull’argomento.»
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Erano mesi che Harry non dormiva così bene.
Finalmente, per la prima volta dopo tanto tempo, non sognava di calici
di fuoco, draghi, mostri marini e – più
recentemente
– di labirinti, cimiteri e… lampi di luce verde.
Erano passate tre settimane dalla morte di Cedric Diggory, ma il senso
di colpa per l’ingiusta sorte di quel povero ragazzo
affliggeva
ancora pesantemente Harry. Rivedeva il suo volto – felice e
soddisfatto per aver afferrato la coppa Tremaghi – tramutarsi
rapidamente in quello pallido e privo di vita che il giovane Grifondoro
non avrebbe mai dimenticato.
Anche per questo aveva reputato strano l’incubo fatto prima
di
prendere la Pozione Soporifera. Era la prima volta che sognava di
Sirius – pur sapendolo vivo e vegeto – e non di
Cedric o
degli altri orrori che avevano popolato la sua vita fino a quel momento.
Ma era anche la prima volta che Voldemort si rivolgeva direttamente a
lui in un sogno. Come aveva fatto a non pensarci prima? Possibile che
la sua mente avesse rimosso quel ricordo la notte prima, quando aveva
raccontato a Silente ciò che aveva sognato? Pur non
avendogli
descritto il sogno nei dettagli, gli aveva fatto capire a grandi linee
di cosa si trattava, ma… come aveva potuto dimenticare un
tassello così importante?
«Ehi, amico… dormito bene?»
Immerso com’era nei propri pensieri, Harry non si era accorto
che
Ron si era già svegliato e lo fissava con attenzione.
Rispose al
suo saluto con un lieve sorriso, nell’intento di non fare
insospettire l’amico con l’espressione preoccupata
che gli
si era palesata in volto poco prima.
«Sì, quelle pozioni fanno miracoli»
rispose il
ragazzo, ma, vedendo lo sguardo perplesso di Ron, si ricordò
che
il suo migliore amico non era a conoscenza di tutti i fatti accaduti
quella notte. «Oh… ti spiegherò tutto
dopo
colazione» aggiunse, pensando che sarebbe stato
più giusto
parlarne con anche Hermione presente.
Il moro e il rosso si alzarono dal letto per prepararsi e presentarsi
giù in cucina, dove erano presenti quasi tutti gli attuali
residenti del numero 12 di Grimmauld Place. Nell’entrare,
salutarono il gruppo già riunito intorno al lungo tavolo e
presero posto a sedere.
Harry vide Sirius rivolgergli un caloroso sorriso e avvertì
ogni
preoccupazione riguardo all’incubo svanire in quello stesso
istante.
«Cosa preferisci con le uova, Harry caro, salsiccia o
bacon?» Molly Weasley si era girata verso di lui con una
padella
in mano, distogliendo gli occhi dal piano cucina su cui si stava
affaccendando, in attesa della risposta del giovane.
«Il bacon andrà bene, signora Weasley,
grazie» disse
Harry, riconoscente per l’affetto che la mamma del suo
migliore
amico gli dedicava quotidianamente. Per qualcun altro la scelta tra
bacon e salsiccia avrebbe potuto sembrare una questione da poco, ma
Harry apprezzava davvero le attenzioni di Molly, anche le
più
piccole, perché non le aveva mai ricevute da nessun altro in
passato.
Un rumore proveniente dall’ingresso della sala cucina
richiamò l’attenzione di tutti: senza preavviso,
dalla
sala adiacente fecero irruzione una serie di palloncini colorati che
iniziarono a galleggiare in aria, sopra le teste dei presenti.
Sembravano innocui, ma come Ron allungò una mano verso il
più vicino, quello – scoppiando – gli
ricoprì
la faccia di una sostanza appiccicosa e verdognola.
Harry rise, seguito da Hermione, Ginny, Sirius e da altre due voci che
giungevano proprio dalla sala accanto.
«Fred,
George!»
La Signora Weasley scambiò un’occhiata con il
marito,
attendendo – con i pugni premuti contro i fianchi –
che i
suoi figli più indisciplinati si palesassero in cucina.
«Hai chiamato, mamma?» Con un sonoro crac, i gemelli
comparvero ai lati di Molly, facendola saltare per la sorpresa e
parlando all’unisono.
«Si può sapere cosa vi passa per la
testa?!»
esclamò esasperata Molly, cercando l’appoggio di
Arthur,
che, però, era troppo occupato a sorridere tra se e se.
«Ripulite vostro fratello da quella… robaccia»
aggiunse poi, tornando a occuparsi della colazione.
«Credevamo avresti apprezzato…»
«… i festeggiamenti ideati apposta per
voi!»
«Di che festeggiamenti parlate?» chiese Ginny,
curiosa.
«Abbiamo pensato di organizzare una piccola festicciola di
ringraziamento per mamma e papà» spiegò
Fred, con
aria soave.
«In onore della loro saggia decisione di farci assistere al
prossimo incontro dell’Ordine» proseguì
George,
lanciando languidi sguardi in direzione dei due genitori.
«Ragazzi, sedetevi e dateci un taglio» disse Molly,
lanciando loro un’occhiata obliqua. «Nessuno di noi
ha mai
detto che avreste potuto partecipare ai prossimi incontri.»
«Siamo maggiorenni, ne abbiamo tutto il diritto!»
esclamò Fred. «E poi sappiamo benissimo che ieri
tu e
papà avete parlato e…»
«Non si origliano le discussioni!» li
rimproverò Molly, troncando ogni protesta.
Ron lanciò uno sguardo a Harry. «Sì e
io sto ancora
aspettando che qualcuno mi ripulisca la faccia…»
borbottò.
Arthur levò la bacchetta verso di lui e, in un attimo, la
sporcizia scomparve. «Andiamo, Molly, i ragazzi hanno
ragione, ne
abbiamo parlato anche ieri» intervenne, cercando di ignorare
l’occhiataccia scoccatagli dalla moglie. «Dovremmo
dare
loro la possibilità di assistere alle riunioni.»
«Arthur, Fred e George saranno anche maggiorenni, ma non
fanno
parte dell’Ordine della Fenice» insistè
la donna,
mentre serviva la colazione ai ragazzi. «Sai bene cosa
comporterebbe la loro adesione alla società segreta di
Silente…»
I due coniugi continuarono a discutere sull’argomento,
davanti
agli sguardi interessati di tutti i ragazzi. Harry, in particolare,
trovava affascinante venire a conoscenza di qualche dettaglio in
più sull’Ordine, dato che era colui che ne sapeva
di meno
al riguardo, visto che il suo arrivo a Grimmauld Place risaliva solo a
due giorni prima.
Harry era stato ben felice di abbandonare il numero quattro di Privet
Drive. Non era solo una questione di solitudine e di nostalgia verso i
suoi amici, ma proprio di sopravvivenza psicologica, oltre che fisica.
Dal suo ritorno a casa degli zii – dopo il quarto anno
– la
vita del ragazzo era diventata ancora più infernale e
problematica; il senso di colpa verso la morte di Cedric e il ricordo
di tutti gli orrori a cui aveva assistito l’anno passato, gli
causavano terribili incubi e visioni notturne, che lo portavano a
gridare nel cuore della notte e a farsi udire da Dudley e dagli zii.
Innumerevoli volte, Harry si era risvegliato con le lacrime che
scendevano inconsciamente lungo le guance livide di paura; aveva
cercato di evitare di farsi sentire dai parenti, ma non riusciva sempre
a reprimere le urla di terrore e rimorso che emergevano durante il
sonno. Di giorno, era quindi costretto a sopportare gli interrogatori e
le risa di scherno di zio Vernon e di Dudley, che adoravano deriderlo e
minacciarlo di venire alle mani nel caso in cui osasse rispondere o
meno alle provocazioni. Al contrario del marito e del figlio, zia
Petunia sembrava completamente indifferente verso il nipote, preferendo
ignorare ogni sua manifestazione di dolore, tanto quanto i tormenti a
cui egli era sottoposto.
Harry cercò di non pensare ai Dursley e a ciò che
aveva comportato il fatto di crescere in una famiglia
del genere. No, decisamente “famiglia” non era la
parola
giusta, poiché, pur non avendone mai avuta una, Harry si era
fatto una certa idea di cosa volesse dire quella parola che
rappresentava tutto ciò che avesse mai desiderato veramente.
Il ragazzo continuò a mangiare in silenzio, la mente
affollata
di pensieri, tra i quali, di nuovo, erano affiorati quelli riguardanti
l’incubo della sera precedente, così diverso dagli
altri
per qualche aspetto che ancora non riusciva a decifrare del tutto.
Mentre rimuginava, avvertì lo sguardo di Sirius su di se e
sollevò la testa, distogliendo lo sguardo da ciò
che
rimaneva delle sue uova, per osservare il proprio padrino chinarsi
verso di lui e parlargli.
«Quando hai finito la colazione, raggiungimi di là
in soggiorno.»
Harry annuì e cercò di sorridergli, in risposta
al suo
sguardo incoraggiante; non voleva far preoccupare Sirius più
del
dovuto. Chissà cosa doveva aver pensato quando
l’aveva
visto piombare giù dalle scale semi-svenuto. Harry
sentì
un’improvvisa vampata d’imbarazzo al pensiero di
essere
caduto in quel modo davanti a Silente, ma soprattutto davanti a Piton.
Era certo che alla prima occasione, l’odiato insegnante di
Pozioni si sarebbe preso gioco di lui solo per il gusto di metterlo a
disagio, proprio come aveva sempre fatto in passato.
Il Ragazzo Che E’ Sopravvissuto si congedò da
tavola
quando ormai erano rimasti solo Fred e George in compagnia del signore
e della signora Weasley, ancora intenti a far valere le proprie ragioni
riguardo alla maggiore età dei figli. Senza indugio, si
diresse
verso il piccolo salotto in cui Sirius l’aspettava e prese
posto
accanto a lui sul vecchio e consumato divanetto situato al centro della
stanza.
«Harry, Silente ha detto che stamattina, sul tardi, sarebbe
passato a vedere come stai» gli ricordò
tranquillamente
Sirius, fissando brevemente la moquette macchiata della stanza prima di
guardare il proprio figlioccio. «Come ti senti,
campione?»
Harry avrebbe voluto rispondergli con la verità, ovvero che
si
sentiva tutto all’infuori che un campione.
«Mmh…
direi ok, insomma… decisamente meglio rispetto a
ieri»
rispose, cercando di apparire il più sincero possibile, ma
considerando seriamente di dover migliorare le proprie doti persuasive.
Sirius non disse nulla per qualche istante, capendo immediatamente che
il ragazzo sembrava intenzionato a nascondere le proprie
preoccupazioni. «Sai, non abbiamo avuto modo di parlare molto
di
quanto è successo durante la Terza
Prova…»
tentò, ma le sue parole furono presto troncate.
«Sirius, è vero quando dico che sto
bene» disse
istintivamente Harry, senza riuscire a trattenersi
dall’interromperlo. «Non sento il bisogno di
descrivere nei
dettagli cosa è successo quella sera, per cui non sto male
al
riguardo» provò a suonare convincente, riuscendo
un
po’ meglio nel suo intento, a differenza di prima.
Sirius non sembrava molto contento della risposta, ma cercò
di
non darlo a vedere; avrebbe voluto pressare un po’ di
più
Harry per indurlo a liberarsi dei numerosi pesi che evidentemente
portava ancora in petto, ma sembrava tutto più difficile del
previsto. Probabilmente avrebbe potuto riprovarci più tardi,
ora
era il caso di distrarre il ragazzo.
«Va bene, campione, che ne dici di fare una visitina a
Beccuccio
e poi di dedicarci a un’avvincente partita a Spara
Schiocco?» propose con energia, strizzando un occhio in sua
direzione e posandogli una mano sulla spalla.
Harry gli sorrise, sapendo che l’intento di Sirius era quello
di
fargli dimenticare ogni preoccupazione; proprio per questo, il ragazzo
non se la sentì di rivelargli che non era
dell’umore
giusto per giocare, ma accettò di seguirlo fino alla stanza
di
Fierobecco cercando di apparire il più sereno possibile.
In realtà, la mente di Harry continuava a lavorare senza
sosta.
Si era dimenticato che la notte scorsa Silente aveva espresso il
desiderio di vederlo in mattinata: ciò voleva dire che il
Preside reputava importante sapere esattamente cosa fosse successo al
momento della caduta. O forse aveva capito che lui, Harry, era venuto a
conoscenza di qualche dettaglio riguardo alla conversazione avuta con
Piton?
Harry già si immaginava di dover rispondere a tutte le
domande
del vecchio mago senza avere la possibilità di omettere i
dettagli che avrebbe voluto tenere per se. Ricordava bene la strana
sensazione che provava quando lo sguardo profondo di Silente sembrava
trapassarlo da parte a parte, mettendolo sotto esame.
Probabilmente,
continuò a pensare il ragazzo, tetramente, se
Silente tiene così tanto a vedermi stamattina è
perché quello che è successo ieri notte
è
più preoccupante di quanto sembra.
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Albus Silente indossava una lunga veste blu cobalto ricoperta di
piccole stelle dorate; gli occhialetti a mezzaluna, appollaiati sul
naso adunco, scintillarono alla luce verde delle fiamme che
precedettero il suo arrivo nel modesto camino del soggiorno di casa
Black.
«Harry, mio caro ragazzo.» Il vecchio mago
avanzò
fino al centro della stanza, prima di prendere posto nella poltrona
situata di fronte al divano dove Harry l’aveva atteso.
«Come va il braccio?»
Per una frazione di secondo il giovane si chiese a cosa si stesse
riferendo Silente, ma poi capì. «Oh, il
braccio… Ha
smesso di fare male dopo aver preso le pozioni, signore» si
riscosse, tastandosi distrattamente l’arto. A dir la
verità, si era completamente dimenticato della botta presa
quella notte e la totale assenza di dolore o fastidio in mattinata non
l’aveva di certo aiutato a ricordare.
«Mi fa piacere sentirlo» disse Silente, con un
sorriso
sincero, «le pozioni del professor Piton si dimostrano sempre
all’altezza del suo nome, d’altronde.»
Harry si chiese in che cosa differissero le pozioni preparate da Piton
da quelle di qualunque altro pozionista esperto, ma decise di non
indagare. Non che fosse davvero interessato nel saperne di
più.
«Ad ogni modo» continuò tranquillamente
Silente,
«siamo qui per discutere dell’incubo di ieri sera
se non
sbaglio.» All’espressione allarmata comparsa
immediatamente
sul viso del ragazzo, l’uomo proseguì, con un
piccolo
sorriso: «Harry, non devi sentirti in ansia perché
pensi
che voglia sapere tutti i particolari del tuo sogno; ciò che
desidero che tu mi descriva sono le sensazioni che hai provato mentre
lo vivevi.»
«Ma professore, credevo che avessimo già parlato
ieri sera
dell’incubo e che oggi avremmo discusso della cicatrice e di
ciò che ho provato quando sono caduto…»
«Ah, la cicatrice, Harry.» Silente
sospirò e
alzò una mano a mezz’aria per frenare
l’obiezione
del ragazzo. «Parleremo anche di quello, ma a tempo
debito.»
Harry attese in silenzio. C’era qualcosa che non gli tornava;
la
voce di Silente era calma e serena come sempre, ma i suoi occhi erano
privi del solito brillio gioviale e allegro che li caratterizzava. Se
quella fosse stata davvero una discussione normale, Harry era certo che
Silente avrebbe fatto in modo di tranquillizzarlo con ben
più
convinzione di così.
«Ciò che mi preme sapere, Harry»
proseguì il
vecchio mago, come se non avesse mai smesso di parlare,
«è
se durante l’incubo hai mai sentito, come dire…
una sorta
di “intrusione” da parte di qualcuno.»
Harry quasi scattò in piedi a quelle parole. Come faceva
Silente
a sapere? Come aveva fatto a centrare perfettamente il motivo preciso
per cui lui
era così
preoccupato riguardo a quel sogno, quando neppure Harry stesso era
stato in grado di capirlo fino a quel momento?
Il ragazzo non riuscì a staccare gli occhi dal volto antico
e
segnato di Silente per parecchi istanti, con in viso
un’espressione chiaramente scioccata. L’altro mago
ricambiò, lasciando che il proprio sguardo azzurrino vagasse
sui
giovani tratti di Harry fino a concentrarsi esclusivamente sui suoi
occhi verdi.
Il giovane si rese conto che il Preside attendeva una sua risposta,
nonostante sospettasse che Silente – grazie al suo sguardo
perforante – fosse in grado di ottenerla da solo.
«Io…» esordì, incerto,
«… ho
sentito una voce mentre parlavo con Sirius, nel sonno. Era Voldemort,
lo so, ma se all’inizio era sembrata solo un sussurro, man
mano
si è trasformata in qualcosa di sempre più
concreto e
reale… esattamente come la risata che ho udito tramite la
cicatrice prima di cadere dalle scale. Era… era nella mia
testa,
professore» proseguì Harry, concitato, realizzando
solo in
quel momento quanto disgusto provasse a quel pensiero.
Silente sospirò e fece completamente aderire la schiena alla
poltrona su cui era seduto, rilassandosi contro di essa.
«Come
sospettavo» mormorò a bassa voce, senza staccare
gli occhi
da Harry.
Al giovane parve che, tuttavia, il vecchio mago non lo stesse vedendo
veramente e provò un piccolo moto di irritazione.
«Cosa
sospettava, professore?» domandò, sempre
più teso,
mentre stringeva nervosamente le mani intorno alle ginocchia,
spingendosi verso il bordo del divano.
Era ansioso di scoprire la verità. Silente sapeva. Sapeva
qualcosa che Harry ancora ignorava, ma che era certo riguardasse lui.
Lui… e Voldemort.
Dopo quella che parve un’eternità, Silente si
decise a
parlare. «Harry… come penso che anche tu avrai
notato,
questo sogno è ben diverso da tutti gli altri che hai avuto
in
passato e di cui abbiamo già discusso; da quello che ho
capito,
Voldemort sembrerebbe interessato a comunicarti attraverso la
cicatrice, probabilmente per spaventarti. Temo che non abbia ancora
capito che tu sei addirittura più
“avanti” di lui
col passo – come si dice tra voi ragazzi – visto
che sei
addirittura in grado di percepire i suoi stati d’animo e di
vedere attraverso i suoi occhi.»
Harry sbatté le palpebre più volte, come se fosse
certo di aver capito male. Voldemort
vuole comunicare con me attraverso la cicatrice?
Avvertì improvvisamente una morsa gelida asserragliargli il
petto, mentre la paura minacciava di sopraffarlo. No…
pensò, sforzandosi di suonare sicuro, … Silente
avrà una soluzione, ha sempre una soluzione a
tutto…
«Prima che Voldemort si accorga della reale
potenzialità
della cicatrice, Harry, dovremo fare in modo di bloccare la tua mente a
ogni suo tentativo di intrusione e a qualsiasi visione che provi a
manifestarsi a te» proseguì Silente, cauto nella
scelta
delle parole.
«Professore, ma come…?»
«E’ giunto il momento che tu apprenda la difficile
e
sfuggente arte dell’Occlumanzia.» Silente non disse
nulla
per qualche secondo, godendosi l’effetto sortito su Harry, il
quale lo fissava ora a occhi sgranati e con in volto
un’espressione a metà tra l’affascinato
e lo
sgomento. Trasse un profondo respiro prima di continuare: «E
conosco una sola persona in grado di impartirti un simile
insegnamento.»
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