Dedicato
ad Alessandra
“Non si può negare che andare liberi senza meta da
sempre ci rende euforici, ha a che fare con l’idea della fuga dalla storia,
dall’oppressione. Libertà assoluta. E la strada porta sempre ad Ovest.
Vivere,
soltanto vivere, in quel luogo, in quel momento perché l’’essenza dello spirito
dell’uomo sta nelle nuove esperienze, non esiste gioia più grande dell’avere un
orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole
diverso”.
“Uno, due,
tre, quattro, cinque”. Chibiusa contava attentamente i fiocchi di neve cadere
dal cielo incontrastati che, come pezzetti di ciniglia, s’incastonavano nel
piumino color panna, confondendosi con il candore della lana profumante
lavanda.
Da giorni
nevicava a Crystal City, il Natale era alle porte e non si poteva chiedere
atmosfera più adatta di quella che circondava la città eterna. Le luci
risplendevano sulle lastre di ghiaccio che penzolavano dai tetti delle piccole
case a schiera riunite nei quartieri più verdi, tutto fra le strade ricordava
il periodo natalizio, quello più atteso, quello più magico.
I profumi
di ciambelle zuccherate e di lunghe cioccolate calde rasserenavano i passanti
esausti delle lunghe giornate, gli addobbi appesi sopra ogni porta regalavano
l’accoglienza ricercata e l’alto albero al centro della piazza, dove i quattro
punti cardinali s’incontravano creando un mondo unico, primeggiava fra tutti,
con la sua stella argentata risplendente alla cima.
Dal freddo
scalino in marmo della biblioteca cittadina, Chibiusa osservava ciò che
accadeva di fronte a lei. La gente correre, i bambini tentare di costruire un
pupazzo di neve il più possibile resistente, i ragazzi più grandi fare strabilianti
acrobazie con i pattini nell’illuminata pista di ghiaccio circondante l’albero.
E lei era
li, seduta, con lo sguardo perso nel vuoto. Contava i fiocchi, si guardava
intorno e…pensava. Qualcosa l’affliggeva, qualcosa la tormentava. Per chi la
vedeva, per chi sapeva chi fosse, quella malinconia non trovava alcuna
spiegazione. Era Natale, forse uno dei momenti più felici dell’anno dove la
tristezza non ha alcun posto riservato nelle fredde giornate invernali. Era una
Principessa, una futura regina. Era amata, cercata, voluta. Si era proprio
così, all’esterno.
Ma per chi
la conosceva realmente, per chi davvero sapeva ciò che in quel momento il suo
cuore celava, avrebbe scoperto altre verità, altre aspettative che forse non
erano così limpide nel suo futuro di regnante di una città talmente bella e
maestosa.
Strofinava
spesso le mani ruvide, gelide, soffiandovi dentro un po’ di calore con tutto il
respiro che riusciva a concedere, stringendo al petto le ginocchia per trovare
un po’ di conforto nella loro vicinanza. Il cappuccio rosa aderiva
perfettamente ai codini mezzi umidi, velati qua e la dai chicchi di neve,
rendendola ancor più piccola di quanto fosse in realtà.
Le piaceva
sentire la neve aderire alla sua pelle, quella sensazione pungente, quella
colorata trasparenza, come poteva il cielo regalare qualcosa di così bello e
piccolo? Ogni tanto apriva le labbra per assaporarne il gusto, era convinta che
assomigliasse a quello dello zucchero filato o delle marshmallow in qualche
modo. Ma non era così, l’insapore che la contraddistingueva emulava la sua idea
di esistenza.
La sua
sensibilità ben presto si assottigliò. Un ampio ombrello color prugna la stava
proteggendo da quell’incessante caduta. Non servì voltarsi per capire chi
avesse dietro alle spalle. Il profumo d’acqua marina che portava era
inconfondibile, l’avrebbe riconosciuto in mezzo ad un immenso campo fiorito.
“Ciao, Pu”
disse, mentre con il piede scalfiva la sua impronta sulla neve, fino a creare
numerosi e psichedelici cerchi.
“Piccola
Lady, cosa fai qui fuori al freddo?”
“Pensavo”
rispose, insistendo a non guardarla. Ma a Setsuna non serviva specchiarsi nei
suoi occhi per capirne la malinconia proveniente dalla sua voce. Chibiusa era
per lei ciò che una figlia è per la madre. E’ un legame profondo, uno di quei
rapporti per cui non servono parole perché quando qualcosa non va, lo sai
subito, lo senti dentro, è nella tua natura, nel tuo istinto.
Afferrando
con le dita la lunga gonna smeraldo, Setsuna si sedette accanto a lei,
condividendo quella fredda percezione che stava travolgendo la sua piccola protetta.
“Cosa c’è
che non va? Vuoi parlarmene?”
“Non
servirebbe a nulla, non capiresti”
“Bè…tu
provaci, e lascia dire a me se serve oppure no…”.
Chibiusa
tacque, prese tempo, indugiò per qualche istante. Le aveva raccontato sempre
tutto, in ogni occasione. Era stata più volte suo costante punto di
riferimento, sapeva che per qualunque cosa lei ci sarebbe sempre stata. Ma per
quello? Per ciò che le stava così tanto dannando l’anima, avrebbe potuto fare
qualcosa, trovare una soluzione?
“Chibiusa,
è Natale! Guarda com’è bella la città, guarda com’è luminosa. Come puoi essere
triste? Come puoi aver pensieri?” disse, non trovando ragioni nel suo lungo
silenzio.
Chibiusa
si alzò in piedi, stringendosi nelle spalle “E’ per la mamma” rispose con voce
flebile.
“In che
senso?” chiese Setsuna, non capendo come la sua preoccupazione potesse essere
collegata alla regina Serenity. Chibiusa si voltò finalmente, donandole il suo
sguardo demoralizzato e cupo “Ha sempre moltissime cose da fare, moltissimi
impegni, perfino in questo periodo”
“Piccola
Lady” sorrise Setsuna, alzandosi a sua volta “è il suo compito, il suo dovere
di regina…temi che non possa stare con te il giorno di Natale?”
“No, non è
per quello” farfugliò, giocherellando con le punte bagnate dei codini.
“E allora
cosa? Non riesco davvero a capire”.
Chibiusa
mise una mano nella tasca per afferrare i guanti bianco perla, il freddo stava
diventando quasi insopportabile a quel punto della sera. Li indossò, guardando
il cielo nel frattempo, cercando di intravedere qualche stella, una in
particolare a dire il vero, quella che le avrebbe segnato il cammino.
“Penso che
la mamma non sia abbastanza libera” rispose, strofinandosi il naso “e penso che
non lo sarò nemmeno io”
“Perché
mai non dovresti esserlo?”
“Per
quello che sono, Pu. Il mio destino è segnato, proprio come quello della mamma.
Ma non voglio vivere secondo regole rigide, secondo un piano già scritto.
Voglio essere libera, voglio vivere ogni istante, voglio poter volare, correre,
divertirmi. Voglio essere leggera come questi fiocchi di neve! Capisci cosa
intendo?”
Setsuna
s’irrigidì. Infine era questo che la preoccupava così tanto. La paura di non
essere libera, la rassegnazione ad una vita prestabilita, fatta solo di canoni
e doveri. Una vita non vissuta.
“Ma tu sei
libera, Piccola Lady! Non devi confondere i tuoi compiti da futura regina con
la prigionia”
“Non vedo
questa grande differenza…”
“Ti
sbagli! Devi essere fiera di quello che sei e di quello che diventerai!”
“Sai cosa
vorrei tanto per questo Natale?”. Setsuna scosse il capo. Un po’ la spaventava
sentire quella risposta ma non poteva negare a se stessa che la cosa più
importante per lei fosse il suo sorriso.
“Vorrei
tanto poter stare da sola! Vorrei iniziare a camminare senza mai fermarmi, senza
sapere dove sto andando e godermi tutto quello che mi accade attorno…voglio
essere felice!”
“Perché
desideri la solitudine?...nessuno vuole rimanere solo, Piccola Lady”.
Chibiusa
s’imbronciò. Aveva la sensazione che Setsuna non la stesse ascoltando, che non
avesse colto la sua reale intenzione, quel suo desiderio di libertà assoluta,
senza confini.
Iniziò a
camminare verso casa a braccia conserte, a mala pena guardandola “Te l’avevo
detto che non avresti capito” concluse, proseguendo per il suo percorso.
Setsuna
non la fermò. Continuò ad osservarla mentre si allontanava da una verità fin
troppo marcata. Ma nella sua mente già sapeva cosa avrebbe dovuto fare, Chibiusa
si sarebbe resa conto di cosa fosse davvero la libertà, la spensieratezza, la
felicità.
Solcata la
soglia della camera da letto, Chibiusa lanciò quasi infastidita gli stivali di
gomma, lasciando che rotolassero lungo il tappeto fino a fermarsi alle pendici
del letto a baldacchino. Si distese, saltando qua e la sul morbido piumone e arrotolandosi
poi sullo stesso fino ad avere l’intero corpo al caldo. I piedi gelidi le facevano
venire la pelle d’oca così come le mani di una strana sfumatura violacea dopo quello
sbalzo termico.
Si girò di
fianco, stringendo il cuscino fra le braccia, con gli occhi mezzi chiusi e la
mente altrove, in un luogo che solo lei poteva raggiungere e dove pensava si
sarebbe sentita veramente libera. Quel luogo che solo un sogno poteva donare.
I raggi
ancora stanchi del sole le accarezzarono dolcemente il volto. Aprì gli occhi,
notando come le tende fossero rimaste spalancate la notte precedente.
Evidentemente si era dimenticata di chiuderle prima di addormentarsi. O forse
no.
Un’ombra
accanto alla finestra si rifletteva sul pavimento. Spaventata, si sedette velocemente
coprendosi con la coperta fino agli occhi, come a volersi proteggere da una
minaccia imminente ma si rese subito conto che si trattava di tutt’altro.
Setsuna
era proprio li, di fronte a lei, impegnata a spiegare tende e finestre. Indossava
dei stretti jeans blu scuri, con una lunga felpa verde bosco ed un corto
piumino dello stesso colore, con cappuccio annesso per riparasi dal freddo
pungente.
Chibiusa
la osservava non capendone le intenzioni. E più il freddo vento s’impossessava
della camera, più lei s’intrufolava sotto alle coperte, coprendosi il viso dalla
luce mattutina.
Il cigolio
dell’armadio che si apriva la fece rabbrividire, il solo pensiero di dover
uscire all’aria aperta per chissà quale commissione la convinceva sempre di più
a legarsi al caldo letto.
“Pu, cosa
stai facendo?” chiese, con tono intorpidito. Sestuna non rispose, continuando
ad afferrare abiti caldi e soffici dall’armadio di Chibiusa, poi uno zaino, un
sacco a pelo e un paio di pedule.
La
curiosità si faceva sentire sempre di più e con lei la voglia di tornare a
dormire. Indossata la vestaglia, Chibiusa si alzò dal letto strofinandosi
energicamente gli occhi per vedere meglio cosa stesse facendo.
“Pu, vuoi
spiegarmi cosa sta succedendo?”
“Buon
Natale, Piccola Lady!” rispose sorridente. Chibiusa la guardò stordita ma
divertita allo stesso tempo “Ma cosa dici…Natale è fra due giorni!”
“Diciamo
che quest’anno per te il Natale è arrivato in anticipo!”
“Cosa
significa? Perché mi stai preparando lo zaino?”
“Volevi
libertà” rispose Setsuna, mentre le rifaceva ordinatamente il letto “volevi
vivere l’avventura, senza confini né mete…Bé è quello che ti darò, ti darò la
libertà!”
“E’ uno
scherzo?”
“No, non
sto scherzando! Partiamo proprio ora!”.
Chibiusa
non si mosse. Non riusciva a capire se stesse accadendo veramente o se in
realtà stesse ancora dormendo. Non era possibile che avesse preso una decisione
di quel genere. Prendere, partire, senza sapere dove andare né come. Era
davvero possibile? Eppure gli occhi di Setsuna non trapelavano alcuna
incertezza, anzi. Erano limpidi, sinceri, veri. Perché mai avrebbe dovuto
mentirle. I pensieri le correvano troppo frettolosamente nella testa mentre
Setsuna raccoglieva tutti i peluche da terra per metterli in fila di altezza,
ma anche affetto, accanto ai cuscini color ametista.
“Allora?
Sei ancora li?”. La voce di Sestuna le fece rimettere i piedi a terra. Scosse
il capo, mentre un sorriso immisurabile si scalfiva sul suo viso. Raccolse
veloce i vestiti più caldi e comodi che aveva e corse in bagno più in fretta
che poteva. Optò anche lei per un paio di jeans e una felpa di lana fucsia,il
piumino blu scuro come i pantaloni, sciarpa, capello e guanti bianchi.
Mentre si
vestiva non riusciva a pensare ad altro. Stava davvero accadendo? Si stava
inoltrando in un’esperienza più grande di lei? Si sentiva già libera ancora
prima di partire, il solo fatto di aver preso quella decisione da un momento
all’altro la faceva sentire più viva che mai.
Si, era
vero, quel giorno non era Natale. Per lei quel giorno era molto di più, o
almeno così pensava.
“Chibiusa,
sei pronta?” urlò Sestuna, battendo due o tre volte il pugno contro la porta
del bagno “Si, arrivo!” rispose svelta, uscendo rapida.
“Bene
allora, possiamo andare!”
“Ma dove
andiamo esattamente?” domandò, mettendosi lo zaino sulle spalle
“Non lo
so” rispose Sestuna “nessuna meta, ricordi?”.
Chibiusa
sorrise, abbracciandola strettamente in vita, ringraziandola a modo suo con
quel gesto di puro affetto e riconoscimento.
Uscite dal
palazzo si diressero verso i boschi innevati, dove nessuno aveva mai osato
entrare, dove la neve non era mai stata calpestata, rendendola così ancora più
unica, ancora più inimitabile. Con le mani reciprocamente strette le une nelle
altre, si addentrarono in quel luogo sconosciuto, ponendovi per prime i piedi
su quel territorio vergine. Non s’intravedeva nemmeno una foglia, nessuna
chiazza di verde. Bianco, solo ed esclusivamente bianco, la neve albergava sui
pini come un nemico imbattuto, e solo una cosa avrebbe potuto sconfiggerla. Il
sole. Ma i raggi fosforescenti erano troppo deboli, non avevano ancora il
potere di neutralizzarla del tutto ma solo di indebolirla. E così Chibiusa,
mentre sprofondava con le pedule in quel bianco manto, osservava le gocce di
neve sciogliersi lentamente e lasciare respiro ai rigidi rami. Alcuni fiori
catturarono la sua attenzione, fiori penzolanti, a campana, di un tenue color
lilla e vaniglia.
“Sono i Bucaneve”
spiegò Setsuna, raccogliendo un bocciolo da terra “è il primo fiore a sbocciare
con l’arrivo della neve, resiste a questo freddo e colora questi boschi” disse,
incastrando il bocciolo fra i ciuffi di Chibiusa, che lo osservava incantata,
come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto.
“Avanti,
andiamo, sempre dritte”
“Da che
parte ci dirigiamo?”
“Sempre ad
Ovest, Piccola Lady!” rispose sicura, spazzando due possenti rami, così da
utilizzarli come appiglio “Perché Ovest?”
“Perché ad
ovest è dove la strada finisce, ad Ovest è dove tramonta il sole, ma se
continui ad inseguirlo ti darà la sensazione che non finisca mai mentre alle
tue spalle è già buio”
“Non ci
avevo mai pensato”
“Credo che
siano tante le cose a cui non hai mai pensato, Principessina”
“Cosa
intendi dire?” “Lo scoprirai presto vedrai!”.
Proseguirono
lungo la loro strada, vedendosi allontanare sempre di più le luci policrome
della città. Scricchiolii di foglie secche appena calpestate venivano portati
via dal vento, ritornando a far parte della natura selvaggia e senza
accorgersene si ritrovarono di fronte ad una piccola montagnola spumosa, sulla
quale potevano intravedersi le esili orme di qualche uccellino. Guardarono
entrambe la ripidità di quell’altura, pensando la stessa cosa.
Sestuna
allungò la mano affinché Chibiusa la stringesse forte. Affondando bene le scarpe
fra la fresca neve, iniziarono ad arrampicarsi, appigliandosi talvolta ai
tronchi circostanti. Il respiro divenne affannoso ben presto, ma la fatica fu
ripagata una volta giunte sulla cima.
Il
panorama era ancora più bello di quanto immaginassero. Le cime bianche degli
abeti sembravano punte di zucchero a velo cosparse su profumati pandori, della
città non si sentivano neppure i rumori, celati dallo scorrere di leggeri
ruscelli, ancora liberi dal ghiaccio vendicatore. L’aria era talmente pulita da
raggelare i polmoni, sanandoli dallo smog del centro. Alla vista di quel mondo
fin allora sconosciuto, Chibiusa allargò le braccia, catturando il vento che le
dava la stessa sensazione di un volo senza confini.
“La senti,
Pu? La senti?” “Cosa?”
“Ma come
cosa? La libertà più assoluta, più sfrenata, come puoi non sentirla!”. Chibiusa
guardò sotto di se. La collina scendeva giù dirompente ma la quantità di neve
che la ricopriva la rendeva molleggiante come gomma piuma. Fissando i suoi
piedi, come a portare il peso in avanti, Chibiusa si sporse lasciando che le
gambe non reggessero più il peso del corpo.
“Chibiusa,
cosa vuoi fare?” urlò Setsuna, tentando di afferrarla per il piumino
“Vivere!!!” gridò Chibiusa al cielo, lanciandosi su quel candido scivolo
naturale e rotolando lungo tutto il dirupo, con la neve che le dipingeva la
faccia. Le sue risate echeggiarono per tutto il tempo, scendeva alla velocità
della luce, come se braccia invisibili la stessero spingendo sempre più giù
fino a frenarla alla fine della corsa.
Setsuna le
corse incontro, voleva accertarsi che stesse bene, capire cosa avesse in mente.
Ma il sorriso che vide disegnato sul suo volto le diede tutte le risposte che
stava cercando.
“E’ stato
bellissimo, mi è sembrato di non avere più consistenza!” rise, senza riuscire a
fermarsi. La neve sul volto aveva creato dei buffi baffi bianchi attorno alla
bocca, rendendo il tutto ancora più divertente di quanto non lo fosse già. Aveva
fatto esattamente ciò che voleva, ciò che si sentiva, in quel posto, in quel
momento. Si era sentita libera, libera di scegliere, di decidere, libera di
essere se stessa.
“Mi hai
spaventata” ammise Setsuna, aiutandola ad alzarsi “Scusa, Pu” rispose,
scuotendo forte la testa per liberarsi dal nevischio ma mantenendo quella gioia
che difficilmente avrebbe riprovato, o così credeva.
Al di
fuori del fitto bosco innevato, un ampio lago sbarrò loro la strada. L’acqua al
suo interno era completamente ghiacciata e la sua ampiezza richiedeva troppo
tempo per passarci affianco e continuare il cammino. La scelta più ovvia
sarebbe stata quella di attraversarlo. Setsuna s’inginocchio sulla terra
glaciale, estraendo dallo zaino due paia di pattini grigio perla “Ecco, prendi”
disse, sporgendone un paio a Chibiusa.
“Vuoi che
lo attraversiamo…pattinando?”
“Proprio
così, non ha senso camminarci affianco fino alla fine delle sponde ci
impiegheremo troppo tempo…e poi più avventura di così dove la puoi trovare?”
chiese sorridente, mentre intrecciava i lacci.
“Hai
ragione!” esclamò Chibiusa, facendo la stessa cosa “Sono pronta!”.
Si
aggrappò al braccio di Setsuna così da poter mettere entrambe un piede sulla
lastra trasparente ed accertarsi della resistenza. Una volta perfettamente in
piedi, videro solo ghiaccio e deserto intorno a loro, una lunga e solida
distesa d’acqua dolce da superare per poter raggiungere il punto dove il sole
toccava terra.
“Andiamo?”
Chibiusa annuì, lasciando la presa e cominciando a creare strane figure con il
ferro dei pattini. Mentre Setsuna pattinava dritta verso la meta, Chibiusa le
faceva ampi giri intorno, con qualche salto qua e la che la portavano più a
ritrovarsi seduta che in piedi. La leggerezza che provava nel danzare sopra
l’acqua la trasformava in una ninfa fatata, dando quel tocco di magico al tutto.
Con una
gamba perfettamente retta ed una alzata a formare un arabesque, giunse
dall’altra parte del lago, dove un’ampia pianura la divideva dal rientro nei
boschi.
Ancor
prima di proseguire nel suo cammino, una macchia muoversi in lontananza la incuriosì
particolarmente.
“Pu,
guarda!” bisbigliò cauta, segnando con il dito la direzione da seguire. Iniziò
ad avvicinarsi, la curiosità era davvero troppa “Aspetta, Piccola Lady!”
avvertì Setsuna, ma non la ascoltò, proseguì nella sua ricerca, nella sua scoperta.
Quella
strana figura si faceva sempre più chiara. Era alta, grande. Concentrò ancor di
più la sua attenzione, rapendone i particolari. Quattro zampe esili reggevano
un corpo muscoloso di un tenue color castagna, macchiato a tratti di piccole
chiazze bianche, muso allungato, occhi marroni, neri persino, e due piccole
orecchiette pelose a punta. Chibiusa ne rimase meravigliata. Era la prima volta
in assoluto che vedeva un Daino in libertà, senza recinti che lo costringessero
a percorrere sempre lo stesso giro, senza costrizioni. Era un Daino libero.
Chibiusa
si accucciò piano per non spaventarlo, voleva vederlo da ancora più vicino,
c’era qualcosa che nascondeva ma non riusciva a capire cosa fosse. Gattonò lentamente,
accorgendosi sempre di più di come dalle zampe posteriori sbucassero altri due
occhi, molti più piccoli e chiari. Il pelo all’apparenza sembrava ancora più
soffice, le macchie erano il doppio rispetto a quelle della madre. Era il suo
piccolo, lo stava proteggendo esattamente come fanno tutte le mamme. Il grande
Daino abbassò la testa per strusciare il muso con quello del suo piccolo,
offrendogli così quel calore materno che è unico nel suo genere.
Setsuna
raggiunse Chibiusa nella sua breve esplorazione. Si rese subito conto di come
gli occhi le luccicassero, vedere quel momento di tanta serenità ed amore le
fece tornare in mente l’affetto che aveva nei confronti dei suoi genitori, nei
confronti dei suoi amici. Quell’affetto che in onore della libertà si era
lasciata alle spalle. Setsuna non poté non notare una velata tristezza nei suoi
occhi.
“Sono
bellissimi, non trovi?” domandò, accarezzandole dolcemente la testa “Si”
rispose Chibiusa, distogliendo gli occhi dalla scena, quasi fosse troppo per
lei, per le sue convinzioni.
Setsuna l’abbracciò
stretta, sentendone le lacrime scivolare lungo il suo piumino. Chibiusa rispose
alla stretta. Sapeva bene che quella sarebbe stata quasi un’ammissione di colpa
ma non ne poteva fare a meno. La strinse con tutta la forza che le era rimasta,
con tutto l’ardore regalatole da quel breve ma intenso attimo di libertà.
Setsuna le
prese il viso fra le mani, asciugandole le lacrime con il pollici umidi. Il suo
viso sconsolato le fece sciogliere il cuore, la bontà della sua anima la spinse
ad amarla ancora di più.
“Piccola
Lady, è questa la libertà che in realtà stai ricercando. E’ la libertà di
vivere la tua vita, qualunque essa sia, la libertà di amare ed essere amata, di
scegliere chi essere e chi diventare, di condividere i momenti della tua
esistenza con le persone che ti sono più vicine, con i tuoi genitori, con me.
Non devi
allontanarti per sentirti te stessa, non devi scappare da ciò che sei. Devi
cogliere ogni singolo momento ed assaporarlo fino in fondo perché è questo ciò
che ti fa andare avanti e che ti da la forza per ricominciare. Non sei sola. Io
sarò sempre con te, sempre. Questa è la felicità”.
Chibiusa
affondò il viso nel suo petto, singhiozzando e ridendo allo stesso tempo. Era
così lontana da casa eppure nel suo cuore sentiva di non essere mai stata così
vicina. Le voleva così bene, era essenziale nella sua vita, era una tappa del
suo viaggio che, finché lei sarebbe rimasta al suo fianco, non sarebbe mai
finito.
“Pu…”
disse, smagliante, asciugandosi quelle ultime lacrime dalle guance rosse
pastello “torniamo a casa”.
Setsuna
sorrise, stringendole la mano e riportandola nel suo vero mondo, nel suo
piccolo angolo di incosciente libertà. E per quanto immaginasse che il suo
cuore avrebbe sempre e comunque cercato di evadere, sapeva
che la libertà di quell’attimo sarebbe durata tutta una vita.
“E dopo tutto credo di aver trovato cosa
occorra per essere felici: una vita
tranquilla, con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano
aiutare e non sono abituate a ricevere.
Ho capito che la felicità è reale solo quando è
condivisa.
Happiness is
real only when shared.”
Christopher McCandless