So Far Away
Never feared for anything
Never shamed but never free
Ero lì da ore ormai.
I miei occhi avevano finito di lacrimare, s’erano ormai
prosciugati.
Potevo solo stare immobile - davanti a quella lapide - cercando
inutilmente motivi per vivere.
Era da un mese che lei non c’era più.
Trenta lunghi giorni in cui la mia vita aveva preso a scorrere con
inerzia verso un inevitabile baratro.
Dicembre se ne era andato portandosi via la luce della mia vita.
Ed ora, gennaio m’appariva più buio che mai.
La neve cadeva tutt’attorno alla grigia pietra, andando a
coprire la rosa bianca che avevo posato solo poche ore prima.
Accorgendomene la sollevai, scrollandola delicatamente senza riposarla
sulla superficie fredda e innevata.
Mi sedetti davanti alla Sua foto, incurante del
gelo che, come milioni di spilli, mi feriva impietoso.
Rilessi per l’ennesima volta le incisioni sulla lastra,
incredula, come ogni volta, che proprio il suo nome potesse essere
scritto lì.
Michela Dagar
5/09/1992 – 21/12/2011
“Amata ragazza, fiera di ciò che
era, l’odio della gente non la scalfirà nemmeno
dopo la morte.”
Avevo scelto io di far scrivere quella frase, ma in quel momento non
potevo fare a meno di pensare che, invece si, l’odio l’aveva
scalfita.
L’odio l’aveva uccisa.
Ed io? Io ero lì, io respiravo, il mio
cuore, pur dolente, palpitava nel petto.
Lei, al contrario, era sotto di me, in una bara, immobile e gelida
nella morte.
Mi lasciai trascinare dai ricordi: quelli belli, quelli passati insieme
a ridere, a scherzare, ad amarci.
Poi quella sera, una come tante altre; il 19 dicembre eravamo allegre,
con la voglia di vivere e amare che scorreva in noi.
Tuttavia, evidentemente, la vecchiaia non era contemplata nel Suo
destino. Forse neanche nel mio, perché in quel momento
arrivarono loro, pronti a rovinare tutto.
Ci stavamo baciando, noi, due ragazze, una cosa schifosa a detta loro,
immorale e sbagliata, contro natura.
Quasi non ci rendemmo di quello che stava accadendo: un momento prima
ero tra le braccia della mia Micky, un momento dopo ero in terra mentre
il mio stomaco si contorceva a causa dei calci sferrati dai quattro
assalitori, dai mostri.
Lei era in piedi tenuta stretta da due tizi, imprigionata
fra le loro braccia tese, mentre un altro la picchiava.
Dopo ricordo solo le mie urla, io che li imploro di lasciarla, il
sangue che le usciva dalle labbra poco prima baciate dalle mie,
ora rotte dai pugni.
Quasi non sentivo il dolore per le percosse e per i calci, ma ricordo
bene ogni sensazione provata ad ogni urlo o gemito di dolore della mia
Michela.
Non lo auguro a nessuno.
A un certo punto, un po’ per la violenza subita, un
po’ per le troppe emozioni verso Micky, sentii le forze che
mi abbandonavano e svenni. Buio.
Quando mi svegliai, ore dopo in ospedale, era ormai pomeriggio; mi
raccontarono a grandi linee quello che era successo e dei poliziotti mi
chiesero se ricordavo qualcosa circa gli assalitori.
Purtroppo non avevo la più pallida idea di come fossero
fatti, ci avevano preso alla sprovvista ed io ero troppo presa ad
urlare e a guardare lei.
Ad un mese di distanza, le ricerche erano sempre allo stesso patetico
punto, non li avrebbero trovati, mai.
Appena la polizia uscì dalla mia stanza chiesi di lei.
“Dov’è Micky?”
I medici mi dissero di non preoccuparmi, che ora la mia
priorità era riposare, ma io non volli sentire ragioni. Io dovevo
vederla, ne avevo bisogno. Dopo una scena che rasentava
l’isteria riuscii a farmi accompagnare nella stanza in cui si
trovava promettendo di non sforzarmi troppo.
Quando mi ritrovai di fronte al suo letto sentii il mondo crollarmi
addosso, io me l’ero cavata con un leggero trauma cranico,
male alla pancia, tanti lividi e qualche graffio.
Lei era addormentata, la faccia tumefatta dai pugni, non aveva un lembo
di pelle senza graffi e lividi ed era piena di aghi e tubi, faceva
fatica a respirare.
Il mio cuore piangeva disperato, l’ossigeno non mi arrivava
più ai polmoni e di istinto mi gettai su di lei
abbracciandola.
Senza accorgermene l’avevo svegliata, lo capii solo quando
sentii che la stretta, pur debolmente, era ricambiata.
“Ehy, così mi soffochi amore”.
Una frase così semplice le era costata moltissima fatica, ma
l’aveva detta per non farmi preoccupare.
Mi misi a piangere.
Faceva fatica a tenere gli occhi aperti e il sorriso che aveva provato
a fare risultava più un’orribile smorfia di dolore.
Quel giorno fu l’ultimo in cui le parlai perché,
quella notte, mentre dormiva, il suo cuore smise di battere ed il mio
perse l’unico motivo per cui lo faceva.
Smisi di pensare a quel orribile giorno, ritrovandomi seduta di fronte
a quella lapide. Sapeva che non sarebbe più uscita da quella
stanza d’ospedale.
Eppure, in quell’ora passata con lei non me lo fece pesare,
mi chiamò amore, come faceva sempre, provò a
sorridere.. Più pensavo a lei, più mi mancava.
Appoggiai la rosa, che ancora tenevo in mano, sotto alla lapide e dopo
aver accarezzato la foto mi alzai.
Guardai il cielo.
La neve continuava a scendere, incurante della sofferenza che mi stava
causando: Micky adorava la neve e l’inverno in generale;
tutto mi riportava a lei..
Non potevo veramente capire; l’amore è
felicità, se ricambiato, ed il mio lo era. Cosa
c’è di tanto sbagliato, di tanto immorale,
nell’essere felici? Ognuno dovrebbe poter amare chi vuole,
senza restrizioni di genere o simili, quand’è che
la gente aprirà gli occhi? Quando la gente capirà
che siamo tutti uguali, che uno nasca ricco o povero, gay o etero, nero
o bianco, siamo tutti umani; nei nostri petti batte in egual modo un
cuore.
Temo che il mondo non lo capirà mai troppo presto,
spero che almeno la nostra storia serva a qualcosa.
Feci quello per cui ero andata lì, tirai fuori un pugnale,
mi sentivo quasi penosa, ma non riuscivo più a vivere
così e il sapere che chi aveva ucciso Michela e picchiato me
era a piede libero, tranquillo e senza rimorsi, pensando di aver fatto
la cosa giusta, non aiutava.
Fissai il pugnale, incerta sul da farsi.
Avrei trovato il coraggio per usarlo? Tra tutti i dubbi di
un’unica cosa ero certa: la situazione in cui vivevo era
insostenibile.
Distolsi lo sguardo dal coltello e quando tornai a guardarlo lo trovai
bagnato .. E rosso.
Faceva male, ma il dolore era sostenibile se pensavo che entro poco
avrei raggiunto la mia Michela.
Mi accasciai sulla lapide e l’ultima cosa che vidi fu la rosa
che sotto di me, lentamente, diventava scarlatta.
“Tienimi un posto amore mio, sto
arrivando.”
Lay away a place for me
‘Cause as soon as I’m done I’ll
be on my way
To live eternally
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