A place in this world

di francy13R
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“Disadattata del cazzo, ecco come la dovrei intitolare questa miserabile storia. Quello che è certo è che non la raccomanderò a nessuno, non è una di quelle storie dove tutto è perfetto e l'unico problema è un fidanzato un po' troppo geloso o una fidanzata che gli fa le corna...”

 

Non seppi più cosa scrivere su quello stupido libricino. Avrei dovuto descrivere il mio aspetto fisico? E per far che? Ah già...alla gente interessavano quelle cose, ma il bello era che a me no. Seduta sul letto con la penna tra le labbra rimuginavo a come poter continuare. Mi sdraiai a pancia in giù torturandomi i capelli ancora umidi dopo la doccia. Il mio sguardo cadde sull'anta dell'armadio rimasta aperta e in particolare sullo specchio appeso ad essa. Stufa di tutte quelle coincidenze mi alzai e chiusi definitivamente l'armadio, in modo che non potessi nemmeno vedere di sfuggita il mio aspetto. Odiavo qualsiasi cosa che mi appartenesse, odiavo la mia scuola, odiavo le persone che la frequentavano, odiavo il mondo intero e in quel preciso istante iniziai ad odiare l'odore troppo dolce di ammorbidente del golfino blu che indossavo.

Non ero una emo masochista che ad ogni possibile occasione tentava di tagliarsi i polsi come segno della sua infinita sofferenza, nemmeno una punk che aveva come unica filosofia la musica rock-metal e non mi drogavo. Ero io, semplicemente una ragazza di diciassette anni che ne aveva piene le scatole di tutte le ingiustizie che passavano inosservate in quel mondo, tanto da odiarlo in ogni sua singola sfaccettatura.

Le cose positive nella mia vita? Mmm Non molte se non una: i libri. La mia camera piccola ma accogliente rivelava la mia vera essenza, la mia anima. Infatti sparsi a terra vi erano all'incirca un centinaio di libri, alcuni dei quali trattavano di argomenti seri come Anselmo D'Aosta e la sua strana ma intrigante filosofia, altri invece erano uno sfizio: i soliti fantasy la cui trama ti rapiva in libreria tanto da farteli comprare.

Amavo leggere, ma non era un comune amore, era qualcosa di più. Ogni volta che le mie dita sfioravano un libro la mia mente partiva a razzo articolando miliardi di pensieri, alcuni dei quali senza senso, e quasi istintivamente i muscoli si rilassavano, il cuore si animava davanti alle pagine gialle di un vecchio volume di retorica o davanti alla Divina Commedia.

E se mi reputate strana, be' problemi vostri.

Avevo iniziato a fregarmene dell'opinione altrui ormai da troppo tempo, le offese, i giudizi negativi o le prese in giro non mi sfioravano nemmeno, anzi non arrivavano neanche alle mie orecchie. Forse mi ero creata una bolla sicura attorno a me che solo in pochi riuscivano a violare, anzi solo una riusciva a violare, ma mi importava ben poco che fosse una cosa negativa o positiva.

Vivevo secondo la mia filosofia e mi ritenevo fortunata, io avevo un mio essere, mentre la maggior parte delle persone là fuori copiava per essere accettata, erano solo tante anime perse che trovavano conforto nel primo modello decente che gli capitasse davanti. Quando gli passavo accanto l'unica cosa che potevo pensare era: povere!

Mi girai fino a guardare il soffitto, avrei dovuto attaccare qualche poster anche lì, sulle altre pareti non c'era più spazio. La mia stanza: cinque metri quadrati in cui avevo passato la maggior parte della mia vita. Quelle mura mi conoscevano meglio di chiunque altro. La parete alla quale era appoggiata la tastiera del letto era di un rosso cupo, il mio colore preferito, mentre le altre erano nascoste dall'armadio e dalle migliaia di fotografie che avevo scattato in giro per il mondo.

In giro per il mondo...Di tanto in tanto sfuggivo alla monotona vita di Milano per rifugiarmi in tutte le città europee che per me avevano un significato speciale. Parigi era il primo luogo in cui ero stata, a quindici anni.

Ero letteralmente fuggita, non avevo avvertito ne mio padre tanto meno Nancy, la sua nuova mogliettina.

Ah ecco cosa dovevo aggiungere!

 

“Parlando della mia vita e delle persone che mi circondano non bisogna tralasciare la fottuta stronza moglie di mio padre, una vipera, un mostro capace di far scomparire una banconota da cinquecento euro in mezz'ora. Come la chiamereste voi: la matrigna cattiva. Ma è qui che vi sbagliate! Lei non è cattiva alla mia vista, ha solo bisogno di essere al centro dell'attenzione, cosa che in mia presenza non è mai. Non ha mai fatto male ad una mosca con le sue delicate dita. Diciamo che non avendo mai fatto nulla nella sua vita è impossibile che abbia fatto del male a qualcuno. Un'altra vostra domanda potrebbe essere: e allora perchè tuo padre l'ha sposata? Be' se avete dei suggerimenti fatevi avanti perchè io non lo so proprio, so solo che la mia vita prima che arrivasse lei era uno schifo, ma adesso è veramente peggio. E non so cosa ci possa essere di peggio dello schifo! Per favore illuminatemi!”

 

Bene, stavo decisamente sclerando. Chiedere consigli ad un quaderno...

Lo chiusi e lo lanciai dall'altra parte della stanza facendolo atterrare su un mucchio di libri. Chiusi gli occhi cercando di rallentare il ritmo del mio cuore, non c'era motivo di essere così agitati, era già tutto programmato... oh forse non tutto, ma il resto sarebbe venuto da se.

Troppe informazioni! Inspirai e tentai di riordinare la mia mente.

Aprii gli occhi e la prima foto che mi trovai davanti era quella scattata da Matthew sulla Tour Eiffel, avevo i capelli più corti e il volto ancora rotondo.

Si vedeva tutta Parigi sullo sfondo e non mi ero sentita mai così libera come in quel momento quando avevo realizzato il mio più grande sogno, quello di visitare la città di mamma. Mamma... Inevitabilmente una lacrima scese lungo la mia tempia e scomparve tra le pieghe del piumone. Era morta da ormai quattro anni. Non mi ricordavo quasi niente di lei, nonostante avessi condiviso ogni mio singolo giorno con quella donna, sembravano essere passati secoli dall'ultima volta che la vidi varcare la soglia di casa, sempre con quel volto scocciato dalla mia pigrizia e dalla mia scarsa voglia di riordinare la camera. Era morta per andare a prendere dello stupido sale al supermercato. Ogni volta che ci pensavo mi veniva voglia di sbattere la testa contro un muro.

-Cazzo!-, esclamai in preda al quel dolore all'altezza dello stomaco che mi colpiva ogni volta che pensavo a mamma. Scarse immagini, lampi di un secondo si riversarono nella mia mente: i capelli neri che raccoglieva sempre in una chignon, il rossetto rosso con il quale dipingeva le sue labbra, il profumo della cipria sulle sue guance sempre troppo pallide e la sensazione delle sue fredde e affusolate dita sulle mie spalle.

Aveva lasciato tutto per il suo amore più grande: mio padre. Aveva abbandonato la sua vita a Parigi, gli amici, i parenti...era riuscita a staccarsi da una vita che non le apparteneva e a crearsene un'altra.

Solo da lei avrei potuto prendere quel lato intraprendente e senza paura che mi aveva spinta, per mezzo di autostop, ad allontanarmi da Milano. Era stata come una boccata d'aria fresca.

Non sarei mai riuscita a fare quello che avevo sempre voluto fare senza le persone che avevo incontrato durante quel viaggio.

Cercai di ritornai con i piedi per terra. Forse nel quaderno avrei almeno dovuto scrivere il mio nome. Mi alzai svogliata e lo raccolsi lisciando una piega nell'ultima pagina.

 

“Mi chiamo Eve, ho ormai diciotto anni e..”

 

Era inutile girarci intorno, prima o poi avrei dovuto scrivere il perchè di quella specie di diario da bambini di cinque anni.

 

“ho iniziato a scrivere su questo quadernetto perchè voglio documentare il mio viaggio, per filo e per segno, non dico che descriverò anche le soste alla toilette, ma quasi... Diciamo che il mio non sarà il solito viaggio di due settimane, ma sarà un po' più lungo. Sin da quando ero piccola desideravo esplorare il mondo. Sono sempre stata incapace di stare ferma, ogni volta che torno qua a Milano mi sembra di essere oppressa. Certo è una città bellissima, ha le sue attrazioni, ma voglio vivere e questo non è il genere di vita che voglio. Quindi mi sono organizzata aspettando il mio diciottesimo compleanno, la mia più completa libertà, autonomia ed indipendenza per partire, lasciare per sempre tutto quello che è incollato in questo luogo.”

 

Sorrisi. Non mi sentivo così libera da fin troppo tempo ormai infatti l'ultima scappatella era durata solamente una settimana a causa del poco denaro che avevo portato con me.

Mio padre era un architetto e di certo i soldi non gli mancavano, ma non volevo pesargli, quindi contro la sua volontà avevo trovato un lavoro da cameriera in un ristorante non molto lontano da casa e avevo iniziato a racimolare un po' di soldi, abbastanza per sfuggire temporaneamente da casa.

Fino a quel momento avevo vissuto con la certezza che nonostante fossi in tutte le città dell'Europa, sarei dovuta tornare prima o poi.

Ma questa volte era diverso, questa volta avrei lasciato tutto per davvero.

La cosa che mi sarebbe mancata di più sarebbe stata casa mia: l'attico progettato da papà dal quale si godeva una vista meravigliosa, potete immaginarvi il perchè... In quella città così caotica e vitale quello era l'unico angolo di pace che mi rimaneva, il mio rifugio personale sfuggente al suono dei clacson o al rombo delle moto. Era il mio piccolo paradiso terreste, violato quando Nancy ci aveva messo piede.

Infatti adesso sembrava un confetto, non vi erano più libri sparsi per il tavolo della cucina, cartoni di pizza sul divano, la televisione sempre accesa e nemmeno il profumo delle lasagne che impregnava l'aria la domenica mattina.

La mia nuova “mamma” non si sarebbe mai azzardata a toccare i fornelli, avrebbe rischiato di rompersi le unghie rifatte, figuriamoci di lavare i piatti, perciò quello che mangiavamo proveniva dalla gastronomia dall'altra parte della strada. Con la scusa delle lezioni di danza (che coprivano il lavoro) e lo studio non mangiavo quasi mai con loro, preferivo comprare qualcosa al supermercato e divorarlo in camera oppure scroccare qualche fetta di pizza durante il mio turno.

Alcune volte mi chiedevo come fosse possibile che papà avesse scelto una donna così diversa dalla mamma. Non ero contraria al fatto che si rifacesse una nuova vita, anzi ne avevo bisogno, perchè sapendo che lui era felice anche io lo sarei stata, ma proprio lei doveva scegliere?

Papà...Chissà cosa avrebbe pensato del mio gesto! Per un attimo nella mente mi balenò l'idea di rimanere, ma sapevo che se avessi deciso ciò me ne sarei pentita per il resto della mia vita.

 

Dall'altra parte della porta chiusa a chiave mio padre bussò e disse: -Eve è pronta la cena! Mangi con noi?-. Notai la punta di speranza nella sua voce.

-No, non ho fame!-, esclamai con le lacrime agli occhi. Mi sarebbe mancato papà, il mio papà, quello che mi prendeva in braccio la mattina per portarmi davanti al tè e ai biscotti che mamma preparava, quello che la sera quando tornava dal lavoro continuava a ripetermi quanto fossi bella, quello che non lasciava mai la mia mano durante il funerale... Forse un giorno l'avrei rivisto.

Sentii i suoi passi che si allontanavo. Così mi alzai e mi diressi nel mio bagno. Aprii un'anta seminascosta, presi una birra e una confezione di patatine. Andavo avanti così da ormai due anni e il risultato di quell'alimentazione sregolata erano i fianchi rotondetti che si intravedevano quasi sempre sotto una maglietta e il passaggio dalla 40 alla 42, ma ero alta, quindi la cosa si intravedeva appena. Comunque il fatto che avessi qualche chilo in più mi era del tutto indifferente.

Raccolsi i capelli neri in una crocchia disordinata e accesi il computer per controllare il mio profilo di Twitter. Andai immediatamente sul profilo di Matthew per vedere se c'erano novità, ma dedussi di no data la presenza di un misero tweet sul tempo autunnale. Non aveva disdetto! Mi sentii sollevata. Il fatto che mi dovessi appoggiare ad altre persone oltre che me stessa mi rendeva nervosa, avrebbero potuto cambiare idea da un momento all'altro e se questo fosse accaduto tutto ciò che avevo organizzato sarebbe andato in fumo.

Ancora quattro giorni, il tempo che convalidassero la mia maggiore età, e sarei partita.

Prima destinazione: Parigi.





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