Capitolo 1
Un
aiuto insperato
Elisabetta e Francesca erano
sorelle, vent’otto anni sommati insieme.
Due sorelle che andavano perfettamente d’amore e
d’accordo, che ad un primo sguardo potevano
apparire semplici amiche (infatti non potevano essere più diverse!), ma
chi le conosceva bene sapeva che erano indissolubili.
La prima era di corporatura media, sul metro e sessantacinque, proprietaria di lunghi e liscissimi capelli
castani e di lucenti occhi verde acqua; la seconda era più bassa e
snella, con sfavillanti capelli castano scuro mossi lunghi fino circa alle
spalle ed espressivi occhi castani chiaro.
Quanto al carattere, erano spesso schive e riservate, altre
volte invece più espansive.
Era la fine di agosto e faceva
caldo; il ghiaccio che Elisabetta era riuscita a recuperare si era già
completamente sciolto nel suo bicchiere di succo di frutta mentre le due
stavano guardando il loro album di foto. L’avevano consumato, a forza di
guardarlo; lo facevano più o meno una volta
all’anno, era una specie di rituale.
A dieci anni, guardandolo, avevano chiesto ai genitori come
mai non esistessero, nella loro casa, foto di loro
neonate in braccio a papà o mamma. Fu allora che scoprirono di essere
state adottate.
Da allora i rapporti si erano incrinati. Non era una cosa esplicita, ben visibile, semplicemente succedeva.
I rapporti con il padre erano limitati alla sera a
causa del lavoro, anche se erano sempre momenti felici, mentre quelli con la
madre, che pur era presente in casa, non erano così consistenti.
Nonostante la scuola assorbisse
molto del loro tempo libero, spesso, anche d’inverno, stavano fuori casa
a gironzolare per il loro minuscolo paesello; andavano a scambiare quattro
chiacchiere con la titolare dell’unica libreria e anche a farsi spiegare
un po’ di matematica, oppure andavano a far merenda con un pezzo di pizza
o uno snack in uno dei tre bar sempre ben riscaldati.
Spesso in casa loro si discuteva, ma i musi di solito
scomparivano entro la giornata. Era in quelle occasioni che se ne andavano a fare un giro.
Quell’estate fatidica, come consuetudine, stavano
trascorrendo le loro mattinate ad un centro estivo tenuto nella palestra
comunale; era abbastanza monotono: essendo loro le più grandi dovevano
aiutare gli obiettori a tenere a bada i bambini più piccoli. Alcuni
erano delle vere pesti; quelli più grandicelli,
dai dieci anni in su, erano davvero rissosi e
attaccavano briga ogni giorno, mentre le bambine piccole erano più
tranquille e carine. Avevano molte piccole amiche frequentanti l’asilo.
Come al solito, alla fine di agosto
si teneva un piccolo spettacolo al teatro comunale di canto e ballo.
L’idea non le eccitava proprio: nessun ragazzo carino, solo genitori e
mamme in ansia con le telecamere.
-Ragazze! Qualcuna di voi va giù a vedere se
c’è della posta?- la voce della madre giunse
squillante dalla cucina fino alla loro camera.
-Andiamo!- scesero dal letto e
uscirono dalla camera, percorsero il corridoio notte e il breve tratto fino
alla porta del loro appartamento. Scesero due brevi rampe di scale e furono coi piedi sull’asfalto rovente del cortile. La
buchetta delle lettere in effetti conteneva una
lettera, ma le due non avevano le chiavi per aprirla, così Francesca
introdusse le sue dita sottili nella fessura e riuscì a estrarre la
spessa busta.
Elisabetta allungò il collo curiosa:
la busta era di carta spessa e porosa, forse riciclata, e chiusa con della cera
lacca rossa sulla quale era impresso uno stemma.
Quando furono rientrate in casa,
fecero subito vedere la lettera alla madre adottiva, la quale lacerò
senza tanti complimenti un lato ed estrasse il contenuto. I suoi occhi scorsero
veloci le prime righe; non finì nemmeno di leggerla, che
l’appallottolò e la gettò nel cestino della spazzatura.
-Che roba era?- chiesero curiose le
sorelle.
-Uno scherzo. Probabilmente di quelle
catene che circolano tra i giovani…- e non aggiunse altro.
*
La giornata seguente era pressoché uguale a quella
appena passata: il sole era alto nel cielo e scaldava il paesaggio
tutt’attorno, il cielo era blu, senza l’ombra di una nuvola e, di
tanto in tanto, si udiva il canto di qualche uccello.
Beato te, uccellino,
che canti quando ne hai voglia pensò
Francesca.
I ragazzi del centro estivo entrarono nel piccolo teatro a
coppie disposte in fila indiana, sotto lo sguardo vigile dell’assessore
comunale all’istruzione, che ogniqualvolta si avvicinava un possibile
spettatore dispensava sorrisi al malcapitato.
Ad accogliere la moltitudine c’era Marco, uno degli
obiettori del comune, che stava disponendo i bambini in cerchio attorno a
sé perché tutti potessero sentire.
Si misero d’accordo su come disporre le entrate in
scena (Elisabetta e Francesca erano circa a metà) e sulle canzoni da
presentare. Naturalmente quando le due sorelle dissero
che a loro non serviva la base, perché volevano proporre un pezzo di
loro invenzione, l’assessore si insospettì, ma dando retta a
miliardi di rassicurazioni si convinse a lasciarle fare.
In fondo alla sala, già piena, due figure in penombra
sembravano prese da tutto fuorché dalla bambina che stava
“cantando” una stupida filastrocca.
-Hai sentito, no? Silente ha detto
che è già l’undicesima lettera che ignorano!- disse una
voce melliflua di uomo.
-Certo…- rispose una seconda voce, più gioviale
–Più o meno capitò una cosa del
genere anche a me…-
-Mi disgusta essere in missione con te, questo lo sai vero?- chiese freddo il primo uomo.
-Naturalmente!- rispose il secondo, probabilmente un
ragazzo.
-Ma cos’è questa schifezza che ci stanno
propinando?!- sbottò di colpo il primo,
attirando su di sé molti degli sguardi dei presenti.
-Fa piano!- sussurrò il
ragazzo al suo compagno. –Sai, ai Babbani piace vedere i moscerini che
cantano, soprattutto se fanno schifo…-
-Quando dici “Babbani” comprendi anche te stesso?- sogghignò malefico l’uomo.
-Ormai non più. Non più…-
*
Finalmente toccava alle sorelle.
Quando la bambina del turno prima
di loro ebbe finito, le due fecero un’entrata veramente unica: una
giravolta di capriole, salti a mezz’aria, ruote riempì gli occhi
degli spettatori.
Come da copione, i due microfoni senza filo furono lanciati
loro da sotto il palco; li afferrarono e cominciarono a cantare.
Se oggi sono contenta
È perché
ho mangiato della menta
Ieri invece ero triste
Perché
non avevo delle riviste
Fare quello che mi
pare
Anche urlare, sì
Oggi mi va di
fare….
-Bravine… non c’è male!- sussurrò l’incontentabile uomo,
nascondendo male l’eccitazione.
-Vedo che qualcosa del mondo Babbano inizia a piacerti!- ghignò il suo compagno.
-Non ho detto che mi piace!
Intendevo dire che sono senz’altro meglio delle
cantilene di prima!-
Anche il pubblico le apprezzava,
battendo le mani a ritmo e applaudendo, e quando le due scesero dal palco
facendo un giro andò in delirio.
Qualcosa aveva attratto Elisabetta, la quattordicenne
castana, verso gli ultimi posti dove sedevano le due figure in penombra; fece
qualche ruota, tentando di vedere i volti, ma si allontanò correndo
senza aver soddisfatto la sua curiosità.
…se con questo
divertiti vi abbiamo
adesso noi ci dileguiamo!
Così
com’erano giunte sul palco, le due tornarono dietro le
quinte.
Non ci volle molto
prima che l’intero spettacolo giungesse al termine. Una
volta concluso il tutto, furono libere di tornarsene a casa e di
restarci per tutte le mattine di agosto e settembre a venire.
Senza che loro se ne accorgessero, due uomini le seguivano da lontano.
Così, inconsapevolmente, li condussero fino a casa loro.
I due attesero che
le ragazze fossero entrate in casa per suonare al loro
campanello. Videro la madre affacciarsi alla finestra e scrutarli per un
istante, poi ne sentirono la voce al citofono.
-Sì?
Desiderate?- chiese garbatamente la donna.
-Dobbiamo parlarle,
signora. Si tratta dell’istruzione superiore delle sue figlie. –
-Un momento. Arrivo
subito. –
Probabilmente la
signora non si fidava a farli entrare in casa, per
questo aveva deciso di scendere assieme al marito. Le due ragazze osservarono i
quattro per tutta la durata della loro conversazione dalla finestra; quando i
genitori si allontanarono per tornare in casa, notarono che i due signori non
accennavano a muoversi, stavano attendendo qualcosa.
-Ragazze,
raccogliete le vostre cose e seguite quei signori. Vi porteranno alla vostra
nuova scuola. –
-Come? Scusa, ma
mancano ancora quindici giorni prima che il liceo apra
i battenti!! E poi ci siamo già state a
visitarlo…-
-Probabilmente il
liceo non lo vedrete mai. A quanto pare, siete
destinate ad un altro tipo di istruzione… –
-Eh? Scusa, ma vi
sentite bene?-
-Sì,
purtroppo. Voi siete delle maghe!-
-Maghe? Beh, okay
che abbiamo dei voti da paura, però non
esageriamo!-
-Oh, è
così difficile…-
Il quel momento la
porta si spalancò (l’avevano lasciata socchiusa) ed entrarono i
due uomini. Quello in testa, di mezza età, vestito completamente in
nero, puntava contro le due ragazze un bastoncino di legno, simile a uno dei pennelli che le due adoperavano durante le ore
scolastiche di artistica. Mormorò delle strane parole e dal pezzo di
legno scaturì un doppio fascio di luce rossa che colpì in pieno
petto Elisabetta e Francesca, le quali si accasciarono al suolo.
*
Francesca si stiracchiò e stropicciò gli
occhi, dando una gomitata alla sorella che ancora dormiva beatamente.
-Dai, mamma, non ho voglia di
andare a scuola!- bofonchiò Elisabetta.
-Svegliati!- gemette preoccupata Francesca. –E io non sono tua madre!-
A fatica anche la dormigliona divenne lucida e la prima
domanda fu: -Dove siamo?-
-Bene, vedo che finalmente vi siete svegliate! Era ora. Scusatemi, vado ad informare il mio collega del lieto
evento!- le beffeggiò un uomo dalla soglia della stanza.
Le ragazze si voltarono, nella speranza di vedere chi aveva
parlato, ma la figura si era già dileguata con
un frusciare di stoffa sul pavimento e l’agilità di un gatto.
La stanza era completamente in legno, e sembrava aver
passato tempi migliori: gli angoli delle pareti erano ammuffiti e c’erano
graffi ovunque; l’arredamento era ridotto ad un letto matrimoniale (sul
quale avevano dormito) e due comodini ai lati di quest’ultimo. Una
finestra era l’unico sbocco sul paesaggio esterno, ma era tutta sporca e
sudicia, e la luce che entrava non consentiva di vedere bene; le ragazze non vi
fecero un gran caso, preoccupate com’erano.
-Siamo state rapite!- riuscì
a dire Elisabetta.
-Mi****a! E questo non è un film… Pensi
che…- la sorella non riuscì a finire la
frase. L’uomo che le aveva turbate al risveglio era tornato con al seguito il “collega”, poco più che
un ragazzo.
Le parole di quest’ultimo furono molto più
rassicuranti: -Salve ragazze, dormito bene?-
-Sì, certo, magnificamente e lei? Oh, ma che sbadata,
non le ho ancora chiesto COSA ACCIDENTI CI FACCIAMO QUI?!-
lo aggredì Elisabetta.
L’uomo in disparte sembrò
molto divertito da quella reazione, troverà pane per i suoi denti pensò.
-Apprezzo che siate completamente sveglie… io sono
Harry, Harry Potter e questo è Severus Piton. Ti dispiacerebbe farti
vedere in viso, Severus, non sei mica così brutto!- invitò Harry
in falso tono cordiale; per tutta risposta, Piton lo guardò con
espressione omicida ma non disse niente.
Harry Potter era un ragazzo che non poteva avere più
di venticinque anni; era alto e magrolino, vestiva jeans e una maglietta sgualcita
chiara che creava un certo contrasto cogli spettinati
capelli corvini che più volte si esprimevano in ciuffi ribelli; gli
occhi verdi conferivano al volto un’espressione cordiale e la bocca era
allargata in un sorriso sincero. L’unica cosa che sfigurava quel bel viso
era una curiosa cicatrice a forma di saetta che si stagliava fiera sulla sua
fronte; con un gesto nervoso il ragazzo cercò di appiattirsi i capelli
in modo da nasconderla.
Il suo compagno, Piton, era una figura inquietante: il lungo
mantello nero che toccava terra e che lo avvolgeva completamente si sposava
perfettamente con i suoi capelli unticci lunghi fino alla scapola; aveva
un’espressione arcigna dipinta sul volto olivastro, resa ancora
più minacciosa dagli occhi nocciola scuro e dalla sottile bocca curvata
in quello che pareva un sorriso. La penombra, poi, rendeva veramente truce la
sua espressione, degna di un film horror; nonostante
ciò, non mostrava più di quarant’anni.
-Bene!- riprese improvvisamente Harry, infrangendo quel
silenzio riflessivo che era calato sulla stanza. –Voi invece siete
Francesca ed Elisabetta… Sertini?-
Elisabetta sbuffò: -Serpini.
Non pretendevo che ci arrivaste subito: di solito ci affibbiano diversi
appellativi, prima di capire (solo perché sillabo)! Comunque
piacere. -
Piton abbozzò un sorriso compiaciuto.
-Spiacente di averti offesa. Allora, volete ancora sapere
perché siete qui, o non vi interessa
più?- si scusò il ragazzo, ignorando l’espressione del
compagno.
-Certo che lo vogliamo sapere!-
risposero in coro le sorelle.
-Bene. Leggete questa!- e porse
loro una busta gialla fermata da uno stemma di cera rossa.
Incuriosite, le ragazze aprirono la busta; la lettera era
stata spedita loro da Bologna, e recava i loro nomi: alle signorine Elisabetta e
Francesca Serpini, via Boncompagni
62, Marano (MO).
Lessero:
SCUOLA DI MAGIA E
STREGONERIA DI HOGWARTS,
SEZIONE DI BOLOGNA
Direttore: Albus Silente
Care signorine
Serpini,
siamo lieti di informarVi che Voi avete diritto a
frequentare la Scuola
di Magia, Stregoneria e Babbanologia di Hogwarts
(sezione di Bologna). Qui accluso troverete l’elenco di tutti i libri di
testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio
il 1o settembre. Restiamo in attesa della
Vostra risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
Con ossequi,
Minerva
McGranitt
Vicedirettrice
Allegata alla lettera c’era un foglio, “l’elenco di tutti i libri di testo e
delle attrezzature necessarie” , ma le ragazze non parvero farci caso.
Quando ebbero finito,
l’espressione di una era divertita, mentre l’altra arrabbiata.
-Avanti, dove sono le telecamere? Avreste dovuto dire da un
pezzo “siete su Scherzi a Parte”! Dove sono?-
chiese con enfasi Francesca.
-Se pensate di essere divertenti,
vi sbagliate proprio! Avanti, fuori il nome dell’ideatore! Sono stati i nostri genitori, vero?- proseguì
Elisabetta stizzita.
Piton le guardava con aria interrogativa,
ma Harry sorrideva.
-Questo non è uno scherzo, ragazze. È tutto vero, dalla prima all’ultima parola!- disse
tranquillamente.
-Se dite il vero, dimostratelo!-
propose Elisabetta.
-Potter…-
-Va bene, Severus, va bene! Wingardium Leviosa!- disse Harry
estraendo un curioso pezzo di legno a forma di bacchetta e puntandolo su un
cuscino; questo si sollevò e allegramente si diresse verso le sorelle e
infine cadde sulla testa dell’interlocutrice, che proprio non se
l’aspettava.
-Allora, è sufficiente come prova?- chiese divertito
Harry, contemplando l’espressione furente della sua vittima
mentre si liberava dal cuscino.
-Certamente! Non so con quale espediente tu sia riuscito a fare questa porcheria, ma ti garantisco che
non la passerai liscia!- sbottò Elisabetta e lanciò il cuscino
verso il colpevole, che disse:
-Protego!- facendo afflosciare il
proiettile ai suoi piedi.
Quando la notizia ebbe invaso ogni
cellula del cervello delle due ragazze ammutolite, l’espressione dipinta
sul loro volto era uguale alla faccia di un pesce lesso, al che Piton
cercò di riportare le due giovani menti al presente con un gesto della
mano simile a un saluto.
- Posso fare una domanda?- chiese Francesca.
-Spara!- disse Harry.
-Che cos’è Hogwarts e chi accidenti è
Albume Sipente?-
-Già e chi sarebbe anche quella…
com’è che si chiama?! Minerva McGranito? Che bei nomi!-
-Albus Silente!!-
tuonò Piton -E Minerva McGranitt…-completò con minor
enfasi.
-Okay, okay signor Spiton!- cercò di giustificarsi Elisabetta, ma con
scarso successo.
-Ci rinuncio…- borbottò
Piton.
Intanto Elisabetta, con la lettera in mano, macchinava: Silente+McGranitt+libri+materiale+compiti+SCUOLA=TASSE!!!!!!!! E SUDORE
-Dunque vi dobbiamo delle spiegazioni.
Prima però andiamo giù a bere un buon bicchiere di Burrobirra!- propose Harry.
-Sarebbe?- chiese Elisabetta.
-Una bevanda molto diffusa nel mondo magico, soprattutto tra
i giovani. -
-Da Mezzosangue…- sibilò Piton.
-E dai Severus… devi sempre snobbare
ogni cosa?-
Il quartetto scese le vecchie scale di legno e si
ritrovò in una piccola stanzetta illuminata da poche candele (nonostante
fosse giorno, le finestre erano talmente opache che non filtrava che pochissima
luce); si sedettero su un tavolaccio che sotto il peso scricchiolò leggermente mentre arrivava l’oste, un piccolo
vecchietto calvo e sdentato che chiese: -Desiderate, signori?-
-Tre Burrobirre e… Severus,
hai già in mente qualcosa?- rispose Harry
cordialmente.
Di tutta risposta la figura nera sibilò: -Per me solo
un infuso di erbe, grazie…-
L’oste prese le ordinazioni e sparì dietro un
immenso bancone sudicio.
-Bene bene, questa è bella: noi streghe! Sembra la
trama di un telefilm…- riprese Elisabetta.
-Allora anche i nostri genitori, intendo quelli naturali,
avevano poteri magici?- chiese sua sorella.
-Forse, non è detto, ma mi dispiace, io non sono
italiano e non posso conoscerli. Noi veniamo dalla Gran
Bretagna!- rispose quasi scusandosi Harry, indicando il compagno.
-Capisco…-
Nel frattempo l’oste era tornato con quattro
bicchieri, tre bottiglie contenenti un liquido color fieno e una brocca fumante
di infuso; appoggiò il tutto sul tavolaccio e
si allontanò nuovamente.
-Hogwarts è una prestigiosa
scuola di magia e stregoneria situata in Gran Bretagna; noi proveniamo da
lì.
Normalmente, le materie insegnate sono esclusivamente legate
al mondo magico, ma il preside, Albus Silente, ha proposto di integrare nel
percorso formativo degli apprendisti anche materie tipicamente babbane…-
sonoro sbuffo di Piton -…ehm…come per esempio l’informatica o
la lingua madre; ora, questo progetto è ancora in fase di
sperimentazione e, in accordo con le vostre autorità, si è deciso
di farlo qui, in Italia, dove le scuole di magia sono scarse, ma in rapporto al
numero di studenti. È un fatto strano, ma qui in Italia i maghi e le
streghe sono incredibilmente pochi, a ciò non c’è
spiegazione.
Naturalmente, tutti gli insegnanti sono maghi, anche quelli
che insegnano materie babbane, e vi chiedo di non far
pesare loro la differenza.
Questo è il primo anno, “l’anno di
prova”, quindi tutti i vostri compagni avranno la vostra età, ma
se l’esperimento dovesse riuscire, ogni anno
entreranno nuovi compagni; se invece dovesse fallire, si sceglierà quali
provvedimenti adottare.
Albus Silente e la McGranitt saranno impegnati nella scuola in
Inghilterra, quindi ci saranno dei “supplenti”.
Un’ultima cosa: se vi può interessare, io
sarò il vostro insegnante di Difesa contro le Arti Oscure e Piton quello
di Pozioni. Domande?-
-A questo punto dovremo darvi del “lei”?- chiese
Francesca, anche se sapeva fin troppo bene che la domanda era stupida.
-Per quanto riguarda me, non è necessario…- disse timoroso Harry, attendendo la risposta del collega.
-Io, a differenza del mio collega, lo esigo! E adesso, se volete scusarmi, ho cose più importanti
da fare! Potter, mi fido!- tuonò il professore, e se ne
andò come un’ombra, col mantello che strisciava per terra.
-Dovrete farci l’abitudine, Piton è sempre
così, e soprattutto non è molto imparziale,
anzi, per niente!- sussurrò loro Harry; di tutta risposta, le due
ragazze si scambiarono un’occhiata preoccupata.
-Purtroppo, quando ero un suo studente, mi tiranneggiava in
mille modi… e non credo che sia cambiato molto…-
-Come?! Lei è stato un suo studente? Ma quanti anni ha?- gemette scandalizzata Elisabetta.
-Ne ho ventiquattro e, sì, sono stato un suo studente
per ben sette anni. Per favore, diamoci del “tu”!-
-Ventiquattro! Wow, sei giovane per essere
un insegnante!- constatò Francesca.
-Vero. Ma Silente mi ha affidato l’incarico primo
perché mi conosce bene e si fida di me, secondo perché il posto
di Difesa contro le Arti Oscure non è molto ben
visto, infatti si dice che attiri molte sventure… in parte è
vero…-
-In fin dei conti, lei… tu… cosa ci insegnerai?-
-Vedi, Elisabetta, al mondo non tutti vanno sempre
d’accordo… e a volte capita che ci si faccia
i dispetti o, peggio, ci si voglia far del male. Io ho il compito di insegnarvi
a proteggervi da eventuali persone che vogliono ferirvi o semplicemente
divertirsi crudelmente alle vostre spalle…-
-Ehi, guarda che vanto ben quattordici anni, a me puoi
parlare come ad un adulto!-
-Va bene, sarò esplicito… una volta, un mago
molto potente divenne cattivo. Il suo vero nome era Tom Riddle, ma al mondo divenne
famoso come Lord Voldemort; vi prego, non dite in
giro questo nome, perché molti ancora temono il solo sentirlo.
Il suo scopo era diventare il mago più potente mai
esistito, e vi riuscì; uccideva tutte le persone che gli si
opponevano… era veramente spietato. Creò un vero e proprio
“regno del terrore”, quando finalmente venne
sconfitto, e successe in un modo davvero molto singolare: volle eliminare un
bambino e la sua famiglia; la madre del povero bimbo morì nel tentativo
di salvarlo, e quando Voldemort tentò di fare
lo stesso anche con il figlio, l’incantesimo che scagliò gli si
ritorse contro… infatti l’amore materno, il gesto, il sacrificio,
tutte cose che lui non riusciva a comprendere, fecero da scudo alla creatura,
che aveva quasi un anno, e condannarono il Signore Oscuro a vagare come uno
spettro, privo di poteri e di corpo, per molti anni. –
-Però mi pare di capire che
questa storia abbia un continuo…- obiettò Francesca.
-Infatti… Voldemort
tentò nuovamente di uccidere il bambino, che ormai era un ragazzo e
frequentava Hogwarts, ma più volte fallì. Infatti
lui poteva contare su una schiera di amici veramente valenti e coraggiosi e
alla fine, come in tutte le storie a finale lieto, il bene trionfò!-
-Ma chi era questo bambino?- chiese
improvvisamente Francesca.
-Non lo so… è una storia ormai vecchia e molte
cose vanno perse… ma ora bevete
la vostra Burrobirra, non l’avete nemmeno
assaggiata!-
Passarono cinque minuti di ininterrotto
silenzio; l’unico rumore era quello dello straccio che l’oste stava
passando sul bancone.
-Ma… e i nostri genitori?-
chiese improvvisamente Elisabetta, con una nota di preoccupazione nella voce.
-Loro non ricordano niente di voi due. Gli abbiamo
cancellato la memoria. -
-C-cosa? Non ricordano niente? Ma… ma, perché?-
-Perché sono dei Babbani,
dei senza poteri. Nessuno deve sapere del mondo magico,
altrimenti si scatenerebbero quasi certamente delle guerre. –
-A-allora
noi saremmo… orfane?-
-La scuola è attrezzata per la ricerca di genitori
adottivi, naturalmente maghi. Davvero, mi dispiace immensamente, in Inghilterra
non è così, là c’è
molta più libertà. Evidentemente, i nostri due Stati la pensano
in modo molto differente. –
*
Nella solitudine della loro camera, le due sorelle
riflettevano, preda della malinconia.
-Possibile che con la magia si riescano
a rimuovere i ricordi di una vita?- si chiedeva Francesca.
-Almeno non soffriranno nel non rivederci più. Ma… noi?-
-Già, noi. Non potevano cancellare la memoria anche a
noi?-
-E poi? No, diventava tutto
più incasinato. Però… riusciremo a stare senza di loro?-
-In fondo, non erano i nostri veri genitori…-
-Però, ca**o, abbiamo
vissuto con loro da sempre! E adesso si presentano questi due
bell’imbusti di Dracula e Van Helsing e ci stravolgono la
vita. Con quale autorità?-
-Sicuramente, una che noi non riusciremmo
a comprendere, come la storia delle guerre tra Babbani e maghi. –
-Sai, adesso che ci penso, ho paura per il nostro futuro. Anche se non credo di essere veramente dispiaciuta per i
nostri genitori, in fondo noi, per loro, non siamo mai esistite… non so
cosa dirti, mi sento un’egoista. –
-Dormiamo, che è meglio. Il sonno porta consiglio,
magari domani ci svegliamo e scopriamo che è tutto un sogno. -
RECENSITE IN TANTI PLEASE!:-)