NCIS HS
Anthony
DiNozzo Junior
sa il fatto suo. E questo è innegabile.
A parte che è inevitabilmente bello
da guardare ma... insomma, sa il fatto suo.
Nella storia della Woodrow
High School è stato il più giovane capitano di
basket dei
Cannoni Chudley*, che, con lui, hanno vinto tre stagioni consecutive.
Nelle ville di proprietà dei DiNozzo si organizzavano le
feste
più belle dell'anno e, chi lo conosceva, sapeva che aveva
tanto charme da
incantare perfino gli insegnanti.
Questo ragazzo sembrava non avere un difetto; in realtà
Tony,
dentro di sè, non aveva praticamente nulla. Sua madre
è
morta quando aveva otto anni, lasciandolo in balia di un padre quasi
alcolizzato, poco presente e pieno di mogli che, naturalmente, lo
consideravano una sorta di cagnolino che, per pietà, non
può essere buttato in mezzo ad una strada.
Di amici, Tony
sembrava averne tanti. In realtà gli unici che frequentava
erano
i suoi compagni di squadra che, capitava, cambiassero ogni stagione e
fossero pronti a stargli accanto solo quando metteva a segno un
canestro.
Di ragazze, pure, Tony sembrava averne tante. In
realtà se ne stancava presto, troppo presto!, e riducendo i
suoi
rapporti sessuali alle ragazze pom pom. La leggenda della Woodrow, in
realtà, non era altro che una facciata.
Se proprio vogliamo dirla tutta, Tony DiNozzo nella sua apparente
maschera da bello e
impossibile ci
stava abbastanza bene, perchè gli permetteva di nascondere
sè stesso alle persone; aveva scoperto, da pre-adolescente,
quanto era facile ingannare gli altri con finti sorrisini e battute o
scherzi piazzati al punto giusto. Non aveva mai incontrato nessuno che
potesse metterlo sotto scacco.
Nessuno, a parte Leroy
Jethro Gibbs.
Il professor Gibbs aveva cominciato a "torturare" Tony dal suo secondo
anno di liceo: era arrivato come insegnante di Storia, diventando
però, ben presto, una specie di sergente (in seconda al
Preside)
che trucidava gli studenti con uno sguardo. Tony non si è
saputo
spiegare il perchè dell'accanimento nei suoi confronti;
eppure,
in Storia, non andava malaccio.
Gibbs lo spronava sempre a fare di più.
Un pomeriggio, costretto a stare a scuola per una punizione datagli
proprio da lui, gli aveva urlato contro che ne aveva "le scatole piene"
che lui era "un fottuto
stronzo sessualmente represso" e che poteva
"andare a farsi fottere".
Poi, appena in un sussurro, aveva confessato
di essere "tanto stanco
da non riuscire neanche a guardare uno
specchio". Gibbs non aveva fatto nulla. Si
era tolto gli occhiali e gli aveva sorriso. O almeno, era quello che
Tony vide, ma non ne era esattamente sicuro.
Da quel giorno le cose erano
cambiate: il professore non gli dava più addosso,
più che
altro lo riempiva di scappellotti.
A lui, infondo, non dispiaceva; era come avere un padre, o no? Aveva
anche sostituito l'allenatore di basket, a casa per malattia, e lo
vedeva tutti i giorni. Certe volte si confidava pure, senza mai
ricevere una vera risposta.
"Buongiorno Boss"
lo salutava la mattina, con un sorriso stentato.
"Vai in classe DiNozzo!" borbottava lui.
Era un rapporto, più o meno. L'unico rapporto che poteva
essere considerato tale nella vita di Anthony DiNozzo Junior.
Nella Woodrow c'erano tipi come DiNozzo e tipi come Timothy
McGee.
Quest'ultimo era iscritto a così tanti corsi che, alla fine,
gli
era stato proibito seguirne altri: club di matematica (undici membri),
club degli scacchi (cinque membri), club degli appassionati di Dungeons
& Dragons (tre membri), club delle Olimpiadi della Scienza
(quindici membri) e club di Chimica avanzata (tre membri).
La vita sociale di Tim si riduceva a quei pochi nerd che frequentavano
con lui i corsi extra-curricolari e a sua sorella Sarah la quale,
più che una presenza affettuosa nella sua vita, era la
classe
ragazza carina e popolare che riesce a farti sentire una caccola nasale
dopo mezza frase di senso compiuto. Eppure era più piccola
di
lui e stava alle medie.
In ogni caso, Tim degli amici ce li aveva e aveva un obiettivo:
arrivare al MIT e fare della sua vita una continua ricerca tecnologica.
I computer per lui non avevano segreti, tantomeno la Fisica. Il suo
professore di Scienze, tale Donald Mallard, diceva che il suo talento
era secondo solo ad Abigail Sciuto, la sua alunna migliore.
Nemmeno i
membri dei club di Chimica sapevano della cotta di Tim per
quest'ultima, decisamente una ragazza strana in tutti i sensi. Vestiva
gotica, ma non lo era; non veniva considerata una "nerd", nè
una
"secchiona", quindi mai ridicolizzata per questo. Eppure non era
popolare. Era solo Abby, insomma. La conoscevano tutti, eppure pochi
erano suoi amici. A mensa era sempre pimpante, scherzava con quelli
della squadra di basket e si intratteneva con quelli del club degli
scacchi.
Persona strambra, Abigail Sciuto, soprattutto quando andava in giro col
professor Gibbs gesticolando. Dopo un pò Tim aveva capito
che
parlavano col linguaggio dei segni. Personalmente, lui aveva proprio
terrore del professore dagli occhi di ghiaccio. Lo salutava solo per
non sembrare scortese e inimicarselo (un brutto voto in Storia avrebbe
fatto scendere in picchiata la sua media molto più che
eccellente).
In ogni caso, era un amico di Abby, uno dei pochi veri e non le avrebbe
mai e poi mai confessato della sua cotta, o almeno quello era il piano.
Caso volle che il Ballo di Primavera cominciava ad avvicinarsi a
velocità inaudita e il suo unico desiderio era avvicinare
Abby
per chiederle di andare con lui al Ballo.
Ziva
David
era cresciuta abbastanza e aveva vissuto così tante cose in
diciassette anni di vita da sapere che si può sopravvivere
sostanzialmente a tutto.
Si può
sopravvivere ad un padre che
lavora per il Mossad
Si può
sopravvivere alla morte di una
madre.
Si può
sopravvivere alla scomparsa di un fratello.
Aveva
vacillato alla morte di sua sorella, ma aveva scoperto di poter
sopravvivere anche a quello.
Si può
sopravvivere anche dopo aver
fatto ore ed ore di lezione di Krav Maga.
Si può
sopravvivere ad
una pallottola.
Ziva, molte volte, si era chiesta se il suo essere una sopravvissuta non
la rendesse una persona ormai priva di qualsiasi emozione e/o
sentimento. Era arrivata ad una conclusione: sì, lei un
cuore ce
l'aveva, ma era così anestetizzato da non sentire
assolutamente
nulla.
Nemmeno quando suo padre, Eli David, le aveva candidamente annunciato
che Israele era solo un lontano ricordo e che si
sarebbero traferiti
in America, il cuore di Ziva aveva vacillato.
Non devi mai, mai
mostrargli che stai male. Se lo fai, lui ti terrà in pugno.
Ricordava questa frase, stringeva i denti, e andava avanti, cercando di
non far vedere a suo padre assolutamente niente. Lei doveva essere
perfetta, di pietra, spietata se necessario. Doveva tener duro
finchè non sarebbe arrivato il giorno -perchè
alla fine
sarebbe arrivato, ne era certa- in cui lei sarebbe stata Libera.
Libera
da tutto ciò che la teneva legata a suo padre e al Mossad, a
cui
era inevitabilmente destinata.
E se la Libertà equivaleva alla morte, Ziva l'avrebbe
salutata come una cara amica.
Per un momento, però, alla notizia del trasferimento, il
corpo
della ragazza aveva sussultato. Forse Eli se ne era accorto, lui si
accorgeva sempre di tutto, in fondo. Qualcuno, nella sua testa, aveva
sussurrato che quel giorno era arrivato. Ma poi Eli David le aveva
anche detto che ce la portava per evitare che facessero fuori anche lei. Era
un anno particolare per il Mossad, forse suo padre sarebbe diventato
direttore e, a quel punto, i tentativi di ucciderlo si erano
moltiplicati a dismisura sotto i suoi occhi. Una volta, fuori scuola,
avevano perfino tentato di rapirla.
Aveva riflettuto e, escludendo il fatto che suo padre fosse preoccupato
per la sua salute, era arrivata alla conclusione che, se fosse accaduto
qualcosa, la sua nomina a direttore sarebbe sfumata. La portava in
America per preservarsi, in fondo.
Aveva, poi, sempre avuto sentore che dalla morte di sua sorella Tali,
Eli David fosse, in qualche modo, cambiato: era da sempre la sua figlia
preferita rispetto a lei, futuro soldato, poco femminile ed educata, e
Ari, che non considerava nemmeno sangue del suo sangue.
Tali era morta, invece. Tali era morta e gli altri due reietti erano
sopravvissuti.
Ziva credeva di essere troppo simile a sua madre, per questo Eli la
odiava. In ogni caso, dalla morte di Tali, era morta anche quella
biglia di umanità che restava nel suo adorato padre.
Infine, anche Ari era andato via. Sapeva che stava allenandosi per il
Mossad, eppure suo padre non le permetteva di vederlo. Mai.
Si era lasciata andare, Ziva. La sua unica speranza era morire in
fretta, con la prima missione che le sarebbe stata assegnata una volta
arruolata nel Mossad.
"Buongiorno Boss!"
"Vai in classe, DiNozzo!"
Come tutte le mattine, Tony e il professore si salutarono
così.
Il primo, corse a lezione di Letteratura e il secondo, corse a
prendersi
un caffè. Era una mattina come tante, alla Woodrow High
School:
Tim ripeteva Chimica e Abby, accanto a lui, guardava e salutava gli
studenti che attraversavano i suoi corridoi; un assonnato professor
Mallard stava cincischiando con un giovane dall'aria annoiata.
"Ehi Tim" saltò su Abby.
"Dimmi, Abbs. Anzi, perchè non mi spieghi il secondo
paragrafo?" sillabò nevrotico.
"Non fare il tonto, si sa che hai capito tutta la lezione prima che
Mallard aprisse bocca. In ogni caso, stavo per chiederti se conosci
quella lì!" gli afferrò il mento, per spostarlo
leggermente verso sinistra. Una ragazza, della loro età,
stava a
fatica infilando i libri nell'armadietto. Portava una felpa blu di due
taglie più grande, le sembrò. I capelli
(palesemente
piastrati) erano legati in un coda alta e penzolante. Non riusciva a
vederla in volto ma era certa, dal colorito del collo e del braccio
lasciato scoperto dalle maniche, che fosse un pò scuretta di
pelle.
"No. Mi sa che è una nuova. Quell'armadietto era di quello
dell'ultimo anno, che s'è trasferito" disse distratto Tim,
sfogliando voracemente il libro. Abby non gli rispose e lui
notò
che continuava insistentemente a guardare la nuova venuta.
"Abby" la ragazza sussultò.
"Cosa?"
"Vuoi fare amicizia con lei, non è vero?" Tim chiuse il
libro e
le sorrise, dolce. A volte gli sembrava impossibile che Abby non
percepisse affatto i suoi sentimenti. Era così
dannatamente palese!
"Oh, si, Timmy!" saltellò sul posto. "Ma ho paura di
spaventarla. Dai, vieni con me!"
"Non se ne parla!" arretrò di qualche passo. "Mi vergogno e
poi
devo ripetere, oggi c'è il test! Ma... ehi, non credo che il
tuo
aiuto serva più" le indicò con la testa la nuova
arrivata, affiancata da un ragazzo. "DiNozzo se la sta lavorando
già" alzò un sopracciglio.
"Smettila di fare l'antipatico" gli tirò un pugnetto sul
braccio. "Tony è simpatico, in fondo. Tu non lo conosci!"
"Nemmeno
tu" replicò.
"Invece ci mettiamo a parlare ogni tanto!"
"Mha... non lo so. Resta un cretino!"
E Tony un cretino sembrava mentre, di fianco alla nuova arrivata,
provava a fare conversazione. L'aveva notata subito, appena varcata la
soglia del liceo. Non era vestita in modo egregio, ma era decisamente
carina, peccato per quel broncio che aveva sempre piantato su. Si
vedeva che era nuova, perchè aveva un sacco di libri e si
guardava in giro tutta corrucciata. A quell'espressione, Tony aveva
riso senza motivo.
Gli faceva tenerezza, sebbene l'idea di portarsela a letto non era del
tutto sparita.
"Josh" disse all'amico. "Io vado a fare amicizia" rise, indicando la
ragazza.
"Buona fortuna fratello!" sorrise l'altro e, presi i libri, si diresse
verso la sua lezione della prima ora. Tony, invece, vista la ragazza
accostarsi ad un armadietto, le finì subito accanto.
"Ciao!" trillò. Lei si voltò a guardarlo e quasi
lo
trucidò con lo sguardo caldo e scuro. Un brivido gli
percorse la
schiena e l'istinto fu di fare marcia indietro. E invece non lo fece.
"Ehm, sono Tony. Tony DiNozzo, piacere" allungò la mano, ma
lei non la prese.
"Tu come ti chiami?" tentò, poi.
"Ascoltami un attimo" lei chiuse di scatto l'anta dell'armadietto,
facendolo sobbalzare. "Io non
voglio
fare amicizia con te, ok? Tanto non starò qui abbastanza a
lungo
da ricordare il tuo nome" rispose, cadaverica. "Comunque, anche se
fosse, sei così pieno di te che conoscerti non rientra
esattamente nelle mie preferenze. Ora, se vuoi scusarmi, vado a lezione
di Storia" borbottò, sorpassandolo.
1 a 0, palla al centro.
Tony DiNozzo era stato rifiutato.
"Hai visto?" Abby aveva scosso Tim.
"Cosa? Che DiNozzo ha la faccia di uno che è stato
schiaffeggiato?"
"Si, anche" la ragazza aveva ridacchiato. "Dicevo la felpa della
ragazza!"
"No, perchè?"
"C'era scritto Tel Aviv
University"
"E allora?"
"Tim, mi sa che è israeliana!"
* I cannoni Chudley li ho ripresi da Harry Potter
:D
Maia says:
ECCOOOOLA!! XD Ncis è il mio grande amore, non me ne volete!
:D Come avete potuto vedere, è una storia... strana. Spero
la apprezziate però! :D
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