LETTERA
A UN
AMICO
Ragusa,
11/11/11
Caro amico mio,
Capita a volte di sentirsi soli.
Poi si pensa agli amici e ci si sente
meglio.
Aspetti sempre di trovarteli alla
porta, quando hai dei
problemi.
La verità? Gli unici che
troverai ad aspettarti sull’uscio
sono i gatti randagi cui porti da mangiare.
Cos’è un
migliore amico? Io pensavo di saperlo.
Chi è quella persona che
chiami sorella o fratello, non
avendo comunque legame di sangue? Io pensavo di averla trovata.
Che cosa dire in proposito? Nulla.
In verità io ti dico che
l’affetto di un amico vero, forse, me
l’hai sempre fatto mancare.
Mi è mancata quella
persona che se chiamo accorre in mio
aiuto o a consolarmi.
Io, per te, l’ho fatto
sempre.
Se chiamavi io c’ero.
Se chiedevi:
Vieni. Ho
bisogno di parlare!
Io c’ero.
Ho bisogno
che mi fai
un favore!
Io lo facevo, nel mio possibile.
Stavi male.
Io
mi preoccupavo.
Tu, il mio amico, ti limitavi a una
telefonata di cortesia.
L’hai sempre fatto.
La tua
giustificazione
è sempre la stessa: lo sai che ho sempre tanto da fare!
La verità è che
tu hai tempo per me quando non lo hai da dedicare
ad altri.
Solo la sera io ottengo la tua
attenzione per liberarti dal
peso della tua dimora.
Io che sono poco avvezza
all’uscite, non festeggiavo con la
tua regolarità.
Così
tu hai deciso
che i miei sporadici dinieghi fossero solo noia.
Mi dispiace, ma sono fatta
così. Dopo questi anni di
conoscenza, dovresti saperlo.
Ora non vanto neanche quella cortesia.
Mi chiedo se forse sono io ad avere
una percezione troppo
grande di questo concetto chiamato amico.
Il tempo per chi reputi meritevole in
quel frangente ce l’hai
sempre.
In effetti, come posso pensare IO di
poter meritare da te
tali onori.
Io che sono ai margini della
società per la mia timidezza e
a volte poca sicurezza.
Hai miei occhi sei sempre parso forte
e sicuro di te. Lo eri
per entrambi.
Ora, tuttavia, il tuo atteggiamento
non mi dona sicurezza,
anzi m’incupisce più della solitudine.
Quando
sento solo questa,
la solitudine, almeno so che è reale e vera.
È
una certezza.
Oramai quando mi accompagno a te, non
riesco a distinguere se
ciò che sento sia finta compagnia o vero vuoto.
Mi dico sempre che devo smettere.
Mi dico sempre che devo chiudere alla
prossima voragine che
aprirai, ma continuamente non riesco a lasciarti andare.
Perché anche se
l’incertezza e il vuoto mi assalgono, non
riesco a lasciare la tua mano.
Quella stessa mano che mi lascerebbe
annegare nel più
profondo dei mari.
Io, però, non ti
lascerò.
Quando avrai bisogno di una mano. Io
sarò lì a tenerla stretta.
Quando il tuo dolore
sembrerà trafiggerti il cuore. Io devierò
il colpo come uno scudo.
Quando la malinconia e la tristezza
oscureranno il tuo viso.
Io lo illuminerò con un sorriso.
Anche se non riavrò,
sicuramente, nulla di tutto questo in
cambio.
Anche se questo mi farà
soffrire enormemente.
La mia mano sarà sempre
tesa verso di te, perché ti voglio
bene e, nonostante questo affetto faccia male, non posso lasciarlo
andare, perché
questo vorrebbe dire lasciare la tua mano e allora cosa mai
potrà stringere la
mia?
Solo le dita ossute della solitudine
che per anni hanno
cercato di stringerle e da cui sono sempre fuggita, ma mai seminata.
Lei è lì. In
ogni angolo pronta ad afferrarmi.
Quindi non farmi lasciare le tue dita
e se puoi, stringile.
Ti
prego!
L’amico
che non lascerà mai la tua mano.
GENESIS’S MOMENT
Piccola, diciamo, lettera che scrivo
per tutti coloro che
non si sentono abbastanza ricambiati dai loro amici.
Effettivamente questa è
una piccola richiesta d’aiuto al mio
amico, che penso non leggerà mai questo
piccolo specchio di anima.
Forse tuttavia è meglio
così.
Questo, comunque, è un
piccolo post senza pretese.
Se ci sarà qualcuno che
vorrà commentare e vorrà pormi le
sue riflessioni o le emozioni che questo post gli provocato sarà ben accetto.
Chi solo leggerà sarà allo
stesso modo ringraziato.
Tutto dipende cosa vi ha provocato
questa piccola lettera.
Alla prossima.
Genesis_Candeor_Diamond
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