Storia
scritta per il Giro
dell’Oca indetto dal Writers Arena
Rewind. La casella conteneva due immagini,
ho scelto di utilizzare la citazione: “I often wonder if life
is easier for
other people or they’re just better at faking it.”
Start
over again
Erano
passate a malapena due
settimane da quando Santana Lopez aveva fatto il suo ingresso al
McKinley, e poteva
già vantare tre litigi - uno con la barbosa insegnante di
letteratura inglese e
due con altrettanti suoi compagni di classe di cui a stento si
ricordava il nome
-, una quasi rissa - la povera ragazzina era scappata a gambe levate
appena in tempo
- e due (o erano tre?) sveltine occasionali.
La
ragazza si sentiva terribilmente
annoiata, abituata com’era dalle famigerate scuole medie del
Lima Heights a doversi
aspettare qualsiasi cosa da qualsiasi persona, incluso il lancio di
materiale disgustoso
o cibo (il primo perlopiù sottratto al laboratorio di
chimica, il secondo alla mensa
il mese prima e adeguatamente… stagionato),
durante il cambio aula e i più brutali maltrattamenti verso
i più piccoli, roba
da programma protezione testimoni/animali; qui invece sembravano tutti morti. Poteva camminare per i corridoi
puliti
e luminosi con al massimo la possibilità di incorrere in uno
scontro di granite;
dico possibilità e non rischio perché al primo
che l’aveva adocchiata come “novellina”
e presa di mira era bastato un suo sguardo assassino per cambiare idea.
L’unica
cosa che aveva acceso un suo
barlume d’interesse era stato un volantino, in bacheca, che
annunciava data e orario
dei prossimi provini dei Cheerios, i cheerleaders
dell’istituto, con sotto una lista
infinita di nomi e cognomi… Stava giusto per strapparlo,
quando una ragazza bionda
le passò davanti e le rubò l’idea,
accartocciando con aria impassibile il foglio
e gettandolo per terra.
«Cosa
stai facendo?», domandò Santana,
allibita. L’altra si voltò e la squadrò
dall’alto in basso - ehi, quello
era il suo
metodo di intimidazione! - prima di risponderle, visibilmente
seccata:
«Meno
persone vedranno l’annuncio,
meno persone verranno, più aumenteranno le mie
possibilità di entrare nella squadra»,
le spiegò, senza curarsi nemmeno di imbastire una scusa
plausibile.
Santana
scosse la testa, decisa a
non farsi fraintendere:
«Questo
l’avevo capito; ti stavo chiedendo
perché mi stessi rubando l’idea».
L’altra
assottigliò lo sguardo,
soppesando le sue parole. Poi, inaspettatamente, le tese la mano:
«Io
sono Quinn Fabray, piacere di
conoscerti. Sono sicura che diventeremo grandi amiche».
Santana
attese solo pochi istanti
prima di stringerle la mano e presentarsi a sua volta, divertita dal
tono
volutamente ipocrita di questa nuova conoscenza. Forse il periodo della
noia
era arrivato alla fine.
«Comunque
i provini sono fra sette
giorni esatti, ci vediamo direttamente lì»,
terminò Quinn, considerando la questione
chiusa e avviandosi verso la mensa.
«Quinn»,
la richiamò Santana, facendola
voltare verso di lei. «Fra una settimana siamo di nuovo
martedì. I provini sono
lunedì».
La
ragazza fece spallucce.
«Io
ci ho provato», disse,
andandosene via definitivamente e facendola sorridere. Finalmente aveva
trovato
pane per i suoi denti.
Era
passata quindi un’altra settimana,
senza che la sua attenzione fosse catturata da qualche evento
straordinario - tranne
la caccia ai secchioni organizzata da un qualche studente
più grande -, e finalmente
arrivò il lunedì. Il pomeriggio, puntuale come un
orologio svizzero, Santana si
era messa in fila, fuori dalla palestra, in attesa del suo turno. Aveva
intravisto
Quinn, poco più avanti, e si erano rivolte due sorrisi
affilati come lame, ma non
si erano parlate. All’improvviso, un grande trambusto alle
sue spalle le fece voltare
entrambe, e Santana notò un gruppetto di cinque ragazze che
stava intorno a qualcosa
o qualcuno. Lanciò un’occhiata di fuoco alla tipa
svampita dietro di lei - alla:
prova a fregarmi il posto e sei morta
- e si avvicinò, vedendo una ragazza più alta di
lei che non sembrava affatto spaurita,
ma neppure spavalda. Sembrava, sembrava…
«Ma
vi dico che io devo partecipare,
me l’ha detto Lord Cicciottoni!»
Ingenua
quanto una bimba, ingenua
quanto i bambini di Lima non potevano mai essere stati.
«Non
dire stronzate, noi ti stiamo
dicendo, invece, che devi tornartene a casa… O sei troppo
stupida per capirlo?»
A
quelle parole la ragazza si rabbuiò,
e a Santana venne naturale inserirsi nel gruppo, al centro insieme a
lei, e guardarle
tutte con disprezzo.
«Se
ne avete paura è perché sapete
che è più brava di voi. Perché non ve
ne andate tutte a casa, a questo punto? Non
avete la minima speranza, non contro di noi, almeno».
Quella
che sembrava il capo fece per
ribattere con ferocia, ma una voce alta e squillante le
bloccò tutte:
«Ah,
coach Sylvester!»
Santana
sorrise, riconoscendo il tono
di Quinn, prese per mano la ragazza e uscì dal gruppetto,
dando casualmente una
spallata mentre passava in mezzo a due di quelle arpie.
Passò davanti, noncurante,
a diverse altre contendenti in fila - le quali non ebbero il coraggio
di lamentarsene
- e si piazzò dietro a Quinn, una delle prime, che stava
spiegando alla vicina:
«No,
non l’ho mica vista arrivare…
La stavo giusto invocando. Sai, è tipo una
leggenda».
Santana
le strinse un fianco per farle
capire che la stava ringraziando - non era tipo da esprimerlo
verbalmente, lei -
e si girò verso la ragazza che ancora teneva per mano, la
quale le stava sorridendo.
«Bene,
io sono Santana, e lei è Quinn»,
disse, lasciandola andare. Quinn si voltò e le fece un breve
sorriso.
«Oh,
voi siete gli aiutanti di Lord
Cicciottoni?», chiese l’altra, e le due amiche si
scambiarono uno sguardo perplesso.
«Non
mi risulta…», provò Quinn, ma
venne subito interrotta:
«Ma
sì, Lord Cicciottoni! Non vi ha
parlato di una certa Brittany? Me l’ha detto lui di fare i
provini, anche se io
avevo paura che mi avrebbero rifiutata perché, sapete, sono
un po’… tonta».
«Tu
non sei stupida», risposero le
altre, senza pensarci. Tornarono a guardarsi e si capirono al volo.
«Brittany,
anche se fosse, noi non
potremmo dirtelo, cerca di capirci…»,
improvvisò Quinn, mentre Santana fissava il
soffitto facendo finta di non sentire. Brittany le guardò
entrambe per qualche istante,
prima di scoppiare a ridere, allegra:
«Lo
sapevo, lo sapevo! Non mi avrebbe
mai lasciato senza aiuto», ridacchiò, e proprio in
quell’istante le porte di sicurezza
si aprirono e ne uscì Sue Sylvester. Immediatamente quasi
tutte le ragazze presenti
sembrarono rimpicciolirsi di fronte alla sua figura - e alla sua aria
sadica -,
ma quel nuovo e bizzarro trio non si scompose. Quinn ostentava
un’aria sicura di
sé, Santana una annoiata e Brittany… Brittany
semplicemente guardava per aria.
«Voi
tre», ringhiò la coach, e lo
stomaco di Quinn fece una capriola all’indietro.
«Dentro».
«Ma…»,
provò a protestare la seconda
della fila, guadagnandosi un’occhiata di fuoco.
«E
tu sei fuori. La volontà di Sue
Sylvester non si discute».
Si
voltò, lasciandosi dietro noncurante
la ragazza in lacrime, e le designate entrarono in palestra, sotto lo
sguardo invidioso
e rassegnato di tutto il gruppo.
Quinn
era visibilmente al settimo
cielo per essere riuscita ad entrare nei Cheerios; non faceva altro che
sistemarsi
e risistemarsi la divisa nuova fiammante, attenta che tutti riuscissero
a
vederla. Anche Brittany sembrava contenta, e Santana si chiese
distrattamente
se bastasse così poco a renderle felici. Spesso si chiedeva
se la vita fosse
più facile per gli altri, o se fossero semplicemente
più bravi a fingere. Lei
non era mai felice, non davvero, anche se il rendere una vita un
inferno per
gli altri la divertiva immensamente. Sentiva una parte di sé
stridere
inevitabilmente con il mondo esterno, e non capiva come porvi rimedio.
«Comunque
sono davvero contenta di
avervi conosciute, penso saremo un gruppetto perfetto
all’interno della squadra…»,
disse allegramente Quinn, soddisfatta.
«Poi
cosa farai? Punterai al quarterback
della squadra di football e cercherai di farvi eleggere re e regina del
ballo di
fine anno?», le domandò ironicamente Santana, e
dallo strano luccichio nei suoi
occhi capì d’aver colpito nel segno. Ed ecco a
voi, signore e signori, la nuova
ape regina del McKinley!
Aveva
da subito intuito che probabilmente
Quinn era stata attratta da loro due proprio perché aveva
bisogno di costruirsi
la propria “scorta”, ma non se ne era fatta un
cruccio eccessivo: apprezzava le
persone che si dimostravano per quello che erano, e se gli altri non
erano in grado
di andare oltre l’innocente apparenza della Fabray non era
affar suo.
«Vi
va di venire a casa mia, nel pomeriggio?»,
chiese Brittany, e Santana annuì automaticamente, prima di
maledirsi. Quella ragazza
aveva il potere di tirar fuori il suo lato spontaneo, quello che
nascondeva con
cura a tutti. Sapeva che era un pericolo, ma alla fine non le importava
poi così
tanto.
«Dovremmo
anche trovarci un nome»,
disse Quinn, uscendo finalmente dal bagno dove si erano rinchiuse a
cambiarsi.
«Non
provarci neanche, non siamo mica
una band!», sibilò Santana, contrariata.
«Sarebbe
meraviglioso! Perché non
qualcosa alla “i tre elfi del
sottobosco”?», domandò Brittany.
Santana
lanciò un’occhiata eloquente
a Quinn, che si rassegnò.
«Ok,
ok, niente nome… Ma neanch-»
«NO!»
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