…questa è una storia che ho
scritto tanto tempo fa, però è carina e mi piacerebbe che la commentaste! Lo so
che è semplice e un po’ banale, però quando l’ho scritta da piccina era molto
orgogliosa…così tanto per cominciare a conoscermi leggetela! ^__^
Il figlio del
crepuscolo
Era nuovamente
una splendida e luminosa giornata dentro in Menegroth, “le Mille Caverne”
tradotto in lingua umana, nel Doriath, l’intramontabile regno del re elfo
Thingol, famoso sovrano dei Sindar, gli Elfi Grigi o Elfi del Crepuscolo, e di
sua moglie Melian, l’elfa più saggia di tutte le figlie della Terra-di-Mezzo.
Sì, Doriath,
“Terra della Cintura” nella lingua degli uomini, anticamente chiamata Eglador,
affascinante regno nelle foreste di Neldoreth e Region con capitale Menegroth,
sul Fiume Esgalduin. Veniva anche detta Il Regno Nascosto, perché in un
passato tenebroso, Melian fu costretta a far ricorso al suo enorme potere di
Maia per creare un muro visibile d’ombra e smarrimento: la Cintura di Melian, che
nessuno poté mai oltrepassare contro la sua volontà o quella di re Thingol, a
meno di non essere dotato di un potere maggiore di lei, Melian la Maia. E questa terra
interna, che a lungo fu detta Eglador, venne in seguito chiamata Doriath, vale
a dire il regno vigilato, Terra della Cintura, regno di una guardinga ed eterna
pace. Ed è di codesta terra che questa storia narra, del Regno Nascosto e di
anche un giovane principe, il figlio prediletto dei Sindar: Lomion, il “Figlio
del Crepuscolo”. Questi era un giovane di “solo” quattrocento anni, solo
perché, dato che gli elfi sono immortali, anche il tempo per loro ha un altro
valore. Se confrontata la sua età elfica con la nostra età umana, si può dire
che avesse all’incirca diciotto anni. Era alto,
slanciato e con un fisico che pareva scolpito. Come molti Elfi Grigi, aveva i
capelli lunghi e neri, lasciati sciolti sulle spalle, con un’unica eccezione
per una sottile treccia che gli scendeva lungo l’attraente volto, fiero ed
orgoglioso come quello di tutti i giovani principi. I suoi grandi occhi erano
di un blu profondo e luminoso, tanto profondo e luminoso che a fissarli
intensamente ci si poteva restare abbagliati, come a guardare direttamente il
sole. Il suo sorriso era di una bellezza rara, tanto rara che quando sorrideva
con la bocca, tutto il volto gli si illuminava e
sorrideva. Aveva mani grandi e forti e la sua pelle era molto abbronzata,
grazie a tutte le scorribande nel bel regno del Doriath. Era allegro, amava
fare lunghe cavalcate sulle sterminate praterie d’argento del Doriath ed era un
maestro nel tiro con l’arco. Non si può dire che fosse
proprio un principino modello, a volte si dimostrava proprio un irresponsabile
giovanotto che aveva voglia solo di divertirsi. Questo almeno fino al momento
in cui sua sorella maggiore, la più bella di tutti i figli di Iluvatar, il
“Padre di Tutto” che mai vi fu o vi sarà, Luthien dalla beltà dell’aurora in primavera, decise di diventare mortale per
amore di un uomo. Quest’uomo il cui nome era Beren, dopo aver visto per la
prima volta Luthien danzare e cantare soavemente come un usignolo tra i boschi
di Neldoreth, di sera e con la luce della luna sopra di lei, se ne innamorò
perdutamente. Azzurro era il suo abito come un cielo sereno, grigi i suoi occhi
come la sera stellata; il suo mantello era coperto di fiori dorati, ma i suoi
capelli erano scuri come le ombre del crepuscolo. Ed è proprio per quest’ultimo
motivo che, non sapendone il nome, Beren la chiamò in cuor suo Tinuviel,
termine poetico per usignolo, “Figlia del crepuscolo”. Purtroppo il loro amore
non fu accettato da re Thingol e grandi sofferenze dovettero passare insieme
per questo amore. Alla fine, però, vinsero su tutti e riuscirono a vivere
insieme da mortali.
Al tempo di questa storia, Luthien dimorava
con l’amato Beren in Tol Galen, l’isola verde nel mezzo dell’Ardurant, al di là
del fiume Galen, nell’Ossiriad, luogo dove, non molto tempo dopo, sarebbero
morti insieme. E il suo giovane fratello, il protagonista di questa storia, visse
nel profondo del suo cuore tutte le pene della sorella, la vide cadere dalla
bellezza più abbagliante a uno stato di semplice
mortale. Osservò suo padre precipitare in un lungo inverno dell’anima, vide gli
occhi di sua madre spegnersi dell’abituale luce, guardò il regno del Doriath
soffrire per la perdita della sua principessa. E di tutto questo lui ne pativa
molto, sì, ma solo nelle segrete del suo cuore. Amava intensamente la sorella
ed aveva pianto tanto per la sua scelta, anche se nessuno lo aveva visto. In
quelle notti aveva giurato che, quando sarebbe giunto il momento, lui avrebbe
sposato esclusivamente un’Elfa di sangue puro, in modo
che suo padre potesse ritornare a vedere la primavera dell’anima. All’apparenza
era sempre il solito principe elfo, pieno di voglia di vivere e del tutto
distaccato dal dolore della sua gente. Continuava a vivere felice, facendo
quello che ogni giovane principe fa: approfittava a volte della sua posizione,
rubacchiava qualche volta qualcosa da mangiare, faceva il “galletto” con le
giovani della città…
Doriath viveva
nella pace e nel dolore ed era indifesa, a parte dal fatto che c’era sempre la Cintura di Melian. Ed è di
questa temporanea svista che Gothmog, signore dei Balrog, i “Demoni del
Potere”, demoni di fuoco che servivano Morgoth, supremo capitano di Angband,
approfittò. Assoldò dei nani mercenari, orchi, goblin e si mise in viaggio per
distruggere il regno del Doriath, da sempre bramato dai suoi neri progetti.
Presto la
notizia giunse alle porte di Menegroth e tutti gli Elfi Grigi accorsero
spaventati dal loro re Thingol, perché Gothmog era il più terribile e feroce
capitano di Morgoth. Thingol, preso anch’egli alla sprovvista e incapace di
controbattere alla sventura imminente, mandò a chiamare il suo figlio unico e
prediletto: Lomion, le cui gesta compiute in questa impresa divennero famose e
furono a lungo cantate dai menestrelli di tutta la Terra-di-Mezzo.
Il giovane
arrivò all’istante da suo padre, perché era da molto che questi non lo mandava
a chiamare. Ma quale fu la sua sorpresa quando ascoltò
ciò che aveva da dirgli il re suo padre:
«Lomion, figlio
del crepuscolo, figlio mio e di Melian, figlio prediletto dei Sindar,» iniziò il sovrano, con voce ferma e stanca, «è arrivato
il momento per dimostrare a tutti il tuo valore. Le forze di Gothmog stanno
avanzando dirette qui, osano sfidare il potente regno del Doriath. Mai nessuno
ha osato tanto. Ho già convocato qui i nostri fratelli, grazie alla nostra
antica alleanza: gli Elfi di Bosco Atro, gli Elfi Verdi e gli Elfi della Luce.
Sta a te, ora, figlio mio, creare un’armata tanto potente in grado di
annientare Gothmog. Dovrai difendere, anche a costo della vita di tutta la tua
armata, la Cintura
di Melian. Ora vai. Nella Sala del Consiglio sono già riuniti tutti i nostri
fratelli. Sta a te organizzare la difesa. Se tu perderai, sarà la fine dei
Sindar.»
Lomion chinò il
capo in cenno d’assenso e stava per andarsene, quando suo padre lo chiamò
nuovamente:
«Bada di non
morire, figlio mio. Non ho che te, ormai.»
Il ragazzo chinò
nuovamente il capo, questa volta sorridendo d’orgoglio, e si diresse a passi
svelti verso la Sala
del Consiglio. Entrato qui, venne investito dalla luce
che emanavano i suoi fratelli elfi. Si fermò a guardarli, costernato: erano
tutti seduti vicini in lunghe file orizzontali ed erano più di cinquecento.
“Troppo pochi
contro i mille di Gothmog.” Pensò Lomion.
Un attimo dopo il suo sguardo fu
attirato da una figura incappucciata in un mantello d’argento, simbolo degli
Elfi della Luce. Bisogna sapere che tutti gli elfi sono coperti da lunghi
mantelli, solo che questo era talmente incappucciato che si riuscivano a
scorgere solo gli occhi. Nell’incontrare quello sguardo, a Lomion parve di
essere trafitto da una lama arroventata. Non aveva mai visto elfi con occhi
simili: azzurrissimi, di una chiarezza impressionante e insieme taglienti come
una lama.
Il ragazzo si
andò a sedere al suo posto, davanti a tutti, e il silenzio calò nella stanza.
Si alzò, tremando un poco sotto tutti quegli sguardi puntati su di lui, ed
iniziò a parlare lentamente:
«Benvenuti a
tutti, fratelli miei. Io sono Lomion, figlio di Elwë, chiamato Thingol dai
Sindarin, soprannominato Singollo dagli altri, “Mantogrigio” in lingua umana.
Saprete certamente il motivo della vostra presenza qui nel Doriath, il regno
dei Sindar, non starò ora a rispiegarvelo. Abbiamo poco tempo per organizzare
una difesa che regga. Ascoltate la mia idea: ho
pensato che una metà di noi potrebbe aspettare il nemico fuori
dalla Cintura, attaccandolo al momento opportuno. L’altra metà, dovrebbe
invece restare qui dentro le mura a difendere la città nel caso il Muro
cedesse. Con un po’ di fortuna vinceremo.»
«Con un po’ di
fortuna, dite?»
Una voce
cristallina si era levata dal silenzio degli Elfi stranieri in quella terra.
Lomion guardò con aria di sfida la massa di elfi e disse, con voce possente e
chiara:
«Chi ha
parlato?»
La figura
incappucciata che aveva notato prima si alzò leggiadramente ed iniziò a parlare
con tranquillità:
«Io, principe
Lomion.»
Il ragazzo la
guardò sospettoso, prima di riprendere a parlare:
«Chi siete voi
che osate interrompermi in quel modo, per di più incappucciato come un ladro?»
L’elfo lasciò
cadere il mantello e si mostrò per intero. Un’espressione di stupore comparve
sul volto degli elfi, più grande di tutti in quello del principe Lomion: non
era un elfo, bensì un’elfa, ed anche la più bella che avesse mai visto.
Portava un leggiadro abito di seta bianca, una tunica che le cadeva dolcemente
in piccole pieghe sul corpo snello, legata sulle spalle con due spille
d’argento. Aveva i capelli di un biondo sfolgorante, in parte
sciolti e in parte raccolti in due ciocche legate con un giglio bianco
dietro la testa. Portava un anello di cristallo all’anulare della mano destra e
molti bracciali d’oro le adornavano le braccia. Brillava di una grazia
sconosciuta a tutti quegli occhi e la sua bellezza era paragonabile solo a
quella di Luthien, la più bella di tutte gli elfi.
Sorrideva e i suoi occhi ardevano di una luce mai vista, lucenti come pezzi di
stelle roventi in un cielo sereno.
Ripreso dallo
stupore, Lomion ricominciò a parlare rivolto alla fanciulla, questa volta con
una voce che lasciava trapelare completamente il fascino che stava subendo
dalla ragazza, da cui sembrava esserne illuminato:
«Una donna, qui?
Chi siete, splendida creatura?»
La ragazza parve
non badare al complimento ed avanzò con grazia tra i suoi fratelli, parlando
dolcemente:
«Fino ad oggi il
mio è sempre stato un nome maschile, grazie al quale ora mi trovo qui e grazie
al quale ho potuto vivere delle esperienze che una donna non avrebbe mai potuto
vivere. Questo nome è Maeglin e se mi sono mostrata per come sono veramente, è
solo perché voi
me l’avete ordinato, principe.»
Lomion pareva in
preda di un incantesimo ed ora che la fanciulla l’aveva raggiunto, la guardava
come si guarda una dea. Le disse:
«Maeglin? Non
significa forse “Sguardo Tagliente”? Chi siete in verità, incantevole
fanciulla?»
«Il mio nome è
Elwing, “Spruzzo di Stelle”, e sono qui per prestare servizio al mio principe.»
«Da quale casata
venite?»
«Vengo da
Valinor, la terra gli elfi della luce.»
«Cosa volevate
dire prima con quell’affermazione?»
Elwing sorrise
con dolcezza e, avvicinandosi ancora un po’ a Lomion, disse:
«Voi intendete
vincere la battaglia con la fortuna, mio principe? Siamo seri, per favore! Ho
combattuto più battaglie di quante ne abbiano viste
tutti i presenti in questa sala, e vi assicuro che la fortuna è solo l’ultimo
porto a cui rivolgersi. Se vorrete ascoltarmi, io ho un’idea di come
sconfiggere Gothmot.»
Lomion, che era
completamente affascinato dalla fanciulla, annuì con vigore:
«Vi prego,
parlate se sapete! Penso che nessuno in questa sala oserà contraddirvi, se la
vostra idea è vincente.»
Guardò con
sguardo arroventato tutti gli elfi presenti e questi annuirono intimoriti da
lui, ma anche inebetiti dalla bellezza di Elwing. Questa, dal canto suo, parve
adattarsi completamente al ruolo di condottiero e cominciò a parlare con
fermezza e convinzione:
«Vi ringrazio,
principe Lomion. Dunque, la vostra idea non era male, ma se provata sul campo
aperto si sarebbe dimostrata fallimentare perché troppo rozza e imprecisa. Ecco
la mia idea. Innanzitutto occorrerà creare una squadra con i più abili dei qui
presenti che vada incontro al nemico. Questa è
l’ultima cosa che Gothmot si aspetta: per lui sembrerà un nostro suicidio. Ed è
questo che voglio che avvenga. All’inizio dovremo sembrare inesperti e
incapaci, dovremo farci bastonare un po’. Ma quando lui, preso della foga di
ammazzarci tutti, commetterà l’errore di abbassare la guardia ai suoi preziosi
Balrog credendo di aver vinto, ecco che noi attaccheremo proprio lì, al cuore,
dove lui non si aspetterebbe mai. Gli rispediremo nell’abisso
tutti i Balrog e poi, veloci come il vento, torneremo qui a difendere la Cintura. Sarà
pericoloso, molto pericoloso. Molti di questa compagnia moriranno, non lo nego,
ma chiedo a te, mio principe, il permesso di scegliere io i componenti di
questo gruppo di eroi, evitando di mandare così al massacro elfi inutili.»
«Sì, fate come
meglio credete.»
«Grazie, mio
principe. Tutto questo a dopo, però. Devo spiegare il resto del piano al più
presto, non ci resta tanto tempo. Allora, mentre questa compagnia andrà
all’attacco, neutralizzando il pericolo maggiore rappresentato dai Balrog, gli
elfi rimanenti si disporranno fuori della Cintura, pronti per sferrare un
potente attacco contro i nani mercenari. Saranno circa mille tra nani, orchi e
goblin, ma non abbiate timore, con un buon cavallo e una buona mira, sarà facile
distruggerli. Ed ecco che la grande armata di Gothmot verrà
sconfitta e i Sindar trionferanno! Gothmot fuggirà a gambe levate dal suo
padrone e se avrà voglia di ritornare non troverà più solo cinquecento elfi
intimoriti, bensì cinquemila elfi pronti ad annientarlo. Se vorrà la guerra,
guerra ci sarà!»
Il silenzio calò
nella sala. Dopo un istante Lomion riprese la parola, parlando lentamente:
«Il vostro piano
sembra perfetto, ma anche estremamente rischioso. Non sarebbe meglio mettere
dei guerrieri anche dentro le mura?»
Elwing scosse la
testa con decisione:
«No, perché se la Cintura cadrà, non
basteranno duecento soldati per fermare la furia devastante di Gothmot. A quel
punto tutto sarà perduto. Bisogna colpire subito e con la massima potenza,
questo è essenziale, principe.»
«Capisco e mi
fido di te, bellissima Valar. Potranno credermi pazzo ad affidare il comando
della spedizione ad una donna, ma sento che non mi deluderete, Elwing. Avete il
mio completo appoggio e tutta la mia fiducia.»
Elwing sorrise
compiaciuta e chinò il capo con riverenza:
«Vi ringrazio
mio signore, saprò essere all’altezza delle vostre aspettative.»
Anche Lomion
sorrise:
«Ne sono sicuro»
I componenti
della compagnia vennero subito decisi. Erano una cinquantina
di potenti guerrieri, resi famosi in diverse battaglie per il loro coraggio.
Tra loro v’era anche l’audace Elwing, vestita nuovamente come un uomo, e il
temerario Lomion.
Tutto venne disposto come da istruzioni di Elwing e presto la
truppa si mise in viaggio verso Gothmot. Cavalcarono per un’intera giornata e
solo al calare del sole iniziarono a intravedere le fiaccole sempre accese
dell’armata di Gothmot. Per tutta la notte cavalcarono silenziosi
come ombre tra gli alberi, nascosti dall’oscurità, seguendo senza sosta
le torce degli orchi. Così la mattina giunse presto e il momento di combattere
risultò imminente. Prima di lanciarsi all’attacco, Elwing chiamò i suoi uomini
e diede gli ultimi ordini:
«Dunque il
momento è giunto. Ricordate: fingere, colpire e correre via. Il tutto dovrà
avvenire in meno di mezz’ora. Dovremo essere davanti alla Cintura
quando il sole sarà alto in cielo. Non temete, Iluvatar è con noi. Tutti
noi siamo degli eroi. Ora andate e tornate vittoriosi!»
La compagnia si
lanciò all’attacco tra le mille bestie di quell’orda di orchi e nani. Tutto
avvenne come era stato detta da Elwing. Gothmot, un essere terrificante alla
sola vista, lanciò gli orchi e nani all’assalto, lasciando nelle loro gabbie i
suoi “bei” Balrog. La truppa finse di non essere in grado di difendersi e di
attaccare, provocando così una foga crescente nel nero capitano che, pensando
di aver già vinto, rideva e sbraitava ordini insieme:
«Allora, questa
è tutta la forza dei famosi Elfi Grigi? Che delusione! Forza, ammasso di luride
creature, uccideteli tutti! Voglio il loro cuore per pranzo e il loro sangue
come vino!»
Proprio in quel momento tutti i guerrieri elfi, distesi per terra,
si alzarono in piedi e corsero verso le gabbie dei Balrog. I nani e gli orchi
che cercarono di rincorrerli morirono sotto una pioggia di frecce. Gothmot non
riusciva a capire più niente in tutta quella confusione ed ululava infuriato
perché qualcosa stava rovinando i suoi piani.
Nel frattempo,
Elwing, Lomion e tutti della compagnia, avevano distrutto le catene che
tenevano imprigionati i Balrog e li avevano liberati. Questi demoni, alti dieci
metri e coperti di fuoco, si riversarono sul campo di battaglia e travolsero
molti sfortunati orchi che capitarono sotto le loro enormi zampe anche,
purtroppo, parecchi elfi. Elwing sapeva che era impossibile uccidere un Balrog
con archi e frecce, figuriamoci cinque. I tutta quella confusione, la ragazza si avvicinò a Lomion e
gli gridò:
«Sono in grado
di creare una voragine sul terreno e di spedirci dentro i Balrog, ma ho bisogno
del tuo aiuto. Devi donarmi il potere Maia che hai nelle tue vene grazie a tua
madre.»
«Come puoi fare
questo? Come posso aiutarti?»
«Sono anch’io
una Maia, Lomion! Dammi la mano e il resto verrà da se.»
Quasi senza
rendersene conto, Lomion, forse perché non aveva capito realmente ciò che gli
aveva detto Elwing, le prese la mano sinistra e sentì la magia fluirgli dalle
dita. Lucente come una stella e ardente dell’enorme potere delle
Maia, Elwing levò il braccio destro al cielo e una sfera enorme d’energia
bianca la si posò sulla punta delle dita, prima di essere scaraventata per
terra con una forza impressionante. Una voragine si aprì ai suoi piedi e tutti
i cinque Balrog vennero scaraventati in quel baratro
da un’enorme forza sotto forma di vento. Dopo quel grande sforzo, Elwing si
accasciò sulla spalla di Lomion, rimasto al suo fianco per tutto il tempo.
Questi la prese in braccio e lei lo guardò riconoscente, sussurrandoli
all’orecchio:
«Chiama alla
ritirata i tuoi uomini, Lomion, figlio del Crepuscolo. Corri come il vento
verso la Cintura!»
Il principe non
se lo fece ripetere due volte e, con un grido elfico, chiamò tutti i superstiti
dei suoi uomini alla ritirata e, tenendo stretto al suo corpo quello svenuto di
Elwing, salì in sella al suo cavallo e partì veloce come il vento verso il
Doriath, seguito a ruota dai suoi uomini. Nemmeno l’occhio più acuto sarebbe
riuscito a scorgere in quel momento i cavalli con sopra gli elfi sfrecciare tra
gli alberi, inseguiti da un ferocissimo Gothmot e dai suoi mostri.
Proprio come
aveva detto Elwing, Lomion e gli elfi giunsero davanti alla Cintura
quando il sole era alto in cielo. Qui trovarono tutti i cinquecento elfi
appostati e pronti ad ingaggiare battaglia, esattamente come aveva disposto
Elwing. Quando arrivò Gothmot con le sue orrende bestie, si capì subito l’esito
della battaglia. In poco tempo, le forze del nero capitano vennero
annientate e questi fu costretto a battere in ritirata con la coda tra le
gambe. E da quello che io so, quella fu la sua più
bruciante sconfitta.
Appena gli elfi
si resero conto che avevano realmente vinto, lanciarono in aria archi e faretre
e corsero ad acclamare il loro principe. Questi era chinato per terra e fissava
con sguardo preoccupato il corpo inerme di Elwing, stesa supina sull’erba
bruciata dalla lotta appena avvenuta. Gli elfi si disposero in semicerchio
intorno a quel quadro commovente, non pronunciando una sola parola. Lomion
teneva le mani di Elwing tra le sue e nel suo sguardo non v’era nessuna traccia
della gioia per la vittoria della battaglia. Aveva occhi solo per la fanciulla.
Forse per tutti gli sguardi puntati addosso, forse grazie alla presenza di
Lomion, pian piano Elwing cominciò ad aprire gli occhi ed un attimo dopo era
già in piedi, tra la gioia di tutti, sempre sorretta da Lomion, il quale la
guardava come se ne fosse stato ipnotizzato.
Elwing, quando
riuscì finalmente a riprendersi del tutto e a stare in piedi da sola, alzò lo
sguardo e, prima lo puntò sugli Elfi che l’ammiravano con tanto d’occhi, poi lo
posò su quello innamorato di Lomion. Questi le sorrise con tenerezza e allora a
lei fu tutto chiaro. Sorrise anch’essa e si limitò a dire, alzando il braccio
in segno di vittoria:
«Abbiamo vinto!
I Sindar hanno vinto!»
Tutti gli Elfi
alzarono le braccia al cielo e, cantando di gioia, marciarono dentro la Cintura, sorreggendo a
turno Lomion ed Elwing sopra le loro spalle. Quando furono tutti dentro, nel
Doriath iniziò la festa.
Lomion ed
Elwing, però, corsero di nascosto nei boschi di Neldoreth, tenendosi mano nella
mano. A lungo danzarono sulle note di melodie che solo loro udivano e a lungo
passeggiarono stringendosi le mani. Quando, finalmente, Lomion riuscì a
parlare, sovrastando la felicità che l’aveva invaso, disse, seduto abbracciato
ad Elwing sopra un albero:
«Così sei una
Maia, “Spruzzo di Stelle”! Niente potrebbe essere più perfetto! Se tu vorrai
diventare la mia sposa, divideremo l’eternità insieme. Ma se tutto questo è un
sogno, ti prego, non mi svegliare, perché il sogno più bello che
io abbia mai fatto!»
Elwing sorrise e
disse:
«Diventerò tua
moglie, se tu vorrai, ma prima c’è una cosa che devi sapere, adorato Lomion.»
«Cosa, mia amata
elfa?»
«Beh, il fatto è
che non sono un’elfa. Almeno non completamente »
Il viso di
Lomion impallidì:
«Sei un’umana?»
«Ecco, dire che
sono un’umana è ancora più sbagliato di dire che sono
un’elfa.»
«Ma cosa sei allora?»
Elwing sorrise
imbarazzata e proseguì arrossendo via via che parlava:
«Io sono un
unico esemplare di razza Mezz’elfa. Sai che significa?»
Lomion si alzò
di scatto, allontanandosi da lei come se fosse infetta:
«Certo che so
cosa sono i Mezz’elfi. Razze sporche e minori, generate dall’unione di un elfo
e di un umano. Io ti amo, davvero, ma non posso sposarti, sono vincolato da un
giuramento che mi vieta il contrario. Non posso tradire i miei genitori, lo
capisci?»
Anche Elwing si
alzò e questa volta il suo volto sembrava seriamente preoccupato:
« Sì, ti
capisco, ma tu non dovrai fare nulla di tutto questo…Lasciami spiegare…Hai
frainteso…»
«Basta,» urlò Lomion, «non voglio più stare a sentire le tue
scuse, sporca Mezz’elfa! Non diverrò mai mortale. Mai!»
Elwing impallidì
e indietreggiò, mentre sottili lacrime le rigavano il volto. Sussurrò:
«Sei anche tu
come tutti gli altri. Siete tutti troppo presi dalla vostra posizione, dalla
vostra purezza, così come voi la chiamate, che
non riuscite ad ascoltare gli altri. O forse non volete. Certo non sapete cosa
si provi ad essere guardati come una bestia rara o ad essere additati o anche a
sentire gli altri bisbigliare al tuo passaggio.» Ora
il suo sussurro era diventato sempre più forte, trasformandosi in un urlo
scosso dai singhiozzi. «Non avete idea di cosa si provi
ad essere lasciati sempre in disparte o ad essere derisi e a volte picchiati.
Per cosa credi che mi sia sempre finta un uomo? Sì, anche per poter andare in
battaglia, ma principalmente per poter, in un qualche modo, essere considerata
qualcosa e per poter andarmene dal mio Paese natale. Sai quanto vale una donna
Mezz’elfa? Meno di zero. Almeno se mi fossi finta un uomo, per il mio coraggio
e il mio valore nessuno avrebbe potuto farmi o dirmi niente. Questo pensai e questo feci. E tutto questo solo a causa della vostra
ignoranza! Se solo provaste ad ascoltare gli altri, invece che stare a sentire
sempre ed unicamente le vostre parole. Sono delusa da te, Lomion, pensavo che
tu fossi diverso, ma a quanto pare mi ero sbagliata.»
Abbassò
tristemente il capo e, coprendosi il viso con le mani, corse via piangendo.
Lomion rimase
sconcertato e profondamente colpito da quelle parole. Per tre giorni vagò
pensieroso tra i grigi boschi del Denethor, rimuginando tra se quelle parole.
Ed alla fine giunse ad una decisione.
Al morire del
terzo giorno, si ritirò dal suo isolamento e, felice per la decisione a cui era giunto, corse sorridente come un pazzo alla
ricerca della sua Elwing. La trovò poco distante da lui, seduta con gli occhi
ricolmi di lacrime sullo stesso piccolo albero delle tre sere precedenti. Le
corse vicino e le si inginocchiò davanti, prendendo le
sue mani tra le proprie. Disse, tutto acceso dall’emozione:
«Non m’importa
niente delle tue origini o se sei un’elfa o un’umana. Ti amo e voglio sposarti.
Questa è l’unica cosa che conta. Se riuscirai mai a perdonarmi, mi riterrò
davvero l’elfo più fortunato del mondo. E se dovrò diventare un mortale, poco
male! Avrò qualcos’altro in comune con la mia adorata sorella Luthien. Se ti
perdo adesso, ti rimpiangerò per l’eternità.»
Elwing, colta
dalla commozione, iniziò a piangere più forte e lo abbracciò forte. Quando riuscirono
a lasciarsi, Lomion salì sull’albero e si sedette vicino alla fanciulla, la
quale ora, mentre si asciugava gli occhi ancora bagnati, rideva e non riusciva
a fermarsi.
Lomion la guardò
incuriosito e le chiese:
«Cose c’è,
tesoro mio?»
Elwing riuscì a
smettere di ridere e, ancora con qualche risolino, disse:
«Oh, Lomion,
tutto quello che hai detto è molto romantico, ti fa davvero onore e grazie a
questo ti perdono completamente. Guarda, però, che non ci sarà bisogno di fare
nessuna delle cose che hai detto o di arrecare dolore ai nostri genitori.»
«Cosa vuoi
dire?»
«Voglio dire che
non hai capito niente al riguardo dei mezz’elfi. Beh, ti capisco, io sono
l’unico essere vivente di razza mezz’elfa.»
«Vuoi dire che
ho sbagliato tutto?»
«Precisamente.
La gente chiama Mezz’elfi tutti quelli che hanno un genitore umano e uno elfo. Il punto è che sbagliano, e anche di grosso. Io
sono una Mezz’elfa perché nella mia famiglia, esattamente dieci generazioni fa,
una mia antenata elfa Maia sposò un umano. I suoi successori, forse per
rimediare al suo “errore”, decisero così di sposarsi in futuro sempre con elfi.
Anche se loro sarebbero morti, dopo dieci generazioni di matrimoni con elfi da
quell’antenata, sapevano che sarebbe nato un bambino che avrebbe avuto nel suo
sangue metà parte umana e metà parte elfica, con l’unica eccezione che al
momento del matrimonio, in base allo sposo scelto, lui avrebbe potuto scegliere
di che razza essere: umana o elfica. Quel bambino sono io, Lomion! Ovviamente,
i miei genitori volevano che mi sposassi con un elfo. In questo modo la razza
sarebbe tornata pura. Così, se io ti sposo, Lomion, uno diverrò un’elfa
al cento per cento, due potremo vivere insieme per l’eternità, tre
faremo entrambi contenti i nostri genitori. Vedi che è perfetto!»
Lomion sembrava
sconcertato. La guardò con sguardo colpevole e poi l’abbracciò, dicendole:
«Se solo avessi
saputo…»
«Se solo mi avessi lasciato il tempo per spiegarti…»
Lomion le
sorrise, scese dall’albero e la prese in braccio. Mentre correvano verso il
castello, mano nella mano, le disse:
«Andremo da mio
padre, gli dirò tutto e poi ci sposeremo!»
Entrarono nella
sala del trono e vi trovarono re Thingol e sua moglie Melian. Quando questi li
videro entrare, si alzarono di scatto e gli corsero incontro. Melian abbracciò
il figlio e gli disse:
«Tesoro mio, non
sapevamo dove fossi finito. La battaglia è finita grazie a te, Lomion!
Presentati a tuo padre con orgoglio!»
Lomion baciò la
mano destra di sua madre e si inginocchiò davanti a suo padre con Elwing al suo
fianco. Il re gli disse, con sguardo severo e voce tuonante:
«Hai dato il
comando della battaglia in mano ad una donna! Grazie a tutti gli dei, sei stato
fortunato. Ma che ti è preso, Lomion? Non vedo onore in questa azione!»
Lomion alzò lo
sguardo e, presa la mano ad Elwing, guardò suo padre e disse:
«La grandezza di
un sovrano si vede anche nelle persone che sceglie come consiglieri e nella sua
umiltà. Io ho dovuto fare una scelta, padre, e non mi pento di averla fatta.»
Re Thingol
sorrise e, fatti alzare i due giovani, li abbracciò con trasporto, dicendo:
«Saggia
risposta. Sarai un grande re, Lomion.»
In seguito,
Lomion ed Elwing spiegarono tutto ciò che era successo, dalla Sala del
Consiglio fino al bosco
di Neldoreth. Il sovrano ascoltò tutto pazientemente e, alla fine
del racconto, diede la sua benedizione ai due giovani innamorati. Il giorno
dopo, tutti gli elfi accorsero ad assistere al matrimonio del principe Lomion e
della principessa Elwing, celebrato proprio sul quel famoso bosco di Neldoreth.
Non sarebbe giusto dire che vissero per sempre
felici e contenti, perché sarebbe
PERFETTO!
Questa storia
non è una di quelle solite storie che fanno piangere. Non è tragica ne drammatica. Parla semplicemente della vita di due giovani
e del loro amore. Forse qualcuno penserà che Lomion non sia stato per nulla
coraggioso, ma come detto da lui, il valore di un sovrano si vede anche dal
coraggio nel fare certe scelte. Questo è quello che penso io, ma voi siete
liberi di credere ciò che volete. Vi dico, però, che se mai avrete l’occasione
di andare a visitare la terra dell’immortalità dove vivono gli elfi, e se per
caso incontrerete un elfo, chiedetegli di raccontarvi del principe Lomion e
della Mezz’elfa Elwing. Vedrete i suoi occhi illuminarsi e sentirete con quanto
orgoglio vi narrerà le loro gesta. Oppure, potreste andare proprio da loro, e
sentirete direttamente dalla loro bocca tutto ciò che volete. L’importante è
che voi abbiate il coraggio di ascoltare quello che vi diranno, senza chiudervi
le orecchie con solo i vostri pensieri.
Perché,
sapete, tutti hanno bisogno di essere ascoltati e, a volte, anche di ascoltare.
Questa è una libera interpretazione di una delle storie
tratte dal libro “Il Silmarillion”di Tolkien. Nella storia originale, Thingol e
Melian avevano avuto una sola figlia, Luthien, e la loro storia si concludeva
con la scelta di divenire mortale di quest’ultima. Io, da grande ammiratrice di
Tolkien, ho voluto scrivere una storia, con la mia fantasia, di un possibile
fratello di Luthien. Tutta la storia di Lomion ed Elwing e della loro
avventura, è puramente frutto della mia fantasia. Tutti i nomi elfici di luoghi
e persone con le relative traduzioni in lingua umana, provengono sempre da Il Silmarillion. Spero che Tolkien
non se la prenda da lassù per il mio piccolo gioco!
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