03. (Carry me to heaven's arms
Light
the way and let me go)
One loss, one fight locked me
in the heart of misery
*
[Cold light above us
Hope fills the heart
And fades away
Skin white as winter
As the sky returns to
grey
Days go on forever
But I have not left
your side
We can chase the dark
together
If you go then so will
I]
Breaking Benjamin,
Anthem of the Angels
*
Tempo
scaduto.
«S-
Sano?»
«Shh, baka.
Non parlare. Non sforzarti. Il medico sarà qui a
minuti».
La prospettiva
è talmente irreale da sembrare quasi divertente,
paradossale. Specie contando il fatto che è Harada
Sanosuke a spiattellarla. Quello che non ha peli sulla lingua. Quello
che se stai morendo te lo dice.
Se solo avesse ancora
fiato per farlo e lo stomaco con gli facesse così
dannatamente male, riderebbe. Se solo non avesse una paura fottuta e si
vergognasse di sé stesso come un cane.
Le parole spingono per
uscirgli di bocca, tremanti.
«Male…fa
male…».
«Resta
giù. Shhh, stai calmo. Ora passa. Stai calmo».
«Non…voglio…morire».
Mani scostano la
stoffa sul suo petto. Comprimono la ferita. Le conosce a memoria: sono
quelle che per anni hanno scompigliato i suoi capelli, bloccato i suoi
pugni e stretto la lancia quando hanno combattuto insieme.
«Stai zitto,
Heisuke. Zitto».
Heisuke si sente
pungere gli occhi dalla frustrazione.
Ha ventidue anni, sta
per morire ed è terrorizzato.
Illuso.
E dire che era convinto che avrebbe smesso di avere paura. Che al
momento di andarsene sarebbe stato forte.
Quando la spada gli
è affondata nella schiena, la sua paura è
semplicemente esplosa.
Un passo indietro.
Mentre Sano schiaccia la ferita con una mano e con l’altra
gli sorregge fermamente la nuca, immagini confuse ballano davanti agli
occhi del capitano.
Bagliore. Buio. Un
ricordo, bloccata in un attimo di eternità come una scena di
teatro kabuki.
Un
brivido di freddo. Subito dopo, un torrente umido. Caldo come non
l’ha più sentito, da quando l’Ochimizu
gli ha bruciato le viscere e l’ha lasciato traboccante di
cenere e della sua umanità arsa, consumata, sparita.
Ancora
freddo. È concentrato in un unico punto.
E
quella consapevolezza gli balla in testa. Sempre più forte.
Sì. Hai una spada
conficcata nel petto. Lo
sterno e l’attacco di tre costole sono stati spezzati dalla
lama temprata, come bastoncini di zucchero. Non è un
miracolo, il fatto che la katana ti abbia mancato il cuore di un soffio
– è solo guidata da una mano inesperta, una mano
che trema, facendo sussultare l’acciaio nella ferita come
fosse un animale in trappola.
Una
mano familiare.
«Sei
morto, bastardo» mormora, al suo orecchio, una voce. Giovane,
strozzata dalla tensione.
La
riconosce.
Appartiene
a un soldato dell’ex-ottava unità. La sua.
Deglutisce.
Il sangue gli riempie la bocca.
Vorrebbe
gridare.
Sono io!
Tutto
questo non ha senso. È un errore.
È
uno scherzo della sorte, ed è dannatamente crudele.
La
lama gira e abbandona il suo corpo. Il ningen dietro di lui punta un
ginocchio contro la sua schiena e spinge. Lo fa cadere carponi e poi
chinare in avanti.
Una
parte di lui ripete, a disco rotto, che non è giusto
– non era pronto, non aveva nemmeno sguainato la spada, non
era in guardia, rifare rifare rifare…
L’altra
gli dice che, ormai, è troppo tardi.
L’unica
volta in cui non era preparato a prendere parte al gioco, ha perso.
Gli
manca l’aria. Si affloscia in avanti. Vomita. Il terreno si
macchia di rosso. Il suo cervello si spegne, soffocando in un colpo
solo.
Poco
prima che il buio lo assalga, il grido d’orrore
dell’altro gli dice che il soldato,
all’improvviso, si è accorto di aver
appena ucciso Todou Heisuke della Shinsengumi, ex-capitano, seguace di
Ito Kashitaro.
Poi,
più nulla. Per un tempo infinito, Heisuke non
sente, non vede, non parla. Non vive. Assaggia l’oblio e si
divincola nella sua morsa, terrorizzato. Disperato.
Infine.
Svegliarsi al suono di
una voce che lo chiama.
Vedere il volto teso e
pallido di Harada sospeso sopra di lui.
E la debole illusione
che fosse tutto un sogno – solo uno dei peggiori che ha avuto
in questi mesi – è andata in pezzi.
«Kondou-san…
mi aveva…lasciato andare…» sussurra
Heisuke. Il volto di Sano si contrae in una smorfia. Il lanciere si
scosta una ciocca di capelli dagli occhi. Si lascia uno sbaffo rosso
scuro sulla fronte e sul naso.
«È
così,” soffia, «aveva dato ordine di non
toccarti».
«Allora…perché…?»
Gli occhi ambra sopra
di lui sono torbidi, scuri di sofferenza. Sano non risponde.
Allora
non mi hanno perdonato.
Era
tutto un bluff…? Una trappola?
Questa non
è la salvezza. Questo è solo un risveglio,
l’ultimo, prima di ricadere nel buio e, stavolta, restarci.
Heisuke rabbrividisce;
si focalizza sulla lanterna appoggiata per terra, circonfusa di luce.
Tenta di memorizzarne il calore, lo splendore nella notte fredda, anche
se sa che non servirà a niente. Che tutto
terminerà nel nulla. Che sarà lui stesso parte di
quel nulla.
L’urgenza
gli preme in gola, insieme a un dolore che non ha mai provato prima.
Una rabbia che in vita sua non ha mai sperimentato.
Ha preso parte a
più inganni di quanti possa ricordare.
Ma non ha mai, mai
pensato che quelli che considerava amici potessero tradirlo.
Non
è giusto.
«Sano…Sano…»
«Tieni duro
ancora un po’. Shinpachi è andato a
chiamare il medico. Tieni duro».
Suona così
disperato che stavolta Heisuke abbozza una risata. Il suono che gli
sfugge di bocca sembra quello dell’acqua calda in una teiera
– un cupo gorgoglio, terribile, profondo, definitivo.
Il medico. In una
strada in cui si è appena svolto un omicidio. Il corpo di
Ito si sta raffreddando a meno di due metri da loro e Harada sta
lottando per fermare l’emorragia, tenendolo ancorato alla
realtà.
«No…
Sano…ascoltami» implora. Mille altre parole gli si
accalcano nella mente: potrebbe non avere abbastanza tempo per dirle
tutte. «Devi…andartene…»
«Ito
è morto, Heisuke. Non
c’è…» Sanosuke deglutisce.
«Tutti i suoi sono stati dispersi. Non
c’è pericolo».
«No».
La presa sulla stoffa rigida scivola via. Harada gli afferra la mano e
gliela strizza con tanta forza da fargli male. Heisuke accoglie la
fitta e il calore del palmo calloso con sollievo. Si appiglia con tutta
la sua forza, ricambiando la stretta. «No» ripete,
«Tu…vattene e lasciami qui…Non ho alcun
diritto di- ti metterai nei guai…»
«Che diavolo
stai dicendo?» latra Sano. Sa che vorrebbe scuoterlo ma non
osa. Lo vede lanciarsi un’occhiata alle spalle.
«DOV’É QUEL MALEDETTO
MEDICO?!»
«Nagakura-san
sta arrivando, capitano-»
«Non basta.
Non basta! Serve ora!» La collera che gli vena la voce
nasconde qualcos’altro. Harada inghiotte il magone.
Accorrono. Altre mani
che lo toccano, che premono e tentano di chiudere lo squarcio
attraverso cui scappa il suo respiro. Harada si sfila
l’uniforme, l’appallottola e gliela schiaccia sulla
ferita. A Heisuke scappa un gemito dolorante.
«Shh, shhh.
Non è niente. Andrà tutto bene».
Heisuke gli pianta le
unghie nel dorso della mano. Forte, finché non è
più sicuro che il sangue che gli inumidisce le dita sia solo
il suo.
«Perché…non
mi avete…ucciso subito?»
Harada sgrana gli
occhi.
«Cosa…?»
Ha poco tempo. Troppo
poco. È terrorizzato dall’idea di non avere
abbastanza respiro per finire. La vergogna gli si gonfia in petto, poi
esplode.
«Me ne stavo
andando.» Si costringe a guardare il capitano dritto negli
occhi mentre lo dice. «Stavo
andando…contro…il codice. Stavo…
scappando…Kondou-san mi
aveva…lasciato…andare…
perché allora…?»
Non riesce a finire.
Gli manca il fiato. Ma è sufficiente. Le iridi di
Sano si appannano.
«È
stato un errore» lo prende per le spalle, lo scuote.
«Heisuke! Non ti azzardare a svenire. Ascoltami! È
stato uno sbaglio, un idiota che non ha sentito l’ordine, ma
non- nessuno di noi avrebbe potuto- »
Sollievo. Una bolla di
sangue gli si gonfia tra le labbra. Ora ne è certo: ha un
polmone bucato.
Prende fiato.
È come essere trafitti di nuovo, ma lo fa lo stesso.
Sollievo.
Vuole chiedere scusa.
Un milione di volte
scusa per ogni volta che si è lanciato in battaglia senza
aspettare, per ogni volta che si è comportato da ingenuo,
per ogni volta che ha causato problemi. Per star morendo da fifone, non
da uomo, per aver infranto il codice.
Per aver dubitato di
loro.
Dei suoi due migliori amici.
«Sono un
codardo» Le palpebre gli scivolano verso il basso. Sente le
mani di Sano prendergli il viso, una per lato, calde, fradice di
sangue, scostargli i capelli dalla fronte madida.
«No.
No.»
«Ho avuto
paura».
«Shh. Basta
adesso. Non parlare. Ti riporteremo a Mibu».
«Capitano-»
«Dov’è il
medico?»
Silenzio. Troppo lungo.
«Capitano…»
Sano.
Ti tremano le mani.
«C’è
troppo sangue. Non possiamo fare più niente».
«Il
medico…Shinpachi…»
«Non faranno
in tempo. La ferita è troppo profonda. Non
c’è più niente da fare».
Il mondo gli collassa
intorno ed Heisuke si arrende. Basta.
Basta paura. Basta tutto. Non importa più nulla: il peso che
gli è gravato addosso fino ad ora non
c’è più.
Harada lo solleva. Se
lo stringe al petto, come farebbe con un bambino. Nei suoi occhi,
Heisuke legge che non doveva finire in questo modo.
«No.
Non così. Non adesso. Non tu…dannazione, non tu, Heisuke, ti
prego...»
Qualcosa gli bagna le
ciglia. Per un attimo si chiede se stia cominciando a piovere.
Ma
il cielo era sereno…oh.
Oh.
È la prima
volta che vede Sano piangere.
«Se ti
azzardi a morire…Se ti azzardi a morire sanno gli dei che
cosa ti faccio…»
Heisuke sorride.
La luce si spegne. Non
vede più quasi nulla.
«Heisuke.
Heisuke!»
Non fa più
nemmeno freddo.
Sta bene, annidato tra
le braccia del suo amico. Il suo corpo è tiepido. Pesante.
Lontano.
«Heisuke!
Heisuke apri gli occhi guardami».
«Va bene
così», sussurra Todou. La voce gli rimane bloccata
in gola. Può sentire il cuore dell’amico, il
battito sicuro. Il suo è ridotto ad uno sfarfallio.
«Davvero. Va bene così».
Va bene così-
«HEISUKE.
No. NO!»
Ora può.
Ora si lascia andare.
Illumina
la strada.
Sono
pronto.
Tutto tace.
*
Evey: [reading inscription on
mirror] Vi Veri Veniversum Vivus Vici...
V: "By the power of
truth I, while living, have conquered the universe".
Evey: Personal motto?
V: From Faust.
Evey: That's about
trying to cheat the devil, isn't it?
V: It is.
But there’s
nothing wrong with me, this is how I’m supposed to be
In the land of
make-believe that don’t believe in me
Evey (leggendo
l’iscrizione sullo specchio): Vi Veri Veniversum Vivus
Vici…
V: “Con la
forza della verità, in vita, ho conquistato
l’universo”
Evey: Il tuo motto
personale?
V: Da Faust.
Evey: È
quello in cui si parla di come ingannare il diavolo, vero?
V: Esatto.
Ma non
c’è nulla di sbagliato in me, così
è come dovrei essere
Nella terra di
“esprimi un desiderio”
che non crede in me
-
Evey and V from
V per Vendetta
&
-
Green Day, Jesus of Suburbia
N\A:
Come
già specificato nell'entry che ho pubblicato sul mio
livejournal - linkata nel prologo della storia - questa è
l'ultima shot di Dear Agony che verrà pubblicata. La shot
era pronta da molto tempo, al contrario di altre, ma non è
stato questo il motivo che mi ha spinta a metterla on - line.
Come
ho detto nel post, lo devo. A Heisuke, che è morto oggi
perchè uno stupido idiota non ha ascoltato l'ordine di non sparare di Shinpachi (Kudos a Ellie_x3 per la correzione) e l'ha ucciso come ogni altro uomo di Itou, nonostante il
capitano (Kudos x2 D: orrore immane! avesse dato ordine di risparmiarlo.
E
al nonno, che l'ha preceduto di un giorno, un anno fa.
Non
volevo mettere su un messaggio di addio. Sarebbe stupido,
perché non sono pronta per dirgli addio del tutto. E
perché sto lavorando per lui, ed è un work in
progress che occuperà un tempo indefinito. Fino ad allora,
comunque, non credo che mollerò la presa. Poi forse
sì. Forse.
Nel
frattempo, questo è per non dimenticare.
Quando
vi dicono che smetterà di fare male, non credeteci:
è una balla. La più grossa balla che possano
rifilarvi.
Rejoicing
the day,
Kei
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