Note
dell'Autrice – sempre discutibilmente utili:
La
mia visione di Andromeda Tonks è scriteriatamente mutata nel
corso
del tempo. All'inizio, credevo fosse adorabile, perché una
Black che
sposa un Nato Babbano non può che essere buona, gentile e adorabile.
Poi sono cresciuta e ho capito che no, se uno è un
bastardo,
rimane bastardo. Voglio dire, pure Sirius Black è un Black
atipico,
ma rimane comunque un maledetto infame. Fighissimo infame, okay, ma
sempre infame.
Nota
numero due, in questa storia Andromeda Tonks sarà sempre
definita
con l'appellativo di “signora
Tonks”,
perché a)
non voglio confonderla con quella in versione mignon e b) fa
più
figo, perché pure Molly Weasley è sempre e
soltanto “la
signora Weasley”.
La
Casa Stornella
Capitolo
Sei
Cene
di famiglia
È
un dato di fatto come maghi e streghe invecchino ben più
lentamente
dei Babbani. I loro capelli tendono a ingrigire e a cadere attorno
agli ottant'anni; le mani raggrinziscono, le ossa si piegano e i
muscoli si sgonfiano solo dopo parecchie decine di anni; i denti si
indeboliscono quando ormai si ha un secolo di vita alle spalle. Per
qualunque Babbano, un mago di settant'anni non potrebbe mai
dimostrarne più di una cinquantina – perfino una
quarantina, se il
mago in questione è particolarmente avvenente.
Andromeda
Tonks, oltre ad essere una strega, era anche una Black,
e
c'era poco da stupirsi che all'età di cinquantacinque anni
fosse
ancora una delle più affascinanti donne dell'intera
comunità
magica. Sebbene la perdita del marito continuasse ad essere una
profonda, profondissima ferita, la signora Tonks era stata in grado
di restare saldamente in piedi, aggrappandosi con quanta più
forza
disponesse a tutto ciò che le era rimasto: prima uno, poi
due, poi
tre, e infine quattro nipoti con due genitori a suo parere
inaffidabili si erano rivelati un motivo oltremodo sufficiente per
mantenere la testa sulle spalle.
Amava
sua figlia (e con il passare degli anni doveva ammettere di aver
iniziato a nutrire un certo attaccamento anche nei riguardi di
Remus), ma era troppo vivace e scalmanata. Ora che era diventata un
pezzo grosso all'interno del Quartier Generale degli Auror, qualcuno
già vociferava che ne sarebbe presto diventata il capo e
Andromeda
sapeva perfettamente quali sarebbero state le conseguenze: i suoi
nipoti sarebbero cresciuti con una madre perennemente rinchiusa in un
ufficio e un padre che rincasava alla sera tardi per poi sparire per
ore a correggere centinaia di pergamene.
In
realtà, la gestione del tempo e del lavoro a Casa Stornella
era
perfettamente equilibrata e sebbene la signora Tonks fosse
perennemente contrariata, sapevano tutti che amava tenere i bambini
quando la figlia e il genero erano entrambi impegnati con il lavoro.
Ma era una Black, e il melodramma, in qualche modo, le era rimasto
appiccicato come una Gomma Bolle Bollenti sotto la suola delle
raffinate scarpette.
«...e
mentre quella carogna di Catriona Chittock usciva dal negozio di
Marjorie con quelle sue guance gonfie rosse quanto due pomodori, si
è
incastrata nella porta d'ingresso» stava raccontando con tono
leggero la signora Tonks. «Una scena scandalosa, credetemi.
Un Troll
avrebbe causato meno imbarazzo».
Remus
e Tonks sollevarono le teste dalla cena e si scambiarono uno sguardo
eloquente. Sapevano entrambi che il contegnoso modo di raccontare
della signora Tonks era tutto una farsa: lei e Marjorie McClan
odiavano la signora Chittock dacché era ancora la signorina
Pennifold, e nessuno dei due si sarebbe stupito, se avessero scoperto
che tanto Andromeda quanto Madama McClan erano coinvolte
nell'umiliante episodio.
«Ci
sono i Troll a Diagon Alley?» domandò con stupore
Teddy, mentre i
suoi occhi vispi brillavano di curiosità.
«Perché non li ho mai
visti?».
«I
Troll non vivono in città» commentò
rapidamente Alastor. «Vivono
solo nei pressi dei fiumi, nelle foreste e sulle montagne».
«Lo
so!» ribatté l'altro indignato. «Ma,
magari, qualcuno poteva
averceli portati».
«Non
dire sciocchezze, Ted» lo ammonì con pratica
accondiscendenza la
signora Tonks. «Chi potrebbe mai essere tanto pazzo da
portare un
Troll a Diagon Alley?».
«Hagrid»
rispose d'impulso Remus, mentre infilzava con aria scettica un pezzo
agnello arrosto particolarmente bruciacchiato. «Lo scorso
mese ha
cercato di camuffare un Erkling da Gnomo. Non è una scelta
particolarmente saggia, portare in una scuola un animale che si nutre
di...» mosse la mano a mezz'aria con un gesto eloquente.
«Beh,
sapete entrambe di cosa si nutre».
«Di
bambini» rispose con innocente candore Minima, alzando di
colpo il
viso dal proprio piatto e attirando su di sé diversi sguardi
sconcertati.
«Che
forza!» commentò dopo un istante di silenzio
Teddy, con un bagliore
preoccupantemente eccitato negli occhi. «Papà,
possiamo...?».
«No,
non compreremo un Erkling».
*
«È
vero ciò che si dice sulla professoressa Sprite,
Remus?» domandò
con sincero interesse la signora Tonks, mentre sorseggiava un sorso
di té con il mignolo destro alzato con estrema
signorilità.
Remus
sollevò perplesso entrambe le sopracciglia e le rivolse un
sorriso
gentile.
«Cosa,
di preciso?».
«Ma
che andrà in pensione alla fine del prossimo anno
scolastico,
ovviamente».
«Ah»
disse lui. «No, in realtà, non ha ancora preso una
decisione
definitiva».
«Eppure,
si dice che lei e la Preside McGranitt abbiano già trovato
un
sostituto».
«Ehm...
beh, temo siano solo congetture, per il momento e...» si
fermò
improvvisamente, accigliato. Socchiuse gli occhi e scrutò la
signora
Tonks con profondo scetticismo. «Andromeda... da chi
l'hai
saputo?».
Lei
dovette trovare quella domanda piuttosto ridicola, perché
fece una
smorfia che pareva voler dire “io sono Andromeda
Tonks, santo
cielo!”.
«Dal
professor Lumacorno. Da chi altri, sennò? Tu non hai mai la
decenza
di informarmi su ciò che accade o non accade a Hogwarts. Non
che
Ninfadora dimostri un garbo maggiore, naturalmente, ma...».
«Oh,
che Tosca m'aiuti!» esclamò Tonks, comodamente
rannicchiata sul
piccolo divanetto del soggiorno e con la testa mollemente sostenuta
sul palmo della mano.
Remus
l'aveva intravista occhieggiare con palese insistenza verso il grande
orologio a pendolo dacché si erano accomodati per bere la
consueta
tazza di tè dopo la spaventosa cena. Aveva imparato a
riconoscere il
preludio ad una litigata “in stile Tonks”
da parecchi
anni, ormai, ed era più che pronto a trovare rapidamente una
scusa
per sfuggirne.
«Mamma,
non puoi pretendere che io e Remus ti snoccioliamo tutto quello che
succede a Hogwarts e al Ministero ogni dannata volta.
Qualcuno potrebbe pensare che sei stata assoldata da qualche
psicopatico terrorista».
«È
questione di buona
conversazione, Ninfadora. Non posso credere che...».
«Non
chiamarmi
Ninfadora!».
Remus
chiuse le
palpebre e appoggiò la nuca al cuscino della poltrona con un
sospiro
affranto. Forse, si disse, avrebbe potuto sgattaiolare al piano di
sopra prima di essere tirato in causa: avrebbe fatto qualunque cosa,
pur di evitare un simile pericolo. Dopo qualche minuto, la causa
della discussione originaria era già stata dimenticata, ma
ormai
erano stati riaperti troppi vecchi quesiti per poter sperare che le
acque si riappacificassero rapidamente. Remus considerò di
lasciar
loro almeno una dozzina di anni di tempo per sistemare la
conflittualità del loro rapporto; avrebbe potuto prendere
con sé i
bambini ed emigrare all'estero fino a quel meraviglioso giorno. Si
stava giusto crogiolando nella fantasia di un viaggio attraverso
l'Europa centrale, quando si sentì tirare con insistenza la
manica
della camicia.
«Papà,
la mamma e la
nonna litigano ancora?» pigolò tristemente
Andromeda.
«No,
no, no! Non
stanno litigando» mentì con un sorriso di
spudorata serenità lui,
aggiustandole un ricciolo biondo dietro all'orecchio sinistro.
«È
solo il loro modo di parlare l'una con l'altra, questo. Sai, quando
sono insieme, hanno così tante belle cose da raccontarsi che
vogliono essere certe che l'altra le senta bene».
«Ecco
perché urlano
sempre».
Remus
dovette
appellarsi a tutto il suo controllo per non scoppiare a ridere. In
quel preciso istante, alle sue spalle, la signora Tonks stava
gridando qualcosa a proposito di un vestito di pizzo che non era mai
stato sufficientemente apprezzato dalla figlia e quella, da gran
donna di classe qual era, lo aveva appena paragonato al deretano di
un Goblin – o qualcosa del genere.
«Papà?»
riprese con
più sicurezza Andromeda.
«Sì?».
«Non
riusciamo più a
trovare Minima».
*
«Che
significa “sparita”,
Alastor?» s'informò accoratamente la signora
Tonks. «Come può
Minerva essere “sparita”?».
Ritti
in mezzo al
corridoio del primo piano, i tre bambini si scambiarono uno sguardo
preoccupato.
«Non
vogliamo
sgridarvi» li rassicurò in fretta Remus, infilando
le mani nelle
tasche e appoggiandosi alla parete con aria tranquilla.
«Vogliamo
solo capire dove può essersi nascosta».
«Non
lo sappiamo!»
scosse la testa Alastor. «Prima stavamo giocando a nascondino
e poi
non l'abbiamo più vista! L'abbiamo cercata dappertutto, ma
è come
se fosse sparita nel nulla!».
«Beh,
direi che ha
proprio vinto, allora» commentò divertita Tonks.
«Che
sciocchezze»
commentò la signora Tonks. «E dove dovrebbe essere
andata? Nel
forno insieme al mio rognone?».
«Oh,
no! Alastor, Dromeda! Andiamo!» gridò allarmato
Teddy,
precipitandosi verso le scale e seguito a ruota libera dal fratello e
dalla sorella. «Dobbiamo salvarla prima che quello
se
la mangi!».
«“Quello”?»
ripeté oltraggiata la signora Tonks. «“Quello”
è il mio rognone!».
Tonks
ebbe la creanza
di attendere giusto un paio di istanti prima di scoppiare in una
sfrenata risata. Remus si portò una mano alla bocca per
trattenere
le risa, ma quando la signora Tonks lo fulminò con
un'occhiata, si
dimostrò molto accorto nell'assumere un'espressione
assolutamente
colpevole e pentita. Tonks, al contrario, continuò a ridere
sfrenatamente ed ebbe qualche problema ad informarli che sarebbe
scesa lei, in cucina, per controllare che i figli non combinassero
qualche guaio. Remus e la signora Tonks riuscirono a sentire la sua
risata fin quando non si fu richiusa la porta della cucina alle
spalle.
«Il
mio rognone è davvero
così
cattivo?»
domandò lei qualche secondo dopo, con un'espressione
talmente
affrante e delusa che Remus proprio non se la sentì di
assentire.
«Certo
che no» le
rispose con sfrontata sicurezza. «Coraggio, Campanellino,
dove
preferisci cercare la nostra Bimba Sperduta?».
La
signora Tonks
aggrottò torva le sopracciglia.
«Era
una battuta?».
«Ehm,
avrebbe dovuto
esserlo, sì».
«Una
battuta Babbana?».
«Sì.
Sì, temo di
sì...».
Lei
annuì un paio di
volte, mentre Remus si umettava imbarazzato le labbra.
«Era
ridicola»
commentò francamente la donna, avviandosi lungo il corridoio
con
passo pratico. «Da' un'occhiata nelle camere da letto, mentre
io
controllo in soffitta».
«Certo».
«Ah!
Remus! Un'ultima
cosa...» lo richiamò improvvisamente la signora
Tonks.
«Sì?».
Le
labbra della strega
si arricciarono in un sorriso di bieca soddisfazione.
«Bada
che io ho sempre
tifato per Capitan Uncino».
*
Erano
anni che la
signora Tonks non risaliva la piccola scala di legno che portava alla
soffitta della sua piccola e curata villetta. Erano così
tanti, in
effetti, che quasi aveva dimenticato quanto fosse scomoda, di che
colore fosse e quanto fosse poco illuminata. Mentre apriva la piccola
porticina chiara con un movimento sbrigativo della bacchetta, si rese
conto per l'ennesima volta di non averla mai dimenticata – di
non
averla mai richiusa.
Erano
trascorsi nove
anni dacché vi era salita, con Remus accanto a lei, le mani
saldamente strette attorno ai suoi fianchi e la voce roca che
sussurrava frasi confortanti di cui la signora Tonks non aveva mai
davvero ascoltato le parole. Ed era stato sempre Remus a incantare il
baule in cui avevano religiosamente riposto la maggior parte degli
oggetti che erano appartenuti a Ted in modo che librasse sopra le
loro testa, verso quella soffitta oscura in cui sarebbe rimasto per
sempre sepolto. Non era necessario che Andromeda seguisse quel grigio
corteo. Non era necessario che nessuno di loro lo seguisse, ma fu
naturale: era come una richiesta mai espressa, come un fatto di
ineluttabile concretezza – come qualcosa da cui non potevano
sfuggire.
C'era
Remus, accanto
alla signora Tonks, e c'era Tonks, subito dietro, con i capelli
scoloriti e il piccolo Teddy con la chioma variopinta fra le braccia.
E poi c'era l'altro Ted, quello dentro al baule
che guidava
tutti loro verso quell'ultimo congedo familiare.
Risalire
quelle scale,
per la signora Tonks, era una sfida che aveva continuato ad evitare
da quel giorno. Non sapeva dove avesse trovato la naturalezza di
lasciare a Remus il compito di stanare Minima nelle stanze da letto.
Una parte di sé, si rese improvvisamente conto, non aveva
nemmeno
pensato a cosa avesse sigillato nella soffitta.
Mentre
posava il piede
sul primo gradino, sorrise serenamente. Era certa che se lui fosse
stato ancora vivo, avrebbe perfino avuto la sfrontatezza di dirgli:
“Ce l'ho fatta, Ted. Ce l'ho proprio fatta”.
*
L'istinto
della signora
Tonks non la deluse affatto: Minima era proprio lì, dove
meno ci si
sarebbe aspettato di trovarla.
Era
piuttosto raro che
i suoi nipoti si inoltrassero nella soffitta. Non che mancassero di
spirito d'avventura (Teddy ne era così ricolmo che avrebbe
potuto
dividerlo con altri dieci bambini e sarebbero comunque stati tutti
troppo curiosi), ma avevano imparato che i loro pellegrinaggi in
quell'anfratto polveroso avevano sempre il potere di rattristarla, in
un modo o nell'altro. Poco importava che fosse a causa di una vecchia
pipa sbeccata o di una sciarpa gialla e nera di cui domandavano
insistentemente informazioni: la nonna diventava sempre malinconica e
silenziosa, mentre raccontava loro di quanto fumasse o di cosa
facesse a scuola il nonno. Come se avessero stretto fra loro un
tacito accorto, quei piccoli furti di passato si erano fatti via via
sempre meno frequenti.
«Minima?»
la chiamò
gentilmente la signora Tonks.
Minima
era seduta a
gambe incrociate sotto al lucernario al centro del tetto e
sembrò
fingere a tutti i costi di non aver sentito la voce della nonna.
«Minerva?»
ritentò con maggiore insistenza quella, avvicinandosi
lentamente a
lei. Ad ogni passo, leggere nuvolette di polvere si sollevavano
attorno a lei. «Minerva, cosa fai
quassù?».
«Volevo
vincere»
mormorò la bambina con aria distratta. «Qui non mi
cercava
nessuno».
«Non
stento a
crederlo. Non si riuscirebbe a trovare nemmeno un Gigante, con questo
buio».
Non
ottenendo nessuna
risposta, la signora Tonks iniziò ad avvertire un insolito
disagio
ed Appellò una vecchia poltrona che ammuffiva in un angolo
da
decenni.
«Gratta
e netta».
Riconobbe
ciò che
Minima stringeva fra le piccole mani solo dopo essersi seduta.
Sebbene fosse trascorsa una vita intera dal giorno in cui la Gazzetta
del Profeta aveva pubblicato quell'articolo, per lei sarebbe stato
impossibile dimenticarsene. Nulla di quanto giaceva in quella
soffitta poteva essere dimenticato.
«Dove
hai trovato quel
ritaglio di giornale?» le domandò subito,
accorgendosi troppo tardi
dell'involontario tono brusco.
«Qui»
rispose lei,
alzando appena il mento.
La
signora Tonks
imprecò mentalmente. Non sarebbe nemmeno riuscita a spiegare
per
quale diavolo di motivo avesse conservato quel diavolo di articolo
per tutti quegli anni. Risaliva all'inverno del 1981 e non le aveva
mai causato nient'altro che dolore; eppure, per qualche strano
motivo, non era riuscita a trattenersi dalla necessità di
conservarlo.
«Questa
sei tu,
nonna?».
Con
un profondo
respiro, la signora Tonks allungò una mano verso di lei e
afferrò
la vecchia stampa con la sensazione che si sarebbe sbriciolata fra le
sue dita. Venne attraversata da un brivido di freddo nell'incrociare
ancora una volta gli occhi scuri e alienati di Bellatrix.
Non
l'aveva mai temuta
– mai, nemmeno quando aveva tentato di
ucciderla dopo la sua
fuga – ma c'era sempre stato nel suo sguardo qualcosa di
tremendamente spaventoso. Era sempre stata sbagliata, Bellatrix, fin
da quando erano nate. Era sempre stata troppo spaventosa
e
sbagliata, perfino in una famiglia spaventosa e sbagliata come quella
dei Black. La sorella maggiore le rideva da quella fotografia con
arrogante presunzione, come se volesse rimarcare di aver vinto
qualcosa di quella maledetta guerra, nonostante tutto. Era
probabilmente un'idea malsana, ma la signora Tonks aveva davvero
l'impressione che Bellatrix fosse lì per ricordare soltanto
a lei,
ventisei anni dopo essere stata fotografata, che aveva perduto.
Bellatrix si era sbarazzata di Ted, alla fine dei giochi – e
in
qualche assurdo modo aveva vinto lei.
«No»
smentì in
fretta. «No, non sono io».
«E
chi è? Sembri
proprio te».
La
signora Tonks si
umettò nervosamente le labbra e appoggiò
stancamente il capo alla
poltrona.
«Nessuno»
mentì con
voce flebile. «È solo una donna che mi
assomigliava molto. Non ha
niente a che fare con noi».
A
parte il fatto che
ha ammazzato tuo nonno.
Se
Minima trovò quella
risposta poco esauriente, non lo diede a vedere. Si alzò con
calma
dal pavimento, si scrollò un po' di polvere dalle ginocchia
e mosse
qualche passo in direzione della nonna, accanto la quale rimase in
silenzio per qualche istante, fissando intensamente la vecchia
fotografia.
«È
bella, ma tu sei
più bella» commentò con innocente
schiettezza.
La
signora Tonks le
carezzò leggermente i capelli scuri con un lieve sorriso
sulle
labbra. Lei e la sorella maggiore si erano sempre assomigliate ben
più di quanto nessuna delle due avrebbe desiderato: i suoi
capelli
erano un poco più chiari, ma ricadevano con la stessa
composta
eleganza sulle spalle; i suoi occhi erano solo vagamente più
grandi,
ma brillavano della stessa energica determinazione; le loro labbra
avevano la stessa linea sottile, ma le sue sorridevano con maggiore
frequenza. E amavano entrambe nello stesso feroce modo, con la stessa
totale devozione – ma, alla fine, Bellatrix aveva scelto di
essere
fedele all'uomo sbagliato.
Minima
le assomigliava
più di quanto la signora Tonks non avesse immaginato e, allo
stesso
tempo, le assomigliava molto meno di quanto non avesse potuto
sperare. Ne aveva tragicamente ereditato l'aspetto (e talvolta aveva
quasi l'impressione di parlare con la stessa bambina che un tempo era
stata sua sorella), ma della casata dei Black non era rimasto niente
che potesse rigenerare in lei quella perversione e quell'insana
follia che Bellatrix aveva fomentato per tutta la vita. Minima era
Minerva Lupin, e tanto bastava a placare le chiacchiere insistenti
che si levavano da Diagon Alley. Era un caso, tutt'al più,
un buffo
scherzo della sorte.
“ I Black non si
vogliono proprio estinguere!” esclamava qualcuno
talvolta.
Un
parte della signora
Tonks, tuttavia, continuava a temere che un giorno quella malsana
somiglianza avrebbe potuto causarle dei problemi. Bellatrix faceva
parte di un passato troppo presente e drammatico per poter essere
dimenticata e Minima, per sua disgrazia, rischiava di venirne
intaccata. Come la signora Tonks, Minima sfoggiava impunemente tutti
i tratti riconducibili alla famiglia Black, e la signora Tonks era
perfettamente a conoscenza di quante difficoltà si trascinassero dietro.
«Nonna?».
«Sì?».
«Raccontami
la storia
della ragazza che si è innamorata ed è scappata
di casa».
La
signora Tonks
sorrise di nuovo. Ma, forse, pensò mentre aiutava Minima a
salirle sulle
gambe, Bellatrix non era riuscita a vincere proprio un accidente.
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