La verità fa male
Capitolo 1
La
verità fa male.
Come
una volpe inseguita dai cani correvo, il cuore che batteva
all’impazzata
rimbombava nelle mie orecchie, caddi sulla neve che si
macchiò di rosso.
“Sono
ferito?” mi
chiesi in silenzio.
Mi
rialzai e ricominciai a correre a perdifiato, udivo il ringhio di
quell’animale
alle mie spalle, le sue zampe artigliate spezzavano i rami e
affondavano nella
bianca neve.
Era
buio e ad illuminare il bosco vi era solo la luna che quasi sorrideva
vedendo
quella macabra scena, un fanciullo di appena dodici anni rincorso da un
mostro
che mai avrebbe immaginato di incontrare, dotato di zanne, unghie e
ricoperto
di peli.
Caddi
nuovamente e dietro di me scorsi delle piccole luci fluttuanti, la
testa prese
a girarmi.
Il
grido di dolore della creatura spezzò la quiete notturna e
io mi rannicchiai a
terra in posizione fetale stringendomi convulsamente la spalla
dolorante, il
sangue scorreva lentamente e l’adrenalina della corsa
iniziava a svanire,
sentivo freddo, molto freddo…
Improvvisamente
qualcosa di caldo mi venne avvolto attorno al corpo, aprii gli occhi
quando
qualcuno mi tirò
su di peso e vidi i
capelli rossi dello zio, sospirai capendo che ero al sicuro e poggiai
il capo
contro il suo petto chiudendo gli occhi.
Mi
risvegliai una manciata di minuti più tardi, avevamo appena
superato i confini
del bosco ed eravamo giunti a quella che avevo sempre chiamato casa.
La
porta giaceva a terra con i cardini ancora attaccati al legno, lo zio
notò che
ero sveglio e mi mise giù, corsi dentro e caddi in ginocchio
vicino al corpo
dilaniato di mia madre, calde lacrime rigarono le mie guance ma non
emisi
nemmeno un lamento.
Mi accucciai sul suo corpo e la strinsi in quello che sarebbe stato
l’ultimo
abbraccio, annusai i suoi lunghi capelli castani che odoravano sempre
di
vaniglia e le bagnai il dolce viso.
Lo zio entrò qualche minuto dopo di me, non sapevo di aver
perso tutto, non mi
ero domandato il perché dell’assenza di mio padre
e quando sentii le parole
dello zio all’inizio non capii, poi venni infuocato dalla
rabbia ancora con il
viso bagnato di lacrime.
“Il lupo era tuo padre…” disse queste
semplici parole e io alzai lo sguardo
verso di lui.
“Che vuol dire?” chiesi con gli occhi spalancati e
liquidi.
“Era
ubriaco e non è riuscito a….” non
finì la frase che lo interruppi con un tono
di voce più alto del normale “Ha ucciso la mamma
per questo?!” strinsi i pugni
incapace di capire e lui mi appoggiò una mano sulla spalla,
mi scostai
bruscamente e mi rialzai dando un ultimo sguardo al viso della donna
che era
morta per proteggermi, la scena mi riapparve bruscamente davanti.
La
mamma aveva aperto la porta e mi aveva sorriso, poi un grosso lupo nero
si era
avventato verso di lei buttandola a terra, mi aveva urlato di scappare
e io lo
avevo fatto senza riuscire a pensarci, mi ero fermato nel mezzo della
strada e
l’avevo vista rialzarsi, mi aveva sorriso un’ultima
volta con i capelli
scomposti e il viso macchiato di sangue e poi aveva chiuso la porta.
Ero
corso nella foresta con ancora nelle orecchie le sue grida
d’agonia e poi avevo
sentito il lupo sfondare la porta, mi aveva rincorso fino a che lo zio
e gli
altri cacciatori l’avevano ucciso.
Lo
zio mi toccò di nuovo la spalla e non mi sottrassi alla sua
stretta stavolta,
mi voltai a guardarlo e lui mi accarezzò i capelli rossi
simili ai suoi e a
quelli di mio padre...
“Andiamo…”
disse con voce stanca voltandosi e incamminandosi verso
l’uscio, lo seguii in
silenzio con lo sguardo basso senza sapere dove stavamo andando.
La
gente si era radunata attorno a casa mia e lo zio mi trasse sotto la
sua ala
protettiva ignorando i curiosi a cui non importava del dolore che mi
dilaniava
il petto.
Camminammo
per un po’ e poi arrivammo alla sua dimora, una giovane donna
corse ad
abbracciarmi mormorando al mio orecchio delle inutili parole
“Red mi dispiace
tanto…”.
Rientrammo nella casa e lei mi indicò un giaciglio dove
coricarmi, mi stesi sul
piccolo letto freddo e mi
ricoprì con
una coperta baciandomi la tempia, rimasi in silenzio chiudendo gli
occhi e
sentii i suoi passi allontanarsi.
Kirya,
era questo il nome della zia, pronunciò il suo nome
traendolo dolcemente a se
“Kurg’an…”, il grande uomo dai
capelli rossi la trasse a se ringraziando il
fatto che fosse ancora li e poi andarono a coricarsi in
un’altra stanza.
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