Note
Questa
è la seconda parte della serie Between
Heaven and Hell.
La storia risulterà incomprensibile a chi non ha già letto la prima
parte, ovvero The
Evil Slayers' Guide to the Heavenly.
A differenza di questa, però, la storia sarà narrata principalmente
dal punto di vista di pochi personaggi, e per la precisione: Damon,
Caroline, Nora e Pas, e occasionalmente Elijah e Katherine.
Continuo la
tradizione di linkare un brano ad ogni capitolo.
Buona lettura!
Capitolo
1
~
Dove
ci vuole un bel upgrade
Mystic
Falls, 11 settembre 2028
Caro
diario,
Oggi
è proprio una giornata di merda
No!
Non devo dire parolacce! È il proposito per l'inizio dell'ultimo
anno, ricordi? Fare la ragazza beneducata. Ci manca solo che mi
tocchi spiegare di nuovo a papà com'è che mi è scappato di
chiamare la direttrice “vecchia zoccola incartapecorita” al
microfono della radio scolastica, o qualcosa di altrettanto idiota.
Quella stronza stupida è capacissima di bocciarmi
per una simile cagata sciocchezza.
Ok,
ho l'impressione che questo ambizioso proposito avrà vita breve.
Oh,
be'... fanculo! Questa è stata DAVVERO una giornata di
merda.
Innanzitutto
perché ho fatto di nuovo quel sogno. Non quello dove vedo la mamma e
mi sembra sempre che siamo su una nave. E nemmeno quello dove c'è
LUI (hai capito chi, no??).
Parlo
di quello dove ci sono quei tre. Non mi ricordo nemmeno di essermi
svegliata, ma dev'essere perché papà mi ha dato le solite gocce e
lo sai che effetto mi fanno. Poi stamattina mi sono ricordata TUTTO e
stavo così male che papà mi ha permesso di stare a casa da scuola.
Comunque
erano SECOLI che non li sognavo e non capisco perché cazzo dovevano
tornare a tormentarmi proprio adesso!
Secondo
me è per quello che ho scoperto ieri. Praticamente ho messo insieme
un po' informazioni (dovrei fare la detective, modestamente) e ho
capito che quelli sono degli Antichi. Per sicurezza ho frugato di
nuovo nella biblioteca di papà. Lo so, lo so... se lo scopre mi
ammazza... ma cazzo, è una vita che gli chiedo di spiegarmi! Non
sono mica scema io: sono un strega e con la famiglia che mi ritrovo
sono SICURA che mi nascondono qualcosa!
Ma
lui niente. Eppure LO SA che ci sto male.
Vorrei
che qualcuno mi aprisse la testa e cancellasse tutto con un bel colpo
di spugna. Vorrei addormentarmi stanotte con la certezza che non avrò
più quegli incubi e che dormirò come...
La
penna interruppe il suo corso sulla carta.
Come
cosa? Quando mai il suo sonno non era stato accompagnato da quegli
orrori? Da che aveva memoria, Lenny non ne era mai stata immune,
nemmeno da piccola.
La
fitta arrivò all'altezza dello sterno, dolorosamente prevedibile.
Colta dalle vertigini, serrò gli occhi, mentre le dita lasciavano
andare la penna e si conficcavano tra i seni. Cercò di riprendere il
controllo del respiro come le aveva insegnato Jeremy.
Jeremy...
quanto le mancava. Lenny era la più vecchia della nuova generazione
e lui il più giovane di quella precedente: era stato inevitabile per
loro legare. Le portava sempre dei regali speciali dai suoi viaggi e
le descriveva tutto quello che aveva visto, dal modo strambo di
vestire delle persone ai piatti esotici che aveva assaggiato.
Quando era bambina, se la metteva sulle ginocchia e poteva stare ore
intere a raccontarle. Lui aveva rappresentato la sua prima
infatuazione: lo ricordava con un certo imbarazzo misto a tenerezza.
Lenny
sentì scemare la sensazione di soffocamento. Quando anche la nausea
svanì, fece un bel respiro e si azzardò ad aprire gli occhi. Anche
il mondo aveva smesso di roteare, bene. Un'altra crisi di panico
passata grazie a Jeremy: per ringraziarlo, gli avrebbe preparato
doppia dose di biscotti al cioccolato, i suoi preferiti.
Lo
sguardo le cadde sul diario: le era passata completamente la voglia
di scrivere. Batté le palpebre e sbuffò d'insofferenza. Svogliata,
passò una mano sopra le pagine aperte, sentendo sotto i polpastrelli
i microscopici dislivelli creati dalla pressione della penna. Aveva
una scrittura piccola, tondeggiante e insicura, che solo lei e Dave
sapevano tradurre. A Lenny piaceva l'idea di essere l'unica tra tutti
gli adolescenti di Mystic Falls – e forse dell'intera Virginia –
a tenere un diario cartaceo. Per non parlare della penna stilografica
con cui amava scriverci su: gliel'aveva regalata zio Stefan per il
suo quattordicesimo compleanno e la teneva come una reliquia.
Osservò
il pennino a forma di dito puntato. Ne aveva una bella collezione di
forme diverse e forse era giunto il momento di cambiarlo. Così,
tanto per variare. Ma non adesso. Sospirò tra sé e avvitò il
tappo. Ripose la penna nel velluto blu della sua custodia e richiuse
il diario, serrandolo con un minuscolo lucchetto. L'altrettanto
minuscola chiave che lo apriva, era sempre agganciata alla catenina
che portava al collo: un altro vezzo che la faceva sentire abbastanza
retrò.
Con
cipiglio risoluto si diresse in bagno. Si conosceva: la cosa che le
ci voleva era una doccia. Qualcosa che le lavasse via dalla pelle
tutti i brutti pensieri, sciacquarsi lo sciampo e assieme alla
schiuma far finire nello scarico anche le paranoie.
Sciolse
le trecce con cui dormiva la notte e che aveva lasciato intatte per
tutta la mattinata. Ravvivò i capelli con le dita e poi vi passò la
spazzola.
Qualche
anno prima, appoggiata da tutte le donne della famiglia, Lenny aveva
finalmente ottenuto da suo padre di potersi far crescere i capelli.
Pascal riteneva che una chioma lunga fosse un accessorio del tutto
superfluo e aveva sempre chiesto a zia Jenna che glieli tagliasse. La
ribellione di Lenny aveva scatenato una discussione, che si era
arenata nel momento un cui Jenna aveva dichiarato che – testuali
parole – col cavolo avrebbe lottato ancora contro quella testa di
Medusa. Quella le mancava: Lenny l'aveva incassata con un certo
orgoglio. Dopotutto, zia Caroline amava definirli
“selvaggi”, “indomabili” e altri aggettivi stupidi di quel
genere. Mentre zia Elena, quando lei se ne lamentava, le faceva
notare come una certa J.K. Rowling ci fosse diventata miliardaria su
un ragazzino dai capelli spettinati. Ma la verità era che aveva
ragione Jenna: la sua chioma era una grandissima rottura di palle.
E
pensare che quelli che adesso erano una matassa senza forma, da bimba
erano stati dei morbidi boccoli, che con quel colore ramato le
conferivano un'aria da putto barocco. Suo padre detestava portarla al
parco, per il solo fatto che doveva sciropparsi i gridolini estatici
delle signore che portavano a spasso figli e nipotini. Cosa fosse
successo poi, qualche fattore di mutazione avesse interferito durante
la crescita, era un vero mistero.
Lenny
posò la spazzola e si scrutò allo specchio. Solo il viso: il corpo
erano anni che non aveva mai il coraggio di guardarlo, praticamente
non sapeva com'era fatta da quando aveva avuto il primo ciclo. Se si
metteva a chiedersi il perché anche di quello, non ne usciva più,
per cui semplicemente ignorava quell'ennesima paranoia e andava
avanti per la sua strada come se niente fosse.
Si
osservò con aria critica. Obiettivamente, sembrava una scopa di
saggina. Una scopa di saggina color carota, per di più. Si
sarebbe volentieri tinta i capelli di un normalissimo castano, e poi
li avrebbe stirati, ma ovviamente suo padre non voleva.
Le
lentiggini non era un problema, invece. Per lo meno nella stagione
fredda: era in estate che si riempiva fino a diventare inguardabile.
Perché non poteva essere come Miranda? Aveva solo dodici anni, ma
già si vedeva che sarebbe diventata la figa della scuola, con quei
capelli biondi presi da zio Alaric e gli occhi verdi di Jenna e
quella pelle perfetta che sembrava appena uscita da un
estetista. Praticamente una Caroline in erba, ma senza la faccenda
del succhiare il sangue e non invecchiare mai. Anche se già faceva
certi discorsi che...
Lenny
sospirò tra sé e s'infilò nel box doccia. Miranda era una tipa a
posto, ma a quell'età si è così influenzabili. Lei lo sapeva bene:
era stata un dodicenne solo fino a qualche anno fa. Si chiese se
avessero fatto bene a dirle tutto così preso. Ovviamente era
inevitabile: non puoi far crescere i tuoi figli in mezzo a vampiri, licantropi e
compagnia bella, e illuderti che non sospettino niente.
Qualcosa glielo devi pur dire, prima o poi. Ma Miranda non era matura quanto suo fratello: Dave aveva
capito tutto già a nove anni. Con un sogghigno, Lenny ricordò
quando glielo dissero: lui li aveva guardati dall'alto in basso, con
quel sorrisino di superiorità che sarebbe poi diventato il suo
marchio di fabbrica, e aveva commentato “Immagino di dover fare
finta di essere stupito”.
Lenny
finì di sciacquare lo sciampo, ma tenne gli occhi chiusi. Cercò a
tentoni il docciaschiuma e s'insaponò alla cieca.
E
pensare che lei aveva impiegato più tempo a capire, nonostante tutto
il casino che aveva in testa. Ma sopratutto, nonostante il padre che
si ritrovava.
Lenny
non ricordava quando quei sogni ricorrenti avevano iniziato a
tormentarla, ma doveva essere davvero piccola. La sua maestra
dell'asilo chiamava a colloquio Pascal e gli mostrava i disegni che
faceva. Lei non li ricordava, ma a giudicare dalle discussioni che
nascevano tra loro due, non dovevano essere casette col comignolo
fumante o principesse delle favole.
Chiuse
l'acqua e si avvolse nell'accappatoio. Seppellita nelle sue pieghe,
tornò in camera sua e si sedette sul letto, con le gambe raccolte al petto.
Afferrò il telecomando e accese la tv. Cambiò canale sette volte
senza nemmeno guardare cosa stavano trasmettendo, poi andò a
sbattere contro la propria frustrazione e la sfogò lanciando via il
telecomando.
Doveva
fare qualcosa. Era stato un errore restare a casa: se fosse andata a
scuola, avrebbe potuto distrarsi. Suo padre era al lavoro e chissà
quando sarebbe tornato: prese il cellulare e gli scrisse che andava
dai Salzman. Si vestì in fretta, afferrò la borsa e schizzò fuori
dall'appartamento come se una forza soprannaturale ve l'avesse
sputata fuori.
~~~
Il
plimp riecheggiò
in maniera davvero buffa tra le pareti di quella fogna, tra
i rumori di pestaggio e gli sciabordii dell'acqua marcia sotto i
piedi. Ma lui non riuscì a cogliere l'ironia.
Pascal
grugnì infastidito. Stese il vampiro con una pallettata sotto le
costole e ci si sedette sopra, sfilando il cellulare da una tasca del
pastrano. Lesse il messaggio e digitò la risposta, tenendo giù il
malcapitato che si dimenava. Poi, come al solito, scrisse anche a
Jenna. Si fidava di Lenny, ma era pur sempre suo padre.
Rimise
a posto il cellulare e si rialzò. Finì il vampiro ancor prima che
il poveraccio se ne rendesse conto. Mormorò una preghiera, fece il
segno della croce e si riprese i suoi paletti, ripulendoli
accuratamente e rimettendoli al loro posto, 'ché paletti di quella
fattura gli erano costati un occhio.
– Bien.
– borbottò tra sé e frugò tra le tasche alla ricerca delle
istruzioni per quella missione – Chi è il prossimo? –
Plimp
Pascal
alzò gli occhi al cielo. Con un sospiro, tornò a cercare il
cellulare. Ma perché nessuno si ricordava che quando era al lavoro
non voleva essere disturbato?! Doveva assumere una segretaria...
Una
fantasia fatta di boccoli biondi e lunghe gambe che spuntavano da un
tubino gli riempì il cervello.
Pascal
scosse la testa e portò due dita a stringere la base del naso. Cosa
stava cercando? Ah, sì, il cellulare.
Lo
trovò e si accigliò quando lesse il nome del mittente. Si sfilò
gli occhiali e pigiò il tasto di apertura del messaggio. Il suo
volto si pietrificò sotto la luce artificiale proiettata dal
display. Lesse e rilesse il testo tre volte, battendo freneticamente
le palpebre, ma quello restava sempre uguale e lui era vecchio ma non
così vecchio da non capire più cosa leggeva. Dunque, i casi
erano due: o Stefan era impazzito o aveva una gran voglia di
scherzare – e un pessimo senso dell'umorismo.
Comunque
stessero le cose, cause di forza maggiore gli imponevano di terminare
lì il suo lavoro. Chiamò Lenny per dirle di restare dai Salzman, ma
lei non rispose. Allora le scrisse, sperando che non facesse come al
solito e si dimenticasse di avere un cellulare – e un padre.
S'incamminò,
indeciso se puntare dritto al maniero dei Salvatore o passare prima
da casa sua. Quando uscì all'aria aperta, si ricordò di aver
lottato per tutto il giorno dentro una fogna: era meglio se prima
faceva un salto a casa.
~~~
Ecco
un'altra sensazione alla quale non si sarebbe abituato presto: il
calore quasi insopportabile della tazza di the tra le mani. Dovette
scottarsi la lingua per realizzare che, sì, poteva provare dolore
fisico e, no, non aveva più la resistenza di prima.
E
vogliamo parlare del fatto che non sentisse il battito cardiaco Elena
nonostante fosse ad un passo da lei? In compenso, sentiva il proprio di
battito cardiaco. Il suo cuore pulsava.
– Allora.
–
Damon
si riscosse. Osservò suo fratello con la netta sensazione che i suoi
pensieri non fossero tanto diversi dai propri. Se non altro, la sua
aura gli diceva che era sconvolto, felice, incuriosito, turbato e un
altro migliaio di sensazioni di quel genere. Ma sopratutto era
felice, sì. Inarcò un sopracciglio per mascherare la
tensione e attese con finta tranquillità la domanda che stava per
fargli.
– Come
mai in bianco? –
Damon
abbassò lo sguardo sui suoi vestiti e schioccò la lingua. Rialzò
lo sguardo sul fratello, indeciso se prenderlo a calci o ridere.
– Hanno
finito il nero. – scosse la tesa e posò la tazza, incrociando le
braccia sul petto – No, ma seriamente? Io torno dall'aldilà e la
prima cosa che mi sento chiedere è “come mai in bianco”? –
Saettò
gli occhi dall'uno all'altra.
Elena
alzò le sopracciglia e scosse velocemente la testa. Scambiò uno
sguardo con Stefan, che si strinse nelle spalle.
– È
che dobbiamo ancora... accettare l'idea. – fece lei in tono cauto.
Damon
la osservò accigliato.
– Be',
se la cosa vi turba posso sempre dirgli di rimandarmi di sopra. –
disse sarcastico, puntando il pollice al cielo.
Quella
era proprio una cosa triste. Maledettamente triste.
– Damon.
–
Il
suo cuore nuovo di pacca perse un battito. Perché non starci più
male non significava restare immune sentendo il proprio nome
pronunciato da lei.
– Torni
dall'aldilà e ti aspetti di sentirti dire “bentornato, ti abbiamo
lasciato la cena nel frigo”? – gli disse rigirandogli le sue
parole – Sono passati diciotto anni, Damon. Non avevamo nemmeno una
tomba su cui mettere dei fiori e adesso ti presenti alla nostra porta
come se niente fosse. –
Damon
non riuscì a trattenere una smorfia.
– E
sei vestito di bianco. – aggiunse Stefan, terminando
la frase con un suono strozzato.
Damon
fulminò suo fratello. Si stava trattenendo dal ridere. Come si permetteva?!
– E
dici di essere un angelo. – fece Elena.
La
guardò esterrefatto. Nessuno aveva il buongusto di prendere
seriamente quella situazione!
– Ok,
facciamo così. – alzò le mani – Adesso esco e busso di nuovo e
voi fate finta di essere scioccati ma felici, e vi mettete a piangere
dalla... –
Brrr
– ...gioia.
– batté le palpebre e osservò seccato il cellulare che vibrava
sul tavolo – Ma sono ancora in circolazione? Non li hanno resi
illegali? –
Stefan
lo prese e aprì la chiamata.
– Sì.
No, non è uno scherzo. – sogghignò e scambiò uno sguardo con
Elena – No, non sono i preparativi che mi hanno dato alla testa. –
“Quali
preparativi?” mimò Damon con le labbra. Elena gli fece cenno che
dopo ne avrebbero parlato.
– È
qui, te lo giuro. Vuoi che te lo passi? – continuava Stefan –
Come vuoi. Ci sentiamo. –
– Pas?
– gli chiese una volta chiusa la chiamata.
Stefan
annuì: – Pensava lo stessi prendendo per il culo. –
– Voi
mi prendete per il culo. – sbottò Damon – Cosa ci fa Pascal
Serrault a Mystic Falls? –
Lo
scambio di sguardi tra i due non prometteva niente di buono.
– È
una lunga storia. – accennò Elena.
Damon
scrollò le spalle e si riappropriò della sua tazza di the: –
Avete impegni? –
Stefan
fece un cenno e si trasferirono nel salone. Damon si stava chiedendo
da dove iniziare: quante cose potevano essere cambiate in diciotto
anni? Poi notò il divano nuovo e quei sospetti cuscini colorati. Si
guardò un po' meglio intorno: c'era un inconfondibile tocco
femminile che aveva reso il maniero meno tetro di come lo ricordava.
– Da
quanto vivete insieme? – gli uscì.
Elena
tentò di nascondere un sorrisetto compiaciuto.
– Sette
anni. – lo informò Stefan, intrecciando le dita tra quelle della donna.
Damon
notò un anello di tutto rispetto all'anulare di Elena. Si chiese se
fosse l'Anello. Scoprì di essere un po' impaurito dalla
verità.
– E
che cosa... che fate nella vita? – si sentì chiedere banalmente.
Venne
fuori che Stefan si era laureato in medicina e adesso esercitava come
pediatra. E che riscuoteva parecchio successo tra le mamme di Mystic
Falls. Chissà come avrebbero reagito le signore se avessero scoperto
certi fatterelli poco ortodossi del passato dell'affascinante dottor
Salvatore? Ma suo fratello era cambiato, Damon non poteva negarlo.
Non aveva più timore di diventare schiavo del sangue: nel
frigorifero aveva visto sacche di zero negativo davanti alle quali
Stefan non aveva fatto una piega. Elena l'aveva liberato da quella
schiavitù.
Elena.
Anche
il suo antico amore era cambiato in quegli anni. E non intendeva per
il nuovo taglio di capelli, né per quelle rughe d'espressione che
iniziavano a farsi strada sulla sua pelle olivastra. Innanzitutto era
diventata una scrittrice. E non una qualsiasi, ma la
scrittrice, quella che sfornava i best-seller del momento. Aveva preso i
suoi diari e gli eventi che aveva vissuto diciotto anni prima e li
aveva trasformati in un saga young-adult sui vampiri. Successo
immediato e una non trascurabile entrata di soldi l'avevano convinta
a proseguire su quella strada e così lei aveva scatenato la sua
fantasia, uscendo dai ricordi e inventando un universo, dei
personaggi e degli eventi che l'avevano resa famosa in mezzo mondo.
Sì,
Elena era cambiata, era cresciuta. Quando sorrideva, Damon rivedeva
la ragazzina che aveva conosciuto, ma gli occhi... aveva gli occhi di
una donna. E il portamento era molto diverso da quello solito.
Ricordava bene come si chiudeva. Forse l'avrebbe fatto ancora, se
avesse avuto paura. Damon l'aveva vista quasi sempre impaurita: da
una minaccia esterna, o da lui stesso. Adesso la paura non faceva più
parte del suo mondo: se n'era andata con Klaus – e con lui.
E a pensarci bene, era una cosa abbastanza patetica. Ma Damon aveva
già avuto modo di affrontare e superare un bel po' di scazzi
personali: non sarebbe stato quello ad ucciderlo.
– Altre
rivelazioni scioccanti? – buttò lì – Avanti, sparate. Sono
pronto. Adesso mi direte che Jeremy e Bonnie hanno quattro marmocchi.
–
Al
nome della sua amica, Elena s'irrigidì.
– Si
sono lasciati anni fa. – gli spiegò in tono conciso – Non
vediamo Bonnie da una decina d'anni. –
Non
che a Damon fregasse qualcosa della strega, ma era per lo meno
strano. Attese una spiegazione che faceva fatica ad arrivare.
– Se
n'è andata subito dopo il diploma. – aggiunse suo fratello davanti
alla sua espressione perplessa – Non voleva avere più niente a che
fare con la magia né con... altre faccende soprannaturali. Ha
tagliato i ponti ed è partita per l'Europa. Ogni tanto Jeremy la
vede e ci porta notizie lei. Sappiamo che vive da sola e che ha avuto
un bambino un paio d'anni fa. –
Damon
boccheggiò. Era un cavolo di angelo e non sapeva che dire. Perfetto.
– Cosa...
che fa Jeremy? –
Elena
colse l'occasione al volo: – È un fotoreporter. –
E
partì a raccontargli dei suoi studi in giornalismo e di quanto
fossero tutti orgogliosi di lui, della sua passione per la fotografia
e di come l'avesse trasformata in un lavoro che lo portava in giro
per il mondo. Adesso, per esempio, era in Giappone per un servizio
esclusivo sulla chiusura dell'ultima centrale nucleare ancora attiva.
Era davvero felice del lavoro che faceva, anche se stava tanto tempo
lontano da casa. I ragazzi lo assalivano tutte le volte che tornava:
era proprio il beniamino della famiglia e mancava un sacco a tutti.
Per fortuna trovava sempre il modo di esserci per le feste e
sicuramente sarebbe tornato anche per quel Ringraziamento.
Sotto
a quel bel quadretto, Damon aveva capito molte cose e si era fatto
venire ancora più domande.
– “I
ragazzi” chi? –
Per
esempio, quella era già una bella domanda. Qualcuno aveva figliato,
se lo sentiva, ma ancora non gli avevano detto chi.
– David
e Miranda. – spiegò Stefan – I figli dei Salzaman. –
Elena
gli mostrò una foto incorniciata. C'erano quasi tutti, persino
Bonnie – mancava qualcuno, ma in quel momento non avrebbe saputo
dire esattamente chi. Elegantissimi e scioccamente felici. Ed erano
esattamente come se li ricordava. Dovevano essersi sposati quella
stessa estate.
Riconsegnò
la foto ad Elena. E così il vecchio Rick aveva fatto il grande
passo. Di nuovo. Chissà come l'aveva presa Isobel?
– Chi
altri si è accasato? – chiese, con un pizzico di timore.
Elena
indicò una precisa persona nella foto. Una ragazzina bionda e dal
sorriso a trentadue denti, vestita di rosa confetto.
– No.
– mormorò.
Stefan
annuì con aria grave: – E più di una volta. –
Damon
si sentì sbiancare. Elena
non ebbe pietà e partì con
la telenovelas di Caroline
Forbes.
Caroline aveva
avuto una lunga relazione con Tyler, culminata in un turbolento
matrimonio, che come tutti avevano previsto finì in malora di lì a
pochi anni. Dopo fu la volta di Matt: sembravano sereni ed
effettivamente con lui resistette ben cinque anni, ma comunque alla
fine divorziarono. L'ultimo fu un certo Helmut von Fehrenbach: un
vampiro austriaco miliardario, di settecento anni più vecchio di
lei, che conobbe, sposò e lasciò nel giro di un mese.
– Helmut?
Un tizio con un nome del genere si merita di pagare gli alimenti a
Caroline! –
Una cosa era certa:
essere un angelo non gli toglieva la sacrosanta prerogativa di
sfornare le battute migliori della Virginia. Ed era particolarmente
orgoglioso del fatto che quei diciotto anni d'inattività non
l'avessero arrugginito.
– E adesso cosa
fa? Rivende bouquet usati ma in buono stato? Ha un mercatino di
vestiti da sposa riciclati? –
– Non fare lo
stronzo! – lo rimproverò Elena senza troppi giri di parole.
– È tornata a
vivere con Liz e fa la wedding planner. – gli spiegò Stefan.
Damon scoppiò a
ridere. E suo fratello gli si aggregò subito dopo.
– Oh,
smettetela! – proruppe Elena con aria offesa – Stefan! Lo sai che
è brava, l'hai ammesso anche tu! –
– Cosa?
– biascicò Damon tra le risate – E tu che ne sai? –
Elena
gli si rivolse con fare orgoglioso: – Sta pianificando la nostra
cerimonia. –
La
risata di Damon scemò fino a morirgli in gola con un lungo “oooh”.
Si afflosciò sul divano come un palloncino improvvisamente sgonfio.
– Woah.
–
– Già.
– gli fece eco Stefan – Woah. –
Allora
sì, quello che Elena portava all'anulare era effettivamente
l'Anello.
– Cazzo.
– deglutì a vuoto – Datemi da bere. Tutto questo gossip mi sta
emozionando. –
Stefan
riempì tre bicchieri di whisky e brindarono al suo ritorno e alle
loro nozze.
Per
Damon fu un piacere inaspettato ritrovare il suo amato bourbon. Tenne
in bocca il liquido bruciante e lo fece scivolare in gola assaporando
ogni istante.
Con
un sospiro si accomodò meglio sul divano: – Chi manca all'appello?
–
Sentiva
già come l'alcol stava iniziando a lavorare sui suoi neuroni. Poteva
affrontare di tutto.
– Non
mi avete ancora detto di Pas. – ricordò loro.
Elena
si strozzò con il suo bourbon. Stefan si schiarì la voce e guardò
altrove.
– C'è
del marcio a Mystic Falls. – cantilenò – Allora, cosa state
nascondendo a zio Damon? Se c'è di mezzo quella stronzetta... –
– Quale
stronzetta? – fece Elena.
– Lo
sai quale. – Damon si accigliò – Il Pollo Virtuoso... lì...
Nora. Sono stato diciotto anni lassù a rompermi le palle e non è
mai venuta a trovarmi. Cazzo, credevo che fossimo diventati amici! E
invece no, mi hanno appioppato un'anima da custodire e... –
Silenzio.
Pesante e imbarazzato.
– Che
c'è? – ringhiò sospettoso.
– Damon,
ti hanno detto per quale motivo ti hanno mandato qui? – gli chiese
cauto Stefan.
Detestava
quando parlava così. Sembrava che si aspettasse che un momento
all'altro esplodesse.
– Mi
hanno solo detto che c'è bisogno di me, che il tizio che custodisco
avrà dei... vecchi problemi da risolvere o qualcosa del genere. –
riassunse, cercando di ricordare il discorso sconclusionato che gli
avevano fatto prima di dargli un corpo e spedirlo di nuovo al piano
terra.
– Un
tizio? Che tizio? – incalzò Stefan.
Damon
sbuffò: – Ma che ne so? Non ho i suoi dati anagrafici, mi hanno
solo rifilato... –
– Un'anima
da custodire, sì. – riassunse Elena scambiando un'occhiata con
Stefan – E immagino che tu non sappia chi sia il proprietario di quest'anima. –
– Be', non è che lassù serva a molto sapere nome, cognome e numero di previdenza sociale. – scrollò le spalle –
Comunque deve essere di queste parti visto che mi hanno spedito qui.
–
– Esattamente
dove ti sei ritrovato quando ti hanno... mandato qui? –
Damon
iniziava ad averne le palle abbastanza piene di quella specie
d'interrogatorio. Lui non sapeva quasi niente, si era solo annoiato a
morte lassù, erano loro quelli che dovevano riassumergli diciotto
anni di eventi.
– Vicino
a casa di Rick, sotto il suo appartamento. – disse annoiato –
Perché? Sentite, ma che vi frega? –
– Rick non vive più lì. Lui e Jenna e i ragazzi stanno nella mia vecchia casa. – spiegò Elena.
Aveva
un modo di parlare quasi rivelatorio.
– Adesso
lì ci vive Pas. – aggiunse Stefan in tono serio.
Damon
strinse gli occhi: – E allora? –
– Ci
vivono lui e sua figlia. – precisò.
Continuavano
a parlare in quel tono cauto, nemmeno temessero di causargli un
trauma. E lo guardavano come se fosse una bestia in procinto di
attaccarli.
– Pascal
Serrault ha un figlia. E mi dispiace per la piccola. – riassunse
ostentando tranquillità – Dovrei scandalizzarmi? Siamo nel 2028, i
dampiri-padri non sono più osteggiati dalla società. –
Stefan
chinò la testa e quando la rialzò occhieggiò Elena. Lei annuì e
prese un profondo respiro.
– Siediti,
Damon. E bevi qualcosa. – gli rabboccò il bicchiere.
~~~
Quando
il campanello suonò, Pas sapeva già perfettamente chi avrebbe
trovato dall'altra parte della porta. Doveva solo decidere se
picchiarlo molto forte e molto a lungo, abbracciarlo lasciandosi ad
andare ad una crisi emotiva, o ucciderlo all'istante rispedendolo da
dove era arrivato.
Ma
quando gli aprì ci fu una sola cosa che riuscì a fare.
– Perché
sei vestito di bianco? –
Damon
alzò gli occhi al cielo.
– Anch'io
sono felice di vederti. – sbuffò superandolo ed entrando
nell'appartamento senza essere invitato.
Si
voltò e lo vide piantato in mezzo al soggiorno, che si guardava
intorno con aria sperduta. Certo, quell'appartamento doveva essere
molto diverso da come l'aveva visto l'ultima volta. Pas ricordava
bene come fosse spoglio e spartano quando vi aveva messo piede
diciotto anni prima. E come si fosse subitaneamente riempito di cose,
per lo più inutili, una volta che lui l'aveva eletto a dimora per sé e Lenny. Adesso non c'erano più i suoi migliaia di giocattoli
sparsi per il pavimento ad attentare la vita di chi camminava, né le
pareti erano decorate con i suoi schizzi di arte astratta. Ma il
casino era ancora onnipresente e sopratutto era difficile non notare
le foto. Macchioline di colore rosso che spuntavano qua e là nella
stanza, ad indicare che qualcuno, chissà quando e chissà dove, aveva una macchina fotografica in mano e aveva fatto click
davanti a quella testa color carota.
Damon
aveva l'aria di non averne mai saputo nulla. Il che era strano, ma
non impossibile: le vie (e i sotterfugi) del Signore sono infinite.
Vedendolo
così sconvolto, Pas gli versò un bicchiere di whisky e glielo
porse. Ma lui alzò la mano.
– Per
oggi ho bevuto abbastanza. – commentò.
Incredulo,
si tolse gli occhiali da sole e lo osservò bene. Sì, era proprio
Damon Salvatore. E aveva mille cose che gli ronzavano in testa, ma
nessun coraggio per aprire bocca e chiedere.
– Lei
arriva più tardi. – gli disse.
E
Damon si voltò di scatto, lo sguardo accigliato e la bocca schiusa
in un espressione che dire stupefatta era poco.
– Resti
a cena? – si sentì dire.
Damon
chinò la testa e batté le palpebre con aria confusa. Annuì, poco
dopo, in fretta, come se si fosse ricordato improvvisamente che aveva
appena ricevuto un invito.
Forse
avrebbe potuto evitare il peggio. Forse, se gli avesse raccontato,
avrebbe desistito e se ne sarebbe andato.
Pas
gli fece cenno di accomodarsi. Poi prese il cellulare e andò in
cucina. Chiamò Lenny per assicurarsi che effettivamente restasse a
cena dai Salzman come aveva detto. La chiamata squillò a vuoto per
un po', finché accigliato staccò quell'affare demoniaco
dall'orecchio e lo guardò con malcelato odio.
Quando
Damon entrò nella stanza porgendogli qualcosa con aria confusa, Pas
si sentì improvvisamente molto stanco e molto – troppo – vecchio
per fare il padre. Soffiò via l'aria con stizza e prese il cellulare
di sua figlia, scoccando a Damon un'occhiata che avrebbe voluto
essere di ringraziamento, ma che probabilmente lo incenerì sul
posto.
Stava
per chiamare direttamente a casa Salzaman. Poi qualcuno bussò alla
porta e Damon scomparve verso l'ingresso. Pas occhieggiò il
pupazzetto del portachiavi di Lenny che spuntava dalla solita ciotola
e serrò gli occhi, emettendo un sacrosanto “merde”. Non
ci provò nemmeno a tentare di tamponare il disastro. Sentendosi un
vile codardo, si rifugiò in cucina e attese l'evolversi della
situazione.
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