Ticket for the hell
Più ascoltava, più
tremava il suo cuore.
A distanza di pochi mesi
dall’ultima edizione degli Hunger Games cui lui aveva
partecipato ed era riuscito a tornare a casa, ecco che si stava avvicinando
ancora una volta l’incubo.
Ogni notte si svegliava
sopraffatto dalla paura, con l’unica, irrefrenabile voglia di stringere a sé un
corpo caldo, femminile, e soprattutto amato.
Quello di Katniss.
Era come se una bomba
fosse appena esplosa nel suo cuore, frantumandolo, annientando tutto ciò che rappresentava
Katniss per lui.
Sapeva che tutti nel
distretto stavano guardando la tv, sapeva che lei la stava seguendo.
Sapeva che lei sarebbe
impazzita.
Non si sarebbe mai
sognato di andare a casa sua, rassicurarla sul fatto che tutto sarebbe andato
per il verso giusto, che non sarebbe mai tornata in quell’arena che trasudava
di morte.
No, si disse, non
poteva prometterle proprio nulla.
Nessuno poteva opporsi
al potere di Capitol City. Nessuno avrebbe mai
sabotato gli Hunger Games della memoria.
Il suo cervello non ci
aveva messo molto a riflettere sulle possibili conseguenze delle parole del
presidente Snow, né su ciò che lui realmente voleva:
uccidere Katniss.
Era l’unica ragazza
vincitrice del distretto 12, e quindi neanche un sorteggio era necessario.
Lei sarebbe tornata lì.
Lei sarebbe tornata per morire.
Il suo caso, però, era
differente.
Non era l’unico tributo
maschile a essere tornato vivo da lì, vi era anche Haymitch.
Il suo cervello non si
era mai messo a lavorare così velocemente come in quel momento. Era una tela
bianca che, man mano che gli schizzi prendevano una forma ben definita, vedeva
scene raccapriccianti: Katniss e Haymitch,
insieme nell’arena.
In quei mesi aveva avuto
modo di stare a stretto contatto sia con quello sia alla fine considerava un
maestro, che con la ragazza che teneva in custodia il suo cuore.
Katniss probabilmente
sarebbe riuscita a cavarsela, ma non per sempre contro di tutti.
Sapeva che lei non si
sarebbe unita a nessuno di quei tributi, che avrebbe combattuto contro il gruppo
dei Favoriti da sola, e di colpo rivide lei che strisciava dinanzi ai suoi
occhi, nel tentativo di afferrare l’arco.
Non l’aveva mai vista
ridotta in quello stato orribile. Mai. Per lui era l’amazzone inafferrabile
come l’acqua, indistruttibile come la roccia.
Ma non in quel momento.
Se lui non fosse arrivato prima di Cato…
Scosse la testa, stringendo i pugni.
Conosceva anche il suo
maestro.
Haymitch non era un uomo cui
importava qualcosa della vita, non dopo esser tornato come un cadavere vivente
da quel luogo.
L’arena aveva alterato
qualcosa che ormai era andato perduto, eppure era apparsa una debole, fioca
luce di speranza nei suoi occhi, o forse si stava illudendo come sempre.
Peeta e le sue stupide
illusioni.
Bel titolo per esprimere
la sua vita e pensieri che a briglie sciolte svolazzavano nella sua mente,
tempestandola di congetture inverosimili.
Mai come questa, si disse.
Haymitch si sarebbe offerto
volontario per andare al posto suo, e se non l’avesse pensato di sua spontanea
volontà, Katniss l’avrebbe implorato al posto suo.
Nonostante lei non
provasse i suoi stessi sentimenti, avevano legato molto, avevano condiviso
molto di più di una semplice amicizia.
Katniss non avrebbe permesso
che lui ritornasse all’inferno, per giunta con una gamba finta.
Abbassò lo sguardo,
tirando su il pantalone di alcuni centimetri, scoprendo l’arto artificiale.
Sfiorò il ginocchio
d’acciaio, storcendo il naso e maledicendolo per la sua inutilità.
Già, inutilità… perché
con quello stupido arto non avrebbe più potuto correre come prima, non avrebbe
più potuto gareggiare ad armi pari con un altro tributo.
Ma Haymitch,
con il corpo ormai vecchio e annegato nell’alcol, aveva meno chance di lui.
Scostò la sedia di
scatto e si alzò. I suoi genitori lo osservarono, distogliendo gli occhi dallo
schermo.
Sua madre aveva gli
occhi lucidi, suo padre, invece, non mostrava alcuna traccia di sentimenti.
L’avrebbe fatto in privato, magari insieme a sua madre. Era buono, ma poco
avvezzo a mostrare i suoi sentimenti in pubblico.
Più di una volta si era
domandato cosa avesse detto a Katniss un’ora dopo che furono selezionati
entrambi per gli Hunger Games, ma lui non ne aveva
mai fatta parola.
«Esco. Ho bisogno di una
boccata d’aria fresca» mormorò, cercando di mostrarsi indifferente a quella
situazione.
Conoscevano il loro
figlio, sapevano che era innamorato perso di quella ragazza. Guardare gli Hunger Games della scorsa edizione aveva aperto loro gli
occhi.
Lui sarebbe tornato di
nuovo in quell’arena, ma non sarebbe tornato vivo questa volta.
Non c’erano parole di
conforto per lui, niente avrebbe potuto alleviare quell’angoscia che cominciava
a divorarlo dall’interno.
Non c’era alcuna vita
senza Katniss, qui, nel distretto 12.
Lei sarebbe andata, e
lui con lei.
«Copriti bene. Indossa
anche la sciarpa, mi raccomando» rimbrottò il padre.
Annuì solamente, il
ragazzo.
Fuori si gela per
davvero,
si disse Peeta, rabbrividendo fino alle ossa.
Si strinse nelle spalle,
accostando i lembi del cappotto di lana.
Doveva andare
assolutamente a discutere con il suo maestro, non c’erano altre vie.
Casa sua non era molto
distante da quella di Haymitch, perciò impiegò
davvero pochi minuti ad arrivare, anche perché non aveva tempo da perdere.
Doveva arrivare prima di
Katniss, perché era sicuro che anche lei abbia fatto visita al suo mentore.
Non bussò, come di
solito faceva, anzi, spalancò la porta di colpo, ritrovando Haymitch
seduto su una sedia al buio, con la luce proveniente dalla televisione che
irradiava una piccola parte della stanza.
«Sapevo che tu saresti
arrivato per primo» biascicò, ridendo sommessamente.
In mano teneva una
bottiglia, sicuramente la prima di una lunga lista.
Lo sguardo di Peeta era deciso, scolpito nella pietra, mentre affermava:
«sarò io ad andare nell’arena con Katniss».
Haymitch sospirò, per poi
gettare la testa all’indietro e stropicciarsi gli occhi con una mano.
«Sapevo anche questo».
«Allora fai in modo che
lei non possa fare nulla» disse Peeta.
Il vecchio mentore si bloccò,
per poi lanciargli un’occhiata penetrante.
«Perché dovrei
assecondarti? Ti ricordo che io sono il tuo mentore, sei tu che devi attenerti
a ciò che io dico, non il contrario».
Peeta sorrise sicuro di sé,
incrociando le braccia al petto.
«Al momento, non sei il
mio mentore, bensì un mio pari. Entrambi siamo stati nell’arena, e finché non
tornerò lì, non puoi definirti tale».
Il vecchio dai capelli
bianchi e dallo sguardo rapace rimase in silenzio per una frazione di secondo,
indeciso se abbaiare qualche insulto o scoppiare a ridere sguaiatamente.
Haymitch preferì la seconda.
L’eco della sua risata rimbombò come un tuono nella casa, la quale sembrava
vibrare per quel suono roco, basso e profondo.
Lo sguardo del ragazzo
s’indurì e rimase in silenzio, come segno di rimprovero per quello scoppio
d’ilarità fuori luogo.
«Ti fa questo effetto
starle così vicino? Sembra di sentire parlare quella sciocca ragazzina» gli
rivelò Haymitch.
Peeta si fece avanti, fino ad
appoggiarsi al tavolo di legno, lavorato dai migliori falegnami. Un altro dei
tanti “doni” di Capitol City ai vincitori, i loro
beniamini.
«Quella sciocca
ragazzina sta soffrendo ancor più di noi due. Lei non ha scelta,
nessuna ragazza con cui poter anche solo scambiare il posto. Noi sì. Possiamo
scegliere di candidarci al posto dell’altro, in qualche modo possiamo
sottrarci, avendo il cinquanta per cento delle possibilità», si fece sempre più
vicino, fino a essere a pochi centimetri da quel vecchio che ora lo osservava
con un’espressione impassibile, «lei non ha questa fortuna. E neanche tu. Sei
troppo vecchio, troppo stordito per via dell’alcol che da anni scorre nelle tue
vene al pari del sangue…».
«Bada a come parli,
ragazzo. Non ti ho mai fatto intuire di poterti prendere una simile libertà con
me. Tutta questa confidenza non la tollero» lo richiamò l’uomo con sguardo di
fuoco.
Qualunque cosa avesse
scatenato, Peeta si rese conto che Haymitch non era solo il vecchio ubriacone che dava
intendere a tutti. C’era molto di più dietro quegli occhi spenti. Bastavano
poche parole, ben misurate per giunta, per accenderlo di un fuoco che aveva
intravisto solo nella ragazza del suo cuore, Katniss.
Sono gli occhi della
ribellione,
pensò assorto.
«Invece abuso questa
libertà, Haymitch. Sì dal caso che io tornerò nell’arena.
Non ci saranno sorteggi che m’impediranno di seguirla, perché nel caso dovesse
essere sorteggiato il tuo nome, io mi proporrò come volontario. Né tu, né
Katniss potete impedirmelo. Tornerò in quell’orribile arena… a qualsiasi costo»
dichiarò tutto d’un fiato, voltando le spalle e osservando la luna dalla
finestra lì vicina.
I fiocchi di neve
continuavano a cadere. Il giorno dopo sarebbe stato difficile mettere
piede fuori di casa, si disse.
«Tu vuoi tornare lì?»
gli chiese l’uomo con un’inclinazione nella voce che non lasciava adito a
dubbi. Era incredulo, ma c’era anche una sorta di ammirazione ben nascosta
sotto chili di orgoglio.
«Sì».
«Per lei». Era una
constatazione, almeno Peeta la intese in questo modo.
«Sì» rispose comunque.
«Sei un ragazzo pazzo e
innamorato, ma soprattutto il secondo aggettivo racchiude anche il primo»
sospirò Haymitch.
«Non è finita qui».
Il vecchio sollevò lo
sguardo, che già era calato sul tappo della bottiglia.
Voleva affogare se
stesso e tutto ciò che lo circondava in quel liquido, si disse Peeta.
«C’è dell’altro? Oggi
sei in vena di drammaticità? Sappi che di giovani stolti ne ho avuti parecchi
per le mani. Sono l’unico vincitore, o almeno lo ero finché voi due teste calde
non avete deciso di sfidare il presidente Snow e la
capitale. Di tutti, tu sei l’unico che mi sia piaciuto davvero. E non lo dico
solo perché tu sei vivo e gli altri no».
Strano, pensò il
ragazzo, durante gli Hunger Games avrebbe
pensato il contrario, poiché sapeva già per chi parteggiare, e non era lui.
Inarcò un sopracciglio, dubbioso quanto scettico.
«Non guardarmi così»,
proseguì l’altro, «tu non sei uno che si piagnucola addosso. Non sei il solito
ragazzino presuntuoso che crede che tutto gli abbia dovuto perché vive nel
distretto più angusto fra tutti. Tu sei un uomo coraggioso che, nonostante sia
stato graziato da Capitol City una volta, ha deciso
di tornare per seguire la donna che ama…».
Peeta lo interruppe con
facilità, facendo sgorgare fuori una verità che nessuno era ancora scoprire: «non
c’è vita in questo distretto per me senza Katniss. Ero disposto a morire quella
volta e lo sono ancora. Solo che adesso so cosa mi aspetta», con un tonfo sordo
poggiò l’arto artificiale sul tavolo, «e conciato così non posso proprio
sperare di tornare. So anche che il presidente Snow
non permetterà che lei ritorni viva, che è una trappola per uccidere Katniss
senza sporcarsi le mani più di quanto non lo siano già, ma io farò ciò che
posso per proteggerla. E quando non sarà più possibile per me, la lascerò nelle
tue mani, perché so che tu la salverai come hai già fatto la scorsa volta».
Haymitch sorrise, facendo
oscillare la bottiglia. «Cosa ti fa pensare che io eseguirò ciò che mi stai
ordinando?».
Peeta sollevò le braccia,
preparando la parte più importante del discorso e del loro accordo.
Accordo, sì, perché Haymitch non poteva rifiutarsi di guardare le cose
diversamente da lui.
«Hai preferito lei a me,
hai scelto di lasciar morire me, piuttosto che lei. Sia chiaro, io avrei fatto
lo stesso, giacché le possibilità che io tornassi vincitore erano nulle, ma
adesso tu mi sei debitore».
Haymitch strabuzzò gli occhi,
cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere ancora una volta. «Io, cosa?
Sarei in debito con te?»
Peeta annuì solamente a
quella domanda, ma poi notò che ormai si era fatto tardi e doveva dirigersi da
un’altra parte, andare a trovare un’altra persona quella sera. «Adesso devo
andare, perciò la farò breve: io mi recherò nell’arena con Katniss, non torno
indietro su questa decisione. Tu, come in passato, farai di tutto per far
vincere Katniss. Almeno lei deve tornare…», lo guardò con occhi lucidi, «deve
vivere, anche se lei vorrà salvare me. Tu dovrai pensare solo a lei, me lo
devi».
Detto questo, uscì, non
attendendo una risposta.
Era già chiaro il suo
destino: sarebbe morto nell’arena proteggendo la donna che amava.
Sapendo anche che lei
non lo avrebbe mai perdonato, andò da chi aveva un posto speciale nel cuore di
Katniss, colui del quale era innamorata.
Gale Hawthorne.
Ad aprire venne proprio
lui, che osservò diffidente e con cipiglio curioso il suo rivale.
«Hai sentito…» disse Peeta.
«Sì, ormai tutti sono in
fermento per questo evento» sorrise senza alcuna gioia.
«Io andrò con lei. Ho
parlato con Haymitch» gli rivelò.
Gli occhi di Gale si fecero
più attenti. «Perché me lo stai dicendo?»
«Perché io non tornerò.
Stavolta Capitol City non accetterà due vincitori, e
sicuramente si accanirà su Katniss. Farò di tutto pur di proteggerla, te lo
prometto».
Gale rise stavolta,
guardandolo dall’alto in basso. D’altronde era più alto di qualche centimetro,
e di questo andava fiero.
«Tu, proteggerla?
L’ultima volta lei ha protetto te, se non ricordo male…» gli fece notare
quest’ultimo con cinismo.
Peeta scrollò le spalle, ben
sapendo che la tattica di Gale era di affondare nei punti deboli del nemico.
Aveva capito che egli era molto simile a Katniss in quanto a capacità di
sopravvivenza, e lui stesso era deriso per il semplice fatto di non essere
addestrato quanto loro.
Ma a Peeta
questo non importava.
«Be’, una volta il mio
intervento è stato provvidenziale. Ricordi questo?» domandò a sua volta, non
per vantarsi di averla salvata, bensì per far capire al ragazzo dai capelli
scuri che lui non era solo il figlio di un fornaio, che non si tirava indietro
di fronte al pericolo pur di salvare la ragazza che entrambi amavano.
Gale lo studiò a sua
volta, per poi rispondere: «sì, lo ricordo».
Peeta allora proseguì: «farò
in modo di riportarla viva in questo distretto. Lei ti ama, tu ami lei. So che
la proteggerai meglio di me, che tu sei la persona giusta, l’uomo perfetto per
lei. Avrei voluto esserlo io, ma dovrò accontentarmi degli ultimi giorni che mi
restano con lei».
Dopo quelle parole,
entrambi rimasero in silenzio che, stranamente, non era fastidioso, anzi, era
un segno di rispetto che entrambi sembravano riservare l’uno all’altro.
D’altronde, Gale come
poteva odiare un ragazzo che tra qualche giorno sarebbe tornato morto? Quel
ragazzo, avendo la possibilità di sottrarsi, aveva deciso di affrontare per la
seconda volta l’arena.
Gale allungò la mano,
incatenando i suoi occhi neri come la pece in quelli azzurri come il cielo di Peeta.
Quest’ultimo la strinse
in presa ferrea, decisa. Un rispetto che non si aspettava di ottenere quella
sera.
«Avete bisogno di allenarvi
entrambi».
«Già» concordò il
biondo.
«Chiamami non appena
avrai bisogno di me. Vi aiuterò finché potrò» disse Gale.
«Grazie. Lo farò»
rispose infine Peeta.
Mentre quel ragazzo biondo
si allontanava, Gale si accasciò sullo stipite della porta. Strinse le braccia
attorno alle ginocchia, il viso affondato tra le pieghe delle maniche del
maglione.
«Non è me che ama,
stupido. Ma mi prenderò cura di lei» farfugliò, mentre una goccia cristallina
scendeva lungo il suo viso.