Stavano
entrando nel laboratorio quando, improvvisamente, Henry
scoppiò a piangere.
Peter
si irrigidì. Forse lo aveva preso male? Stava scomodo? In
fondo
era solo un bambino, una minuscola creatura convalescente da una brutta
malattia.
Un
po’ impacciato cercò di prenderlo meglio. Walter
lo guardò e
sorrise.
“Non
è semplice essere padre, figliolo.”
“Ora
lo so, grazie.” rispose Peter, sarcastico
“Piuttosto dammi una
mano. Deve avere qualcosa che non va.”
Walter
si avvicinò, toccò il pancino del piccolo e poi
gli annusò la
tutina. Peter fece un passo indietro.
“Papà!
Che stai facendo?” gli chiese, sulla difensiva.
“Ti
sto dando una mano, Peter. Mio nipote ha fame… e ha anche
bisogno
di essere cambiato.”
“Ah…
beh…” balbettò il giovane, preso alla
sprovvista “Io… beh… credo
di aver bisogno di latte, pannolini e vestiti puliti, allora.”
Walter
sorrise di nuovo, gongolante.
“Ho
già preparato tutto. Ho un biberon pieno del latte di Gene
pronto,
preparato apposta per lui. E ho mandato Asterix a comprare tutto
l’occorrente.”
Peter
annuì e aspettò che Walter gli portasse lo zaino
con le cose del
bambino, poi si avvicinò a un tavolo pulito e, dopo aver
steso un asciugamano,
vi adagiò il piccolo, ancora urlante. Infine lo
fissò, senza sapere da dove
cominciare.
Gibbs
lo fissò per qualche secondo e poi si avvicinò.
“Guarda
e impara, pivello.” poi fece spostare Peter e si mise al
lavoro su Henry, spiegando passo per passo al giovane cosa doveva fare.
Il
bambino ora era pulito e profumato, ma ancora reclamava a gran voce
la pappa. Peter sospirò e prese il biberon, poi
tirò su il figlio.
Henry
si attaccò subito, affamato com’era, e
finì in fretta. Quando fu
sazio fece un sorriso contento e guardò tutti quanti.
“Ha
il sorriso della mia Livvy…” notò
Lincoln. Olivia si rabbuiò e lo
fulminò con lo sguardo.
Peter
le prese la mano per tranquillizzarla e le baciò la tempia.
Neanche lui aveva voglia di sentire parlare di quella donna, anche se
era morta
e non poteva più fare loro nulla ormai.
“Io
dico che ha il sorriso di Olive, invece.” lo corresse Bishop,
sorridendo alla compagna.
Finalmente
entrarono nel laboratorio, dove stava lavorando Brandon
Fayette, uno dei migliori tecnici dell’azienda. Appena lo
vide, Abigail
cominciò a tremare e si riparò dietro Gibbs. Lui
le passò un braccio attorno
alle spalle e cercò di farla tranquillizzare.
“Suppongo
che dall’altra parte quell’uomo le abbia fatto
qualcosa. Ma
credo anche che da questa parte sia diverso, vero?”
domandò, senza lasciarla
andare.
Olivia
annuì e le sorrise rassicurante.
Peter
intanto aveva parlato col tecnico e con la Sharp. Si rivolse
nuovamente agli altri.
“Abbiamo
un problema. Per motivi di identificazione sarà molto
difficile trovare dei nuovi documenti per voi, dato che avete le
impronte
digitali e altri parametri identici a quelli di persone che esistono
anche da
questa parte.” li informò, indicando anche Abby.
“In
effetti si creerebbe confusione.” Osservò Gibbs.
“Questo
non è un grosso problema.” li corresse la Sharp
“Alla Massive
Dynamics abbiamo delle tecnologie sperimentali in grado di poter
modificare in
modo permanente cose come impronte digitali e oculari.”
“Perfetto!
Portate tutto qui!” esclamò Peter, entusiasta.
“E’
già tutto qui.” disse Brandon “Solo
che… il bambino sta smontando
uno degli apparecchi che servono allo scopo.” e
indicò Henry, che aveva
afferrato dal tavolo un oggetto, a portata della sua manina, e aveva
cominciato
a smontarlo, con aria concentrata.
Walter
lo fissò eccitato.
“Devo
fargli al più presto un test del QI!”
esclamò.
“Tu
non farai un bel niente a tuo nipote.” lo ammonì
Peter, togliendo
l’apparecchio dalle manine del piccolo e rimontandolo in un
batter d’occhio.
Quando
fu montato lo restituì al tecnico, che si rivolse ai due
esuli,
spiegando cosa dovevano fare.
“Brucerà
un po’, ma passa subito.” concluse.
Abigail
si fece subito avanti, ma guardava ancora Brandon impaurita.
Gibbs non la lasciò andare e la aiutò nella
procedura.
Appena
terminò, fu il turno di Lincoln. Prima di cominciare
lanciò un
breve sguardo al piccolo Henry, che distribuiva sorrisi a tutti.
L’uomo sapeva
che da quel momento sarebbe cambiato tutto. Aveva ucciso la donna che
amava per
salvare delle vite innocenti, tra cui quel bambino che ora sorrideva a
tutti in
braccio al padre. Sarebbe stata dura convivere con il senso di colpa.
Sperava
di farcela, magari con l’aiuto di quelle persone che lo
avevano accolto nel
loro mondo.
“Ora
dobbiamo creare dei documenti per loro. Conosco qualcuno che
può
aiutarci.” disse, prendendo il cellulare.
“Non
c’è bisogno.” lo interruppe Tony
“Abby è un’ottima falsaria.”
Peter
fissò la dark, che sorrideva orgogliosa, poi le fece cenno
di
sedersi davanti al computer. Lei non se lo fece ripetere due volte e si
sistemò
sulla sedia, in attesa di istruzioni.
“Per
prima cosa ci servono i documenti per Abby e Lincoln.”
cominciò
Bishop, togliendo il cellulare dalle mani del figlio, che aveva
già cominciato
a smontarlo.
“Magari
teniamo i nomi e cambiamo solo i cognomi. Abby Sciuto potrebbe
diventare Abby… Hayes. Che ne dite?”
cominciò, parlando a macchinetta e
scrivendo sul computer, contemporaneamente “Mentre Lincoln
Lee diventa Lincoln…
Shaw!”
“Perfetto!”
si congratulò Peter “Ora mi serve un certificato
di
nascita.”
“Per
Henry, giusto?”
Peter
annuì e si rivolse a Lincoln.
“Quando
è nato?” gli chiese.
“La
notte di Natale. Sarà stato attorno a mezzanotte.”
“Fantastico!
Un bambino fortunato!” esclamò Walter, ma Peter lo
zittì
con uno sguardo.
“Va
bene. Sul certificato di nascita scrivi Robert Peter Henry Bishop
Jr.” dettò il giovane alla donna.
“Che
nome lungo!” esclamò Abby.
“Robert
è il nome di mio nonno.” spiegò Peter
“Walter una volta mi ha
detto che ho i suoi stessi occhi.” Sorrise, poi
tornò a concentrarsi sul
certificato di nascita “Scrivi: padre, Peter Bishop sr., e
madre…” si fermò e
fissò Olivia, la quale fece un’espressione
dispiaciuta. Peter capì, fece un
respiro profondo e continuò a dettare “madre
sconosciuta.”
Ci fu
un momento di silenzio, interrotto solo dal lallare allegro di
Henry, poi Abby mandò in stampa i documenti.
In un
angolo del laboratorio, Tony e Ziva avevano ripreso il discorso
che avevano interrotto nel corridoio. Gibbs li fissò e
sorrise. Finalmente quei
due si erano sbloccati. Certo era meglio fermarli, altrimenti sarebbero
andati
un po’ troppo oltre i limiti consentiti, quindi si
avvicinò e tirò a Tony uno
scappellotto.
I due
si staccarono e si allontanarono di scatto.
“Capo…
possiamo spiegare…” balbettò Tony.
“Non
c’è nulla da spiegare. Solo certe cose fatele a
casa vostra.” poi
sorrise compiaciuto e diede una pacca sulla spalla a entrambi. Era la
pacca di
un padre orgoglioso, non di un capo.
Infine
guardò gli altri e prese il telefono, poi uscì
dal laboratorio
per qualche minuto.
Quando
tornò, si avvicinò a Lincoln e gli
poggiò una mano sulla
spalla.
“Ti
ho appena rimediato un nuovo lavoro, agente Shaw.” lo
informò.
Lincoln
lo guardò confuso. “Che lavoro?” chiese.
“Benvenuto
nell’NCIS, pivello.”
Lincoln
lo fissò confuso. Non si aspettava una cosa del genere. Non
sapeva neanche se sarebbe riuscito nel lavoro, dal momento che non
conosceva
questo mondo.
Guardò
gli altri, poi balbettò qualcosa, ed infine
ringraziò,
contento.
“Devi
solo venire a Washington per le formalità. Ma prima dobbiamo
riposarci tutti, sono stati quattro giorni pieni… ah, Peter,
preparati a non
dormire la notte.” disse Gibbs, guardando il bambino, che
fissava Olivia con
aria incantata e cercava di attirare la sua attenzione.
“Tranquillo,
ci sono abituato.” rispose il giovane, lanciando
un’occhiata al padre.
Gibbs
sorrise, poi richiamò la squadra e si congedò,
dando loro
appuntamento il giorno successivo all’NCIS.
Il
mattino dopo, Peter, Olivia e Walter accompagnarono Lincoln a
Washington, alla sede dell’NCIS.
Arrivati
al palazzo dell’agenzia, Olivia fece strada. Conosceva bene
quegli uffici, dato che ci aveva lavorato prima di passare
all’FBI.
Durante
il viaggio avevano già spiegato parte della storia del loro
universo a Lincoln, ma quest’ultimo si guardava intorno con
la stessa
espressione meravigliata di Henry, che indicava o cercava di afferrare
qualunque cosa gli andasse a genio, e Peter doveva stare molto attento
che non
si facesse male.
Walter
mangiava liquirizie e faceva progetti per il futuro del nipote.
Era più entusiasta lui che il giovane padre del bambino.
Peter
aveva delle occhiaie da paura. Certo, come tutore di Walter
aveva passato un sacco di notti insonni a causa delle sue stramberie,
ma con
suo figlio era diverso: non era riuscito ad addormentarsi prima delle
quattro
del mattino, e alle sei era suonata la sveglia e Olivia si era alzata
per
prepararsi, senza contare che Walter era in piedi dalle cinque per
preparare la
colazione per tutti.
Però,
nonostante tutto, era felice. Certo, c’erano ancora un sacco
di
cose da aggiustare, soprattutto nel suo rapporto con Olivia, ma sapeva
che
sarebbe andato tutto a posto. Ora che era un genitore aveva un sacco di
responsabilità in più, ma sapeva che ce
l’avrebbe fatta, in un modo o
nell’altro.
Arrivati
al piano dell’ufficio di Gibbs, uscirono
dall’ascensore e
andarono verso le scrivanie della squadra.
Erano
tutti seduti alle loro postazioni. Peter notò che Tony aveva
ancora addosso i vestiti del giorno prima, e lui e Ziva si lanciavano
fugaci
sguardi d’intesa, che però non passavano
inosservati agli occhi della squadra.
Gibbs
li accolse e strinse la mano ai nuovi arrivati. Quando la
strinse a Peter, Henry gli infilò la mano in tasca e prese
il portafoglio, poi
lo mostrò al padre, facendo un verso contento.
Peter
sospirò e riconsegnò il portafoglio al
legittimo proprietario.
“Non
so proprio da chi abbia preso.” Si giustificò.
Gibbs
sorrise e si avvicinò a Lincoln.
“Benvenuto
nel tuo nuovo ufficio, pivello.” lo
accolse, poi gli consegnò un distintivo.
Lincoln
fissò il distintivo per qualche secondo. Era
senza parole.
“Devo
prestarti un po’ di film, pivello.” disse Tony,
con un sorriso sornione dipinto in volto “Scommetto che ti
piaceranno le nostre
versioni dei film che hai visto nel tuo mondo.”
“Ehm…
grazie.” ringraziò il nuovo arrivato, un
po’ in
imbarazzo.
Gibbs
gli diede una pacca di benvenuto, poi guardò
Olivia.
“Dal
momento che abbiamo Lincoln in squadra, credo
che collaboreremo spesso, in casi che interessano entrambe le agenzie.
Che ne
dici?”
“Mi
sembra un’ottima idea!” esclamò la
bionda.
Intanto
Ziva si era alzata e aveva mostrato a Lincoln
la sua scrivania.
L’uomo
si sedette alla poltrona e fissò le penne, in
evidente disagio.
“Qualcosa
non va?” gli chiese l’israeliana.
“Noi…
dalla nostra parte non usavamo le penne, si
faceva tutto al computer.” Rispose, ad occhi bassi,
imbarazzato per la sua
mancanza.
“Non
preoccuparti, hai tutto il tempo per abituarti.
Saremo pazienti con te.” lo rassicurò, facendogli
un sorriso.
Lui
sorrise a sua volta, poi fissò i compagni di
squadra. Nei giorni precedenti aveva potuto osservarli e capire
com’erano. Non
erano solo una squadra, erano una famiglia, e lui ne era appena entrato
a far
parte.
Tornò
a guardare Peter e Olivia. Erano ancora mano
nella mano, e Henry giocava con il pass della donna. Lei somigliava
molto alla
sua Olivia, quella che aveva dovuto uccidere poche ore prima; ma la
somiglianza
era solo fisica, caratterialmente erano molto diverse. Questa Olivia
aveva
molto più in comune con Peter che con lui.
Guardò
il bambino, il piccolo Henry. No, ora si
chiamava Robert Peter Henry Jr. Sorrideva continuamente, come la sua
Olivia.
Quella creatura era l’unica cosa che gli era rimasta del suo
mondo. Finalmente
prese una decisione.
“Bishop,
se vi serve un baby sitter, mi offro
volontario.”
Peter
sorrise e guardò la compagna.
“Magari
qualche volta… sì, si può
fare.” rispose,
sorridendo.
“Ah,
quasi dimenticavo…” li interruppe Gibbs, poi
tornò alla sua scrivania e prese qualcosa dal cassetto
“Broyles, il vostro
capo, ha chiesto al direttore Vance che io ti consegni questo,
Peter.” E gli
mise in mano una specie di portafogli.
Henry
glielo tolse subito di mano e lo aprì. Appena
Peter vide di cosa si trattava, spalancò gli occhi,
sorpreso. Era un
distintivo, ma non uno qualunque. Questo distintivo lo identificava
come
“Agente Speciale Operativo dell’FBI, assegnato alla
Divisione Fringe.”
L’uomo
era senza parole. Aveva fatto un sacco di
lavori in vita sua, ma mai aveva pensato di entrare in pianta stabile
in
un’agenzia federale, come agente. Lui, che aveva evaso la
legge fin da quando
potesse ricordare, non si vedeva per niente come agente federale, per
quanto si
trattasse di una divisione molto particolare dell’Agenzia.
Guardò
Olivia, che lo gratificò con uno dei suoi
sorrisi.
“Benvenuto
in squadra, Agente Bishop.”
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