Una Casa
alla
Fine del Mondo
E
i giorni che passano sono lunghi
e coperti di nero
E i giorni son secoli aspettando di
poter tornare
di nuovo la fine del mondo cullato dal
canto del mare
(Canzone
dalla fine del Mondo, Modena City Ramblers)
2024
Lily è partita da
due mesi e
oggi ti è arrivata una lettera. Da parte sua.
Le lettere via Gufo sono
randomiche: possono arrivare veloci, come metterci settimane.
La lettera di Lily ti
è stata
recapitata da una civetta che non hai riconosciuto; poi hai notato che
portava
il sigillo delle Poste Magiche Britanniche. Una lettera che deve aver
fatto una
lunga traversata e deve aver toccato molti uffici postali. Ricordi
avesse un
gufo, un piccolo allocco rumoroso che aveva l’abitudine di
schiantarsi contro i
muri di casa tua.
Odiavi quel pennuto, ora
rimpiangi che non ti abbia quasi sfondato la finestra. L’ha
lasciato a casa,
come molti dei suoi effetti personali, a sentire Potter.
La lettera è
posata sul tuo
scrittoio, ancora chiusa. Porta il timbro di un paese che usa ancora il
cirillico. Non hai neppure letto che paese fosse. Non vuoi saperlo.
Naturalmente non sei
contento
che abbia lasciato gli studi e la sua famiglia, ma è una
soluzione comoda: più
miglia ci sono tra di voi, più possibilità ci
sono che la ragazzina si rifaccia
una vita lontana dai fantasmi del passato.
È stato vivere in
quel
santuario alla memoria che è casa di Potter che
l’ha portata a credere di
provare qualcosa per te che andasse oltre l’affetto per un
vecchia conoscenza
burbera.
E poi, hai notato come la
sua
vita la lasciasse insoddisfatta; di come ti parlasse dei suoi MAGO
prossimi, ma
non fosse veramente interessata. La rimproveravi, le davi della zucca
dura,
della Potter. Lei rideva.
“Severus,
non esistono solo i riconoscimenti accademici
nella vita!”
“Ma qualche requisito minimo, sì. Vuoi finire a
lavorare in qualche
retrobottega? A pelare radici, forse?”
“Se le pulissi per te mi andrebbe pure
bene…”
“Lily.”
“Ma dai, scherzo… In realtà vorrei fare
la pittrice, lo sai.”
“Prima prendi il diploma.”
“Sei il solito bacchettone.”
“Ho
più buon senso di te, sciocca ragazzina.”
“Lo
so, lo so.” Un lieve sospiro. “Ne hai tantissimo.”
Stringi la tazza di the tra
le
dita e questa fa resistenza; robusta porcellana inglese. Fa resistenza
e poi
con un rumore impercettibile si crepa, e il liquido comincia a
gocciolare. Con
un gesto stizzito della bacchetta ti asciughi i pantaloni e poi,
inevitabilmente, lo sguardo torna allo scrittoio.
Quella lettera andrebbe
bruciata: dare un taglio netto ti è sempre stato difficile
però.
Come se non bastasse, suo
padre continua a molestarti in cerca di informazioni: ha sguinzagliato
tutte le
sue conoscenze Auror per ritrovarla, ma è difficile avere
controllo su una
ragazza che è appena diventata maggiorenne ed ha perso la
Traccia.
Lily ha voluto perdersi nel
mondo e tu la capisci.
Non sei preoccupato: la
conosci abbastanza per sapere che è in grado di provvedere a
sé stessa, specie
con la possibilità di avere accesso ai galeoni di famiglia.
Non è mai stata una
sciocca. Prima di andarsene si è premurata di mandare una
lettera ai genitori, una
per ciascuno. Lo sai perché Potter te l’ha
sventolata sotto il naso nella sua
ultima, convulsa visita in cerca di indizi che non potevi dargli.
‘Sto
bene, starò bene. Ho solo bisogno di vivere da sola per un
po’. Farò in modo di
farvi sapere sempre dove sono.’
Lily è taciturna
anche nelle
sue lettere.
Ti chiedi cosa abbia scritto
a
te. E potresti saperlo, basterebbe aprire la tua
lettera.
Ma non vuoi. Non puoi. Hai
detto basta, hai sigillato i tuoi pensieri verso quella ragazzina
impossibile.
Si tratta solo di abituarsi all’idea di non averla
più trai piedi.
Si tratta di tenersi
occupato
finché quei pensieri smetteranno di premere come dighe, o
presentarsi
all’improvviso.
Non è facile,
quando la tua
casa è ancora piena della sua presenza; hai buttato i mazzi
di erica, hai
staccato tutti i quadri e li hai messi in cantina.
Tenersi occupato.
Ci sono infusi e pozioni da
preparare, l’erba del prato da falciare e far seccare per
l’inverno, quando la
legna è troppo bagnata dall’umidità
salmastra per accendersi da sola. C’è da
bruciare un nido di vespe nella rimessa degli attrezzi.
C’è
anche il gatto da sfamare,
tra le varie. E visto che è un essere vivente, forse
è prioritario. Vai in cucina
e riempi la sua ciotola. Quando gliela porti noti che è alla
porta. Miagola, ma
non perché ha fame. Miagola perché aspetta.
E di colpo ricordi che
è
sabato, e sabato è il giorno di
Lily,
il giorno in cui l’ingrato riceve una dose fin troppo
eccessiva di coccole e
moine.
Posi la ciotola e incroci il
suo sottile sguardo giallo.
‘Lei
dov’è?’
Sembra chiederti.
Dare un taglio. Afferri la
lettera dallo scrittoio e ti avvicini al camino. Non servirà
molto per
bruciarla, un colpo di bacchetta e poi gettarla nel focolare.
È carta,
dopotutto.
Carta che può
essere
strappata, bruciata, dimenticata. E aperta, scartata, letta.
‘Caro
Severus,
Se riceverai
questa lettera,
significa che le cose non sono andate come speravo.
Mi è stato insegnato che bisogna lottare per ciò
che si ama, e ignorare il
resto del mondo quando ti dice che non è per niente una
buona idea.
Però
è dura quando è proprio la
persona che ami a dirtelo.
E so che me
lo dirai. Lo so adesso
che ti sto scrivendo a poche ore dalla mia festa.
Perché
ci ho provato allora,
sapendo che così avrei distrutto il nostro rapporto?
(Che ne abbiamo uno, è inutile che storci le labbra. Lo stai
facendo anche se
non te ne accorgi.)
Perché
dovevo farlo. La sola idea
di rimanere in questo assurdo limbo dove tu cerchi in ogni modo di
ignorare ciò
che provo era insopportabile.
E
sì, so che ai tuoi occhi sono
una sciocca ragazzina infatuata.
È
più facile se sono sciocca, se
sono una ragazzina e se sono infatuata, giusto?
Scusa, adesso
ti starai
arrabbiando.
Severus, hai
mai avuto
l’impressione di essere nato per un motivo?
Sarà una cosa di famiglia, ma io sì.
Io sono nata per te. Ne sono sempre stata convinta fin da quando ero
una
bambina. E questo significa qualcosa, giusto?
Tu non fai
che respingere il
mondo, allontanarlo come se non te ne importasse nulla.
Vivi come se
avessi un cuore solo
per pompare sangue. Ma io ti ho conosciuto, sono cresciuta con te ed ho
visto
che un cuore, quel
tipo di cuore, ce l’hai invece,
eccome.
Ne hai
talmente tanto che credo tu
ne abbia paura e per questo tu voglia tenerlo in gabbia.
Non credo che
ci sia qualcun altro
al mondo che l’abbia capito. Non penso tu
gliel’abbia permesso.
Però
l’hai lasciato fare a me.
Se fossi una
buona amica, direi
che mi basterebbe vederti felice con qualcuno in grado di amarti e
farti amare
di nuovo. Perché te lo meriteresti, maledizione.
(Impreco
perché hai la testa dura.
Tu sei convinto del contrario, ci scommetto.)
Peccato sia
davvero pessima perché
vorrei che quella persona fossi io.
Vorrei che tu
abbracciassi me, che
baciassi me, che toccassi me. Adesso tirerai fuori la storia che sei
troppo
vecchio. Indovina un po’? Se volessi un ragazzo della mia
età, l’avrei già
trovato.
Sei tu
l’uomo che voglio.
Dovevo
dirtelo. Probabilmente non
sarò capace di farlo come si deve stasera, mi
limiterò a stare zitta, come
sempre. Forse ti bacerò. Ho tanta voglia di baciarti.
Le parole per
noi sono sempre
state un problema, vero? Spesso sfuggono, spesso mancano, spesso vanno
fuori
controllo. Non mi piacciono le parole.
Ce la siamo
sempre cavata meglio
con i silenzi, io e te.
Se ti
è arrivata questa lettera, è
probabile che io sia già lontana dall’Inghilterra.
Era una cosa che volevo fare
da un po’e credo che se non ci sarai tu, con me, dopo la
festa, avrò una spinta
per andarmene.
Non
è che abbia rinunciato a te. E
che non è ancora abbastanza,
immagino.
Per me non
è finita, è solo l’inizio.
Sempre tua,
Lily
Una sciocca lettera di
adolescente. Un sacco di frasi pretenziose. Un sacco di frasi che con
il tempo
cadranno nel vuoto e moriranno tra carta e inchiostro.
Non che ti aspettassi di meglio. Non che ti aspettassi di peggio.
La lettera è
semplicemente
Lily Luna. La ragazzina senza l’intrinseca quietezza
d’animo che si impone da
quando era bambina. La ragazzina a nudo, pura e semplice.
Ignori il sapore amaro che
ti
sale alle labbra; bentornato, ti verrebbe da dire, è un bel
po’ che non senti
il sapore di aver perso qualcosa sulle labbra.
(Chissà se tutti
possono
assaggiare il sapore del fallimento. Tu sì. Oh, fortunato.)
Il gatto ti si struscia alle
gambe, chiede cibo e ti riporta alla realtà.
Posi la lettera al davanzale
della finestra. Sai che ci farà la polvere perché
non avrai più il coraggio di
prenderla o di rileggerla. Forse dovresti davvero bruciarla.
Forse.
Il gatto non smette di miagolare ed hai l’ impulso di
calciarlo via, di sbarazzartene
con un semplice colpo di bacchetta. Perché anche lui ti
ricorda Lily.
Ed è diverso stavolta, diverso da quello che è
successo con l’altra Lily. Perché
stavolta hai fatto le cose a dovere. Tutto maledettamente opportuno, e
complimenti Severus, era ciò che dovevi fare. Per una volta
hai fatto la cosa giusta.
“Lei non
tornerà più.” Dici a
Cagliostro e sai che non può capirti, ma ritieni terapeutico
dirlo ad alta
voce. Tanto nessuno può sentirti e dire che la stai
prendendo troppo seriamente.
Sei un uomo adulto Severus.
Perché sei tanto scosso per la cotta di una ragazzina?
Severus, hai
mai avuto
l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.
Adolescenziale, prevedibile.
Inadatta. Sei sempre stato un maestro con gli aggettivi.
Sei una persona come si deve
adesso, Severus. Nessuno potrebbe dire il contrario. Paghi le tasse
babbane,
hai un lavoro onesto, ti fai i fatti tuoi e ti ricordi sempre di
differenziare
la spazzatura. Ti stai godendo la tua maturità magica che
declina lentamente ma
inesorabilmente verso la vecchiaia. Il tuo comportamento con Lily
è stato forse
brusco, ma ineccepibile.
La ragazzina
vivrà nel mondo e
vedrà che c’è di meglio di un vecchio
pipistrello della scogliera, di un
reduce, di un uomo pieno di cicatrici e amarezza che non sa amare in
modo
normale.
Severus, hai
mai avuto
l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.
“Lei non
tornerà.” Ripeti e
allunghi la mano per accarezzare il gatto, per dargli ciò
che vuole. Soffia, si
ritrae. Ti guarda diffidente e poi scatta via. Quando l’avete
visto in mezzo al
fango di Ardmore, Lily l’ha preso in braccio esclamando che
ti somigliava. Ha
riso e gli ha baciato il muso. Aveva dodici anni. Ricordi di esserti
indispettito per quel paragone; le hai anche intimato di lasciarlo,
prima di
beccarsi qualche malattia tipica dei randagi.
Hai finito per portarli entrambi a casa.
Lily è stata
l’unica a poter
toccare Cagliostro senza farsi soffiare addosso. Per
l’appunto, ne hai avuto
adesso la riprova.
Lily è stata
l’unica a poterti
avvicinare senza farsi allontanare, senza farsi soffiare contro dal
vecchio e
ridicolo randagio che sei.
Beh.
Almeno tu non miagoli ad una
porta che d’ora in poi rimarrà chiusa.
Severus, hai
mai avuto
l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.
2025
Non ti sei mai ritenuto un
santo.
Essere un santo significa,
secondo l’ideologia babbana, esser privo di vizi, di impulsi
e desideri.
Praticamente, non essere
umano.
E tu lo sei stato
dolorosamente, e lo sei ancora.
Un anno passato in asettica
solitudine. Tredici mesi per essere
precisi. Potter non ti viene certo a trovare, dopo che l’hai
mandato al diavolo
quando ha tentato di coinvolgerti fisicamente nella ricerca. Non deve
aver
aiutato averti visto stringere la bacchetta. Si è fermato
dallo squadernare la
sua perché probabilmente pensa che la guerra ti abbia
portato via qualche
rotella.
Premuroso da parte sua.
Ti sta succedendo di nuovo.
Non sei più un ventenne dal cuore dilaniato, ma non
è questo il punto, supponi;
perché ti sembra di avere di nuovo
quell’età e di trascinare le tue serate a
Notturn Alley, quando il silenzio di Hogwarts rischiava di farti
impazzire.
Invece sei un adulto fatto e
finito e non hai più bisogno che Silente ti prenda per mano
per evitare che tu
segua l’orma genitoriale: Tobias, con una cirrosi epatica che
l’ha fatto morire
tra le sofferenze che si meritava. Tua madre, morta per inerzia, priva
di un
carnefice ma anche di una ragione per andare avanti.
Quindi trovarti al porto di
Galway
con uno dei loro whiskey a tre fermentazioni in mano è una
cosa che puoi
controllare. Ne hai solo bisogno ogni tanto.
Quel che è
patetico è che sei
qui perché vuoi sentire la gente attorno a te parlare.
Vuoi sentirti irritato,
importunato vuoi provare disgusto per l’essere umano tuo
simile.
Così puoi tornare
a casa,
rinfrancarti nel silenzio pulito della brughiera; ma è solo
per pochi giorni;
poi senti di nuovo quel vuoto che ti scava il cuore, ancora.
E torni qui.
Non sei un santo; ma pure
come
eremita, diciamocelo, hai sempre fatto schifo.
Come dopo la prima guerra ti
senti un vuoto dentro e vorresti che qualcuno ti spiegasse come
riempirlo. Non
c’è modo, ti aveva detto Albus, puoi solo
proteggere il figlio di Lily.
L’hai protetto.
Hai fatto
tutto ciò che potevi per quella maledetta famiglia. Sei
quasi morto.
Allora perché ti
senti così? Stavolta
non hai nessuna colpa atroce da scontare.
La sensazione si declina
allo
stesso modo però.
Una donna ti si avvicina, ti
tocca con il gomito e ti sorride. L’hai già vista
un paio di volte e l’hai doverosamente
ignorata. Presumi di essere l’unica persona con cui
può avviare una
conversazione, data l’ora tarda e il tasso etilico degli
altri avventori.
“Vieni qui
spesso… mi han
detto che sei inglese.” Dice, toccando il bicchiere con il
tuo. Il suo è vuoto.
“Mi piacciono gli inglesi.” Non aspetta la tua
risposta, che comunque non
arriverà. “Mi offri qualcosa da bere,
inglese?”
La guardi e poi guardi il
bicchiere vuoto. Realizzi che sei troppo ubriaco per articolare una
risposta
gelida e spiazzante, quindi ti limiti a tirare fuori il portafoglio
– babbano, per
non dare nell’occhio – e allunghi un paio di
banconote per una nuova dose di White Bush¹
alla signora.
“Grazie. Un vero
gentiluomo…”
Ti tocca il braccio e senti un brivido di disgusto scuoterti. Non
è bella, ma
abbastanza piacente per scaricare un’urgenza di lombi. Un
tempo forse, non
adesso. Non perché te ne manchi la voglia, ma
perché certi rabbiosi coiti non
ti soddisfano più. Hai avuto modo di notare quanto ti
rendessero ancor più miserabile.
“La gente viene
qui per due
motivi.” Pontifica, agitando il bicchiere e facendolo
riverberare di riflessi oro
pallido. “Per ricordarsi il passato e per dimenticarlo. Tu
perché sei qui?”
Hai trovato una donna facile da bar con velleità
filosofiche. Fai un mezzo
sorriso, tuo malgrado.
(Sì, sei ubriaco.)
“Per entrambi i
motivi,
immagino.” Ti senti rispondere, e ti complimenti per il tono
assolutamente non
impastato.
“Non
male…” Ti passa le dita sulla
spalla. “Questa cicatrice… come te la sei
fatta?” È la prima cosa che si nota
di te. Per quanto indossi maglioni a collo alto, rimane scoperta una
porzione
di pelle dilaniata che arriva poco sotto il mento. Nagini mordeva per
uccidere.
Oltre ad avere un morso velenoso che non ha favorito la cicatrizzazione
corretta della pelle.
Giusto per.
“In
guerra.” Vuoti il tuo
bicchiere e fai cenno al barista di versartene un altro.
Sarà l’ultimo, ti
riprometti.
(Chissà se Tobias
si
riprometteva le stesse cose. Stesso sangue, stesso alcool.)
“Quindi sei un
soldato.”
Esclama adattando la tua realtà alla sua.
“Affascinante… me lo offri un altro
bicchiere, soldato?” Non fai in tempo a pensare ad un modo
per scrollartela di
dosso che ti sfila il portafoglio con una certa abilità, a
giudicare dai drink
che deve essersi scolata nel corso della serata.
“Restituiscimelo.”
La donna ride e il suo
rossetto è volgare. Anche dietro l’ebbrezza lo
vedi luccicare e sai che è di
poco prezzo, come è di poco prezzo tutto quello che ti
circonda. Al
momento ti ci senti anche tu; bella gloria
di guerra.
Devi ricordarti di non
tirare
fuori la bacchetta e ti sporgi per riprendertelo; la coordinazione non
è il tuo
forte al momento e la donna può aprirlo ed estrarre altre
banconote senza che
tu possa farci niente.
Ti senti un idiota.
Ti senti un idiota
perché stai
così ed è riprovevole; ti senti un idiota
perché aspetti ancora che Lily
compaia dalla brughiera, che ti sorrida e ti corra incontro.
Non avresti mai pensato che
la
solitudine avrebbe finito per ritorcertisi contro.
Così, poi.
Ti senti un idiota
perché non
dovresti sentirtici più. Dovresti aver quietato il tuo
cuore, averlo seppellito
nella pace di una vita vissuta.
E
invece.
“Lei è
il motivo per cui sei
qui?” Dice la voce lontana della donna. Ti costringi a
rimettere a fuoco il
mondo, e vedi che tiene in mano una fotografia. Senti come se
l’alcool ti fosse
appena stato strappato dalle vene. Sai che cosa
c’è nel tuo portafoglio; non
molto, documenti per la tua vita babbana, contanti, una carta di
credito
intestata alla tua nuova identità di invalido civile
– almeno si spiega così il
tuo vitalizio al fisco irlandese.
E due foto.
La prima è di
Lily, una metà
strappata che la coglie mentre tende le mani a qualcuno che non sei tu
– a
Potter e più in là, a James.
E un'altra più
recente, sempre
magica. Lily Luna, alla vigilia del suo compleanno, che siede accanto a
te sul
portico della casa. Non la vedi, ma la ricordi perfettamente: ti
stringe un
braccio e ride felice per esser riuscita a convincerti. Indica
l’obbiettivo e
ti costringe a non andartene dalla cornice.
La foto che la donna tiene
in
mano è proprio quest’ultima.
“Bella ragazza, la
tua. Hai
l’aria così innocente… un
agnellino.” Ridacchia.
Poi aggrotta le sopracciglia. “Ma la foto si
muo…”
Gliela strappi di mano ignorando il tuo codice d’onore su
come trattare una
donna, per quanto sgradevole essa sia – diavolo, eri riuscito
ad applicarlo persino
a Bellatrix.
“Non
toccarla.” Ringhi e la donna impallidisce.
È rassicurante
sapere di poter ancora far paura. “Sparisci dalla mia
vista.” Aggiungi.
“Razza di
squilibrato…” Sibila
tra lo spavento e l’umiliazione. Afferra la sua borsa e se ne
va, lasciando finalmente
solo.
Ha afferrato con malagrazia la fotografia e si è creata
un’orecchia. La lisci
con le dita, e ti rimetti seduto. Lily agita la mano, saluta, come sei
certo
che ormai l’altra Lily non faccia più. Il sangue
di drago con cui sono animate
le foto magiche dopo qualche decennio si guasta e i soggetti ritratti
perdono
colori, forme, espressioni.
Sono anni che non la guardi, anche se è lì, in
quella piega di cuoio che è sua
di diritto. La tiri fuori.
Lei
non
si
muove più, come supponevi. La sua espressione è
cristallizzata in un sorriso
lontano, distante. Intoccabile. Con sgomento ti accorgi che non ti fa
più male
guardarla. Solo nostalgia e un vago dolore, gentile.
Sembravi
felice Lily… lo eri, vero?
È la prima volta
che lo pensi
senza aver voglia di distruggere tutto perché non eri tu la sua felicità.
La rimetti al suo posto.
Ti passi tra le dita l’altra foto, l’altra Lily.
Gli occhi le brillano e
riflettono il cielo acutamente azzurro dietro il tetto di ardesia.
Ci dev’essere
dell’ironia amara
nel vuoto che ti senti scavare di nuovo – di
nuovo, di nuovo, di nuovo, è un mantra ormai -
dentro, come una tenia.
2027
Minerva è stata
ricoverata al
San Mungo.
La sorpresa di vedere la sua solita lettera firmata da qualcun altro,
il
fratello, ti lascia una spiacevole sensazione di malessere.
È una strana amicizia la vostra, nata sulle ceneri della
guerra; prima Minerva
era solo una professoressa, poi collega, poi rivale in un antico gioco
di rappresaglia
tra Case. È stata una nemica, per un certo periodo. Ricordi
ancora lo scontro
che vi ha coinvolti e il tuo disperato tentativo di non ucciderla senza
insospettire i Carrow.
Lo ricorda anche lei e forse
è
per questo che è cominciata.
Il fratello accenna ad una
malattia e al fatto che abbia chiesto di te.
Non volevi tornare, ma
l’hai
fatto. È stato un imperativo talmente forte che ti ha
letteralmente strappato
da casa per farti Materializzare a Galway, di fronte al centro
Smistamento
Passaporte.
Il San Mungo assomiglia
sempre
a sé stesso: odore di erbe mediche, campionario di idioti
colpiti da fatture
maldestre che affollano il triage e
la solita, insopportabile, strega all’accettazione.
“Cerco la stanza
della profes...”
Ti blocchi, ricordando come quel titolo non appartenga né a
te né a lei, non più.
“… di Minerva McGrannit.”
“Parente?”
Chiese senza alzare
lo sguardo da una rivista che sfoglia distratta.
“Amico.” È quello che siete e
ricordartelo di colpo, per colpa di una domanda
posta con tono di rito, ti fa sentire anche peggio.
Sei davvero stato un buon
amico per Minerva? Dubiti. Quella donna è tutto
ciò che di vivo ti
rimane del passato, la parte che ti provoca quasi un
sorriso quando la ricordi, e non una smorfia. Eppure non sei mai andata
a
trovarla, a volte ti sei persino dimenticato di rispondere alle sue
lettere. A
volte non hai direttamente voluto.
“Non siamo
autorizzati a
rilasciare informazioni a chi non è della
famiglia.”
In un istinto che ripeschi
dalle tue antiche lezioni, sbatti la mano sul tavolo. “Mi
ascolti bene.”
Articoli con il tuo tono migliore, quello che congelava letteralmente
intere
scolaresche. Finalmente ti guarda e quando ti riconosce, assume anche
un
delizioso pallore cadaverico. “Sono un suo ex-collega, sono
un amico ed ha espressamente
richiesto la mia
presenza.” La lasci assorbire le informazioni e poi concludi.
“Se non le è di
troppo disturbo, il numero della stanza, prego.”
“Secondo piano, stanza 201.” Mormora. “Mi
scusi Professor Piton, io…”
La lasci al suo sgomento e ti rechi verso gli ascensori. Forse
è stata una tua
studente, a giudicare da come ti ha chiamato. Non puoi fare a meno di
stirare
un sorrisetto.
È stato piuttosto divertente. Ti eri dimenticato la
piacevole sensazione di
farti temere.
“Signor
Piton?” Ti volti e ti
trovi di fronte ad un mago piuttosto anziano dall’aria
rigorosa. Ti ricorda un
pastore presbiteriano. “Malcolm McGrannit.” Si
presenta tendendoti la mano.
“Sono io che le ho scritto.”
“Naturalmente.” Replichi stringendogliela. Gli
mancano solo gli occhiali per
essere la versione maschile di sua sorella.
“Minnie
sarà felice di averla
qui.” Sorride, premendo il pulsante di chiamata ascensore.
“Anche se non ha
fatto altro che rimproverarmi da quando le ho scritto.”
“Mi aveva detto
che era un suo
espresso desiderio vedermi…” Non essere il
benvenuto non è ciò che ti
aspettavi. Ed ignori la sensazione di delusione che ti investe.
Niente è facile per te: persino un quieto rapporto di stima
ed amicizia con una
donna che conosci da decenni riesce a essere complicato.
“Oh no, non mi
fraintenda, vuole
vederla.” Scuote la testa. “Ma mi
ha avvertito della sua riluttanza a tornare in Inghilterra.”
Spiega
stringendosi nelle spalle.
Non commenti, limitandoti a
classica domanda. “Come sta?”
“Meglio.” Ti rincuora. “Ma glielo dica,
per cortesia, che a me non dà retta…
sa, essendo suo fratello minore la mia parola, ahimè, ha
meno peso.” Sospira. “Essere
un Animagus alla sua età non è come esserlo in
gioventù. Glielo dica.” Ripete.
Tipico di Minerva e della sua anima stupidamente Grifondoro. Mai
arrendersi all’evidenza
della sua caducità personale. Probabilmente si è
ammalata sotto forma di gatto.
Merlino, se detesti gli
Animagi.
“Farò
il possibile.” Ti fai
scortare fino alla camera e poi l’uomo apre la porta.
“Minnie, hai
visite!” Esclama
e noti quanto sia forte l’accento scozzese. Riabituarti alle
varie inflessioni
del tuo paese è straniante.
La tua vecchia rivale di
Casa
è stesa su cuscini ed ha la solita, fidata, vestaglia
tartan. La camera è piena
di luce, gomitoli di lana e fiori. Quando ti vede ti sorride e
improvvisamente
ti senti meno inadeguato.
(Dio, Severus, cresci.)
“Severus.”
Ti apostrofa,
tendendo una mano. “Che piacere. Perdona mio
fratello… gli ho detto che ti
avrei dato un disturbo a farti venire fin qui, ma non mi ha
ascoltato.”
La raggiungi e le prendi rigidamente la mano. “Nessun
disturbo.” Reciti con un
tono meccanico da manuale. “Come ti senti?”
“Meravigliosamente.”
Replica e
l’occhiataccia è tutta per il fratello.
“Un infreddatura, nulla di più.”
“Hai avuto la febbre molto alta per giorni
…” Tenta timidamente l’uomo.
“E
anche adesso…”
“Onestamente,
Malcolm, stai
esagerando. Mi sento benissimo.” È la replica
secca. Vedi ragnatele di rughe sul
suo viso, i capelli ormai bianchi e la mano che stringe la tua
è sottile e
fragile come pergamena. La bacchetta è posata sul comodino,
ed ha l’aria di non
essere stata toccata da giorni.
Ti lascia la mano e fa cenno
di sedersi. “Spero non sia stata una Materializzazione
faticosa.”
“No.” Scuoti la testa, non sapendo bene cosa dire,
o fare. Forse avresti dovuto
portare dei fiori.
“Malcolm,
va’ a prendere del
the e qualche pasticcino al Quinto piano.” Esordisce dopo un
breve, imbarazzato
silenzio.
“Agli
ordini.” Sospira, e vedi
la complicità un po’ fanciullesca trai due. Sapevi
che Minerva aveva due fratelli
e qualche nipote sparso per la Gran Bretagna.
Non li hai mai conosciuti.
Realizzi quanto poco sai di lei come donna. Non siete in quel genere di
confidenza, non lo siete mai stati.
Ti senti ingombrante, e
quindi
ti limiti a sistemare una falda del mantello che ti sei riposto tra le
braccia.
Soli, ti sorride di nuovo.
“È bello
rivederti Severus.”
Ti limiti ad un cenno affermativo. “Tuo fratello mi ha detto
che era grave.” E
accusare qualcun altro del tuo imbarazzo. Molto serpeverde. Molto
inappropriato.
Scuote appena la testa,
apparentemente senza essersela presa. “Sia lui che Bobby sono
tremendamente
apprensivi. È vero, non sono stata bene.” E lo
senti dalla voce che ha perso la
forza di un tempo o dalla stanchezza con cui si chiude la vestaglia.
“Ma sto
meglio.”
“Ne sono lieto.”
Ti scruta ancora un po’. “Sei
cambiato…” Mormora speculativa.
“… direi che non
è solo il taglio di capelli o i vestiti, vero?”
Tuo malgrado abbozzi un sorriso. “No, direi di no. Sto
invecchiando.”
“Carino da parte tua farmelo notare, considerando che sono
stata una tua
professoressa.”
Vi scambiate uno sguardo ed è lei la prima a ridere. Tu ti
limiti al solito
ghigno demotivante. Che lei conosce e glissa.
“So che non ami
venire in
Inghilterra… da quando sono ricoverata, posso quasi dire di
capirti. Dopo due
giorni qui già rimpiangevo la pace della mia
Caithness.” Fa un cenno, indicando
l’intero negozio di fiori che le è stato scaricato
in stanza. “Sono pensieri
apprezzabili, se non mi venissero recapitati in
continuazione.” Sospira. “Ora
che sei qui penso che il Profeta tenterà
un’irruzione per un intervista
combinata.”
“Ancora?” Ti senti salire l’irritazione,
e ti chiude la gola.
“Harry ha fatto un
buon lavoro
a mantenere viva la memoria di ciò che è
successo. Senza sotterfugi, senza
armadi della vergogna.” Notando il tuo sguardo, sbuffa.
“Non puoi pensare che
sia una colpa, Severus. È un uomo eccellente. In questi anni
lui e gli altri
hanno fatto molto per il Mondo Magico.”
“Non lo metto in dubbio, ma la cosa non mi
interessa.” Ribatti sarcastico. Per
questo non vuoi tornare. Ogni volta è ricordare come non ci
sia più posto per
te, qui.
Minerva fa un vago cenno
disimpegnato. “Lo immaginavo.” Continua a scrutarti
e davvero, puoi capire
perché lo faccia; l’ultima volta che ti ha visto
eri lo spettro di te stesso,
un uomo fagocitato dalle proprie ombre. Sicuramente godi di migliore
salute,
migliore stabilità fisica ed emotiva.
Più o meno.
“Avrei voluto che
tu non
partissi…” Si ferma, perché sa di stare
avventurandosi in un territorio troppo
intimo. Riprende, perché i Grifondoro hanno la deprecabile
abitudine a
terminare tutto ciò che iniziano. Anche quando potrebbero
evitare. “Il nostro
mondo è rinato. È diventato diverso e per certi
versi, migliore. Perché te ne
sei andato?”
“Lo sai meglio di me.” Ribatti aspro, alzandosi e
avvicinandoti alla finestra.
Mazzi di fiori danno alla camera un odore dolciastro, fruttato. Minerva
non
avrebbe mai il cuore di buttare presenti da parte di suoi vecchi alunni
o
amici.
“Ti sbagli,
Severus.” Sospira.
“Avresti avuto la giustizia che meritavi. La puoi ancora
avere…”
Non demorde.
“Forse non la voglio.” E non la vuoi, non ti
interessa. Vorresti solo essere
lasciato in pace.
Ma non è stato possibile. Ti sono stati dati solo dieci
anni. E poi, una nuova
ferita.
“Non credo che sia
del tutto vero.”
Replica quieta. Ti volti per fronteggiarla, per rivendicare il tuo
diritto a
non volere la pietà di chicchessia, compresa la sua.
Trovi solo una vecchia
amica,
stanca e pallida, che ti osserva gentile.
La vecchiaia ha smussato gli
angoli della temibile McGrannit. O forse, non vuole essere dura con te.
Dovrebbe.
“Adesso predici
anche i miei
pensieri, Minerva? Ammirevole.” Fai vagare lo sguardo sulla
stanza e di colpo
un maglio, un uncino ti aggancia il cuore e dà un potente
strappo.
C’è una
tela, parzialmente
occultata da mazzi di fiori sgargianti. Una tela piccola, non
più grande di un
foglio di pergamena standard. Raffigura un paesaggio esotico, animali
che non
conosci. Ciò che conosci è la mano, il modo in
cui stende il colore e lo rende
brillante accostando combinazioni multiformi.
L’ha dipinto Lily.
Senti Minerva muoversi sul
letto; forse si chiede cosa tu stia guardando così
attentamente da averti fatto
congelare come sotto Incantesimo di Pastoia.
“Oh…”
Dice, e la voce sembra
provenire da lontano. “… quello me l’ha
mandato la figlia di Harry, Lily Luna.
Cara ragazza. Ha una bella mano, credo sia in Giappone ora. Ma tu la
conosci,
no?”
“Sì.”
Dici, sentendoti parlare
da una caverna molto profonda. “In Giappone?”
Altro che Irlanda. La
ragazzina ha superato il maestro.
“Credo di sì, almeno a quanto mi ha detto
Potter.” C’è una pausa molto
silenziosa. “Severus, ti senti bene?”
Non ti sei accorto di aver portato il tono di voce prossimo allo zero
assoluto.
Né che i tuoi pugni si siano serrati come in attesa di un
colpo.
Ma se ne deve essere accorta
Minerva.
“Sì,
naturalmente.” Ti volti
con la tua migliore espressione composta. “Forse dovrei
lasciarti riposare, ti
vedo provata.”
“Forse sei tu a doverti sedere. Sei pallido come un
morto.” Il tono è quello
dei vecchi tempi, e per un attimo vorresti risponderle a tono che non
hai
bisogno delle premure di una madre, alla tua età.
“Siediti.” Ripete.
Ti siedi obbediente come lo studente che sei stato. Anche essere
scandagliato
da dietro le lenti sottili dal suo sguardo acuto ti riporta indietro a
vecchie
memorie.
“È andata via due anni fa, mi sembra.”
Dice. “Suo padre mi ha detto che è
scappata di casa senza alcun motivo. Ha anche aggiunto, con una certa
veemenza devo
ammettere…” Fa un sorriso. “…
che tu dovevi saperne qualcosa e che non volevi
dirglielo. Mi ha detto che eravate molto legati.”
Dannato Potter. Supponi che
non sia totalmente idiota come ti piacerebbe credere.
Dopotutto è a capo dell’Ufficio Auror. Ed
è pure bravo, sembra.
“Sì, mi si era affezionata
inspiegabilmente.” Devi averlo già detto a
qualcuno,
ma non ricordi. Il tuo sguardo va di nuovo al quadro.
È migliorata,
puoi dirlo anche
senza essere un esperto. Il tratto è più fermo,
pulito e sgombro da volute
eccessive. Ridotto al minimo, quasi scarno. Eppure sono i colori che
calamitano
l’attenzione, non il tratto. Il nero pastoso, le ali
bianchissime, il tramonto
che si sfibra in volute rosa ed arancioni.
Sono i colori che hanno
sempre
reso la pittura di Lily viva.
Ti muovi a disagio come se
sotto la sedia che ti ospita ci fossero carboni ardenti.
“Sono felice di vedere
che Lily sta bene.”
Da quando le parole ti
scivolano via dalle labbra senza che tu possa farci niente?
Non vuoi che nessuno sappia dei ridicoli sentimenti che ti si agitano
dentro da
troppo tempo.
Inadeguati, sciocchi, sei troppo vecchio.
“Non so dirti come
stia, mi ha
semplicemente fatto recapitare questo ritratto tramite i genitori,
quando ha
saputo che ero ricoverata. Si dice che le gru giapponesi simboleggino
un
augurio di pronta guarigione.” Lo guarda, poi scuote la
testa. “Non la senti da
così tanto tempo?”
“Già.”
“Glielo hai imposto tu, vero?”
Alzi lo sguardo e ti scontri
con il fatto che Minerva ha capito.
Non hai la minima idea di come abbia fatto dato che sei certo di non
aver
lasciato trasparire nulla; persino Potter ti ha accusato di essere un
‘insensibile bastardo’ alla vostra ultima
chiacchierata.
Non sai perché
non ti alzi e
le auguri ogni bene prima di andartene.
“Sì.” Dici invece. “Dovevo.
È forse la
scelta migliore che abbia fatto in questi anni. Non potevo permettere
che
continuasse. Ho dovuto allontanarla prima che la situazione diventasse
ingestibile.”
Aprire il cuore ad una donna
che non ti vede da anni e con cui non hai mai scambiato reali
confidenze, potrebbe
ritorcertisi contro. Ma comunque lo fai, perché questa cosa
ti sta rodendo
dentro. E non hai la minima intenzione di affidare altri ricordi
tramite
Pensatoio a chicchessia.
Specialmente a Potter, dato il soggetto.
“Non dirmi
che…” Ha almeno il
buongusto di non urlarti contro e darti del degenerato. Lo apprezzi,
specie
conoscendo il suo alto senso morale che la fa tendere le labbra in una
linea
sottile.
Poi capisci cosa
esattamente ha frainteso.
“Non l’ho mai toccata.” Ringhi e la fai
trasalire. “Era una bambina, per l’amor
di Merlino!”
“No, non intendevo dire…” Si schiarisce
la voce, imbarazzata quanto e più di
te. Ben le sta. “Devi ammettere che avevi posto la frase in
maniera ambigua.”
“Si era invaghita di me, ecco tutto. Non le ho certo dato
udienza.” Sbotti e
Merlino, se ti senti ridicolo. Si sente di professori o figure
assimilabili che
diventano mire sentimentali di minorenni con una fantasia troppo
fervida.
Tu non sei mai stato uno di quei professori.
“Hai
agito… bene.” Mormora
lentamente. Non capisci perché non si congratuli con te con
la leggerezza
dovuta a queste situazioni e poi cambi discorso.
“Ne sono
consapevole.”
Replichi freddo. “Ora, se non ti spiace…”
“Dio, Severus.” Sentire Minerva che invoca il nome
della divinità babbana per
eccellenza è sempre stato strano. Ed era riservata, ai tempi
d’oro, ai momenti
di sommo sgomento. “Ecco cos’hai. Sei
infelice.”
La fissi come se le fosse
andato di volta il cervello. Dal tuo punto di vista è
così.
“Prego?”
“Non riuscivo a capire la tua espressione.”
Aggrotta le sopracciglia. “Mi sembri
in forma migliore di quando ci siamo lasciati l’ultima volta,
certo. L’Irlanda
ti ha fatto bene… ma hai ancora l’aria tormentata,
e non capivo. Pensavo fosse
dovuto al fatto che ti manca l’Inghilterra,
ma…”
“Non mi manca l’Inghilterra.” Sottolinei.
“Ti manca quella
ragazzina.”
Finisce per te e magari una
voragine
si aprisse facendoti finire all’inferno,
immediatamente…
Invece no.
“Questo è ridicolo.”
“Severus…”
Vorresti andartene ma hai il terrore di scontrarti con Malcolm
McGrannit carico
di pasticcini. O chiunque altro. Se potessi ti smaterializzeresti
all’istante.
Ma non puoi, dato che in Inghilterra non hai un solo posto in cui
tornare e
l’Irlanda è un po’ troppo distante per
tentare una mossa del genere e uscirne
vivo.
Quindi racimoli tutta la tua
dignità e cerchi di dare un taglio alla conversazione
più disagiante della tua
vita da quando hai confermato a Potter che amavi sua madre.
Corsi
e ricorsi storici… Cos’ha che non va il mio
karma?
“È poco
più di una bambina,
Minerva. Sarebbe inappropriato se provassi per lei qualcosa oltre
l’affetto. E
ti assicuro che è stato difficile provare anche quello, dato
il padre.”
“Assomiglia a
Lily.”
Le metteresti le mani al
collo
se non fosse che si suppone siate amici.
“Lily non
assomiglia a sua
nonna.” Sei stufo che in qualche modo, da chiunque,
quell’argomento venga
tirato fuori. “Sono diverse. Fisicamente forse si somigliano,
ma per esperienza
posso dirti che le somiglianze fisiche non dicono nulla di una
persona.”
O saresti morto di cirrosi in qualche vicolo sudicio.
Ha il buongusto di sembrare
dispiaciuta. “Scusami, sono stata indelicata.”
Sì, lo è stata. Sembrava una
delle tue vecchie conversazioni con Silente. “Posso farti una
domanda?”
No – avresti voglia di
urlarle. Ma la
buona educazione ti stringe il collo come un cappio.
“Ho modo di
evitarla?” Ma il
sarcasmo è un buon palliativo.
“Ti ho parlato di
affetto e
sembra che ti abbia appena accusato di un terribile crimine,
Severus.” Fa una
pausa. “Perché sei così
spaventato?”
“Non sono spaventato.” Replichi sconcertato, prima
di accorgerti che sì, hai
una paura del diavolo addosso. Ma mai dimostrarla, mai.
“Penso soltanto che questa
conversazione debba terminare qui.” Tenti un’ultima
volta.
“La tua vita
privata non è
affar mio…” A quasi l’aria di recitare
“… sì, il messaggio è
chiaro. Mi
dispiace davvero ricordarti che siamo amici e che ti conosco da una
vita. E no,
non sta funzionando.”
Segue un lungo silenzio.
“Cosa vuoi,
Minerva?” Mormori
sentendoti di colpo stanco. La verità è che lo
sei sul serio. I sentimenti sono
stancanti.
“Capire
perché un amico che
avrebbe dovuto raggiungere la serenità si comporta come se
cercasse ancora
qualcosa. Hai di nuovo l’espressione di quando hai cominciato
ad insegnare,
Severus.” Fa una pausa mentre la tua faccia deve aver perso
totalmente colore.
Lo senti. “…
solo che stavolta non
dovresti.”
“Lo decidi tu?”
“Non è così orribile come lo
dipingi.” Cosa?
– ti verrebbe da chiedere, ma non vuoi saperlo. “Ti
conosco. Immagino tu ti sia
comportato in modo assolutamente irreprensibile con lei. Ma adesso sei
infelice.”
“Mi stai forse suggerendo di intraprendere una relazione con
una ragazza di
svariati anni più giovane di me?”
Hai voluto calare le carte in tavola. Non esattamente una cosa da te,
ma si
suppone che le persone cambino.
Una volta Minerva non era
così
impicciona. Sarà l’età? Anche Silente
peggiorava negli anni.
“Severus…”
Potrebbe anche
piantarla con la condiscendenza. Preferivi i suoi sguardi fulminanti.
“… non
hai mai conosciuto mio marito Elphinstone, vero?”
“Non ne ho avuto l’occasione.”
È stato un matrimonio breve, per quanto ricordi,
e in quegli anni evitare le occasioni sociali per te era un dovere. E
un
piacere.
“Aveva
quarant’anni più di
me.”
Sarà il quarto
silenzio da
quando hai aperto la porta, ma questo è più denso
degli altri. Estremamente
tale.
“Era il mio
superiore al
Dipartimento di Applicazione Legge sulla Magia.” Continua
tranquilla. “Abbiamo
avuto un matrimonio breve, ma molto felice.” Stira con le
dita il risvolto
della vestaglia. “Quando mi si dichiarò la prima
volta, gli dissi di no. Ma non
per via della differenza di età …”
“Minerva.” Tenti di fermarla. “Non ha
senso quello che…”
“Quello che non ha senso, Severus, è ignorare il
proprio cuore.” Ti ferma dal
ribattere con un gesto imperioso. Da quando ha ritrovato tono e piglio?
“E so
che è una sciocca frase fatta, ma ha il pregio
d’esser vera. Non mi interessava
l’età di Elphinstone quando l’ho
sposato. Sapevo, per esperienza, che non
dovevo lasciare che i pregiudizi delle persone mi frenassero una
seconda
volta.”
“Una
seconda?” Ormai non ti
interessa più mantenere la facciata. Vuoi sapere.
Alla tua domanda tace, e di colpo hai la percezione di non essere il
solo ad
avere il cuore malmesso in quella stanza.
Non hai mai pensato a
Minerva
come ad una donna, ti duole ammetterlo ma è vero. Non hai
mai pensato che anche
lei potesse avere una sua storia in quel senso.
“Ho lasciato andar
via la
felicità la prima volta, con un’altra
persona…” Fa un mezzo sorriso amaro.
“Non
ho permesso che accadesse di nuovo. Non so cosa ti leghi a quella
ragazza,
Severus, e non pretendo che tu me lo dica. Solo, non voglio che
perseveri nel
mio stesso errore.”
Non sai che dire. Non vuoi
dire niente, meglio.
Minerva non torna sul discorso; finalmente comincia a parlare di niente
in
particolare, e ti lascia solo con i tuoi pensieri.
2028
“Severus,
è davvero sleale da
parte tua.”
“Gli scacchi non sono un gioco di cortesia.”
“Lo rendi palese.”
Sorridi beffardo mentre Minerva fissa con stizza la scacchiera che ti
dà
vincente in tre mosse; come tutti gli ex-Grifondoro non sa perdere. E
tu non
hai mai perso a scacchi con un grifondoro. Mai.
“Bene.”
Sospira infine, vinta
dall’evidenza. “Che ne dici di una tazza di
the?”
“Vado a prepararne.”
“Severus…”
Ignori il suo richiamo e vai nella piccola cucina del cottage scozzese
che, a
quanto hai capito, è la vecchia casa della famiglia materna.
È un basso cottage
dai muri bianchi e il tetto robusto, ben diverso dalla tua austera casa
in
pietra, ma comunque confacente alla tranquillità di
un’anziana insegnante in
pensione.
Da quando Minerva
è stata
dimessa le tue visite sono state frequenti; poco dopo il vostro
colloquio al
San Mungo ti sei svegliato nel cuore della notte, realizzando che
avrebbe
potuto essere l’ultima volta che parlavi con lei.
Un tempo sarebbe stato un
pensiero volatile, ma non è più quel tempo, il
tempo dell’orgoglio ostinato.
Che ti piaccia o no, alcuni angoli del tuo carattere si sono smussati;
qualcuno
potrebbe chiamarla debolezza, ma forse si sono solo erosi al
trascorrere del
tempo.
“Non
c’è bisogno che mi tratti
come un’inferma!” Esclama dal salotto; tipico suo
pretendere che tu non abbia capito;
non ha recuperato completamente
la salute, e ti scopri spesso a spiare ogni sua mossa.
È forse poco
sensibile da
parte tua, ma hai il terrore che se ne vada. E che tu diventi
l’ultimo emblema
della vecchia generazione di maghi.
Hai paura di rimanere solo,
detto fuori dai denti.
Ti ringrazia con un sorriso
quando le porgi la tazza di the e la sorseggia quietamente.
“Mi dai mai
ascolto?”
Il vostro rapporto ormai è quello di due vecchi rivali che
si riscoprono amici.
E il punzecchiarsi fa parte dell’equazione. Albus
ne sarebbe stato estasiato.
“No.”
Replichi senza
scomporti. “So che ascoltare una grifondoro è
esercizio sterile.” Ghigni perché
sai che Minerva rimarrà fiero vessillo della casa di Godric
fino al suo ultimo
respiro.
E la prende sul personale.
Infatti ti lancia
un’occhiataccia.
“Quanto parlare ad un serpeverde.”
“Assolutamente vero.”
Fuori un acquazzone estivo
lava i cespugli di ginestra che ornano il giardino. Certe volte ti
chiedi come
sarebbe stato vivere in un posto dove la pioggia non è parte
integrante delle tue
giornate.
Forse saresti stato una persona più allegra. Ti soffermi,
ogni tanto su
sciocchi pensieri del genere.
“Ieri mi
è arrivato un
invito…”
Riporti l’attenzione su Minerva, che sta osservando con aria
critica i biscotti
un po’ bruciati che una delle sue bisnipoti le ha portato dal
corso di cucina
che frequenta – senza troppo successo, pare.
“Se è
una di quelle patetiche
commemorazioni, scordatelo.” Ribatti senza pensare. “In
realtà si tratta di una mostra di pittura a
Diagon Alley.”
Un allarme suona remoto nella tua testa. Fai finta di esser
completamente
assorbito nella prossima mossa – anche se la partita
è tua.
“Severus, la
mostra è di Lily
Luna. È tornata in Inghilterra.”
Brutale e diretta.
Non alzi lo sguardo dalla
scacchiera, mentre pensi a cosa dire per non tradirti.
Sai che Lily è tornata in Inghilterra; due settimane fa ti
è arrivato un
biglietto dal Giappone. Hai passato le dita sulla leggera carta di riso
che
usano al posto delle pergamene. Profumava di colori ad olio. Hai
immaginato Lily
vergare lettere con le dita sporche di pittura ancora fresca, come a
volte
faceva durante l’adolescenza.
Severus,
Sto tornando. Pensavo, chissà come, che volessi saperlo.
Lily
Non hai capito se il
biglietto
fosse ironico.
Cinque anni. Sono passati
cinque
anni. Se tu sei un uomo dalle lunghe distanze ormai, lo stesso non
può dirsi di
Lily.
Cinque anni sono tanti per
una
ragazza così giovane. A quell’età si
possono accumulare esperienze che
cancellano con un colpo di spugna l’infanzia e
l’adolescenza.
Ti chiedi se dal Giappone, oltre alla sua nuova, declamata tecnica
– la
Gazzetta del Profeta si aggrappa a tutto ciò che
è targato Potter – abbia
portato anche qualcuno.
Magari un fidanzato.
Fai una smorfia; tipico di
te
elucubrare nelle direzioni più disparate senza avere il
minimo indizio. Rimasugli
del tuo passato da spia.
“Severus?”
Alzi lo sguardo e noti che Minerva ha finito il the e anche i biscotti
scampati
alla cottura inesperta della bis-nipote. Per quanto diavolo sei stato
perso nei
tuoi pensieri?
“Cosa?”
Sbotti sgarbatamente. Essere
colto con le mani nel sacco ti da ancora fastidio.
“Dovremo
andarci.”
“Non sono stato
invitato.”
“In realtà sì.” Ti stupisce.
Appella il biglietto e te lo porge. “Leggi.”
A tono imperioso, la guardi male, ma apri la lettera.
L’Accademia
Magiche di Arti Drammatiche & Figurative H. Beery
Ha
il piacere di invitare la S.V. più accompagnatore
all’inaugurazione della
mostra di
Lily
Luna Potter
Sabato
21 Luglio ore 16,30
presso la Galleria
d’Arte Magica Moderna in Diagon Alley.
Lily ha una mostra tutta
sua.
Immagini che ha ventun’anni sia un traguardo ragguardevole,
considerando quanto
siano conservatori in Inghilterra sulla pittura.
I dipinti di Lily non raffigurano vecchi maghi o streghe morte, come
tradizione
vuole. Lily dipinge il presente.
Le ripassi il biglietto.
“Non
vedo il mio nome.”
“Severus, sulla busta.” Ti apostrofa con la
pazienza riservata ad un bambino irritante.
Le lanci un’occhiata di avvertimento, ma obbedisci.
All’attenzione
di
Minerva McGrannit e Severus Piton
“… come
fanno a sapere che…”
“Che spesso sei qui? Non sono gli organizzatori a
saperlo.” Replica quieta,
guardandoti come se fossi una curiosa creatura da catalogare. Ti chiedi
che
espressione tu stia facendo per causarle una simile reazione.
“E come fa Lily a
saperlo?” È
impossibile. Neppure Potter sa che visiti frequentemente la casa di
Minerva. E
né vuoi che lo sappia; meglio che tutti siano convinti che
passi i tuoi giorni
nel Connemara a marcire in solitudine.
Realizzi di colpo.
“Le
hai scritto.” Ringhi alzandoti di colpo in piedi.
“Con quale
diritto…”
“Severus, calmati ed ascoltami.” Replica senza
scomporsi. Ti freni dall’attaccarla
verbalmente solo perché è donna, è
anziana ed ha una coperta sulle gambe.
Tralasciando che
è la solita,
maledetta, McGrannitt.
“Sono
calmo.”
“Non
direi.” Ti apostrofa con
leggerezza. “Non sono stata io a contattare lei, ma lei a
contattare me dopo
che le avevo spedito un innocente…”
Si sofferma sulla parola con una certa malignità.
“… Gufo Intercontinentale per
ringraziarla del quadro. Voleva sapere se potevo consigliarle dei libri
di
testo sulla Trasfigurazione sperimentale.”
“Per farci cosa?”
“Per i suoi dipinti.” Sì, sei
consapevole del fatto di star ragionando come un
grifondoro decerebrato, ma non puoi evitare di sentire
l’urgenza di strangolare
Minerva e le sue stupide, impiccione, alzate di ingegno.
“È decisamente una
Corvonero. Pochi piedi per terra, molta testa tra le nuvole…
ma le sue idee
sono indubbiamente…”
“Minerva.”
Neppure ti importa di
alzare la voce e sentirla raschiare la gola, uno dei simpatici effetti
collaterali del morso di Nagini. Hai spaventato più di un
ragazzino ad Ardmore.
“Perché diavolo c’è il mio
nome su quell’invito?”
“Ti avrebbe invitato comunque, con o senza di me.”
Scrolla le spalle. “Ed io ho
bisogno di un accompagnatore, dato che ho tutta l’intenzione
di andarci.”
“Non ti è mai interessata la pittura.”
“Si dice che con l’età i gusti cambino.
Mi interessa adesso.” E
sorride come una donna della sua età non dovrebbe fare.
Sembra una ragazzina divertita e … Merlino benedetto, maliziosa.
Forse è la
demenza senile.
“Non ci
andrò.” Decreti,
sentendoti rigido come una lapide, seduto dritto sulla tua sedia con
tutte le
ragioni del mondo. Non può obbligarti, e non
funzionerà recitare la parte della
povera vecchia con ormai poche distrazioni nella vita.
Silente non ti ha mai
smosso,
non lo farà lei.
“Non devi farlo
per me,
Severus…” Dice con tono grave. Detesti quando usa Il Tono McGrannit con te, quasi
facessi qualcosa di riprovevole,
come sottrarre punti alle Case altrui per divertimento.
Cosa che comunque hai fatto,
ma sorvoliamo.
“Per me stesso
allora?”
Replichi sarcastico. “In quanti modi devo dirti che non ho
nessun interesse a
rivedere quella ragazzina?”
Minerva non ribatte. Anzi, con tuo grande sgomento, sorride.
“Non era questo
che intendevo, Severus.” Fa una pausa ponderata.
“Dovresti farlo per lei.
Mi hai scritto che l’hai molto
incoraggiata a seguire le sue ambizioni…”
“Le ho solo consigliato di adoprarsi dove era più
portata. E per tutta risposta
non è neanche arrivata ai MAGO.” Sbotti.
“Verrai, non
è vero?”
“No.”
Minerva annuisce.
“Come
preferisci. La scelta è tua. Se non vuoi,
chiederò a Robbie o Malcolm di
accompagnarmi.”
Detesti questo atteggiamento
passivo-aggressivo. Deve aver seguito un corso accelerato da Silente.
Deve, o
non ti sentiresti preso in trappola come ti sentivi con lui.
(O forse ti conosce troppo
bene, e sa che lasciarti solo con i tuoi pensieri è
l’arma migliore per farti
capitolare.)
Non andrai a quella mostra;
sarebbe un faux-pas, e non puoi
permettertelo.
Non dopo che hai passato cinque anni a cercare di dimenticarne quasi
diciassette.
Non che tu abbia la ridicola convinzione che Lily provi ancora
sentimenti
dettati dalla vostra inadeguata vicinanza. È cresciuta;
supponi abbia scoperto
che al mondo ci sono persone di gran lunga migliori di te.
Qualcuno, anzi, molti si
saranno innamorati di lei. E lei si sarà innamorata di
qualcuno. È bellissima,
intelligente e piena di talento, perché non avrebbe dovuto?
È giusto,
è doveroso. È normale.
Non puoi andarci.
Sei venuto a trovare
l’altra Lily.
L’ultima volta che ci sei andato hai quasi avuto un collasso.
Avevi ventun’anni
e la tomba ancora aveva la terra morbida della sepoltura. Silente ti ha
trovato
piegato in due davanti alla lapide, e ti ha portato via tenendo per un
braccio
come se fossi un moccioso. Piangevi, come un moccioso.
È passato tanto
tempo.
La tomba è
pulita, ben tenuta.
Immagini che Potter vi faccia costante manutenzione. Nella visuale
entra anche
il nome di James. Pensi che dopotutto hai incontrato persone peggiori
di lui.
Pensi che dopotutto non hai voglia di perdonarlo, non ancora.
Pensi anche che non
c’è un
vero motivo per cui sei qui.
Forse perché Lily
ti è sta
amica quando non lo era nessuno. Forse perché ti senti
infuriato e confuso e
vorresti che qualcuno ti dicesse cosa fare, come Silente ha fatto per
tanto,
troppo tempo.
Crescere non è un
fatto
cronologico. Si può restare, a conti fatti, un marmocchio
spaventato; lo sei stato
ben oltre l’età anagrafica.
Con il tempo hai compreso
che
ci sarà sempre, in te, quel ragazzino sporco e malnutrito
che si rifugiava
dietro i cespugli per spiare la gente normale.
Quel ragazzino si crogiola
nelle sue miserie; non hai meritato Lily Evans e non meriti Lily, ti
sussurra
all’orecchio.
Non
meriti amore. Neppure chi ti ha dato la vita si è
sprecato a farlo.
Perché
qualcun altro dovrebbe?
Te l’ha detto per
anni, dopo
la morte di Lily Evans. Ci hai creduto. Hai smesso di importarti. Ha
ricominciato.
Componi una ghirlanda di
gigli
attorno alla tomba e lasci che ne goda anche quell’idiota di
Potter; ricordi
con amaro divertimento che era allergico.
Vorresti che Lily fosse qui,
con i suoi grandi occhi verdi e un sorriso comprensivo. Vorresti
chiederle come
agire, cosa fare. Se è giusto quel che provi.
Vorresti chiederle se puoi provare ciò che provi.
Ma non avrebbe senso; hai
sempre disprezzato gli idioti che parlavano a tombe come se i defunti
fossero
lì ad ascoltarli. Lily Evans è morta.
Una folata di vento caldo ti
scompiglia i capelli. Alzi il viso sorpreso al breve calore. Aria di
Scirocco,
la chiamava la tua piccola amica d’infanzia con aria saputa.
Hai insegnato a
Lily cosa fosse quando ha soffiato sulle coste del Connemara, per
qualche strano
fenomeno di correnti.
Un bocciolo di giglio si
stacca dalla corona e rotola fino alla tua scarpa e vi si posa sopra.
Lo
prendi.
Non che sia fenomeno ricorrente lo Scirocco in queste zone. Non che
voglia dire
niente. Neppure che un fiore si sia staccato da una corona di fiori
freschi,
creati con la magia.
Però.
Posi il fiore sul bordo
della
lapide. È lì che deve stare. Assieme alla bambina
che ti è stata amica e quel
moccioso che la spiava di nascosto.
Alla fine non sei andato
all’inaugurazione.
Hai pensato a tutta la gente
presente, al chiasso, al clan dei Potter che si stringe attorno a Lily
come un
muro protettivo.
Hai pensato alla sua
indifferenza, al suo saluto cortese e un po’ imbarazzato.
Alle brevi parole che
vi sareste rivolti prima che qualcuno la richiamasse altrove.
Hai quasi sentito la sua
voce
chiamarti ‘zio Severus’.
Ti è venuta la
nausea.
Adesso, a quattro ore
dall’inizio della mostra, è troppo tardi; apri
così una bottiglia di whisky
incendiario delle grandi occasioni.
Cagliostro ti fissa con grandi occhi gialli, tondi come lune. Dovrebbe
essere
morto da un pezzo, secondo la caducità felina. Sospetti, a
questo punto, che
sia un mezzo-kneazle.
Ti sembra quasi di vedere
Lily
salutare gli ultimi ospiti, chiacchierare con il curatore della mostra.
Raggiungere
poi fratelli e amici per bere qualcosa in uno di quei locali alla moda
nati
sulle ceneri di quelli devastati dalla guerra.
Potresti ancora tentare.
Basterebbe entrare nel focolare, prendere della polvere magica e
scandire l’indirizzo;
la comunità irlandese ha dotato, sotto richiesta, tutti i
camini di
collegamenti minimi per l’Inghilterra. L’hai fatto
creare per andare da Minerva
durante la sua degenza al San Mungo.
Altrettanto facilmente potresti andarci a Diagon Alley.
Potresti, ma…
Vuoti le due dita di whisky
che fin’ora hanno stanziato tra le tue dita e ti alzi in
piedi.
Rivederla ti
permetterà di far
finire tutto. Troverai una ragazza cambiata. Troverai una persona che
non ha
più niente a che fare con te e va
bene
così.
Devi andarci.
Quando getti la polvere nel
focolare il lampo verde che ne scaturisce quasi ti acceca. Sono anni
che non la
usi, e ricordi perché non appena le scarpe affondano nella
cenere.
Dopo un viaggio a
velocità
molto più sgradevole di quanto ricordassi, ti ritrovi nella
cappa di un camino
che non conosci.
(Non la prenderai mai
più, mai
finché avrai vita.)
C’è silenzio, ed è la prima cosa che
noti. La seconda sono le luci soffuse che
significano prossima chiusura. La terza è che i quadri
devono essere nella
saletta attigua per evitare disastri con la fuliggine. Vedi infatti rimasugli di un Buffett e
senti il pavimento
appiccicoso per i troppi drink maneggiati maldestramente.
Sei arrivato troppo tardi.
Non vuoi che qualcuno ti
veda,
il curatore, un addetto, chiunque e ti faccia domande. Saresti capace
di
schiantarlo senza colpo ferire, al momento; vuoi solo tornare dove
dovresti
essere. Lontano da qui.
“Severus!”
Riconosceresti quella voce
tra
mille. Il particolare timbro di chi per sette anni della sua vita non
ha aperto
bocca.
Lily Luna Potter.
Ti volti e ti trovi di
fronte
Lily. Cinque anni, pensi di colpo, cinque anni dovrebbero cambiare una
ragazza.
E l’hanno cambiata. È una donna adesso, nessun
dubbio su questo. Alta e dalle
forme statuarie noti che indossa un vestito dal taglio orientale,
terribilmente
azzurro. Un kimono, supponi.
Sembra uno dei suoi dipinti.
Però i capelli sono sempre il manto di fiamme che ricordi,
libero e privo di
costrizioni dovute alla moda. Gli occhi sono sempre enormi, forse
ancora di più
dato che il viso le si è affilato in un ovale maturo.
Una banalità dire
che è bella
da togliere il fiato. Ma in effetti ti senti in carenza di ossigeno, e
dubiti che
sia per la fuliggine che il viaggio ti ha fatto ingoiare.
Rimanere fermo come un
povero
idiota non è consigliabile, quindi ti spazzoli con
leggerezza i vestiti.
“Lily.” Esordisci. “Perdona il
ritardo.” È una frase stupida, lo capisci non
appena la pronunci. Hai ritardato perché non volevi venire.
Non dice nulla e non riesci
a
decifrare la sua espressione nella penombra. Non parlerà per
prima; continua infatti
a fissarti con le labbra serrate in un’ostinazione che te la
ricorda bambina.
Non che ti aspettassi ti
gettasse le braccia al collo, come alla festa dei suoi diciassette
anni, ma una
parte di te ne rimane ferita.
Ovvio,
Severus. Non ti vede da anni e le spunti da un
camino con l’aria di averla lasciata dieci minuti fa. Cosa ti
aspetti?
Inspiri.
Non potete certo rimanere a
guardarvi come due allocchi.
“Ho ricevuto il
tuo invito
tramite Minerva… ma ho avuto dei contrattempi e non sapevo
se ti avrei trovato.
Sono felice di essermi sbagliato.” Il tuo tono più
distaccato, le tue
intenzioni migliori. “Congratulazioni.”
“Sì…”
Mormora di colpo ed è un
sollievo. “La mostra però è
finita.”
“L’ho notato. Vorrei vedere i tuoi dipinti
comunque.” La interrompi. “Credi sia
possibile?”
Batte le palpebre, poi annuisce. “Sì,
certo… il Signor Collins, il curatore… mi
ha lasciato ad occuparmi della chiusura.” Ti spiega.
“Non credo ci siano
problemi.” Ti fa cenno di seguirla.
Con colpi leggeri di
bacchetta
riaccende tutte le luci. Lo fa con sicurezza; sta riprendendo il
controllo di
sé. Noti che ai polsi ha due braccialetti
d’argento, ma nessun altro gioiello. È
rimasta spartana.
“Non è molto, sono solo una dozzina di
tele.” Dice facendosi da parte per
lasciarti esplorare l’ambiente. “Non è
tutto quello che ho dipinto, ho dovuto
selezionarli.”
“Capisco.”
Come supponevi è in imbarazzo. Non ti guarda, il suo tono
è neutro, quasi fossi
uno sconosciuto capitato lì per caso o curiosità;
sperava non venissi, è ovvio.
Metti a tacere la delusione
che ti brucia dentro in maniera piuttosto dolorosa e rivolgi la tua
attenzione alla
mostra.
Paesaggi, animali, persone. Se non fosse che è una mano
umana ad averli creati,
penseresti di trovarteli di fronte in carne ed ossa. I dipinti si
muovono sulla
tela, cangiando colori e ombre. Non sono dotati di parola o verbo, ma
senti il
vento frusciare trai bambù e lo scorrere
dell’acqua limpida di un ruscello.
Non sei mai stato in
Giappone
e dubiti che vi metterai mai piede; eppure sei rapito dalla sensazione
di
trovarti esattamente lì, e di vederlo con gli occhi di una
ragazza appena
arrivata.
Gli occhi di Lily.
“Che te ne
sembra?” La sua
voce ti riscuote e ti accorgi di averla accanto. Le sue dita ti
sfiorano inavvertitamente
il risvolto della giacca. Non tocca te, ma è come se lo
facesse.
Non saresti dovuto venire.
“Sono…
d’effetto.” Ti scolli
dal palato con estrema cura. Sono parole sterili e te ne accorgi dallo
sguardo
di Lily. “Sei migliorata.” Cerchi di rimediare.
“Ma l’avevo notato già dal
dipinto che hai spedito alla professoressa McGrannitt.”
Batte le palpebre.
“Oh,
quello. Ne ho una copia esposta qui. Ti è
piaciuto?”
“Non c’è niente che non mi piaccia qui
dentro.” Dici e ti mangeresti la lingua.
Merlino, come un ragazzino alle prime armi.
(Pur vero che non ti sei mai allenato particolarmente nei complimenti.)
Sembri non essere poi così terribile, perché Lily
si illumina. Una volta era
totalmente aperta nel farlo, era quasi doloroso notare quanto le tue
parole le facessero
effetto. Adesso è più contenuta.
Come immaginavi.
Ciò che
provava per te è passato come passa una brutta malattia.
Eccellente.
“C’è
un dipinto…” Inizia dopo
un breve silenzio dove tu hai guardato una natura morta di melograni
sentendo
l’amarezza seccarti la bocca.
“C’è un dipinto che non ho esposto, ma
che volevo
vedessi. L’ho portato. Vuoi…?”
“Naturalmente.”
Convieni con
educazione da vecchio zio di famiglia. Ti fissa un po’
stranita e ti senti
improvvisamente in imbarazzo. Stai solo cercando di mantenere le
distanze. Non
dovrebbe esserti grata? Fai un cenno brusco. “Fa’
strada.”
Lily ha un curioso guizzo di
sorriso, poi annuisce e procede verso quello che sembra il magazzino
della galleria,
un angusto sottoscala.
Non dovresti essere qui,
pensi. Non dovresti essere qui e sentirti completamente agitato e fuori
assetto.
Percepisci la vena del collo pulsare e diavolo, sarebbe il momento
perfetto per
un colpo apoplettico.
“Non vorrei farti
tardare,
immagino tu abbia una festa a cui attendere.” Dici mentre
sparisce sotto le
scale.
“I miei cugini
avranno già
aperto le danze.” È la replica attutita.
“Tra mezz’ora saranno tutti talmente
brilli da non ricordarsi chi o cosa festeggiano.”
“Capisco.”
La senti quasi ridacchiare. Sta ridacchiando. “Credimi
Severus, mi
stai facendo un favore.”
La prima cosa che esce dal sottoscala è una tela coperta; la
prendi e poi ti
vedi tendere la sua mano. Una mano forte da artista, non esile come
quella di
una ragazza che non hai mai usato le dita come strumenti, come fa lei.
La
prendi per aiutarla a salire e la stretta è sempre tiepida e
salda come un
tempo.
Non sai se questo
è un bene
però.
“Non ho voluto
esporlo, anche
se il Signor Collins ha fatto di tutto
per convincermi.” Dice con un sorrisetto divertito.
“Secondo lui è uno dei miei
pezzi migliori.”
Aggrotti le sopracciglia confuso; il punto di questo genere di
manifestazioni è
farsi conoscere, specie se si è giovani e alle prime armi.
“Perché hai rifiutato?”
“Perché è un regalo per te e non volevo
che qualcuno ci mettesse gli occhi
sopra.”
La risposta ti secca le
parole
sulla punta della lingua. Ti prende la tela tra le mani e si sposta
nell’angolo
più luminoso della sala. “Ci vuole la luce
giusta!” Ti spiega con le guance
colorate per lo sforzo.
“Non
c’era bisogno…” Inizi quasi
ti facesse uno sgarbo. Non hai mai saputo come gestire la gentilezza
quando non
la meriti. E collateralmente, non sai gestire la giovane donna che hai
di
fronte.
“Sì
invece.” Ti interrompe. “Mi
piace fare regali ai miei amici.” Come può avere
quel tono scanzonato, come se
tutto fosse semplice?
Non è te, molto
semplicemente.
“Temo di non
averti preso nulla
in cambio.” Avresti dovuto, ti castighi silenziosamente. Ti
dimentichi sempre
dei maledetti fiori.
“Non dovevi.
Dovevi solo
venire qui.” Posa la cornice su uno dei supporti vuoti. Ha
venduto qualcosa, ti
fa piacere. Davvero. Ti aggrappi a tutto pur di non guardarla
direttamente. “Sei
qui, no?”
“Così sembra.” Convieni.
Lily sorride e con un colpo
di
bacchetta scioglie lo spago che chiude l’imballaggio.
La prima cosa che vedi
è il
verde che si mischia all’azzurro. E poi una macchia scura,
forte ed immobile.
È un vecchio
soggetto. È il
Connemara, è la scogliera di Ardmore, è casa tua.
È il vostro Connemara, realizzi.
Perché è quello che vedevate entrambi
con gli stessi occhi.
“Non aveva molto
senso
disegnassi il Giappone per te, se non ci sei mai stato. Ma potevo
disegnare te. E visto che non ti
piacciono i
ritratti…” Mormora toccandoti di nuovo il risvolto
della giacca con le dita. Ed
è intenzionale stavolta, può darsi lo fosse anche
alla prima.
Ti eri scordato quanto fosse
capace d’esser sottile.
“Ho visto molti
posti, molti
paesaggi…” Continua con sguardo assorto nel
dipinto. “… sul serio, tanti. Ma
questo rimane il mio preferito. Forse perché lo sento anche
un po’ mio.” Ti
scocca un’occhiata delle sue, trasparenti come se ti
rispecchiassi in una polla
d’acqua. “Tu che ne pensi? Lo senti tuo,
Severus?”
Una delle sue dannate
domande
scomode. Non rispondi.
Essere investiti da
più di un
emozione, da un’intera, dannata sinfonia dà lo
stesso effetto che venir colpiti
da uno schiantesimo. Per te è stato sempre così.
È così
adesso.
Istintivamente cerchi la
bacchetta per difenderti, ma quello che ti trovi a stringere
è un palmo caldo.
La mano di Lily.
“Sapevo che
saresti
venuto, magari in
ritardo, magari quando
non c’era più nessuno, ma saresti
venuto.” Dice stringendo la presa,
impedendoti di sfuggirle. Vorresti dirle che non ne hai la minima
intenzione,
ma non è il caso. Davvero no. “Pensi che di solito
il curatore lasci chiudere
ad una delle espositrici? L’ho supplicato di lasciarmi
rimanere.” Fa un
sorrisetto saputo.
“Non hai una festa
a cui
andare?”
“Non c’è nessuna festa.”
Ribatte. “Ho chiesto agli altri di non farla.
Aspettavo te.”
Ti ha fregato. E in maniera
piuttosto magistrale.
È sempre stata
maledettamente
sicura di sé; è una Potter, non potevi aspettarti
niente di meno.
Quello che non ti eri preparato ad affrontare è che ti aspettasse. Che ti sorridesse con lo
stesso calore e affetto di una
volta.
“Fa freddo
qui… possiamo
andare a casa tua?”
“Lily.”
Tenti. Che sia messo
agli atti che tenti. Non sai se riuscirai a mantenere lo stesso
distacco che
hai qui, quando sarete soli in un ambiente che ti è
familiare e che ti porta
automaticamente ad abbassare le difese. Non sai come potresti reagire
perché
non sai cosa vuole da te.
È spaventoso.
“Ho tante cose da
raccontarti.” Replica stringendosi nelle spalle. “E
non voglio farlo rischiando
un raffreddore.” Ti scocca un’occhiata.
“Non è come se fosse la prima volta che
vengo a casa tua, no?”
Non ha intenzione di mollare
la presa. Sospiri. E capitoli.
Il fuoco scalda i piedi nudi
di Lily. Noti che non ha smesso di dipingerli di tutti i colori dello
spettro
percepibile da un essere umano e forse anche da qualche insetto.
Mentre le unghie delle mani ne sono ormai sfornite, le dita dei piedi
si
mostrano ancora orgogliosamente arcobaleno.
Sono passate ore e la tazza
di
the con cui la casa l’ha accolta ora riposa vuota tra le sue
mani.
Avete parlato o meglio, Lily
ha parlato tanto. Ti ha raccontato del suo anno in Ucraina –
ecco qual’era il
paese con i timbri postali in cirillico - presso un’amica di
piuma. Ti racconta
di come abbia deciso di spostarsi in Giappone quando l’amica
in questione si è
rivelata poco amichevole
all’idea che
il suo fidanzato si fosse invaghito di lei.
‘Non
gli ho dato la minima corda, credimi Severus! Quel
tipo era matto come un calderone scoppiato!’
Di come poi si sia
trasferita
in Giappone, a Kyoto, e di come si sia innamorata delle sue atmosfere
antiche
millenni.
‘Ho
trovato la mia ispirazione lì, Severus… credo di
aver dipinto qualcosa come centinaia di
quadri, o tele. Ho dipinto tanto da farmi
venire i calli!’
Hai idea che ometta molte
parti della storia; dubiti che il suo trasferirsi all’altro
capo del mondo sia
stato così agevole. Le mani, ad osservarle giocherellare con
la tazze e
accarezzare Cagliostro, sono rovinate sulle unghie. Ha lavorato, ed ha
lavorato
per babbani, forse. Anche la sua bacchetta sembra raccontare una
storia, quando
l’ha gettata distratta sulla credenza, al suo vecchio posto.
Ti parla con la solita
confidenza sfacciata di un tempo, continua a mangiarsi le parole quando
si
emoziona troppo nel raccontare.
Ma è tutta una
finzione. Sono
passati cinque anni, e l’ultima volta che vi siete visti
è stata con
l’intenzione di dirvi addio. Almeno da parte tua.
E lei non può non
ricordarlo.
“Hai intenzione di
aprire una
galleria?”
Lily fa una smorfia, baciando il muso di Cagliostro, che fa le fusa
senza sosta
da quando l’ha vista. Speravi morisse di gioia. Letteralmente.
“Non lo so. In
realtà non so
se voglio vendere quello che dipingo.” Si mordicchia un
labbro. “Ci ho provato.
Anche stasera, ho venduto due tele. Ma solo a mio fratello Al e ai
nonni.”
“Se adottassi alcuni accorgimenti…”
“Non so se voglio dipingere per vivere, Severus. Farci soldi,
intendo.” Ti
interrompe, guardandoti. “Mi infastidisce farmi pagare per
quello che creo. Donarli
magari, ma solo a chi voglio io.”
“Molto idealista, ma come pensi di guadagnarti da
vivere?”
Sospira, ravviandosi una ciocca di capelli. Li ha sempre tenuti lunghi,
e
continua a farlo. Senti le dita formicolare dalla voglia di toccarli.
Ricordi
che erano morbidi.
Merlino,
datti una calmata. Non sei una bestia in preda
agli istinti.
Sei
un uomo razionale.
“Non lo so. Il
Signor Collins
mi ha proposto di lavorare per lui. Non sarebbe male.”
Mormora. “Non
dipingendo, comunque. È una cosa che faccio, che faccio per
sentirmi bene. Mi aiuta,
è chi sono.” Sovrappone
di nuovo le parole. Al contrario la sua pittura è sempre
stata chiarissima.
“Non mi piace l’idea di vendere i miei dipinti a
gente che magari li
infilerebbe tra due orrendi ritratti storici delle guerre dei
folletti.”
Inarchi appena le
sopracciglia. “Di cattivo gusto.”
“Sarei capace di spedir loro una fattura.” Sbuffa
divertita, lanciandoti
un’occhiata. “Non hai mai provato fastidio a
vendere pozioni a gente che
sicuramente non saprà assumerle a dovere?”
“Continuamente.” Replichi tuo malgrado divertito.
“Mi appaga però sapere che
gli effetti collaterali saranno tutti loro.”
Ride e ti senti il cuore caldo come se te l’avessero appena
buttato nel fuoco.
Non resterà. Ti
ripeti che non
resterà e che devi custodire questi ultimi momenti,
perché poi tornerà alla sua
vita, e tu alla tua.
“Non è
che hai un posto come
pela-radici?” Dice di colpo. Sei talmente spiazzato che per
un momento la
guardi senza parlare.
Poi capisci che è
una battuta
e il sangue ricomincia a circolare a dovere.
Non resterà qui,
non pensarci
neanche. Non osare illuderti, vecchio sciocco.
“Le tue
capacità devono essere
peggiorate drasticamente da quando non correggo più i tuoi
errori. Mi faresti
esplodere il laboratorio, sciocca ragazzina.” Sbuffi come da
copione.
Quello che non ti aspetti
è il
sorriso caldo che ti investe come lo Scirocco.
“Merlino,
Severus… mi è
mancato da morire, intendo dire… tutto questo.”
Sì,
lo so. Che cinque anni pensi abbia passato, Lily?
Non lo dici però,
limitandoti
ad un lieve cenno rigido. “Se non vuoi dipingere per
commissione, cosa hai
intenzione di fare?”
Scrolla le spalle, e non ti sfugge il lampo deluso che le passa nello
sguardo.
Non ricorda che tu non rispondi mai a certe esternazioni?
“Non ne ho idea.
Non so
neanche se mi fermerò in Inghilterra dopo il compleanno di
papà.”
Il compleanno di Potter
è tra
meno di due settimane.
Annuisci, sentendoti un peso in fondo allo stomaco. “Tornerai
in Giappone?”
“Non è che abbia molto da fare anche
là.” Posa Cagliostro a terra e gli dà
un’ultima carezza prima di guardarlo andare via.
“Forse potrei andare in
Francia da mia cugina Victoire. Sono anni che mi invita.”
La Francia è
meglio del
Giappone, ma per te non c’è molta differenza. Che
siano poche miglia di Oceano
a separarvi, o un intero continente … non sarà
qui, ecco tutto.
“Perché
sei tornata?” Sbotti
aggressivo e quasi ti stupisci di un tono che credevi aver perso
all’epoca
della guerra.
Ma ti senti male come
allora.
Ti senti furioso come allora. Non esattamente, non precisamente. Ma la
deriva è
quella.
Lily ti guarda attentamente,
poi si volta verso di te con tutto il corpo. “Tu
perché pensi che sia tornata?”
“Non ne ho la minima idea.”
“Non è vero.”
“Per il compleanno di tuo padre?” Azzardi sapendo
di sbagliare.
“Mio padre compie gli anni ogni anno, Severus. È
il punto dei compleanni, ho
idea.” Sorride appena.
Non si è cambiata dal kimono che indossava per la mostra.
Non è un vestito
aderente, ma neppure qualcosa che copre quanto dovrebbe. Ha allentato
la cintura
alla vita per sedersi in libertà ed ora una porzione di
pelle, dal collo alla
clavicola è scoperta. È bianca, è
morbida, puoi immaginare, e liscia. E non ci
vuole immaginazione neppure per proseguire con lo sguardo.
Fissi il fuoco come se
volessi
gettarci i bulbi oculari.
“Vuoi infastidirmi
ancora per
molto? Dimmelo e basta.”
“Ho ricevuto una proposta di matrimonio.”
Registri la notizia e poi
senti un dolore acuto alla mano. Ti accorgi di aver spaccato il
bicchiere – il
tuo bicchiere da whisky preferito peraltro – tra le mani.
Imprechi doverosamente,
recuperando la bacchetta e pulendoti la mano dal sangue e le schegge di
vetro.
Fai evanescere quel che resta del bicchiere e fermi il sangue con un
breve
incantesimo curativo.
In tutto questo Lily ha
avuto
uno scatto – uno solo, quando si è rotto il
bicchiere – si è alzata in
ginocchio, pronta a correre in tuo aiuto.
Poi deve aver realizzato che hai spaccato un bicchiere proprio mentre
ti
annunciava del suo prossimo matrimonio.
Coincidenza curiosa, no?
“Congratulazioni.”
Mormori e
non ci crede più nessuno. Tu per primo.
Razza di idiota.
“Non mi
sposo.” La fissi e ti
sta sorridendo con aria divertita.
“Hai appena detto
che ti è
stata fatta una proposta di matrimonio.”
“Proposta che non ho accettato.” Replica alzandosi
in piedi e stiracchiandosi.
Dovrebbe davvero sistemarsi quella cintura. Dovrebbe perché
il caldo che senti
al viso non è il fuoco, dato che non è quel
tipo di calore.
“È una
specie di scherzo?”
Sibili con il tuo tono peggiore. Sei infuriato, oltre a tante altre
cose. Sta
giocando con te, ti sta stuzzicando. E tu hai sempre detestato i
giochetti.
Lily batte le palpebre e
sembra leggere la tua rabbia, perché assume
un’aria colpevole. “No, io… era
solo. Non mi sto sposando. Non voglio sposarmi.” Aggiunge
frettolosa. “C’era
questa… persona… che mi è stata molto
d’aiuto in Giappone.”
Che bruci tra le fiamme dell’inferno.
“Mi è
stato amico, e gli sono
sinceramente affezionata. Avevo capito da un po’ che si era
… diciamo invaghito
di me?” Scruta la tua espressione, ma la rendi anodina come
Occlumanzia vuole.
Benedetta arte del saper nascondere. “E… niente.
Non lo amo, quindi gli ho
detto di no.”
“Questo non spiega perché tu sia tornata
qui.” Rifletti. “Ti ha forse costretto
in qualche modo a lasciare il paese?”
No, che non bruci tra le fiamme dell’inferno. Gli spauracchi
babbani non sono
poi così efficaci.
Che incontri te.
“No!”
Scuote la testa con forza.
“Merlino, no, assolutamente! È solo che ho
pensato…” Esita, poi si fa forza. E
ti sembra di aver già visto questa scena. Oh, sì.
Compleanno. Il suo. “Ho
pensato che non potevo restare in Giappone a ricevere proposte di
matrimonio da
persone che non amavo, quando l’unica persona con cui volevo
stare era lontana
miglia. Quando Eisuke mi si è proposto ho pensato che non
era lì che dovevo
stare. Ma qui, con te. È sempre qui che sono voluta
stare.”
Il bastardo ha un nome. Ridicolo peraltro. E comunque…
E comunque Lily
l’ha fatto di
nuovo. Incredibilmente, assurdamente è di nuovo di fronte a
te e ti si sta dichiarando.
È ancora
innamorata di te.
E tu stavolta ti senti
ancora
peggio, perché non c’è più
quella meravigliosa remora morale che ti frena
dall’alzarti per toccarla, stringerla e…
… e rovinare
tutto.
Non ti dà tempo
di dire
niente. Tira invece fuori una chiave. E con sgomento, la riconosci come
la
vecchia Passaporta di Potter. Ricordi di avergliela lanciata addosso
durante la
vostra ultima conversazione.
Ora ce l’ha di
nuovo Lily.
“La
riconosci?” Fa pendere la
catenella tra le dita. “Ti ricordi quando ero piccola? Era
programmata per
attivarsi ad una certa ora. L’ho fatto mentre
parlavamo.” Non coccolava
Cagliostro, incantava la chiave. “Tra pochi secondi si
attiverà, e tornerò a
casa di mia madre.”
Perché?
Poi capisci perché. Ti
sta dando un
ultimatum. Un conto alla rovescia come nel peggiore dei film babbani.
“Questa
è l’ultima volta
Severus. Ti ho aspettato stasera, ieri sera, una settimana fa e per
cinque
anni… sono tanti.” Sussurra e la chiave continua
ad ondeggiare. Comincia a
brillare, lo vedi dalla poltrona in cui ti senti ancorato.
“Non aspetterò se deve continuare a fare
così male. Perché
fa male non sapere se mi ami o meno. A diciassette anni forse volevi
proteggermi… ma non adesso.”
Ti
amo
– urla
quel bambino malmesso, quel ragazzo spaventato e solo, quel giovane
tormentato
e te, l’adulto cinico e rovinato.
Ma dalla tua bocca non esce
un
suono. Chissà se era così che si sentiva, quando
tutti le intimavano di parlare
e lei non voleva?
“Ti ho dato del
codardo, ma
non è vero.” Mormora piano, quasi un sussurro, che
però ti rimbomba addosso
come se stesse gridando. “Sei solo spaventato. Posso avere
coraggio per
entrambi, se me lo permetti. Posso, Severus.” Fa una pausa e
la voce si
incrina, come il suo sorriso, la sua espressione. “Ti
prego.”
Ti
prego amami
– diceva quel ragazzo cresciuto male come una pianta in un
armadio –
Vi
prego, qualcuno mi ami. Perché a tutti e non a me?
Ed ora ecco qua. Qualcuno
finalmente ti ama, Severus. Cosa intendi fare?
La chiave brilla
violentemente
e tra pochi secondi, solo tra pochi attimi, Lily verrà
scaraventata a miglia da
qui.
La chiave ha un lampo. E poi
senti il suo rumore attutito sul pavimento mentre rotola sotto la
poltrona.
Senti il peso di Lily tra le braccia e la catenella che le hai
strappato di dosso
tra le dita.
Percepisci anche il tuo
respiro affannato. Percepisci il modo in cui il suo petto si alza e si
abbassa
contro la tua camicia.
Non ci sono altri rumori
all’infuori di voi. Voi.
Lily è
ancora qui.
La Passaporta non si attiva
senza qualcuno che la tocchi e Lily sta toccando te, non la chiave: ti
ha
passato le braccia attorno al busto e ti ha posato il viso sulla
spalla. Ha
serrato la presa quando l’hai strattonata contro di te.
Sei consapevole di quello
che
hai appena fatto. Lei ne è consapevole.
Ne siete consapevoli.
Molto lentamente alza il
viso
e ti guarda. “È un sì?” Dice
piano, quasi avesse paura di svegliare qualcuno.
Il tuo buonsenso,
probabilmente.
“Stupida
ragazzina.” Ringhi, e
non ottieni un’espressione spaventata come al solito, ma una
risata sommessa.
“Ho sempre sognato
di avere
una dichiarazione così.”
Se la stringi ancora
più forte
finirai per farle male. Ma è difficile non farlo, vero?
Quand’è
l’ultima volta che sei
stato in una situazione intima come una donna? C’erano
già i telefoni
cellulari?
Ti fai questo genere di
domande totalmente imbecilli e poi ti accorgi che Lily ti sta
già baciando.
Alla fine non ha aspettato.
Prevedibile.
È
l’ultima cosa che pensi,
perché non sei un pezzo di granito e perché una
donna che ti bacia come ti sta
baciando lei non è qualcosa da cui distogliere
l’attenzione.
Rispondi e non dovresti,
è
sbagliato è… meraviglioso.
Ti eri dimenticato della
sensazione appagante che può dare un bacio. Meglio, non
l’hai mai avuta a
pieno, perché non hai mai baciato una donna che era per te
il significato
stesso della vita.
Perché Lily è vita.
Staccarti è un
supplizio, ma
ci sono cose che devono essere dette. Fatte. Pianificate.
Non hai la minima intenzione
di vederla partire per la Francia, da nessuna dannata cugina.
“Oh…”
Mormora ed ha le guance
rosse e gli occhi liquidi. Ringrazi il tuo lungo addestramento al
controllo
degli impulsi, perché ne stai disciplinando almeno una cinquantina.
“Non vorrei annoiarti elencando
gli stereotipi da letteratura romantica che stai appena
incarnando…” Bisbiglia
sognante. “Ma wow.”
“Sì,
certo.” Borbotti
sentendoti quasi lusingato. “Dobbiamo…”
“Se mi dici che dobbiamo fermarci, giuro che ti
schianto.” Ti apostrofa con
aria così determinata che contempli sinceramente
l’opzione lo faccia davvero.
“Dovremo…”
Metti le mani
avanti ed è un sollievo che non abbia la bacchetta a portata
di mano; non ha
un’espressione rassicurante. Potter e Weasley insieme creano
progenie facili
allo scatto. “… rallentare.” Proponi
saggiamente. “I sentimenti che proviamo
adesso sono esasperati dalle contingenze.”
“Col cavolo.” Sbotta, poi sospira vedendoti
inarcare le sopracciglia
all’inflessione da Devonshire profondo che le è
appena sfuggita. “Okay.
Ascolta. I miei sentimenti non sono esasperati né acerbi. Ho
avuto anni per rendermi conto che
ti voglio. E
adesso, aggiungerei, da morire.”
“Cinque
anni…” Resistere alla
tentazione. I babbani hanno scritto molto su questo tema; vi hanno
anche
fondato una religione. Vedere le sue labbra rosse, umide, dischiuse e
notare
come il maledetto kimono ormai assomigli ad una vestaglia
semi-aperta…
‘Resistere
è futile’.
“Non cinque anni,
Severus. È
da quando ho capito cosa significava volere un uomo che voglio te,
razza di
insopportabile testardo.” Sussurra, ed è quasi
minacciosa mentre ti si
avvicina. “Solo
te.” Ti passa le dita
sul risvolto della camicia e le punte toccano la base della cicatrice.
“Adesso.”
Ah.
L’inadeguatezza ti
striscia
addosso improvvisa come una brutta febbre. Da
quant’è che non tocchi una donna?
Come dicevi, anni. Alcuni dicono sia come montare su una scopa dopo
un’inattività prolungata. Si ricorda tutto.
Non ne sei tanto sicuro. E
comunque, non vuoi dare a Lily quel genere di esperienza.
Hai fatto sesso con donne
per
urgenza, per bisogno, per calore. Non che non sia stato
piacevole…
… ma piuttosto
che farle
provare un briciolo della desolazione che hai provato tu dopo,
ti ammazzeresti con le tue mani.
Ti scruta. “Cosa
c’è?”
Intuitiva come sempre.
“Non
credo di essere all’altezza delle tue aspettative.”
Se un fulmine ti stroncasse
sul colpo, quasi ringrazieresti il tuo karma disgustoso. “Ho
fatto sesso, Lily.
Tutto qui. Niente di più che appagare un istinto.”
Ti passa le mani lungo le
spalle e poi le ritira, lasciandole lungo i fianchi.
Oh, fa freddo.
D’improvviso.
“Vuoi fare sesso
con me?” Il
candore con cui lo pronuncia ti fa deglutire a vuoto.
“No.
Ti ho appena detto che non voglio affrettare le cose, e
tantomeno in quel modo. Fingi di
non
capire?!” Stringi i pugni e la vorresti fuori di casa. No,
dentro casa.
Stai avendo una crisi di nervi.
(Alla tua età.
Essendo un
uomo. Con esperienze. Complimenti.)
“Cerco
di capire. Non sei un uomo facile da decifrare.” Replica
senza battere ciglio. È l’espressione che le
scorgi negli occhi a farti abbassare
di colpo i toni. “Mi ami?”
Non vorrà fartelo
ammettere.
Per fortuna, no. “Se mi ami, non puoi voler fare sesso con
me. Con me farai
l’amore… ed è quello che vogliamo
entrambi, se interpreto bene.” Ventun’anni.
Immaginavi
che avesse imparato ad usare le parole meglio di quando era una timida
diciassettenne.
Non così tanto
però.
“Non ho ancora
detto niente,
mi pare.” Ultima strenua difesa mentre il resto di te sembra
aver lava al posto
delle vene. Non pensavi di poter provare di nuovo un desiderio
così forte, così
totalizzante, non dopo tanti anni.
Ma l’hai mai
provato, poi?
“Non hai detto
niente…” Si
allaccia alla tua vita. “… ma mi dispiace
avvertirti, Severus, non sei più il
grande Occlumante che credi.”
Ti dispiace? Era uno dei
tuoi
più grandi vanti. Ti ha salvato la pelle innumerevoli volte.
No, non ti dispiace
– realizzi
quando hai Lily tra le braccia, senti scivolare via il suo kimono e
realizzi
che non ne hai più bisogno.
“Sei arrabbiato
con me?”
La domanda si insinua nella penombra della tua stanza da letto. Pensata
per un
uomo privo di compagnia affettiva, è piuttosto desolante .
Il kimono di Lily,
posato sulla sedia dello scrittoio è però una
macchia di colore.
Non ha voluto che spegnessi
la
luce. Il tuo pudore ti ha subito fatto andare
all’interruttore, ma ti ha
fermato con la mano, quasi ti avesse letto nel pensiero.
“No.” Ti
ha detto
semplicemente, prima di baciarti di nuovo. Ed hai scoperto o meglio,
ricordato,
come non sei mai stato in grado di negarle nulla.
Socchiudi gli occhi e la
trovi
accoccolata al tuo petto che ti fissa estremamente seria.
“C’è
un motivo particolare per
cui dovrei esserlo?” Sospiri, sapendo che potrebbero, in
effetti, esservene
molti.
Stranamente non ti senti
neppure un’oncia di rabbia addosso. È qualcosa
dovuta ad un processo meramente
fisiologico, certo, ma provi anche quiete.
Ecco come ti senti. Ed
è
simile all’ebbrezza che deve provare un ragazzetto alla sua
prima sbronza.
Lily segue il contorno del
tuo
viso con un dito, e ricordi faccia così anche con pennello e
tela. È tanto che
non lasci entrare qualcuno nel tuo spazio vitale, e ti scopri a pensare
che
forse, così, non l’hai mai fatto.
Entra sottopelle, Lily Luna.
“Ho giocato
sporco…” Sussurra
con un sorriso che non sfigurerebbe sulla Monna Lisa.
“Sì,
non c’è dubbio.”
“Tu non avresti
fatto niente.”
Aggrotta le sopracciglia. “Mi avresti lasciata
andare.”
Non replichi. Il fatto che non smetta un secondo di sfiorarti il viso
ti fa
intuire che in qualche modo sta cercando rassicurazioni.
Non sei un uomo semplice.
Non
sei neanche un uomo giusto. Non c’è niente che
dovrebbe attrarre una ragazza
come Lily ad uno come te.
“L’avrei
fatto. E forse dovrei
anche adesso.”
Non sei abituato a pensare che le cose belle possano succedere a te.
Cose
tranquille, magari. Ma non cose belle come avere la donna che ami tra
le tue
braccia.
Non questo genere di cose,
no.
E infatti, credi sia tutta
una
gigantesca allucinazione indotta dal whisky incendiario a cui hai dato
fondo.
Lily non dice niente, ma si
sporge per un bacio. È uno sfiorarsi di labbra, e il sangue
si accende di nuovo
e … le prendi il viso tra le mani e la allontani appena.
Sospira, appoggiando la fronte contro la tua. “Non me ne vado
da nessuna
parte.”
“Sì.”
“Severus, sul serio. Non me ne vado. Non voglio.”
Ti bacia ancora e non riesci
ad allontanarla di nuovo. “Cosa devo fare per
convincerti?”
Il mondo fuori potrebbe
essere
di parere diverso.
Detesti il mondo fuori.
L’hai
sempre detestato. Vorresti, in questo momento, che sparisse, cancellato
da
qualche enorme, spaventosa magia.
“Non
sono…” Sospiri. Ah, le
parole. La ragazzina aveva ragione a dire che siete pessimi. Diventi un
virtuoso solo quando si tratta di fingere. O insultare.
“… non sono
particolarmente bravo in questo genere di pensieri.”
“Pensieri felici?” Indovina.
“Esattamente.”
Un’altra donna ti
avrebbe
giustamente mandato al diavolo per immalinconire un momento perfetto.
La luce
della luna – coreografica al punto giusto – il
rumore delle onde. Il silenzio
in cui è immerso Ardmore e le sue scogliere.
Fortunatamente – o
sfortunatamente per la tua pace interiore – Lily non
è quel genere di donna.
“Posso essere io
il tuo
pensiero felice?”
C’è
stata un’altra donna che
ti ha difeso dai Dissennatori. L’unico Mangiamorte in grado
di produrre un
Patronus.
(Ti chiedi perché quegli idioti non abbiano mai sospettato
nulla.)
Non che tu non ne abbia
avuti,
di pensieri felici. Solo che erano a senso unico, vecchi e dolorosi.
“Lo
sei.” E da molto più
tempo di quel che sospetti – vorresti aggiungere,
ma
lasci perdere. È probabile che lo sappia già.
Ti senti sorridere e dal
modo
in cui ricambia Lily – le leggi sollievo in viso –
sai che almeno questo, lo
stai facendo giusto.
“Stasera non hai
una festa?”
Lily alza il viso dalla Gazzetta, mentre si pulisce da una briciola con
il
lembo di una tua vecchia camicia che ha preteso
di indossare.
(Ha addotto spiegazioni come
la preziosità del kimono e il terrore che ha di sporcarlo.
Certo. Lily che si
preoccupa di un vestito. Credibile.)
È mattina, siete
in cucina e la
ragazzina ha preparato quantità da reggimento. Ti eri
scordato quanto cibo
riuscisse a processare con la leggerezza di un uccellino.
(Digestione Weasley, senza
ombra di dubbio.)
È una di quelle
mattine
gloriose per il Connemara, in cui persino tu apri le finestre per dar
aria alla
casa.
Comunque. Ti senti un
idiota.
Hai finto
di leggere la rubrica di Pozioni per tutta la colazione. La
triste realtà? Hai fissato la giovane donna che hai davanti
per tutto il tempo.
Fortuna ha voluto che non se
ne sia accorta, troppo occupata a divorare un articolo su
chissà cosa.
“Ah,
già…” Borbotta
disinteressata girando una pagina. “La
cancellerò.”
“Lily.” Richiamarla all’ordine
è qualcosa che forse non dovresti fare, dato che
è maggiorenne. Ma ti diverte ancora.
Fa una smorfia afferrando un
altro scone e dandoci un morso.
“Non
ci voglio andare. Di solito è tutta una congiura per farmi
conoscere qualcuno.
Non penso sarà diverso stavolta.”
Accartocci tra le dita la pagina dell’inserto. Immagini
ragazzotti con la bava
alla bocca all’idea di carpire una briciola del suo interesse. “Capisco.”
“Io ho te, che bisogno ho di conoscere ragazzi? Mai avuto,
per inciso.” Replica
ed è surreale come se ne esca con certe frasi che
spiazzerebbero un uomo con uno
sviluppo emotivo normale.
Figurarsi te.
“A proposito di
questo…”
Schiarirsi la voce sarebbe da completi idioti. Riesci a trattenerti.
“Dobbiamo
parlare.”
Inarca le sopracciglia perplessa. “Stiamo
parlando.”
“Seriamente.” E il tuo tono sembra infine
scalfirla, perché hai la sua
attenzione. “Questa situazione va definita.”
Inspiri. Cerchi di scacciarti via
la strana euforia che ti accompagna da ieri sera, orrenda
perché ti rende un
rammollito che fissa una ragazza per un quarto d’ora come se
fosse la cosa più
interessante dell’universo. “Suppongo tu ti renda
conto che avere una relazione
significherebbe andare incontro a molti ostacoli.”
Lily abbandona la lettura del giornale e si appoggia allo schienale
della
sedia. “Ci ho pensato, sì…”
Mormora seria, e per un momento un idiotica
sensazione di panico ti assale.
Comprensibile ci abbia pensato; sei più vecchio di lei,
talmente vecchio che
probabilmente se fossi un babbano potrebbe essere considerata pedofilia
visiva.
Sanno tutti chi sei, e tutti
sanno chi è lei.
Oltre a questi trascurabili
particolari, ci sei tu: un agglomerato di amarezze, rimpianti,
problemi, con un
carattere che è quanto più lontano
dall’essere amabile.
“E sei giunta a
qualche
conclusione, che non sia indossare le mie camicie e depredarmi la
dispensa?”
Benedetto sarcasmo. Lo accogli come un vecchio e complice amico.
Lily ti spiazza con un
sorriso
disarmante. La cosa più sorprendente di lei è che
non si è mai offesa da che la
conosci. Sembra che le tue frecciatine le scivolino addosso.
Meglio. Sembra che la divertano.
Frecce spuntate al tuo arco.
“Sono giunta alla
conclusione
che non ne importa nulla.” Replica serafica e prima che tu
possa chiedere
delucidazioni o imporle serietà, ti afferra la mano al di
là del tavolo e
stringe. “Severus.”
Ed ecco che ha la tua
completa
attenzione. Vecchio pipistrello idiota.
“Mi conosci. Ho
sempre
detestato essere al centro dell’attenzione e le
persone… Quindi, immaginati
quanto mi importa della loro opinione. Non sei ciò che
l’opinione pubblica
vuole per me? Perché dovrebbe importarmi?”
“Ti importerà.”
“Mai importato e dubito che cambierò idea nei
prossimi ventuno, quarantuno e
cento anni.” Mormora sfiorandoti le dita. È buffo
notare come entrambi le
abbiate macchiate oltre ogni speranza: tu dalle pozioni, lei dalla sua
pittura.
È una cosa che ti
fa stare
bene, per quanto sia assurdo.
“E la tua
famiglia?” Sai
quanto vi è legata, a modo suo. Lo sai da come parla
entusiasta dei fratelli
maggiori, di come si sia sempre lamentata dei cugini troppo invadenti.
Da come,
infine, sia in conflitto con Potter perché non riesce a non
volergli bene,
anche se hanno due caratteri incompatibili.
A questo si rabbuia appena.
“A
loro parlerò. Non sono terribili come ti immagini, sono
solo…”
“Weasley e Potter.” Ti esce naturale.
“Precisamente.”
Ghigna. Poi si
alza in piedi e per qualche motivo trovi del tutto ragionevole
lasciarle
sedertisi in grembo. “Non preoccuparti. Posso gestire la mia
famiglia.”
E poi il suono del
campanello squarcia
il silenzio perfetto della casa.
Lily sobbalza, non essendoci più abituata, ma il tuo sguardo
va invece alla
bacheca magica appesa sul frigorifero, ingegnoso artefatto che ti
permette di
sapere esattamente chi è alla porta di casa.
E come nelle peggiori
commedie
babbane, si tratta di Harry Potter.
“Alzati.”
Ordini e Lily,
intuitiva, balza giù guardandoti confusa.
“È tuo padre.”
“Al diavolo!” Esclama di nuovo con quel suo accento
del Devonshire va-e-vieni.
“Come cavolo ha fatto…” Fa una smorfia.
“Ah, giusto. È un Auror.”
Questo spiega molto, in
effetti.
Devi aprire perché hai l’impressione che Potter
entrerebbe comunque, trovando
così la sua adorabile ultimogenita seminuda nella tua
cucina. Con una tua
camicia addosso, tra l’altro.
Oltre ogni
possibilità di
fraintendimento.
Intimi a Lily di non
muoversi
con uno sguardo. Apre la bocca per dire qualcosa, ma non la ascolti,
tirando
dritto verso la porta.
Potter è vestito
a festa ma ha
il solito covone incolto al posto dei capelli; hai notato, dopo la sua
separazione da Ginny e la maretta che ne deve essere conseguita con il
Clan
Weasley, che ha preso a vestirsi come un essere umano.
Supponi che la persona con
cui
convive non tolleri vederlo con accostamenti che pure un barbone
londinese
avrebbe remore ad indossare.
“Professore…”
Mormora
inspirando con la bocca. Materializzazione vivace.
“Lilù è qui?”
Sì, è qui e
starà qui per ancora molto
tempo, se dipende da me. Addio – ma naturalmente
non è il mondo delle
intenzioni, ma dei fatti.
“È di
nuovo scappata?” Chiedi
urbanamente, beandoti del suo viso paonazzo di irritazione e imbarazzo.
Non vi siete lasciati
esattamente in buoni termini: l’ultima cosa che ricordi e che
gli lanciavi
addosso la Passaporta e lo minacciavi di ritorsioni fisiche. Peraltro,
minaccia
ricambiata.
“Non
scherzi.” Sei colpito dal
fatto che non ti abbia colpito; dall’espressione sembrava
averne tutte le
intenzioni. “Ieri sera doveva andare a dormire da Ginny, ma
non si è fatta
vedere… e non ha mandato neppure un Gufo per avvertire sua
madre, o i suoi
fratelli!”
“E perché pensa che possa essere qui, Signor
Potter?”
Tituba di colpo e si passa una mano trai capelli.
“Oh… non.” Si blocca,
realizzando. “Ecco, sì … immagino di
aver pensato che fosse da lei, per
abitudine.” Quasi ti dispiace vederlo così
mortificato per aver pensato la cosa
giusta. “È che
ho paura sia partita
di nuovo senza dire niente a nessuno.”
“Il suo bagaglio è ancora a casa della
madre?”
“Sì, certo.”
“E allora ritengo che non sia salpata per nuove terre, ma che
sia semplicemente
a casa di amici.” Osservi pieno di spirito caritatevole.
Potter annuisce con un
sospiro. “Naturalmente. Mi scusi… è che
sono preoccupato. Le ho anche mandato
dei Gufi ma sono tutti tornati indietro. A parte uno, il suo vecchio
alloco, se
lo ricorda? Magari Ginny ha già avuto risposta.”
“Ne sono
sicuro.” Fai per
augurargli una buona giornata e sbattergli finalmente la porta in
faccia quando
noti la sua espressione. Fissa un punto sopra il tuo tetto e lo fissa
come se
avesse appena visto qualcosa di assolutamente inaspettato.
Segui il suo sguardo e per un attimo persino il tuo consumato aplomb si
incrina.
Il maledetto allocco di Lily
è
appollaiato sul tuo tetto. E
stringe
una dannata lettera nel becco.
“Perché
l’allocco di Lily è
qui?” Si volta verso di te e a questo punto, non resta che
l’onestà.
Edulcorata.
“Lily è
qui.” Dici con tutta
la calma possibile, dato che hai davanti un Auror con licenza di
lanciare
incantesimi mortali e sua figlia in déshabillé
a solo un paio di stanze di distanza. “Non voleva essere
disturbata.”
“Voglio vederla.”
“Pensa l’abbia usata come ingrediente per qualche
pozione? Non sia ridicolo
Potter, sta bene. Sta facendo colazione.” Lo apostrofi con il
tuo miglior tono
gelido. Tentenna per un attimo, ma poi lo sguardo si fa di nuovo
d’acciaio.
“Voglio
vederla.” Ripete
ottuso.
Non ti resta che scostarti
per
farlo passare. Hai la singolare impressione che sia un po’
troppo ansioso dato
le contingenze.
Per quanto ne sa lui, sei solo un vecchio amico d’infanzia.
O per quanto ne sai tu?
“Lily!”
Sbraita. Per un momento
ti chiedi se non si sia davvero convinto che tu l’abbia
uccisa, fatta a pezzi e
nascosta.
E Lily appare. E tu senti il
fiato scivolare via. La sciocca ragazzina non si è
rivestita. È sempre
comodamente infilata nella tua camicia.
E certo, potresti avergliela
prestata in mancanza di pigiama, ma…
“Ciao
papà.” Dice come se
l’avesse incontrato per sbaglio in un caffè,
completamente vestita e da sola.
E poi guardi Potter, pronto
a
qualsiasi reazione inconsulta; perché ha
capito, gli si legge in faccia, nel misto di sgomento,
realizzazione e
orrore che compone la sua espressione.
Grifondoro; sono libri
aperti
e a colori.
Poi accade
l’impensabile; non
urla, non dà di matto come ricordavi amasse fare durante
l’adolescenza. Non
tenta neanche di schiantarti sul colpo.
Perde semplicemente colore.
Diventa talmente pallido che sembra una comparsa di un vecchio film in
bianco e
nero.
“Papà?”
Lily ha un moto di
preoccupazione e diventa un’esclamazione quando lo vedi
appoggiarsi al muro e
inspirare profondamente.
Il-Ragazzo-che-è-sopravvissuto-per-essere-stroncato-da-un-infarto.
“Papà!”
Esclama Lily e gli corre incontro. Si volta verso di te, con
lo sguardo tra lo sgomento e lo spaventato. “Che
cos’ha?”
“Una realizzazione in corso.” Mormori tranquillo, perché sei un
orrendo insensibile. E perché
conosci la progenie di James. “Potter, respira. Dobbiamo
parlare.” Gli intimi
sbrigativo. “Mi seccherebbe conversare con un
morto.”
Potter, che è
sempre lo stesso
ragazzo insopportabile e arrogante, pare riscuotersi di colpo. Riprende
colore,
perlomeno quello sufficiente a riuscire a raddrizzarsi e parlare.
“Lilù, puoi
lasciarci soli?” Mugugna.
“Certo, così tirate fuori le bacchette!”
Esclama, e non ha tutti i torti. Anche
tu pensavi ad una risoluzione simile. I maghi non hanno molti modi per
confrontarsi quando sono in preda a forti emozioni, e i Duelli sono
ancora
estremamente in voga.
Specie tra gli ex-Grifondoro.
Lanci un’occhiata
a Potter e
rifletti. “Lily, non credo ci scontreremo a suon di
incantesimi. Esci.”
“Di casa? Neanche per sogno!”
“Esci.” Le intimi senza mezzi termini, e ti fissa
come per dirtene quattro, ma
alla fine capitola con un sospiro. Ha capito che la sua presenza per il
momento
è più o meno come un Molliccio per il padre.
‘La
mia più grande paura? Oh, vedere mia figlia andare
a letto con il mio ex-professore.’
“Resterò
nei paraggi. E…”
Esita. “… vacci piano con lui, okay?”
“Naturalmente.” Menti con disinvoltura.
Quando si è
chiusa la porta
alle spalle, Potter riprende a respirare come un uomo normale e non
come un
moribondo.
“Lei…”
Esordisce. Fa una lunga
pausa. “Ha qualcosa di forte in casa?”
Lo scruti perplesso, ma dopotutto è quasi una domanda
legittima data la
situazione. “Whisky incendiario.”
“È perfetto. Ha anche un salotto?”
“Ho una casa,
Potter.”
Si infila in salotto senza una parola e quasi non te la senti di
riprenderlo.
Lo segui e versi due bicchieri, allungandogliene uno.
Il fatto che non abbia
ancora
iniziato ad urlare come una banshee, vomitandoti addosso tutto quello
che già
sai… non sai se è un bene o un male.
Vuota di un colpo il
bicchiere. E poi ti pianta gli occhi addosso.
Per anni è stata
una tortura
guardarlo in faccia. Anche solo cercarlo tra la folla. Un supplizio a
cui ti
sottoponevi ogni giorno che il ragazzo metteva piede nei tuoi spazi
vitali. Per
espiare.
Adesso ti scopri a notare
che
ha solo gli occhi verdi. Quegli
occhi. Ma occhi.
“C’è
andato a letto?”
Non ti aspettavi fosse così diretto, ma dopotutto
è quasi un sollievo.
“Sì.”
Una semplice sillaba e
Potter potrebbe ammazzarti seduta stante e probabilmente
l’opinione pubblica lo
giustificherebbe.
Riprovevole.
Un uomo così vecchio, con quel passato poi…
con ragazza così giovane, così innocente.
Che
cosa disgustosa.
Lo vedi stringere il
bicchiere
e quasi ti aspetti che lo rompa. Invece no. Ha miglior controllo di te,
è
shockante.
Lo è sul serio.
“Voglio solo
sapere una cosa…”
Il suo tono è estremamente basso, e per un momento immagini
che Voldemort abbia
sentito proprio questo timbro ad un passo dalla fine.
È piuttosto
credibile.
“…
è perché vuole trovare un
surrogato di mia madre?”
Non sai neanche come sei scattato in piedi. Ti trovi a stringere il
pugno e poi
ricordi che la bacchetta è rimasta in cucina, vicino al
bollitore del the.
Potter non si è mosso e continua a fissarti.
“Come
osi…”
“Oso eccome.” Replica asciutto. “Stiamo
parlando di mia figlia. E non sarò il
padre migliore del mondo, ma è mia
figlia, e lei è stato incapace di amare chiunque tranne mia
madre. Oso eccome.”
Ripete. “Non permetterò che lei la
usi…”
“Potter, un’altra parola e giuro che dovranno
ripescare il Bambino
Sopravvissuto nelle profondità
dell’Atlantico!” Ringhi. Senti la rabbia
scorrerti addosso come da anni non ti succedeva. “Se pensi
che sia così
meschino da investire Lily di un peso simile, allora non ha avuto il
minimo
senso che ti abbia dato quei ricordi.”
È il momento di parlare. Odi esporti, ti sembra di
strapparti la carne di
dosso, ma devi.
Per Lily. Questa Lily. La tua Lily.
Potter ti fissa e batte
velocemente le palpebre. “Non credo di aver
capito…”
“Ho amato tua madre, ma lei non mi ha mai amato.”
Ispiri lentamente e vedi una
vaga scintilla di pena brillare nello sguardo di Potter. Vorresti
ammazzarlo,
ma continui. “… è una cosa con cui sono
venuto a patti, da anni ormai. Non la
incolpo, a quel tempo ero oltre la possibilità di essere
perdonato. O amato,
per quanto vale.”
Continua a non parlare e
gliene sei grato, perché una sola obiezione ti farebbe fare
qualcosa di
inconsulto.
Certe cose non cambiano mai.
‘Posso
essere io il tuo ricordo felice?’
Inspiri lentamente, e
continui
più calmo. “So il motivo per cui l’hai
chiamata Lily. O perché hai dato una
sfilza di nomi ingombranti agli altri due.”
Lo vedi sussultare appena.
“Non le somiglia affatto. Perché è
così che funziona, Potter. Ogni persona è
unica. Nel bene e nel male.” Dici e poi, semplicemente,
concludi. “Lei è morta.
Non tornerà.”
Segue un lungo silenzio.
“Lo so.”
Sussurra infine, e il
lampo di dolore che gli cogli nell’espressione, beh, lo
condividete tutto. “Merlino…”
Si passa una mano trai capelli. “… ho detto una
cosa orribile di mia figlia,
non è vero?”
“Se fossi stato un
uomo
diverso avrei preso la bacchetta, Potter.” Replichi, ed
è un sì, ma sei
abbastanza magnanimo da girarci intorno. “Fortunatamente
conosco la tua
riprovevole inclinazione a dar aria alla bocca.”
Fa un mezzo sorriso, stanco. “Sì, immagino di
averlo fatto.” Fissa il bicchiere
vuoto. “Mi dispiace.”
Di tutte le cose che avresti pensato sarebbero uscite dalla bocca di
Potter,
questa era l’ultima. Anzi, non era direttamente contemplata.
Ti siedi di nuovo e vieni
ghiacciato da una nuova domanda. “La ama? Perché
per Lilù… lei è…
più o meno la
cosa più importante del mondo.” Sospira ed
è incredibile, sta sorridendo.
“All’inizio pensavo fosse
perché era l’unico che non rimaneva male ai suoi
silenzi … perché la capiva. Ma
c’è di più, vero? Ecco
perché mi ha aggredito in quel modo, l’ultima
volta.”
Annuisci, troppo sbalordito
dalle sue capacità di deduzione. E dal fatto che non stia
cercando di
ucciderti.
“La
ama?” Di nuovo.
“No, mi
è indifferente. Ho
rischiato di provocare un infarto all’Eroe del Mondo Magico
per un capriccio.”
Sbotti e ti aggrappi alle profondità del tuo whisky.
Senti un rumore provenire
dalla sua poltrona, e speri che si sia strozzato con la sua saliva.
Invece sta ridacchiando.
“Sa…”
Dice ed è certo,
qualcuno ha corretto il whisky con un potente allucinogeno.
“Se si va oltre il
fatto che insulta praticamente chiunque ogni volta che le si fa una
domanda, ha
un senso dell’umorismo niente male.”
Oh, per la barba di Merlino.
“Potter, non
l’ho sviluppato
negli ultimi anni. L’ho sempre avuto.”
“Non avevo un gran senso dell’umorismo da
ragazzo.” Sorride quieto. “Uno
psicopatico cercava di uccidermi e dominare il Mondo Magico. Non suona
molto
divertente, no? E poi lei era davvero odioso con me.”
Potter conosce la sottile
arte
dell’ironia. Ed è simile a quella di Lily,
perché è l’unico motivo per cui ti
senti quasi bendisposto nei suoi confronti.
Oltre al fatto che non ti ha
giustiziato.
“Le
sta… bene?” Chiedi, perché
ormai la curiosità va oltre il tuo naturale riserbo.
Scrolla le spalle.
“Ho
sconfitto Voldemort perché sapevo che amare qualcuno
è qualcosa più forte del
buonsenso o della propria stessa vita. Di tutto, in realtà.
Sarei un ipocrita
se impedissi ai miei figli di amare chi amano.” Si toglie gli
occhiali e li
pulisce con il fazzoletto del taschino. Un fazzoletto; chi se
l’è preso in casa
l’ha addomesticato.
“E poi… so cos’è
capace di fare lei, per amore.”
Lui e Lily hanno la stessa
capacità di dire cose pesanti con la leggerezza di una
conversazione da bar.
Si rinfila gli occhiali, e
si
alza. Lo imiti per non restare a fissarlo come la statua di sale che ti
senti
di essere.
“Credo…
mi ci vorrà un po’ per
digerire l’intera faccenda.” Ammette con una
smorfia imbarazzata. “E conoscendo
Lily, finiremo per litigare se… Beh. Cercherò di
forzare le cose.” Sbuffa. “Può
dirle che…” Esita.
“Le
dirò che tornerà a
trovarla.” Decifri.
Harry Potter Il-Dannato-Ragazzo-Sconcertante sorride.
“Grazie.” Ti tende la
mano e non c’è nulla da fare. Devi stringerla. La
stringi.
Devi ammettere che Potter ha
gli occhi che si merita. Ma non lo ammetterai mai ad alta voce.
“Si prenda cura di lei.” Stringe e poi lascia la
presa.
“È mia
precisa intenzione.”
Annuisce e poi, con un colpo
di vento, si è smaterializzato.
Lily è seduta in
mezzo
all’erba, nel digradare lento che porta alla scogliera. Si
alza in piedi quando
ti sente arrivare. Ovviamente ti avrà sporcato tutta la
camicia d’erba. Puoi
fartene una ragione.
“Va tutto
bene?” Ti scruta.
“Sei tutto intero.” Mormora meravigliata.
“Tuo padre è un Auror, non un
macellaio.” Replichi.
Ti scruta diffidente. “Tu che lo difendi? Che vi siete
detti?”
“Alcune cose.”
“E me le dirai?”
“Alcune di esse, sì. A tempo debito.”
Sbuffa, ma sorride. Le
brillano gli occhi in quest’estate irlandese. Ed
è, in effetti, estate
finalmente. Anche per te.
Le tendi la mano e lasci che
si stringa in un abbraccio, baciandoti il viso e le labbra quante volte
vuole.
Le baci i capelli rossi come il fuoco, ricci, ribelli.
Lily è una figlia
del
Connemara. Ha avuto natali altrove, certo, ma sembra che sia sempre
stata qui.
In un certo senso, ti senti figlio anche tu di questa terra aspra, che
ha
saputo accoglierti e perdonarti.
“Sembri
felice.” Dice
accoccolata al tuo petto. “Lo sei o mi sbaglio?”
“Non ti sbagli.” Ammetti.
“D’ora
in poi lo sarai
sempre.” Ti mormora all’orecchio. “Saremo
felici sempre, te lo prometto.”
Sei quasi incline a crederle.
Saresti dovuto morire in
quella vecchia catapecchia, con la gola squarciata e gli occhi pieni di
una
donna che hai amato senza speranza.
Invece sei qui, con una
vecchia cicatrice fibrosa, una casa sul ciglio del mondo e una donna
che ti
promette quel sempre che hai
cercato
per tutta la vita.
È chiaro che il
Destino, il
Fato o chi per lui, non aveva ancora finito con te.
Lo senti quasi sorridere.
E
i giorni
passavano e l'oceano li stava a cullare
e
il vento alla fine del mondo portava un canto del mare…
****
Note:
Un’epopea
praticamente. Argh. Però mi son
divertita da matti.
La realtà è che la seconda persona è
uno spasso. Ed è peggio di una droga.
Questa
la canzone che fa da colonna sonora al capitolo. Di
solito non uso
canzoni italiane, lo trovo… inadatto. Però
questa, cavolo, è perfetta.
1.White
Bush: variante del Bushmill, whiskey irlandese della Contea
di Antrim, dove
si trova l’omonima città.
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