Are you curious,
nanny?
Sapevo
quando ho acconsentito ad
affittargli quelle stanze, rinfrancata dalla presenza del caro dottore,
che
Holmes era un tipo strano, ma ammetto che in questo periodo
è arrivato a dei
livelli davvero preoccupanti.
Ormai
posso affermare con una
certa sicurezza che è in una delle sue pause tra due casi,
ma saranno quasi due
settimane che non mi permette di entrare nella sua stanza, e quando gli
faccio
presente che dovrei perlomeno provare a riordinare un
po’ di quel caos che una
volta era una delle camere, mi rivolge uno dei suoi “nonnina”, conscio di irritarmi.
Per lui è tutto perfettamente al
suo posto.
Anche
se il concetto di ordine è
molto relativo per un uomo che più di una volta ho trovato a
dormire per terra.
Ogni
volta che mi chiede un tè
sono costretta a lasciare il vassoio fuori dalla porta, bloccata
dall’interno
con chissà quale diavoleria, pregando per riaverlo al
più presto.
E
non oso immaginare cosa stia
tramando tra quelle quattro mura: più di una volta
l’ho trovato a testare
anestetici e composti chimici sul cane, rischiando seriamente di
ucciderlo, o a
costruire chissà quale marchingegno.
Ah,
se solo il mio defunto marito
fosse ancora vivo, ci penserebbe lui a farmi rispettare.
Per
fortuna che c’è il Dottor
Watson; davvero, non so cosa farei senza di lui, che sembra essere
l’unica
persona che riesce a farsi ascoltare da Holmes. In effetti non capisco
come
facciano ad essere così amici, considerate le tante, per
fortuna, differenze
caratteriali.
“Buonasera
signora Hudson.” Lo
vedo rientrare, togliendosi cappotto e cappello, sorridendomi cortese.
Beata
chi se lo sposa, il
dottore.
“Oh,
grazie al cielo è tornato,
Dottore.” Gli vado incontro. “Il signor Holmes non
mi permette ancora di
entrare nella sua stanza. Ma sono quasi due settimane! La prego, lo
convinca
lei”.
“Farò
quello che posso, ma non le
garantisco niente.” Annuisce, iniziando a salire i primi
gradini delle scale,
poggiandosi al corrimano. È una giornata molto umida, la
gamba deve dolergli
molto.
Lo
vedo bussare alla camera del
detective, con un imperativo “Holmes, apra la
porta!”, e neanche tre secondi
dopo sento il rumore di un mobile che viene spostato. La porta si apre.
“Watson!
C’ha impiegato tutto il
giorno!”
“Sa
com’è , Holmes, io ho un
lavoro…”
ribatte ironico e pungente, tanto da farmi sorridere. Ma sembra che,
come al
solito, la sua provocazione non sia stata colta.
“Anche
io, ma non per questo sto
fuori tutto il giorno.”
E
detto questo lo prende per un
braccio e lo trascina dentro la camera, richiudendo subito dopo la
porta,
sprangandola come al solito. Ed io non oso immaginare i graffi che quel
mobile
avrà provocato sul pavimento, nel venire spostato con la ben
poca grazia che
contraddistingue il signor Holmes.
Per
quasi un’ora non ho più
notizie dei due, a parte qualche leggero tonfo, come se qualcosa
venisse
sbattuto sul pavimento, che mi rassicura della loro presenza. O per
meglio
dire, non mi rassicura.
Poi
ad un certo punto, mentre sto
tranquillamente ricamando un centrino…
“SIGNORA
HUDSON!”
La
voce di quell’incubo di uomo
mi giunge alle orecchie, facendomi sussultare.
Non
mi abituerò mai.
Prendo
un bel respiro, poi mi
alzo e arrivo nell’ingresso dove, da sopra le scale, vedo la
sua testa, con
tutti qui capelli arruffati, fare capolino dalla stanza.
“Si,
mister Holmes?” chiedo a
denti stretti, sforzandomi di sorridere, maledicendo il giorno in cui
gli ho
permesso di insediarsi in casa mia.
“Ci
porti del tè. Grazie.” Ricambia
il sorrisino, poi sparisce,barricandosi nuovamente dietro la sua porta.
Quanto
è vero Iddio, prima o poi
gli do lo sfratto.
Preparo
il tè, lasciandolo in
infusione il tempo necessario, poi metto la teiera su un vassoio,
insieme a due
tazzine e a qualche biscotto, e salgo le scale.
Arrivata
sul pianerottolo sento
la voce del dottore, e subito dopo una risata sommessa di Holmes, per
poi
sentirli tacere all’istante quando busso alla porta.
Ma
che succede?
“Il
tè, Mr. Holmes…”
Si
schiarisce la voce, poi mi
risponde un “Si… Lo lasci pure fuori dalla porta, nonnina”.
Alzo
gli occhi al cielo.
Neanche
un grazie. Come sempre.
Lascio
il vassoio a terra, la
schiena che mi duole a causa dell’età, e me ne
torno nel mio salotto, al mio
ricamo.
Dopo
pochi minuti sento il
pavimento scricchiolare, il mobile che viene nuovamente spostato, la
porta
aprirsi.
E
poi soltanto passi.
Holmes
non ha bloccato la porta.
E state sicuri che non perderò l’occasione; sono
la padrona di casa, merito un
po’ di rispetto, posso entrare in quella camera quando
voglio, e devo
assicurarmi che il dottor Watson non si sia fatto coinvolgere in una
delle sue
strambe e pericolose idee.
Oh,
povero, se gli succedesse
qualcosa non potrei mai perdonarmelo.
Salgo
le scale con cautela,
cercando di non fare rumore perché quel detective
è davvero più scaltro di una
volpe!
L’ultimo
gradino scricchiola e mi
immobilizzo all’istante, però per fortuna dalla
stanza non si sentono altri
rumori a parte la voce di Holmes. Sì, perché da
aggiungere alla già lunga lista
dei suoi comportamenti ci sono i suoi lunghi periodi di silenzio
intervallati
da momenti in cui è un fiume di parole in piena. Questo
sembra uno di quei
momenti, forse anche grazie alla presenza del caro dottore; sembra
l’unico ad
avere dell’ascendente su di lui.
Poso
la mano sulla maniglia della
porta e quasi trattengo il respiro.
Non
so perché, ma ho un
presentimento. Qualcosa mi dice che non dovrei aprire questa porta, ma
d’altro
canto il mio pensiero corre a questa stanza messa a soqquadro, la mia
teiera ed
il servizio da tè…
Devo
entrare.
Sì.
Faccio
scattare la serratura e mi
faccio strada nella stanza, come al solito scarsamente illuminata.
E
rimango immobile qualche
secondo, a bocca aperta, quando riesco a mettere perfettamente a fuoco
l’immagine che mi si para davanti, di fronte a loro
due e al
loro atteggiamento; c’è
il dottore seduto sul
tappeto, la schiena poggiata ad una poltrona, intento ad accarezzare i
capelli
di Holmes, sdraiato con la testa sulle sue gambe.
Sono entrambi a petto nudo, scalzi, con solo
i pantaloni indosso.
Sorridono
mentre Holmes sussurra
qualcosa che non capisco.
Gli
stessi sorrisi che svaniscono
all’istante quando si accorgono di me. Istante in cui Holmes
scatta seduto sul
tappeto e Watson sgrana gli occhi, rivolgendomi uno sconvolto
“Signora
Hudson!”.
Silenzio.
Non
sembra volare una mosca in
tutto questo caos, mentre io sono sempre pietrificata sulla soglia, con
i loro
occhi addosso, rispettivamente ansiosi ed indagatori.
È
assai imbarazzante come
situazione.
Ovviamente
è il signor Holmes,
con la sua solita sfacciataggine, a rompere il silenzio.
“Desidera
qualcosa?” Mi chiede
con quella sua tipica espressione falsamente innocente, cosa che mi fa
davvero
pensare di non aver equivocato alcunché del loro
comportamento di poco fa, dopo
aver emesso un leggero colpo di tosse per schiarirsi la voce.
No,
non è possibile, deve esserci
una spiegazione.
Sì,
è così, deve esserci. Watson
ha perfino una fidanzata.
Li
guardo ancora qualche secondo,
adesso in imbarazzo nel vedere due uomini a petto nudo, poi faccio un
passo
indietro ed esco dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle.
Ed
è con passo incerto, mentre li
sento urlare un allarmato “Mrs. HUDSON!!” che
comincio a scendere i primi
gradini delle scale di questa casa, in cui ho vissuto gran parte della
mia vita
col mio defunto marito.
Non
voglio sapere niente.
Niente.
No.
Non
voglio sapere.
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