Oceani_4
ATTO IV:
ROSEAU › MAR DEI CARAIBI, 1768
SHIVER ME
TIMBERS!
[1]
Essere
riusciti ad arrivare fino a Roseau
con
quella
bagnarola ridotta in quello stato pietoso era un vero e proprio
miracolo. Avevo
creduto che saremmo affondati ancor prima che la nostra caravella
prendesse il
largo o giungesse nei pressi di Plymouth, interrompendo così
bruscamente il
viaggio in cui ci eravamo imbarcati. Invece eravamo sopravvissuti.
Contro ogni
previsione, certo, ma eravamo sopravvissuti. L’unico problema
era che, adesso,
quella nave era quasi del tutto inutilizzabile.
Era ciò a cui pensavo mentre
me ne
stavo seduto al tavolo di una pessima locanda lì a Roseau in
compagnia degli
unici due componenti della mia ciurma, che si stavano ingozzando come
maiali
davanti ai miei occhi. L’aria era asfissiante e puzzava di
sudore, carne
stantia e whisky scadente, e il caldo era così
insopportabile che mi ero
liberato della casacca per restare solo in camicia. Patrick e Cid,
invece,
sembravano non essersi accorti di niente o non farci minimamente caso,
troppo
intenti a consumare le pietanze che avevano dinanzi con
voracità, quasi non
mangiassero da giorni. E, beh, quello era quasi del tutto vero.
Sbuffai sonoramente e abbassai lo
sguardo nel mio piatto, scansando svogliatamente qualche pezzo di carne
che
avevo precedentemente tagliato. A differenza loro, io non avevo tutta
quella
gran voglia di mangiare. Ero stato tormentato per tutto il viaggio dal
pensiero
di quella stupida mappa, senza capacitarmi del perché Cid
avesse deciso di rubarla.
Era sempre stato affascinato da cartacce varie e cimeli antichi, era
una cosa
di cui ormai ero a conoscenza, però non aveva molto senso di
inimicarsi la
marina solo per una stupida mappa. Avrei preferito fare qualcosa di
più
grandioso se proprio dovevo ritrovarmela fra i piedi.
«Lei non mangia,
Capitano?» Alzai
lo sguardo non appena la voce di Patrick si fece largo fra i miei
pensieri, e
sbattei le palpebre per osservarlo in viso. Durante quella nostra
traversata di
era calmato pian piano e aveva cercato di seppellire momentaneamente
nei
recessi della sua mente la bombardata che avevamo subito, capendo
subito da
solo che soffermarsi su quel determinato avvenimento non avrebbe
portato
praticamente a nulla. Ragazzo intelligente.
Scossi di poco il capo e fissai
Cid, chiedendomi come facesse ad essere così tranquillo ora
che ci trovavamo
sulla terra ferma. Beh, a ben pensarci non avrei dovuto stupirmi
più di tanto. «Dobbiamo
procurarci una nave, Cid», lo riportai all’ordine,
vedendolo alzare lo sguardo
con fare confuso. Aveva la bocca piena ed entrambe le mani occupate,
visto che
con una reggeva un boccale colmo di liquore e con l’altra la
forchetta, sulla
quale era stata infilzata così tanta carne che ebbi quasi la
netta impressione
che alcuni pezzi potessero ricadere nel piatto da un momento
all’altro.
«A quella ci penso
io», bofonchiò,
sputacchiando qualche frammento di carne prima di annuire convinto e
inghiottire. «Ne sceglierò una con le contro
palle. Vedrai che ti piacerà da
morire, Gale».
«Sceglierla?»
ripeté Patrick,
fissandolo attento. «Che significa?»
«Che la prenderò in prestito,
mi sembra ovvio». Mimò la parola con le virgolette
non appena ebbe le mani
libere, sorridendo divertito nel vedere l’espressione
incredula che si era
dipinta sul volto del ragazzo. «Andiamo, cosa ti aspettavi?
Che andassi lì e la
comprassi tranquillamente? Siamo pirati, per tutti i
pescecani».
«Lascia stare il ragazzo,
Cid»,
rimbeccai sarcastico, scostando da me il piatto che avevo dinanzi per
concentrarmi invece sul mio boccale. Ignorai il fatto che il mio vice
avesse
adocchiato il mio cibo e sbuffai, aggiungendo, «Questa non
è la sua vita».
Patrick, però,
aggrottò la fronte.
«Ma posso imparare», replicò in tono
serio, stringendo la presa sulla forchetta
e maledicendosi per averlo fatto pochi istanti dopo. Gli avevo fasciato
le dita
e le mani con delle garze non appena avevo potuto, giacché
le ferite che si era
procurato non avevano smesso un secondo di sanguinare. Aveva anche un
taglio
sul viso, ma quello l’avevamo tralasciato perché
era poco più di una ferita di
striscio.
Mi grattai la testa, brontolando,
«Per
essere un pirata devi essere pronto a tutto, anche ad uccidere, se
necessario».
Lo vidi deglutire e, prima che tornasse ad aprire bocca per ribattere,
lo
fermai alzando bruscamente una mano. «Non una parola,
Patrick. Torna a mangiare».
Cid non poté fare a meno di
ridacchiare per l’espressione che si era dipinta sul volto
del ragazzo, che
aveva aggrottato le sopracciglia con fare nervoso e incrociato le
braccia al
petto, gonfiano le guance come un moccioso. Che si arrabbiasse pure;
meglio
vederlo nervoso che vederlo morto o ridotto ad un pirata della peggior
specie.
Non che io e Cid fossimo poi dei così bravi ragazzi,
però... avevamo i nostri
limiti e cercavamo di non superarli, se riuscivamo ad evitarlo.
Fu proprio a quel punto che, una
volta terminata del tutto la propria cena - ed essersi mangiato anche
ciò che
avevo rimasto nel piatto, dannazione a lui -, Cid tirò fuori
dalla tasca quella
maledetta mappa che aveva rubato, sorridendo al mio indirizzo.
«Guardala, non è
fantastica?» mormorò con occhi sognanti, e ci
mancò poco che cominciasse a
baciare con ardore quel pezzo di carta, neanche si fosse trattato di
una donna
focosa. «Apparteneva al grande Barbanera in persona, e pare
sia stata
confiscata anni fa a causa del segreto che gravava su di
essa».
«Che razza di
segreto?» domandai
con scarso entusiasmo. Per me restava solo una mappa come
un’altra.
«Nessuno lo sa con
certezza»,
rispose. «La marina cerca di capirlo dal giorno in cui
l’hanno presa, si dice,
ma pare che nasconda luoghi di tesori formidabili. Non mi meraviglio
che quel
Commodoro volesse tenersela a tutti i costi».
Sollevai un sopracciglio.
«Credi
davvero che sia per questo motivo?»
«E per cos’altro,
altrimenti?» mi
chiese stralunato, abbassando lo sguardo sulla mappa. Segnava tutto il
mar dei
Caraibi e le varie isolette che lo popolavano, ma era così
logora che diversi
punti si erano cancellati, mostrando unicamente zone morte.
Feci per rispondere, ma al mio
posto parlò Patrick. «Non sarebbe poi
così strano, conoscendo il Commodoro
Waine», ci informò, e ci voltammo entrambi ad
osservarlo. Aveva abbassato lo
sguardo e fissava ostinatamente il piatto ormai vuoto che aveva
dinanzi, la
fronte aggrottata per la concentrazione e le mani chiuse a pugno
poggiate sulle
cosce. «E’ un ufficiale spietato e senza scrupoli,
quasi al pari di parecchi
pirati che solcano questi mari. Ne ha trucidati a centinaia e ne ha
pedinati
altrettanti, volendo a tutti i costi assicurarli alla giustizia...
peccato che
i suoi metodi siano poco ortodossi». La voce gli divenne
incerta e arricciò il
naso, disgustato. «Come se non bastasse, poi, è
uno a cui piace incutere timore
persino fra i suoi uomini. Tre mesi fa ha impiccato uno dei suoi
sott’ufficiali
solo perché l’aveva sentito commentare
negativamente il suo modo di agire». Lo
vidi rabbrividire sotto i miei occhi, e fu solo a quel punto che
alzò lo
sguardo su di noi. «Le sue angherie e la sua avarizia non
hanno limiti... non
mi meraviglierei del fatto che voglia tenersi quella mappa e carpirne
il
segreto».
Lo sguardo che ci lanciammo io e
Cid non lasciò spazio a fraintendimenti alcuni:
quell’uomo, che eravamo sicuri
si fosse messo sulle nostre tracce, rappresentava un pericolo che
avremmo
dovuto evitare per il raggiungimento ultimo del nostro obiettivo. Non
potevamo
farci fermare da uno stupido ufficiale della marina.
«Arricchendosi potrebbe
consolidare il suo potere», costatai d’un tratto,
grattandomi il mento con fare
pensoso, «e la cosa risulterebbe più complicata di
quanto non lo sia adesso per
ogni singolo pirata del mar dei Caraibi». Scoccai
un’occhiata a Cid, dando vita
ad un mezzo sorriso sarcastico prima di sporgermi verso di lui per
dargli una
sonora pacca su una spalla. «Tutto sommato hai fatto bene a
rubare quella
mappa, figlio d’un cane che non sei altro».
Abbozzò a sua volta un
sorriso,
facendo un cenno galante con il capo. «Te l’ho
sempre detto che puoi fidarti
ciecamente di me, oh mio Capitano», rimbeccò
divertito, afferrando il proprio
boccale e spronando noi a fare lo stesso. Patrick gli gettò
un rapido sguardo
prima di prenderlo a sua volta, e lo feci anch’io alzando un
po’ lo sguardo al
soffitto, brindando con loro per un motivo che neanche noi eravamo
sicuri di
conoscere.
Passarono un altro paio d’ore,
durante le quali cercammo di fare il punto della situazione e di capire
come
avremmo dovuto riprendere il nostro viaggio; Cid continuava a dire di
voler
rubare una nave piccola e veloce che ci avrebbe permesso di prendere il
vento
in poppa e di seminare eventuali imbarcazioni della marina, mentre
Patrick,
ancora segnato dall’avvenimento accaduto poche ore addietro,
discuteva con lui
animatamente e insisteva con il voler prendere qualcosa di
più simile ad un
galeone - molto più grosso e resistente -, provando a fargli
cambiare idea. Dal
canto mio, tra l’altro, li lasciavo semplicemente fare. Quel
che volevo era
semplicemente andarmene il più in fretta possibile da
lì e prendere nuovamente
il largo, visto che avevamo perso già fin troppo tempo in
quella parte del mar
dei Caraibi.
Con le orecchie ormai piene delle
chiacchiere di quei due distolsi lo sguardo, facendolo vagare
distrattamente in
quella bettola come se volessi controllare i clienti presenti; brutti
ceffi
della peggior specie erano seduti ai tavoli a consumare a loro volta la
cena,
mentre altri si sollazzavano con le poche donne presenti dai seni
prosperosi e
in bella mostra. Tutto sommato l’atmosfera era piuttosto
vivace, ma essa si
frantumò nel momento esatto in cui la porta della locanda si
aprì e fece il suo
trionfale ingresso un uomo in divisa che mi sembrava di aver
già visto, e non
ci misi molto a capire di chi si trattasse: il Commodoro Waine alla
fine ci
aveva trovati.
Imprecai a denti stretti e,
afferrando quegli altri due idioti per la camicia che indossavano, mi
fiondai
verso il primo muro che riuscii a trovare, portandomeli dietro in
fretta e
furia e sfruttando esso per nasconderci. Ci misero un po’ a
rendersi conto del
mio gesto, e prima ancora che Cid potesse aprir bocca per protestare
gli voltai
la testa verso la ressa della locanda, vedendolo sgranare gli occhi
subito
dopo. «Dannazione, proprio non molla quel tizio,
eh?» sussurrò a mezza voce, lo
sguardo ancora puntato sul Commodoro. Si era poggiato con entrambe le
braccia
al bancone e stava parlando animatamente con il locandiere, sventolando
con
fare nervoso un foglio spiegazzato dinanzi al suo viso. Non riuscendo a
capire
che cosa fosse, sgranai gli occhi nel rendermi conto che quello era un
manifesto da ricercato, e impallidii nel vedere di sfuggita il volto di
Cid su
di esso. Ci avevano messo davvero poco a procurarsi un ritratto e a
ficcargli
una taglia sulla testa, maledizione.
«Adesso puoi considerarti un
vero
pirata, Cid», lo sfottei sottovoce, al che lui si
girò e mi scoccò
un’occhiataccia, nascondendosi poi dietro al muro quando vide
il Commodoro
volgere uno sguardo nella nostra direzione. Ci rendemmo conto che il
locandiere
non aveva aperto minimamente bocca solo quando sentimmo il Commodoro
imprecare
contro di lui, e con la coda dell’occhio lo vidi affiggere
quel manifesto al
muro accanto al bancone, srotolandone un altro dalla tasca per fissare
anche
quello accanto al primo. Fu con somma sorpresa che mi accorsi che
quello era il
mio mandato di cattura, e sebbene non vi fosse scritto alcun nome, quel
“Vivo o
morto” quasi marchiato a fuoco lasciava benissimo intendere
che alla marina
importava ben poco. Och, beh, almeno la somma per la mia testa era
quella che
era. La cosa che mi rallegrò fu vedere che non ce
n’era uno anche per il
ragazzo. Avrebbe ancora potuto star tranquillo.
«Se li vedete»,
cominciò poi il
Commodoro, picchiettando l’uno e l’altro con un
dito, «dovrete informare
immediatamente la marina. Ogni intransigenza sarà
severamente punita secondo la
legge. Non provate a catturarli... quei due stronzi sono
miei».
Quelle parole le pronunciò con un ringhio
rabbioso prima di
continuare. «Hanno con sé anche un ostaggio: un
ragazzo magrolino e di media
statura, con lunghi capelli castani legati in un codino. Il padre lo
rivuole
indietro».
Al mio fianco sentii Patrick
sussultare, e si passò le mani sulle braccia come se avesse
freddo; lo guardai
per capire che cosa gli fosse preso, ma lui ricambiò la mia
occhiata e
indietreggiò, pestando senza volerlo la coda del gatto della
moglie del
proprietario. Quest’ultimo miagolò e
drizzò il pelo sulla schiena, soffiandogli
contro e richiamando l’attenzione del locandiere e del
Commodoro, che si voltò
nella nostra direzione.
Ciò che successe in seguito
accadde
come a rallentatore: il Commodoro sgranò gli occhi nel
momento esatto in cui ci
vide, imprecando a denti stretti prima di correre verso di noi che,
d’altro
canto, ce l’eravamo letteralmente data a gambe non appena
l’avevamo visto
muoversi. Non ci voleva proprio. Avevo sperato di riuscire a
sgattaiolare fuori
di lì senza farci scoprire, ma a quanto sembrava mi ero
sbagliato.
Imboccammo un vicolo in cui
provvidi a rovesciare i barili riposti contro il muro di uno dei
palazzi, così
da rallentare quel figlio d’un cane che ci veniva ancora
dietro; incespicò e
quasi rischiò di cadere, ma si mantenne in piedi per
miracolo prima di
riprendere la sua folle corsa. Tornai a guardare avanti, imprecando a
denti
stretti. Quel tipo non mollava proprio. «Cid!» Il
mio vice si voltò appena
verso di me, affrettandosi a riportare lo sguardo dritto dinanzi a
sé ed
evitando per un pelo una fila di casse di legno. «Porta
Patrick con te, io
proverò a farmi seguire! Ci rivediamo al porto tra dieci
minuti esatti!»
Non si voltò, ma
alzò una mano per
farmi intendere d’aver capito. «Vedi di non
tardare, idiota!» esclamò di
rimando, accostandosi a Patrick e svoltando svelto insieme a lui verso
sinistra; lo vidi scomparire in quella stradina nel momento esatto in
cui un
colpo di pistola mi fischiò sinistramente
nell’orecchio, passando oltre.
Sgranai gli occhi e aumentai la mia andatura, lanciando un grido
allarmato
quando un secondo colpo rischiò quasi di centrarmi una
gamba. Aveva difatti
beccato il marciapiede, ma ci era andato maledettamente vicino.
Con una capriola, mi gettai a
sinistra, inzaccherandomi il giaccone in una pozza di fango creatasi a
causa
della precedente pioggia; per quanto tenessi a quel logoro e vecchio
cappotto
non vi diedi momentaneamente importanza, afferrando a mia volta la
pistola che
tenevo alla cintola per puntarla svelto verso il Commodoro. Non
vedendolo più
dietro di me, però, mi accigliai. Dove diavolo era finito?
La risposta mi
giunse così in fretta che quasi capitai a capire esattamente
cosa fosse successo,
sentendo il sinistro arretrare del cane di una pistola vicino alla mia
nuca.
«La corsa è finita,
pirata». La
voce del Commodoro mi giunse come uno stridio fastidioso, dovuto forse
anche al
respiro spezzato dal troppo correre. «Metti immediatamente
giù quell’arma e
tieni le mani ben in vista».
Obbedii, pur non avendone la
benché minima intenzione. Quel tipo, però,
sembrava più che intenzionato a
sparare, e io non volevo di certo concludere lì la mia vita.
Mi portai le mani
dietro alla nuca e sfiorai inavvertitamente la pistola, sentendone il
metallo
freddo a contatto con le dita; quella stessa arma piombò a
colpirmi il capo con
furia, mandandomi quasi al tappeto. Boccheggiai e socchiusi gli occhi,
attendendo
il momento esatto per fare qualcosa... ma cosa?
«Niente scherzi», mi
redarguì il
Commodoro. «Chi di voi due fottuti bastardi ha la mia
mappa?»
Deglutii e mi umettai le labbra.
«Non
ho idea di cosa stia parlando, Commodoro», replicai,
sforzandomi di essere il
più credibile possibile, almeno per quanto concessomi dalla
situazione in cui
versavo.
Lui mi assestò un altro
potente e
violento colpo alla testa, nervoso. «Non ti conviene giocare
con me, ragazzo»,
sibilò, afferrandomi per i capelli e portandomi alla sua
stessa altezza. Potei
così fissarlo con attenzione in viso, scorgendo le
pressappoco invisibili
cicatrici che lo deturpavano. Ne aveva una che gli percorreva lo zigomo
destro
e uno svariato reticolo sul lato sinistro del viso, un ammasso
cicatriziale
così fitto che mi sembrava quasi impossibile che non le
avessi viste fino a
quel momento. Quelle erano la chiara testimonianza che si era sempre
sporcato
le mani, facendo tutto da solo. «Consegnatemi la mappa e vi
lascerò andare; non
me ne faccio nulla delle vostre misere taglie».
Sentii il calore del sangue lungo
il viso e quasi faticai a tenere gli occhi aperti a causa del nuovo
colpo che
mi centrò in pieno viso, facendo scricchiolare orrendamente
la mia mascella.
Quel marinaretto ci stava andando giù pesante, ma non avrei
mai venduto i miei
compagni per aver salva la vita. Sarei morto piuttosto che disonorarmi
in quel
modo. «La mappa», biascicai, leccandomi via il
sangue dalle labbra, «dovrà
andare a litigarsela con gli squali, Commodoro».
«Non mentire,
pirata», replicò
adirato. «Tu e il tuo amichetto vi credete furbi,
eh?» Mi afferrò per il
colletto della camicia e mi issò da terra con forza
incredibile, tanto che i
miei piedi quasi non sfiorarono più il terreno sottostante,
ciondolando. «Mi
state sottovalutando».
Aprii piano un occhio e tentai di
rispondergli, ma in quel mentre un cupo rimbombo risuonò
nell’aria e una
spruzzata di sangue mi inzaccherò il viso, proprio nel
momento esatto in cui il
Commodoro allentò la presa e mi lasciò; le sue
grida disarticolate mi
riempirono le orecchie, e fu tossendo che alzai lo sguardo su di lui,
vedendolo
con una mano convulsamente stretta sul proprio avambraccio. Perdeva
copiosamente sangue, e brandelli di stoffa e carne erano ricaduti a
formare una
pozza più scura del fango.
«È lei che
sottovaluta noi»,
dichiarò infine una voce, e voltandomi nella direzione da
cui proveniva vidi la
figura sfocata di Cid, che reggeva la propria pistola e la puntava
verso di
noi. «La prossima volta tenga giù le mani dal mio
compagno, Commodoro».
«Brutto bastardo!»
sputacchiò
quest’ultimo,
agguantando con una mano insanguinata la propria arma; la
puntò verso Cid e
fece fuoco, colpendolo ad una spalla solo perché lui non fu
abbastanza rapido
da scansarsi.
Vedendolo barcollare, gridai
«Cid!»,
ma nel momento stesso in cui provai a rimettermi in piedi le mie gambe
cedettero inesorabilmente. Imprecai, sentendo un altro colpo di pistola
riempire sinistramente l’aria; alzai la testa di scatto e
fissai Cid ad occhi
sgranati, vedendo la camicia che indossava praticamente imbrattata di
sangue. A
cadere, però, fu il Commodoro. L’espressione
sgomenta sul suo viso era come
marchiata a fuoco, e crollò al suolo lasciando gradualmente
andare la pistola
che reggeva, colpito in pieno stomaco; boccheggiò e
tossì sangue, tentando
inutilmente di girarsi su un fianco per riprendere quella lotta che
aveva
ingaggiato.
Cid approfittò proprio di
quel
momento per correre verso di me, allontanando con un calcio la pistola
dalla
portata del Commodoro prima di chinarsi e afferrarmi per un braccio,
facendo in
modo che gli circondassi le spalle con esso. «Ce la fai a
camminare?» mi
domandò preoccupato, ma lo colpii con un violento pugno in
testa, ignorando i
suoi lamenti.
«Idiota!» esclamai,
lasciandomi
però trascinare via da lì, lanciando
un’ultima rapida occhiata al Commodoro.
Tentava ancora di rimettersi in piedi e di inseguirci... che tipo
tenace. In
fondo era un peccato doverlo lasciare al proprio destino. Socchiusi gli
occhi,
continuando a prendermela poi con quello stupido del mio vice.
«Sei ferito più
di me, che diamine avevi in testa?!»
Cid strinse gli occhi, dando vita
ad una smorfia. «Sono solo colpi di striscio, pirata isterico
che non sei altro»,
sbottò. «E’ questo il tuo ringraziamento
per essere venuto a salvarti?»
«Sei comunque un idiota! Non
avevo
bisogno del tuo aiuto, me la stavo cavando alla grande!»
rimbrottai, conscio
che si trattasse di una bugia bella e buona. Ma, ehi, avevo il mio
orgoglio,
io, dannazione! Ero pronto ad inveirgli contro ancora una volta, ma,
inaspettatamente, Cid mi caricò letteralmente sulle spalle,
lasciandomi basito.
Scombussolato, imprecai contro di lui e tentai di farmi mettere
giù,
lasciandogliela ben presto vinta a causa dei giramenti di testa che mi
avevano
assalito. «Guarda che non ti ho perdonato, anche se mi stai
portando in spalla»,
borbottai. «Saresti dovuto restare al porto e
aspettarmi».
«Ho avuto un brutto
presentimento»,
replicò senza tanti giri di parole. «E come vedi
ci avevo visto giusto». Quando
continuò, sentii dalla sua voce che stava sorridendo.
«In compenso, però, ti ho
procurato una signora nave».
Mi issai un po’ e mi portai
una
mano alla fronte, lasciandomi sfuggire uno sbuffo divertito nonostante
tutto. «Ti
conviene sperare che sia davvero così, Cid»,
replicai. «Ti conviene proprio
sperarlo». Non attesi poi risposta, accasciandomi contro di
lui per poggiare la
testa sulla sua schiena, concentrato sul ritmico sobbalzare che compiva
il suo
corpo ad ogni rapida falcata. Attraverso l’orlo delle ciglia
vidi sfrecciare
davanti ai miei occhi case dai muri tutti uguali e scalinate che
portavano alla
parte alta della città, dove risate e schiamazzi si
sentivano nell’aria e
rallegravano l’ambiente; le luci cominciavano ad affievolirsi
in direzione del
mare, e il suono della risacca sovrastò ben presto il rumore
creato da voci
umane.
«Cid! Capitano
Gale!» La voce di
Patrick proveniva dal fondo della banchiglia, e alzando lo sguardo
oltre il
capo di Cid potei vederlo agitare le mani e le braccia per farci cenno
di
sbrigarci. Quando fummo ad una certa distanza e il mio vice mi rimise
giù, poi,
riuscii a scorgere sul suo viso i segni della preoccupazione.
«Cos’è successo?»
gracchiò spaventato. «Siete coperti di
sangue!»
Assicuratosi che io mi mantenessi
in piedi senza bisogno di aiuto, Cid gli si avvicinò e gli
diede un’amichevole
pacca su una spalla, abbozzando un sorriso. «Rilassati,
ragazzo. Questo sangue
non è nostro», mentì, tappandogli
immediatamente la bocca con una mano quando
lo vide in procinto di parlare ancora.
Voltandosi verso di me, poi,
allargò il sorriso e, ignorando gli strepiti soffocati di
Patrick, mi indicò
con la mano libera un vascello alla nostra destra, le cui vele nere
erano già
state tirate giù e sventolavano nel vento serale. Era la
più grossa nave che
avessi mai visto dopo la Conqueror. «La Cruises
Fear», dichiarò solenne. «Benvenuto a
bordo della sua
nuova nave, Capitano».
[1] Espressione
di sorpresa oppure di paura.
La scelta del titolo
sarà chiara mano a mano che si andrà avanti con
la lettura del capitolo.
Messaggio No Profit
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alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
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