Di notte...
Questi personaggi non mi
appartengono, ma sono proprietà di T. Inoue; questa storia
è stata scritta senza alcuno scopo di lucro
Storia scritta per il Slam Dunk Contest indetto da Babysonfire (Sadie).
(http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9868393)
Note : Il racconto è visto dalla parte introspettiva
di Yohei, per cui la parte in corsivo sono i suoi pensieri ed è
usata la prima persona, nell’altra la terza.
Buona lettura ^^
Di notte…
Yohei salutò Hanamichi alzando il braccio prima di vedere
l’amico varcare la soglia di casa, accese lo scooter e
partì percorrendo la strada illuminata dai lampioni.
Erano le due di notte e aveva appena riaccompagnato Sakuragi dopo aver
lasciato la casa di Noma, dove insieme ai ragazzi del guntai avevano
cenato mangiando zuppa precotta e giocato ai videogiochi.
I bambini detestano la notte questo
è un dato di fatto, finché si è in
quell’età in cui credi a cose come i fantasmi e i mostri
vai a dormire con il terrore di vedertene sbucare uno da dentro
l’armadio, poi quando cresci la odi perché non sei grande
abbastanza da poter rimanere alzato.
Io, invece, l’ho sempre preferita.
Perché quando è notte
fonda, quando tutto è buio pesto e non c’è nessun
suono tranne il tuo stesso respiro, non c’è bisogno di
fingere, perché ci sei solo tu e nessun altro.
Come in quei film post apocalittici
in cui il protagonista rimane l’unico sopravvissuto e si aggira
in metropoli desolate.
Nella mente dei registi dovrebbero
essere scene piene di angoscia, ma la sensazione che ne ho io è
solo di tanta serenità.
Ora si potrebbe pensare che sia un
orso asociale, un sociopatico senza amici o qualcosa del genere, in
realtà è proprio il contrario.
Sono una di quelle persone che piace a tutti, non me la sto tirando, è la verità.
Sono un tipo tranquillo che sta bene
con chiunque, sempre sorridente e allegro, socievole e facile alla
battuta, pronto ad aggregarmi per fare qualche scherzo e che non si
tira indietro se c’è da menare le mani.
Si può dire che sono sempre disponibile, specialmente per gli amici, questo Hanamichi lo sa bene.
Certo c’è da dire che in tutto questo non sono mai stato quello che spicca.
Se facessi un sondaggio in tutta la
scuola solo Hana e il guntai saprebbero dire qual è il mio nome,
per gli altri sarei solo il teppista che gira con Sakuragi, ma in fondo
sono io che preferisco che ci sia questa distanza.
Più permetti alle persone di
entrare nella tua vita e più devi fingere, non che per me sia un
grande sforzo, ormai sono diventato così bravo che non credo
sarei capace di far vedere quello che nascondo.
Comunque non mi servirebbe, a chi dovrei mostrarlo?
E’ per questo che adoro la
notte, non mi riferisco alla sera, quando esco e me ne vado in giro con
gli amici a far casino o si cerca di entrare al pachinko di nascosto.
Certo mi diverto con loro e mi piace
anche quando bighelloniamo senza meta e rimango ad ascoltare i discorsi
assurdi di quei tizi per ore.
Ma è innegabile che aspetto
trepidante il momento in cui ci salutiamo, quando le saracinesche si
abbassano e le insegne dei locali si spengono, quando le macchine
iniziano a passare sporadiche e poi più nulla, dopo quando anche
il latrato di qualche cane o il miagolio dei gatti sparisce, è
allora che la mia notte inizia.
In genere la passo sempre nella solita maniera.
Prima mi faccio un bel giro con il
motorino per le vie del centro, con calma, senza fretta, mi godo
l’assoluta assenza di tutto quel che c’è di giorno:
la confusione, le persone, il traffico, le voci, i colori.
Una volta che mi sento soddisfatto me ne vado in uno dei miei posti preferiti.
E’ un parco con un piccolo
tempio che sovrasta tutta la città, di notte la vista non
è un granché si vedono soltanto i puntini delle luci al
neon dei lampioni, la cosa davvero interessante è la strada per
arrivarci.
Un bello stradone tutto curve
completamente vuoto e cosa fondamentale non c’è mai la
polizia che ci gira, lì posso dare libero sfogo alla mia vena di
corridore e spingo il motorino al massimo… Ok con lo scassone
che mi ritrovo non è che vada forte chissà quanto, ma
bisogna sapersi accontentare.
Una volta arrivato in cima,
parcheggio da un lato, mi faccio gli scalini di corsa e una volta sulla
veduta aspiro a pieni polmoni e mi metto a fissare le lucine.
In quell’istante mi sento il Dio del mondo… o quanto meno di quelle luci.
A volte ci rimango per delle ore,
altre riprendo il motorino per poi parcheggiarlo da qualche parte e
allora mi metto a camminare per le viuzze deserte della città,
oppure me ne vado in spiaggia o magari faccio entrambe le cose.
Girello così, in completa
beatitudine, finché non sento che il profumo della notte
impercettibilmente inizia a cambiare, fino a quando i primi rumori del
mondo che è prossimo a svegliarsi non mi raggiungono.
Allora mi fiondo a casa, parcheggio
il motorino e silenzioso sguscio in camera; grazie alla pratica
acquisita col tempo, ed è allora che la mia notte finisce.
Perché faccio tutto questo?
Per quell’unico momento, che
và dalle tre fino a poco prima che albeggi, in cui tutto sembra
bloccarsi, come se il tempo rimanesse sospeso e non ci fosse nessun
altro al mondo che riesca a muoversi tranne me, perché è
allora che posso spogliarmi di tutte le menzogne e della farsa che
è la mia vita.
Sì, lo ammetto, non è
tanto normale, ma cosa si poteva pretendere dal braccio destro
nonché migliore amico di Hanamichi Sakuragi? Ovvio che non posso
essere del tutto sano di mente con tutte le testate che ho preso e
continuo a prendere se non sono svelto a scansarmi.
Che poi è solo una delle mie
ennesime bugie, non c’entrano le testate di Hana, anche se non
hanno contribuito al mio equilibrio mentale questo è certo.
Ero ancora un bambino quando ho capito che preferivo vivere di notte anziché di giorno.
Una sera sono scappato fuori di casa
di corsa, ho continuato così senza voltarmi finché non
sono arrivato alla sponda del fiume che passa lì vicino e in cui
andavo a giocare ogni pomeriggio dopo scuola.
Ho iniziato a prendere a calci le
sterpaglie, ho urlato a denti stretti per la frustrazione, ho scagliato
i sassi nell’acqua con rabbia, finché non mi sono
accorto che il sole era tramontato del tutto.
Allora mi sono fermato e mi sono reso
conto che ero da solo, che non c’era un rumore, un suono, un
urlo, un’imprecazione, niente.
Solo il mio respiro che via via si calmava.
Dopo un po’ sono rientrato
sicuro che lui fosse andato al lavoro, lei stava seduta in un angolo
nella penombra, come sempre d’altronde, come una bambola di pezza
dimenticata lì, con i capelli raccolti sulla nuca con qualche
filo che fuoriusciva disordinatamente, lo sguardo incolore e le mani
adagiate in grembo senza nessuna vita.
Mia madre mi ha guardato, non mi ha
chiesto dove fossi stato fino a quell’ora, semplicemente con un
bisbiglio basso e indifferente mi ha detto di andarmene a letto.
L’ho fatto ovviamente ma non mi
sono addormentato, sono rimasto con gli occhi spalancati a fissare il
vuoto del buio a percepire i più piccoli rumori e poi quando
sono spariti, ho capito quanto fosse meravigliosa e magica la notte.
Perché era un mondo a parte, lì non c’era niente e nessuno.
Allora ero solo un ragazzino e non
capivo molto di quello che succedeva intorno a me, però
già da un bel po’ avevo compreso che quella di casa mia
non era la normalità, anche se per me lo era sempre stata.
L’avevo intuito l’anno prima, quando un mio compagno di scuola venne a giocare da me.
A quel tempo mia madre era diversa,
si può dire che era ancora viva, ma non me la ricordo un
granché a dire il vero.
Noi stavamo giocando in camera mia e
a un certo punto mio padre iniziò a urlare infuriato
chissà da che cosa, non che ci voglia tanto per farlo saltare,
dopo un po’ iniziò anche mia madre io continuavo a giocare
abituato a tutto quello, ma il mio compagno di scuola di punto in
bianco si mise a piangere.
Gli chiesi che cosa avesse, stavamo
giocando con le macchinine perciò era impossibile che si fosse
fatto male, lui mi guardò e mi fece notare che di là
stavano litigando e gridando come se quella fosse per me una
spiegazione di qualche tipo.
Lo fissai dicendogli tranquillamente “E allora? E’ normale”.
Da quel giorno non venne più a casa mia e neanche nessuno degli altri bambini.
Dopo qualche tempo mia madre si
ammalò, come dice mio padre, io penso semplicemente cha ha
smesso di stare nello stesso mondo che abbiamo noi, la sua vita si
ridusse a due pasticche al giorno e un’iniezione al mese, giusto
per evitare che la sua dimensione invadesse la nostra.
Questo però non ha fermato mio
padre che ha continuato a urlare lo stesso, il fatto che lei non gli
rispondesse quasi più e che quando lo faceva era con totale
indifferenza a lui dava ancora più sui nervi,tanto da
farlo andare avanti a sbraitare per ore.
Perciò io a poco a poco ho continuato a preferire sempre di più la notte al giorno.
E’ stato in quel periodo che ho anche iniziato a mentire, è stata per pura sopravvivenza.
Chi più chi meno tutti
finivano per chiedermi ogni giorno come andasse a casa mia, per lo
più era il vicinato, ma anche se un bambino delle elementari
diceva che la sua vita faceva schifo che cambiava?
Niente, e poi c’era già
mio padre che si lamentava già abbastanza con tutti della grande
disgrazia che gli era capitata,tra capo e collo, a dover crescere un
figlio da solo; come se poi lo avesse mai fatto, e che ora doveva pure
occuparsi della moglie, non mancando mai di far notare che
brav’uomo fosse a non abbandonarla.
La cosa più brutta non era la
mia famiglia a dire il vero, era vedere gli occhi colmi di compassione
degli altri o sentirgli dire “si dice che la pazzia sia
ereditaria” diamine ero un bambino ma mica sordo.
Per questo preferisco la notte.
Quando è buio pesto e ci sei
solo tu, non ci sono occhi in cui leggere dentro la verità che
ti sforzi di non voler vedere, non ci sono voci che per ignoranza o
stupidità ti marchiano dentro.
Da allora ho iniziato a sorridere
anche quando proprio non mi andava, a rispondere “và
benone” a chi mi chiedeva “come và?” e a dire
bugie ogni giorno più convincenti.
Sono diventato così bravo che
ora anche se vorrei dirla la verità proprio non ci riesco, se
solo ci penso sento una morsa stringermi la gola, il cuore iniziare a
battere forte e mi manca l’aria, senza rendermene conto oramai le
menzogne mi salgono alla bocca da sole.
Sono davvero patetico, io che ho
partecipato a una dozzina di risse coi peggiori tipi vado in panico se
penso solo di dover raccontare quel che nascondo, che poi tanto a chi
dovrei dirlo?
L’unico sarebbe Hana ma lui ha
già il suo di fardello da portarsi sulle spalle, accollargli il
mio sarebbe soltanto crudele.
Se si potesse vedere l’anima
delle persone chiunque avrebbe almeno un paio di cicatrici, come si fa
a pensare che le mie sono peggiori di quelle di qualcun altro? Il
dolore è dolore, che razza di pesi bisognerebbe usare per
riuscire a misurarlo?
E poi avrei troppa paura di perderlo,
Hana non mi allontanerebbe lo so però il terrore di rimanere
solo c’è, che poi con tutte le bugie che dico in fondo
già lo sono.
Però ogni tanto; quando me ne
sto con le difese abbassate, in quel momento della notte che adoro di
più, penso che dopotutto mi piacerebbe se qualcuno mi sapesse
leggere dentro, che attraversasse la sua armatura di menzogne.
Almeno una volta vorrei che ci fosse una persona che vedesse il vero Yohei Mito,
quello che di notte non nasconde la
propria tristezza o il dolore di quanto gli faccia male continuare a
vivere nei giorni fatti solo di falsità e menzogne per tenere in
piedi la maschera di felice normalità.
Ovviamente Hana è escluso,
siamo onesti, sarà anche il tensai, ma non brilla certo per
perspicacia e intuizione, quella è la mia specialità
dopotutto.
E’ per questo che mi piace
tanto osservare le persone, in fondo solo chi è un grande
bugiardo può smascherare le menzogne altrui, Hanamichi è
una persona troppo sincera e genuina, per questo è il mio
migliore amico.
Ormai sono un liceale decisamente fin
troppo maturo per la mia età, lo capisco che la vita và
così e che in fondo poteva capitarmi di peggio e che se la notte
mi piace tanto è perché qui non devo sforzarmi di essere
il solito tranquillo, calmo e freddo Mito che non ha nessun problema.
Questa è la mia dimensione, il
mondo dove posso essere padrone di non sorridere se non voglio, di
essere triste, di prendere a calci una lattina,di gridare a
squarciagola sulla spiaggia o mandare su di giri il motore dello
scooter senza che nessuno mi chieda “Che hai? Qualcosa non
và?” così da costringermi a mentire nel rispondere
“No, è tutto a posto”.
Quella notte però Mito stava per scoprire che non avrebbe passato la solita serena e solitaria nottata.
Le cose iniziarono ad andare per il verso sbagliato quando
scoprì che il suo abituale percorso per il centro era deviato a
causa di alcuni lavori in corso.
Stizzito per il fatto di aver trovato qualcun’altro a gironzolare
a quell’ora e peggio ancora armati di rumorosi martelli
pneumatici e scavatrici intenti a smantellare il mantello stradale,
valutò un percorso alternativo.
Saettando fra le viuzze laterali riuscì ben presto, con grande
gioia, a trovarsi fuori portata dai lavori stradali, immergendosi nella
quiete delle silenziose strade abitative, fatta eccezione per il suono
della marmitta.
Riacquistò il buon umore almeno fino a quando non dovette
frenare e fermarsi esclamando un sonoro: “E che cavolo!”
Il camioncino della nettezza urbana era immobile e ostruiva
completamente la via, Yohei fissò con sguardo furente
l’addetto alla raccolta dei rifiuti che, con una calma che
rasentava la svogliatezza, afferrava i sacchetti e li gettava
all’interno del mezzo.
Dato che l’operatore ecologico era immune al suo sguardo truce
Mito sbuffò spazientito e impossibilitato a fare altro si mise
in attesa.
Aveva completamente dimenticato che in quella zona era il giorno della
raccolta dei rifiuti, sì perché Yohei, nel corso delle
sue lunghe nottate in giro per Kanagawa, aveva imparato presto a
evitare sia le pattuglie di polizia che i netturbini.
La forzata deviazione dal suo percorso abituale lo aveva però
fatto incappare nei secondi, decisamente lenti ma almeno innocui.
Valutando la cartina stradale impressa nella sua mente capì
però che non si sarebbe liberato del mezzo se non dopo molto.
Non c’erano biforcazioni che potesse prendere, né la
strada diveniva più ampia per un bel tratto. Così,
rassegnato, spense il motore, appoggiò le braccia al manubrio e
continuò a squadrare l’omino in tuta blu che era
completamente ignaro dei suoi improperi mentali.
Dopo dieci minuti abbondanti l’uomo finì e risalì sul mezzo facendolo proseguire.
“Oh, era ora” sbuffò Yohei riavviando il motorino e
mettendosi in coda al camioncino, appena poté lo superò
per svoltare a destra, poi a sinistra e poi ancora a destra, zigzagando
riuscì a immettersi nella via principale superando il blocco.
A quel punto sembrò che la serata procedesse tranquillamente come da copione.
Era deciso a imboccare la strada panoramica per dirigersi al tempio
quando iniziò a rallentare, dapprima una lieve perdita di
potenza poi sempre maggiore.
Aggrottando la fronte fissò il cruscotto esclamando un sonoro “Ma che imbecille!” alzando gli occhi al cielo.
Gli era completamente sfuggito di mente di essere in riserva e ora con tutte quelle deviazioni stava esaurendo la benzina.
Yohei fece rapidamente un calcolo sull’autonomia del mezzo e
sperando che fossero giusti si mise a voltare il capo a destra e
sinistra per cercare un distributore.
La fortuna non fu dalla sua e dopo pochi minuti si ritrovò a
spingere il motorino lungo la strada deserta, fortunatamente
trovò un self service dopo una mezz’ora, era una piccola
stazione con due sole pompe, illuminata da una luce al neon che vibrava
con un leggero ma fastidioso rumore di fondo.
Fermò il mezzo facendo scattare il cavalletto, per poi alzare il
sellino e aprire il serbatoio, successivamente mise mano al portafogli
e combatté qualche minuto con la macchinetta che si rifiutava di
accettare la sua banconota troppo sgualcita. Una volta che il testardo
marchingegno ebbe ingoiato i soldi, fece rifornimento.
Se ne stava lì in piedi, di lato al motorino, tenendo la pompa
con la mano destra mentre l’altra era ficcata in tasca,
spazientito e innervosito per quella stupida dimenticanza, quando si
accorse con la coda dell’occhio che qualcuno stava
sopraggiungendo verso di lui.
Yohei assottigliò le labbra riconoscendo il volto che era stato
illuminato dal lampione lungo la strada, l’attimo dopo
però si allungarono in un sorriso divertito notando il suo
abbigliamento: pantaloni neri scoloriti di una vecchia tuta, una
maglietta bianca che gli cadeva addosso come fosse un sacco di patate e
per concludere un paio di zoccoli di legno.
Decisamente Hisashi Mitsui non sapeva proprio vestirsi, ponderò
Yohei fissando sempre più divertito il giocatore quando anche
questo, riconosciutolo, si era bloccato in mezzo alla via con una
chiara espressione scocciata dipinta sul volto.
Con disappunto Mitsui riprese il passo soppesandolo guardingo, come se
il trovarlo a fare benzina fosse una cosa innaturale e anomala.
Yohei continuò a guardarlo sfacciatamente sorridente, non smise
mai di mostrare la sua faccia divertita anche quando l’erogazione
della benzina terminò e lui si voltò per posare la pompa
e afferrare il tappo.
Hisashi di contro aveva mantenuto una fredda e scocciata espressione per tutto il tempo che impiegò a raggiungerlo.
“Ehi” lo salutò allegro Mito, facendo un secco cenno con la testa e chiudendo il serbatoio.
“Mh” mugugnò in risposta Mitsui, fermandosi sul lato
opposto del mezzo, osservava la mano di Mito finire di assicurare il
pezzo di plastica, “Che ci fai da queste parti?” gli
domandò scontroso.
Yohei allungò ancor di più le labbra “Credevo fosse
abbastanza evidente” rispose gustandosi gli occhi di Mitsui che
si assottigliavano irritati per quella risposta.
“A quest’ora?” chiese ancora Hisashi incrociando le
braccia al petto così da arricciare la maglia di una misura
troppo grande per lui.
“Perché è vietato fare benzina di notte?- fece a
sua volta Mito aumentando la sua espressione allegra e gioviale –
Tu invece dove vai così elegante?”
Yohei notò l’irrigidimento della mascella, la tensione sui
muscoli del collo e delle braccia, gli occhi di Mitsui dilatarsi un
secondo e poi socchiudersi pericolosamente, lui distese ancor di
più le labbra.
Dopo la rissa in palestra non aveva mai avuto altri contatti diretti
con il giocatore, ma dopo la sospensione aveva osservato gli
allenamenti in palestra ,così aveva scoperto che Mitsui era un
tipo molto suscettibile e davvero divertente nelle sue reazioni di
protesta.
Perciò avendo visto l’espressione infastidita e il modo
sgarbato con cui Hisashi gli si era rivolto, aveva deciso di fargliela
pagare.
“Davvero divertente. – esalò Mitsui – Abito
qui dietro e sono uscito a prendere una boccata d’aria”
spiegò la ragione del suo abbigliamento sebbene non gliene
dovesse alcuna.
“Capito” rispose a sua volta Mito tornando un poco
più serio, in effetti sebbene l’estate stesse per finire
faceva ancora molto caldo.
“Beh, ci si becca” decretò la fine di quella conversazione Mitsui, procedendo nella sua passeggiata notturna.
Yohei rispose con un mugugno e un cenno affermativo del capo,
osservando il giocatore allontanarsi ancora con la schiena rigida,
decisamente Mitsui non aveva preso bene la sua innocente battuta,
valutò ridacchiando divertito.
Ancora ghignante mise mano alle tasche dei jeans recuperando un paio di
monete e uno scontrino di un konbini scolorito e consunto. Mentre
contava le monetine si avvicinò al distributore automatico
posizionato poco distante nella piazzola del distributore.
Dato che gli mancava qualche spicciolo ricontrollò per sicurezza
i pantaloni, non aveva voglia di immergersi in una nuova battaglia per
prendere una lattina, alla fine si arrese all’evidenza e
tirò fuori una banconota.
Era intento a lisciare con cura ogni piccola piega quando delle voci,
fra cui riconobbe quella del giocatore, lo raggiunse catturando la sua
attenzione.
Incuriosito voltò il capo ma dovette sporgersi verso la strada per capire cosa succedesse.
Mitsui stava parlando e non era una conversazione amichevole
intuì, con un tizio accompagnato da altri tre che riconobbe
essere uno dei ragazzi venuti a scatenare la rissa alla palestra.
Erano troppo distanti perché Mito potesse ascoltare chiaramente cosa si dicessero, anche se il “Levati dai piedi Ryu”
di Mitsui gli giunse ben chiaro, il giocatore tentò di procedere
per la sua strada ma gli altri gli si pararono di fronte.
Yohei aveva già intuito che quella faccenda si sarebbe conclusa
con un bel pestaggio, quando quel tipo, Ryu, che sembrava il capo,
diede un violento spintone a Mitsui tanto da farlo indietreggiare di un
paio di passi.
Sebbene non avesse reagito subito, Yohei non era sicuro che il
giocatore avrebbe resistito ancora a lungo a rispondere con un bel
diretto, sapeva che Mitsui per continuare a giocare aveva promesso di
tenersi lontano dai guai, però vedeva bene il pugno stretto e il
braccio che tremava nello sforzo di trattenersi.
La cosa che al momento Yohei doveva capire era: lui che doveva fare?
Mitsui era solo un conoscente, un compagno di squadra di un suo amico
con cui per giunta era venuto alle mani sebbene in circostanze strane.
Di sicuro il giocatore non si aspettava che accorresse in suo aiuto,
che poi lui da solo mica poteva risolvere la situazione, quelli erano
in quattro e Mitsui non poteva combattere, non era così tanto
forte.
Poteva avvicinarsi e cercare di risolvere la cosa pacificamente, ma
dubitava che si sarebbero fatti convincere dalla sua presenza o dalle
sue parole.
Decisamente era molto più saggio farsi gli affari suoi e far
finta di non veder nulla, dopotutto lui era il pacato e riflessivo Mito
non era certo quella testa calda di Hana.
L’amico a quest’ora si sarebbe già diretto verso il
gruppo con passo belligerante, ringhiando minaccioso e alzando un
polverone che si sarebbe risolto in una baruffa generale.
Yohei sospirò pesantemente rimettendosi le monetine in tasca,
decisamente lui non era Hanamichi, si ricordò allungando le
labbra in un pericoloso ghigno mentre saliva sul motorino e metteva in
moto.
Senza smettere di sorridere in quella maniera, si diresse aumentando
sempre più la velocità verso il gruppo, tanto che tutti,
compreso Mitsui, si voltarono nella sua direzione.
Yohei non rallentò e si godette le facce, dapprima perplesse e
poi impaurite dei cinque, frenò bruscamente solo quando si
scansarono saltellando buffamente all’indietro per evitarlo.
Mito fermò il motorino proprio di fronte a Hisashi “Veloce
monta” gli ingiunse fissando di sottecchi i quattro teppisti, per
il momento erano ancora troppo sorpresi per poter comprendere cosa
stesse accadendo e reagire.
Mitsui non se lo fece ripetere due volte e prese posto dietro di lui
notando che gli altri, capita la sua intenzione, stavano per muoversi e
bloccarli.
Yohei partì a tutta velocità senza attendere che il
giocatore finisse di sedersi, cosa che portò Mitsui a
rivolgergli un pesante insulto mentre si affrettava ad affondare le
mani nella felpa di Mito per ritrovare l’equilibrio.
Mito continuò a procedere dritto senza rallentare, desideroso di
mettere più distanza possibile fra sé e i quattro nella
speranza che non fossero motorizzati.
Stava pensando a dove andare quando gli giunsero le parole di Mitsui:
“Non aspettare che ti ringrazi” esordì chiaramente
infastidito, se della situazione in sé o dal suo aiuto non era
molto chiaro.
“Ma tu senti. – sussurrò Yohei per poi dire a voce
più alta, per sovrastare il rumore del motorino- Se vuoi ti
riporto indietro”
“Non dire fesserie!” gridò Hisashi trapanandogli un timpano.
“Ah ecco… - ribatté Yo ridacchiando divertito – Mi sembrava che non foste proprio amici”
“Fanno parte della banda di Tetsuo, – chiarì il
giocatore con sufficienza – ce l’hanno con me per come
è finita la rissa in palestra”
“Non tutti sanno accettare la sconfitta, - decretò saggiamente Mito - certo te li scegli bene gli amici”
“Sono amico di Tetsuo non loro. – specificò Mitsui
– Piuttosto dov’è che stiamo andando?”
Yohei si voltò appena mostrando un grande sorriso.
“Non saprei” ammise imperscrutabile.
“Ah un posto vale l’altro, basta che mi allontano,
conoscendoli mi aspetteranno sotto casa” sospirò il
giocatore.
Mito valutò la loro posizione per poi decidere di dirigersi alla
strada panoramica, zigzagò fra le viuzze per poi percorrere lo
stradone tutte curve e successivamente parcheggiò alla base
delle scale che conducevano al tempio.
“Penso che siamo abbastanza lontani” ponderò estraendo la chiave mentre Hisashi scendeva.
“Cavoli direi, siamo dall’altra parte della città”
“Prego figurati non c’è di che” rispose
allegramente Yohei tirando giù il cavalletto, quando si
voltò verso il giocatore rimase un secondo perplesso dalla sua
faccia imbronciata, ma al contempo imbarazzata.
“Mh grazie” soffiò fuori questi prima di volgere lo
sguardo alla salita, Yohei cercò in tutti i modi di non
scoppiare a ridere.
“Saliamo?” domandò Mitsui voltandosi verso di lui per poi trafiggerlo con lo sguardo.
“Certo!” rispose pronto Yo superandolo e portandosi una mano alla bocca ancora sghignazzante.
I piedi di Mito non avevano calpestato che un paio di scalini quando un
soffuso “Imbecille” gli giunse alle orecchie, il sorriso
scomparve all’istante. Con le mani ficcate nelle tasche dei jeans
voltò appena il capo per guardare Mitsui che gli veniva dietro.
“Guarda che se continui così – esalò
seriamente – ti lascio qui da solo e te ne torni a piedi”
In fondo a tutto c’è un limite pensò, valutando che
doveva essere lui quello arrabbiato col giocatore. A causa sua e dei
suoi casini la sua routine era stata stravolta.
Mitsui socchiuse gli occhi mentre i muscoli si tendevano.
“E dov’è il problema? Mica ti ho chiesto di
restare” abbaiò prima di procedere sbattendo gli zoccoli
di legno ad ogni passo.
Yohei rimase a fissarlo per qualche secondo prima di sospirare ed
esalare “Che tipo complicato che sei” e continuare nella
salita.
“Non te ne dovevi andare?” gli chiese furioso Mitsui sbirciando al di sopra della spalla.
“Pensi davvero che ti aspettino sotto casa?” gli domandò invece Mito ignorando la domanda.
“Sì, perciò te ne puoi pure andare”
esalò Hisashi, a discapito delle sue parole però
rallentò il passo quel tanto che permise a Yo di raggiungerlo.
“Mica lo chiedevo per quello, solo mi stupisco un po’.-
ammise perplesso Yohei - Le hanno prese da dei ragazzi del liceo
è vero, ma aspettarti sotto casa per farla pagare a te mi sembra
un po’ da scemi”
“Lì ho convinti io a venire in palestra e poi
più che per averle prese, ce l’hanno con me per come gli
ho voltato le spalle quel giorno” chiarì la questione
Mitsui.
“Già è stato piuttosto commovente” affermò Yo sorridente.
Nel frattempo erano arrivati in cima, Mitsui si fermò un attimo
per lanciare un’occhiataccia a Mito mentre lui indifferente si
avviò alla terrazza panoramica.
“Sfotti pure – gli ringhiò dietro Hisashi privo di
qualsiasi tono belligerante nella voce mentre lo seguiva – Mi
sono messo a piangere e ho implorato di rientrare in squadra e allora?
Se posso giocare di nuovo non mi importa di quello che pensano gli
altri, soprattutto tu e i tuoi amici”
Fu la volta di Yohei di fermarsi e fissarlo,“Non volevo prenderti
in giro” esalò piano colpito da quel che aveva detto.
“E secondo te dovrei crederti? – rispose Hisashi voltandosi
verso di lui – Per te il basket può essere semplicemente
un gioco, ma per me è tutto. Hai idea di come ci si sente a
perdere l’unica cosa che abbia un senso?”
Un secondo fa stavo dicendo la verità, io a dirla tutta ti ammiro.
Quel giorno sei stato capace di
essere sincero con te stesso e con gli altri, non hai avuto paura di
ammettere i tuoi sbagli o di essere giudicato.
Te ne stavi lì, a terra, a
piangere a dirotto e in quel momento ho pensato che a discapito di
tutto quel che sembrava, sei davvero una persona sincera.
Perché la rabbia verso Ryota,
la stessa che ti ha portato in palestra, la stessa che ti ha fatto
scoppiare in singhiozzi era vera, proprio come quelle lacrime.
Non hai mai finto di essere
ciò che non sei, non ti sei mai nascosto, al contrario di m, che
mi sono barricato dietro un muro di menzogne, mostrando una
facciata che non mi corrisponde per paura di essere etichettato e
marchiato.
Semplicemente io sono un vigliacco,
che per timore di non essere accettato ha indossato un vestito come un
altro, ma realmente io chi sono?
Yohei Mito alla fine non esiste.
Sono solo un cumulo di menzogne e sul
serio detesto tutto questo, eppure continuo giorno dopo giorno, bugia
dopo bugia, ma se ne avessi il coraggio, io davvero, cancellerei la mia
intera esistenza. Perché non c’è niente a questo
mondo che io odi più di me stesso.
Però ogni volta che penso
questo spunta fuori quello stupido desiderio, che un giorno qualcuno
riesca a vedere attraverso tutte le bugie.
Ma si può essere più contraddittori?
Io che ho imparato a mentire
così disgustosamente bene proprio perché questo non
avvenga al tempo stesso desidero che accada e solo nella speranza di
sentirmi dire ‘Andrà tutto bene’.
Si può essere più patetici di me?
Due mani poggiate appena sulle sue spalle riscossero Yohei da quei
pensieri, fece in tempo ad accorgersi che Mitsui aveva chinato il capo
verso di lui, che si ritrovò le labbra del giocatore premute
sulle proprie.
Con la testa completamente svuotata, senza riuscire a pensare o a
reagire a una cosa tanto inaspettata Mito rimase fermo immobile.
Quel contatto leggero e impalpabile non durò che il tempo di uno
sbattere di ciglia, dopodiché Mitsui scostò il viso,
tolse le mani dalle spalle di Yohei e rimase ad osservare la confusione
totale che gli si dipingeva in faccia.
Che significa?
Ci sta provando?
Ma mettersi insieme significa raccontarsi tutto e questo implicherebbe che dovrei essere sincero, ma è impossibile.
Non riuscirei ad aprire bocca e prima
o poi capiterebbe a casa mia, allora gli basterebbe un’occhiata a
mia madre per capire che razza di situazione familiare abbia.
A quel punto mi domanderebbe
perché non gli abbia detto nulla e mi lascerebbe, probabilmente
dopo avermi pestato a sangue.
Hisashi ha diciassette anni a
quest’età si vuole avere una storia d’amore
spensierata e senza problemi, di certo non vorrà stare insieme
con uno come me.
No, sicuramente si volterebbe e se ne andrebbe senza dirmi niente e sarebbe anche peggio.
Aspetta! Aspetta! Ma che sto pensando?
Do per scontato di piacergli
perché mi ha baciato ma non è detto, magari lui bacia
tutti quelli che gli capitano a tiro.
Ma non è neanche questo il problema!
Da quando do per scontato di mettermi con un ragazzo?
Non ho mai neanche pensato di mettermi con una ragazza figuriamoci con un maschio e poi che direbbe Hana?
Per non parlare di tutto il resto del mondo e poi c’è il discorso tecnico della cosa.
“Non ti sei scansato” gli fece notare Mitsui, soffiando appena quelle parole.
Il senso di quello che Hisashi non aveva detto era ben chiaro per Yohei.
“Perché mi hai preso alla sprovvista- spiegò dopo
alcuni secondi in cui si era domandato il perché della sua
assenza di reazione. - Perché lo hai fatto?”
“Perché mi è venuta voglia di farlo”
“Ma che razza di ragione è?” tuonò Mito
arrabbiato per l’assurdità di una simile motivazione.
“E’ perché prima non avevo mai notato quanto i tuoi
occhi fossero tristi e poi avevi messo su quella faccia e non lo so
– ammise passandosi una mano nei capelli imbarazzato per quanto
stava dicendo – ho pensato che volevo baciarti e l’ho
fatto”
Mito sgranò gli occhi a quelle parole mentre il cuore prese a
battergli impazzito, abbassò il capo e strinse i pugni.
“Quindi cosa vorresti dirmi? Che ti è sembrato che fossi
giù e hai voluto consolarmi in quella maniera?”
ringhiò a bassa voce arrabbiato con Mitsui che era stato mosso
dalla compassione, ma ancor di più con se stesso, perché
aveva lasciato che scorgesse quanto nascondeva e perché
si era sentito felice.
“Non è questo quello che ho detto”
“E allora cosa?” gridò furioso per la delusione che
l’unica persona che l’avesse visto sul serio per un attimo,
avesse ben pensato di reagire stampandogli le labbra addosso
perché così gli era venuto in mente.
“Ti sembra facile dire a uno che fino a cinque minuti prima ti
faceva saltare i nervi, che di punto in bianco hai capito che ti
piace?” ammise chiaramente Mitsui senza distogliere lo sguardo
quando Yohei alzò il proprio confuso da quella dichiarazione.
“Tu non sai niente di me, come fa a piacerti qualcuno che
nemmeno conosci? Uno con cui hai parlato si e no dieci minuti in
tutto?”
“E’ vero non so niente di te e allora? Non mi serve
conoscere una persona per dire se mi piace oppure no, mi basta
guardarla. Per tutto il resto ci vuole solo tempo” gli disse con
tono serio e deciso quasi a volerlo sfidare a contraddirlo.
“Prima decidi in base a un’occhiata ma poi se scopri che ti
sbagli? Se quello che hai visto non è la realtà o che ci
sono troppe cose che non vanno?”
“E’ questione di istinto, il mio non ha mai sbagliato” affermò Mitsui
“Ci sono cose di me che non sai, che nessuno ha mai saputo. Cose
che non ho mai detto perché non ci riesco, perché per me
è troppo difficile. Non posso permettere a qualcuno di
conoscermi fino in fondo, perché verrei rifiutato e non lo
sopporterei.” Disse Yohei tutto d’un fiato.
“Tu non devi dirmi niente, le scoprirò da solo e quando
questo accadrà non avrai più scuse da inventarti.
Oltretutto non hai pensato che anche io potrei avere qualcosa che non
ho mai condiviso con nessuno per paura di scoprimi? Di soffrire?
Però sono disposto a rischiare”
“Io non sono come te” esalò Mito in un sussurro,
così leggero che se Hisashi, non gli fosse stato accanto non lo
avrebbe udito.
“Lo so, è questo che mi attrae e ti avverto, se continui a
guardarmi in questo modo ti bacio di nuovo. Perché prima non ti
ha fatto schifo, altrimenti me lo avresti già detto da un
pezzo” gli fece notare allungando le labbra in un sorriso.
“Non lo so” ammise Yohei.
Mitsui poggiò le mani sul collo niveo di Mito, si chinò
lentamente verso di lui e quando fu a pochi centimetri gli
sussurrò: “Ti avevo avvertito, perciò adesso lo
puoi scoprire” prima di far aderire le sue labbra a quelle di
Yohei che allora capì.
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