Disclaimer:
i personaggi citati
non mi appartengono, ma sono dei legittimi proprietari; la storia non
è stata
scritta a scopo di lucro.
Note: la fic ha partecipato a
un’iniziativa che prevedeva una storia
ambientata in clima natalizio, avevo deciso quindi di scrivere qualcosa
di
molto semplice, senza drammi, sangue, lacrime o angst in generale, per
la festa
dell’anno in cui si è tutti più buoni
(compresi gli autori di fanfic, sì).
La storia è stata scritta più o meno tra la
puntata 3x03 e la 3x04 (proprio durante
quel simpatico hiatus), quindi niente spoiler.
In realtà questa è un'enorme oneshot
schifosamente lunga, che per il bene di
chi avrà il coraggio di leggere ho diviso in due o tre parti.
Credits: il titolo è ripreso da una frase
della canzone "Heaven"
di Bryan Adams, mentre la canzone a inizio e fine storia è
"Gift of the
Magi" di Squirrel Nut Zippers.
Oh
Mother, Mother what shall I do?
Though Christmas day is fast appear
I have no silver, I have no gold
To buy my love a gift this year
Our dreams
are comin’ true
Un dollaro e ottantasette centesimi. Ed era tutto quello che aveva.
Lo sapeva che avrebbe dovuto limitare le spese in quel periodo, ma non
aveva
potuto lasciare tutti quei capi di abbigliamento pazientemente scelti
in base a
colore, modello e prezzo, alla prima ragazzina viziata in preda a crisi
isteriche per i regali per il proprio padre, fratello, o cane. E il
fatto che i
saldi iniziassero solo a gennaio non era stato d’aiuto,
così come quella
svendita da Mac del mese scorso – in compenso, gli effetti
della sua nuova
crema per le mani non erano passati inosservati nemmeno da Finn.
Il problema, però, era un altro.
Un dollaro e ottantasette centesimi, e in un paio di settimane sarebbe
stato
Natale, il loro primo Natale come una coppia. E Kurt non aveva la
minima idea
di cosa comprare al suo ragazzo.
Strinse con più forza il volante, accelerando leggermente.
“Non ti piace la canzone?” chiese Blaine dal sedile
accanto al suo, cambiando
la stazione della radio. “Il segnale non è buono
in questa zona…”
“Niente è buono in questa
zona, anche perché non c’è
assolutamente niente.
A parte questa strada infinitamente lunga. Oh, e la neve”.
L’altro sospirò. “Se hai freddo alzo il
riscaldamento” commentò, girando una
manopola. “E arriveremo a Cleveland tra poco, da
lì sono appena una ventina di
chilometri per-”
“Lo so, ho stampato io la mappa da Google”.
Blaine sorrise, accarezzando la mano di Kurt poggiata sul cambio. Erano
mesi
che tentava di organizzare una giornata del genere, loro due da soli
nella casa
dei suoi genitori sul lago Erie, e finalmente era riuscito a convincere
sia il
suo ragazzo che Burt. Il clima di quel dicembre non era dei migliori,
ma gli
avrebbe dato solo l’ennesima scusa per qualche coccola in
più, magari davanti
al fuoco del camino e a una tazza di cioccolata calda con panna.
E per questo avrebbe sopportato anche le tre ore di viaggio da Lima al
confine,
con tanto di borbottio di una radio non sintonizzata in sottofondo.
“Oh, la riconosci questa?” si riprese dai suoi
pensieri, alzando il volume e
canticchiando le parole disturbate della canzone che passava in quel
momento. “I got so brave, drink in hand, lost my
discretion…”
Kurt alzò un sopracciglio, togliendo la mano dal cambio e
riportandola sul
volante. Non che il suo ragazzo diede segno di notare la perdita di
contatto
tra loro, intento com’era ad improvvisare una performance
nell’abitacolo
dell’auto.
“I kissed a girl just to try it, I hope my
boyfriend don’t mind it! It felt so-
Ehi, perché hai
cambiato stazione? La conoscevo!”
“Chi guida sceglie la musica” dichiarò
impassibile Kurt, sintonizzando
casualmente su un qualcosa che somigliava terribilmente allo stridio
della voce
di Rachel quando elogiava il suo talento.
Blaine sbuffò, incrociando le braccia al petto.
“La macchina è mia,
dovrei scegliere io”.
“Se abbiamo delle regole dobbiamo anche rispettarle,
Blaine” gli fece presente
l’altro. “E poi guido meglio di te”.
“E sentiamo, su che base affermeresti una cosa del
genere?” gli chiese
divertito.
“Innanzitutto, non mi distraggo così facilmente
come fai tu. E non ho mai
tamponato l’auto di tuo padre nel vialetto di casa
tua”.
“E’ successo solo una volta, Kurt! E stavo
guardando te mentre cantavo Heaven
di Bryan Adams, e Burt non parcheggia mai in quel
punto!”
“Poi, non ricordi mai le strade di Lima e non mi ascolti
quando ti faccio
gentilmente presente che conosco delle scorciatoie. Consumi troppa
benzina,
Blaine, il nostro pianeta sta piangendo per questo”.
“Scherzi, vero? Una volta ti ho aspettato tre ore a
Westerville perché ti eri
perso e ti ostinavi a non volermi dire dove fossi”.
Kurt tuttavia lasciò andare solo un sospiro, non perdendo la
calma. “Terzo,
tendi a guidare con marce troppo basse, e lo stridio del motore
è veramente
insopportabile per il mio orecchio musicale. E infine-”.
“Kurt!”
La sterzata improvvisa li fece finire sul ciglio della strada, dove
l’auto si
fermò con una brusca frenata.
“Perché hai urlato?” gridò
Kurt dopo un primo momento in cui entrambi erano
rimasti in silenzio, liberandosi poi dalla mano di Blaine che era
subito corsa
al suo avambraccio. “Mi hai spaventato!”
“L’hai visto? Oh mio Dio, era un cervo! Stavi per
investire un cervo!” si
allarmò l’altro, ispezionando la strada per
controllare se fosse effettivamente
libera.
“Non stavo per investire proprio niente, e quello era un
daino!”
“Oh mio Dio, cosa ci fa un cervo qui?”
continuò, osservando il fitto bosco ai
lati della strada.
“Non era un- Blaine, cos’è questo odore
di bruciato?”
Si guardarono per un secondo, confusi, prima che Blaine gli slacciasse
la
cintura di sicurezza. “Esci”.
“Ma-”
“Esci!” ripeté più convinto,
tirando la maniglia e spalancando la sua portiera.
Si ritrovarono davanti al cofano, fissando in modo perplesso il debole
fumo
grigiastro che usciva da sotto la lastra di metallo. Dopo pochi secondi
scomparve, mentre tutto attorno a loro tornava silenzioso e ovattato,
coperto
di neve.
“Che è successo?” chiese Blaine,
inclinando leggermente la testa di lato.
Kurt tuttavia tornò all’interno
dell’auto, spingendo la manopola che permetteva
l’apertura del cofano. “So io
cos’è successo” disse, tornando accanto
al
ragazzo e guardando l’interno del motore. “Non hai
cambiato l’olio!”
“Cosa? L’ho cambiato invece! Due giorni
fa!” precisò l’altro, sporgendosi un
po’ per vedere quell’insieme di tubi.
“Se l’avessi davvero fatto ora non saremmo bloccati
in mezzo al nulla con dei
circuiti chiaramente bruciati” gli fece sapere.
“Oh certo, adesso la colpa è mia.
Perché invece non può essersi bruciata la
frizione? La tieni spinta un po’ troppo, è il tuo
difetto, e questo è il
risultato” commentò, incrociando le braccia e
guardandolo con aria di sfida.
Kurt aprì la bocca per rispondere, seriamente piccato, ma la
richiuse subito.
“Mio padre è un meccanico, e uno dei migliori in
circolazione. Pensi che io non
sappia tutto di auto?” rispose oltraggiato, camminando con
passo stranamente
pesante fino al portabagagli. “Il problema è
l’olio. Non ce n’è a
sufficienza”.
Blaine sbuffò, alzando gli occhi al cielo grigio che li
sovrastava. “Kurt, non
ha senso. E non hai mai nemmeno messo una tuta da meccanico”.
“Solo perché mi ingrassa sui fianchi”
ribatté, tornando accanto a lui con una
bottiglia nera in mano.
“Cos’è quella?” chiese Blaine,
preoccupato.
“Olio per motori, era nel retro
dell’auto”.
“Kurt! Non so nemmeno da quanto tempo sia lì! Non
dovresti mescolare due oli
diversi o-”
“E che ne sai che non sia lo stesso?”
“Perché l’ho cambiato due
giorni fa!” ripeté, convinto.
“Non lo hai fatto” ribadì, scrutandolo
con un sopracciglio alzato. “E ora, se
permetti, vorrei risolvere questo problema e tornare al caldo. Sto
congelando
dato che mi hai spinto fuori dall’auto senza lasciarmi
prendere la giacca”.
“C’era del fumo! Non si rimane mai dentro una
macchina se esce del fumo” O
almeno è quello che dicono nei film, evitò
di aggiungere, arrossendo
lievemente.
Kurt si limitò a guardarlo con sufficienza.
“Per me è la frizione…”
provò di nuovo Blaine.
“Per me è l’olio”
confermò, svitando il tappo del contenitore
dell’olio
all’interno del cofano.
L’altro sbuffò, di nuovo. “Fai come ti
pare!” gli disse, prima di tornare in
auto e chiudere lo sportello rumorosamente.
Notò appena che Kurt versava tutto il contenuto della
bottiglia prima di
portare la sua attenzione al bosco accanto a loro, alla neve fresca e
all’insolito buio di quella mattinata.
Com’erano arrivati a quella situazione? Il suo ragazzo era
sempre stato un tipo
piuttosto orgoglioso e tendente al sarcasmo se qualcosa andava
minimamente
storta, ma di solito bastava la sola presenza di Blaine per farlo
calmare e
fargli nascere sul viso quel sorriso abbagliante e quello sguardo
innamorato.
Questa doveva essere la loro giornata, piena di coccole e parole
d’amore
scambiate su un tappeto morbido accanto al camino acceso, perfetta
proprio come era la loro vita insieme.
Perché invece era dentro la sua auto con le braccia strette
al petto per il
freddo, mentre guardava la distesa di neve fuori dal finestrino per
evitare di
pensare al sorriso compiaciuto di Kurt che accendeva il motore?
Già, proprio la sua vacanza ideale.
*
Blaine
lasciò cadere la borsa e lo zaino a terra, cominciando a
trafficare
con le chiavi per trovare quella che apriva il portone in legno scuro
davanti a
lui. L’abitazione era piuttosto piccola e semplice, disposta
su due piani e con
una piccola veranda sul retro, sicuramente utile durante
l’estate, ricoperta di
fiori e con un divano comodo su cui sdraiarsi, ma che al momento
riparava
appena da tutta quella neve che era scesa nella zona. Il lago Erie era
appena a
mezzo chilometro
di distanza, e magari più tardi avrebbero potuto fare una
romantica passeggiata lungo la sua riva…
“Quanto
ci vuole ancora? Sto congelando, Blaine!”
…
Fidanzato permettendo, ovviamente.
“Un
attimo! Sono almeno due anni che non entro in questa casa, e ho ancora
le
braccia indolenzite per la tua borsa che
ho portato fin qui”.
Kurt
roteò gli occhi, incrociando le braccia e stringendosi nel
suo cappotto
blu. “E’ la borsa con il nostro pranzo. E
poi ci siamo alternati”.
“Mi
stupisco che tu non ci abbia messo dentro anche un pianoforte, visto
quanto
pesa” commentò, aprendo finalmente la porta.
“E comunque l’hai portata per i
primi cinque minuti, io per i restanti venticinque. In
salita”.
“Non
è colpa mia se la tua macchina
si è fermata a due chilometri da
qui!” dichiarò, entrando per primo nella stanza.
Si
guardò subito attorno, notando come il piccolo salotto fosse
arredato in
modo semplice ma con gusto. La signora Anderson in fondo ci sapeva
fare, lo
aveva sempre saputo, più o meno da quando aveva notato
l’abbinamento tra il
tappeto della sala da pranzo e le cornici dei quadri la prima volta che
era
entrato nella casa del suo ragazzo.
“Le
luci dovrebbero essere qui…” disse Blaine
sovrappensiero, controllando il
quadrante accanto all’ingresso con i diversi pulsanti
all’interno.
L’altro
lo lasciò fare, continuando ad osservarsi attorno. Un grande
divano
bianco era disposto proprio davanti al camino e la cucina faceva angolo
sulla
destra, decorata con motivi floreali su legno scuro.
“Oh,
cavolo, la legna è quasi tutta umida” si
lamentò Blaine, mentre lasciava
cadere un ciocco nel camino e si asciugava le mani sui jeans, facendo
arricciare il naso di Kurt. “Ma ci sono un paio di stufe
elettriche” si
affrettò a dire, notando il suo sguardo preoccupato.
“Ehm, sì. Da qualche
parte…” concluse, guardandosi attorno.
Kurt
sbuffò, sfiorando con la mano il tavolo pregiato della
cucina. La suoneria
di "Pink Houses" del suo cellulare squillò leggera e
spensierata
dalla tasca dei pantaloni, e non ci mise più di due secondi
a capire chi fosse.
“Papà?” rispose senza esitazione.
Blaine
alzò la testo verso di lui, curioso, prima di prendere la
borsa con il
loro pranzo e cercare di stendere la tovaglia sul pavimento. Lo
ascoltò mentre
raccontava come avevano passato la mattinata –
“C’è stato un guasto improvviso,
non so come sia successo, no,
papà, non ho bruciato la frizione!”
– e
poi dirgli di come avevano camminato per mezz’ora al freddo
per raggiungere la
loro meta, dato che i negozi quel sabato erano chiusi e non avevano
quindi
potuto riparare l’auto –
“C’è troppa neve, papà, e il
paese più vicino è a
venti minuti da qui. Hai idea di quanto ho pagato questi stivali? Non
ho
intenzione di andare fin… Non ho intenzione nemmeno di
chiedere a Blaine!”
A
quel punto il diretto interessato si ritrovò ad aggrottare
le sopracciglia,
mentre l’altro abbassava il tono di voce. E ormai lo
conosceva fin troppo bene,
poteva quasi vederlo, il
rossore sulle guance di Kurt.
“Anche
se dovessimo rimanere qui tutta la notte non credo proprio che ci
saranno occasioni per cose del genere, papà. Fidati, non
è la giornata adatta”
sussurrò appena, con tono a metà tra il nervoso e
il deluso, prima di
riagganciare.
Blaine
finì proprio in quel momento di tirare fuori
l’ultima portata e
posizionarla sulla tovaglia (Kurt quando ci si metteva faceva le cose
in grande
stile, e quel pranzo ne era la conferma). “Hai fame? Sembra
tutto delizioso,
Kurt, non so da dove cominciare” gli disse con un sorriso.
L’altro
sospirò, rimettendo il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Non era il
momento di pensare a cose negative come il trovarsi sperduti nel nulla
quasi
seppelliti dalla neve, con un’auto guasta, con un paese senza
negozi in grado
di aiutarli e con un camino spento e almeno cinque gradi sotto lo zero.
E con
la possibilità di rimanere tutta la notte in quel posto
d’inferno, considerando
il modo in cui aveva appena ripreso a nevicare.
Forse
invece era il caso di pensare solo a Blaine, che lo guardava in quel
modo
tutto speciale, tutto loro, seduto accanto alla tavola imbandita.
Sì,
non era il caso di pensare a nient’altro. Neanche al suo
dollaro e
ottantasette centesimi.
“Blaine,
i bicchieri vanno alla sinistra del piatto. Alla
sinistra! Non
puoi essere peggio di Finn, vero?”
*
Era così che sarebbe dovuta andare da subito. Nessun
problema al motore, nessuna
camminata di chilometri nella neve, nessuna lamentela per il freddo che
entrava
fin nelle ossa, e soprattutto nessuna discussione con Blaine.
Sarebbe dovuto essere così fin dall’inizio. Perfetto.
Oh, rimaneva il problema di quel dollaro e
ottantasette centesimi.
“Blaine…” provò a chiamarlo,
ma steso com’era sul tappeto morbido della sala da
pranzo, con il calore della stufa elettrica poco lontano, la coperta di
lana
attorcigliata alle sue gambe e il suo ragazzo che gli baciava il collo
non era
tanto sicuro che la sua voce avesse distinto quell’attuale
parola da un
semplice gemito.
Non che Blaine diede segno di lamentarsene, o di aver compreso
qualcosa, visto
il modo in cui era risalito fino al suo orecchio, leccandone la pelle
appena al
di sotto e strofinando il naso tra i suoi capelli.
Kurt si lasciò andare ad un sospiro, dimenticando perfino
che la sua camicia
bianca stava inesorabilmente strusciando contro un tappeto ricoperto da
chissà
quanta polvere, ma non poté fare a meno di aggrapparsi con
più forza alle
spalle di Blaine, passandogli una mano tra i capelli e costringendolo a
baciarlo di nuovo sulla bocca, dolcemente. Ed era assurdo quanto le
loro labbra
non sentissero più la stanchezza o la sensazione di gonfiore
appena si
sfioravano, o come i loro respiri fin troppo caldi sulla pelle del viso
non
fossero più un imbarazzante solletico.
Dopo tutti quei mesi, Kurt poteva ammettere senza vergogna che erano
campioni
di coccole. Il loro record personale era intorno alle due ore e tre
minuti,
come il primato della maratona, ma erano entrambi sicuri di poter
migliorare
notevolmente. Il problema era avere il tempo a disposizione,
considerando le
regole di Burt e il coprifuoco di Blaine.
“Aspetta…” ripeté ancora, ma
ottenne come risposta una sorta di grugnito e un
bacio più intenso. Blaine gli accarezzò poi una
guancia con la mano,
inclinandogli la testa in modo da poter approfondire meglio il
contatto. E Kurt
impazziva, letteralmente impazziva, quando
l’altro gli prendeva il
labbro inferiore e cominciava a leccarlo, continuando a muoversi contro
la sua
bocca. Dio, le labbra carnose di Blaine non le avrebbe dimenticate
nemmeno dopo
una lobotomia.
“Oh” gli sfuggì, appena udibile e
confondibile con un sospiro di piacere,
notando che la mano libera di Blaine, quella che non era stretta tra i
capelli
sulla nuca di Kurt, si era infilata sotto la sua camicia e aveva
cominciato ad
accarezzargli la pancia.
Il loro rapporto era diventato più fisico solo da poco
tempo, ma era
impressionante la loro capacità di ricordare ogni punto
preferito dell’altro, e
il modo in cui gli piaceva essere sfiorato e amato. Kurt avrebbe dato
qualsiasi
cosa per lui, anche la sua preziosa voce, proprio come Ariel (dovevano
smetterla di tenere i cartoni Disney come sottofondo alle loro sessioni
di
coccole, anche se Blaine continuava a dire che rendevano
l’atmosfera perfetta
per quel genere di attenzioni e allontanavano possibili guastafeste).
Avrebbe
dato qualsiasi cosa per continuare ad essere amato dal ragazzo migliore
del
mondo, e glielo avrebbe dimostrato presto.
Oh. Non con un dollaro e ottantasette centesimi.Merde.
“Blaine… Blaine! Fermati!” lo
bloccò all’improvviso, ribaltando le posizioni e
sdraiandosi su di lui – a quanto pareva era l’unico
modo per fermarlo
efficacemente.
Blaine gli sorrise, portando una mano sulla sua guancia, lasciando che
Kurt si
adagiasse contro il suo palmo, mentre l’altra gli accarezzava
la pelle della
schiena. “Va tutto bene?” gli chiese.
Perché doveva guardarlo sempre in quel modo? In un misto di
amore sconfinato e
senso di abbandono. Oltre a qualcosa di famelico.
“N-no, non è questo, è
che…” ti meriti molto di più
e non so attualmente
come ripagarti. Letteralmente. E questo farà di me il
peggior fidanzato della
storia, e tu me lo rinfaccerai giustamente per un tempo indefinito, e
io
lascerò il mio orgoglio prendere il sopravvento, e alla fine
ci lasceremo e
quando ci incontreremo per caso fuori a un teatro di Broadway
perché mi
chiederai un autografo per tuo marito io correrò via e mi
rinchiuderò in un
bagno e piangerò fino a che-
“Kurt. Mi stai spaventando”.
“Oh… No. Non è niente!” Ok,
doveva smetterla di lasciar vagare così tanto la
sua mente, forse ultimamente aveva passato troppo tempo in compagnia di
Rachel
Berry e dei suoi melodrammi. “Ti amo” disse
solamente, cercando di cambiare
discorso.
E ci riuscì, visto il sorriso enorme sul viso di Blaine, e
la velocità con cui
lo aveva baciato di nuovo. E poi come lo aveva riportato sotto di
sé. “Vuoi
andare in camera?” propose dopo pochi secondi, con le labbra
contro la pelle
del suo collo. Adorava l’odore di Kurt.
“C-come?” si ritrovò a chiedere,
stupito. Ma lo sguardo sicuro di Blaine, ora
fisso nei suoi occhi mentre le sue mani gli accarezzavano il viso, non
lasciava
spazio ai dubbi. “Sì”.
“Davvero?” domandò l’altro,
quasi incredulo.
“S-sì, perché non dovrei?”
disse sulla difensiva, arrossendo leggermente.
“Insomma, ormai…” ma non poté
finire la frase, perché Blaine lo aveva già
coinvolto nell’ennesimo bacio del pomeriggio.
E ormai non sentiva più nemmeno il freddo, che motivo aveva
avuto per
lamentarsene tanto prima?, e il camino acceso sarebbe stato un
terribile
cliché. E che senso aveva preoccuparsi della neve che cadeva
leggera, fuori, se
si stava facendo buio? Non l’avrebbe vista neanche alla luce
del sole, se continuava
a tenere gli occhi chiusi per Blaine. Senza contare che potevano fare
una
romantica passeggiata mano nella mano per tornare fino alla loro auto,
e nel
frattempo avrebbero persino perso qualche caloria, perché
quindi farla ora?
Ormai non sentiva più niente, solo Blaine, le sue labbra, le
sue mani, il suo
amore, il campanello insistente della porta.
No. Cosa?
“Cosa?” domandò, alzandosi a sedere di
scatto.
“Non è niente” tentò di
distrarlo Blaine, tentando di farlo sdraiare di nuovo.
“Niente”.
“Come niente? Qualcuno sta suonando il tuo campanello,
Blaine, non possiamo
lasciarlo là fuori con questo tempo!”
tentò di farlo ragionare, mettendo una
distanza di ben venti centimetri tra di loro. Ed era tanta.
“Va bene, se suona di nuovo vado ad aprire,
altrimenti…” e lasciò la frase in
sospeso, avvicinandosi alla bocca di Kurt. Non che a
quest’ultimo dispiacesse.
Ma quel trillo insistente li bloccò di nuovo.
“Magari è importante” provò
Kurt, mentre l’altro si alzava e si avviava
all’entrata, sistemandosi la maglietta nei jeans.
Lui intanto si sdraiò sul tappeto, tentando di recuperare il
fiato. Ok, cinque
minuti e Blaine si sarebbe occupato di qualsiasi scocciatore si fosse
trattato,
magari nel frattempo poteva fare un giro al piano di sopra e valutare
l’effettivo
stato di pulizia della camera da letto. E anche dove la signora
Anderson teneva
un ferro da stiro per eliminare le pieghe sulla sua camicia.
“Oh, finalmente! Cominciavo a preoccuparmi che le mie corde
vocali potessero
congelarsi, qua fuori. E i miei papà avrebbero dovuto farti
causa, Blaine, per
aver affondato il mio enorme talento come l’iceberg con il
Titanic”.
No. Era un incubo. Quella voce l’avrebbe riconosciuta tra
mille – e come darle
torto, il talento di cui andava vantandosi era realmente esistente
– ma Rachel
Berry non aveva appena interrotto una sessione così intensa
di pratica tra
lui e Blaine. No.
“Ehi amico, la tua auto è a due chilometri da qui,
lo sai? Totalmente ricoperta
da neve. Bella casa, comunque”.
No, questo era anche peggio di Rachel Berry.
Kurt si alzò immediatamente, incurante dello stato dei suoi
capelli e delle
pieghe sulla camicia e sui pantaloni, rosso in viso non solo per il
caldo della
stufa e con il fiato corto. Quasi inciampò nella coperta di
lana attorcigliata
alle sue caviglie, ma il suo sguardo non lasciava spazio a dubbi.
Quello era
terrore.
“Finn?!”
To be continued...
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