*prende una carrettata d'amore per il
capitolo 15 (the only one that matters ever, come giustamente
riassume Shledzguohn), la spiaccica sullo schermo e viene fuori
questa cosa qui*
Quattro temi a raccogliere tutt...
buona part... alcune riflessioni nate nel rimirare
tale
meraviglia di narrazione, da quando Yomiel sbatte la porta
lasciandosi indietro la sua vendetta a base di berretti di lana in
poi.
Originariamente erano cinque parti, ma
mi sono ricordata in corso d'opera che questo non è Myst (ehi, sono
cose difficili da capire, se si è me, abbiate pazienza) e si possono
usare anche altri
numeri *cough* e che se una cosa è ridondante è meglio toglierla,
soprattutto quando il resto è già troppo lungo, mamma mia doveva
essere una serie di drabble...
Anche per il Calendario dell'Avvento di magic-reservoir (eh, GT, è Natale...), 12 dicembre. :)
Non vedrà l'alba
La tela si tinge
Finiva lì. A meno che un miracolo non
bussasse alla porta di quell'ufficio scalcagnato in mezzo ai rifiuti,
la sua guerra privata finiva lì, in una bolla calda e accogliente di
fallimento mentre fuori la notte s'infittiva nelle ultime ore prima
dell'alba. Era ancora vivo, sconfitto (o quaaasi, ma aveva giocato
una mano rischiosa e aveeeva proprio perso, perso un proiettile e un
orologio), inutile e costretto a fare qualche conto con se stesso
nella calma prima che il prof risalisse le scale dalla fogna in cui
si era salvato. Scacciò il ricordo dell'altro presente, sdoppiato e
tremulo per qualche istante, poi monco, come una cicatrice che
lottasse per rimarginarsi senza trovare carne viva su cui far presa,
quando il suo altro tempo si era interrotto con un proiettile in
fronte.
In pratica non era cambiato molto, si
confessò. Il suo tempo era finito prima della fine. Così poco prima
della fine, baby, un piccolo sfooorzo, no? No. Aggrottò le
sopracciglia. Ci aveva provato.
Il respiro si allungava, rauco sotto il
peso acuto di costole rotte, e Cabanela ricordava gli anni in cui le
notti in bianco scivolavano leggere alle sue spalle, chiazze di luce
e musica a collegare il grigiore di un giorno in ufficio al
successivo. Passati anche quelli. Notti in bianco. Quella notte sì
sarebbe dovuta essere bianca, impeccabile e immacolata – chinare la
testa e vedere il casino in cui era terminata era uno schiaffo
all'orgoglio, ma aveva finito le forze per reagire.
Strinse i denti e imparò ad apprezzare
altri colori: il grigio caldo delle pareti, abbastanza spento da non
ferirgli gli occhi e da stendere un sipario dignitoso sul suo
spettacolo. Svolazzi azzurri accompagnati da rimbrotti stanchi per
migliorare l'educazione di un piccione che già rispondeva al suo
nome e la mattina si azzardava a tubare solo dopo il secondo snooze
della sveglia. Era sicuro che ci fosse un commento graffiante
nell'aria, qualcosa sui piccioni che – ma era troppo vago,
modellarlo in una battuta degna del professore avrebbe richiesto
impegno.
Infine, nel rosso tranquillo con cui
Sissel li aveva circondati si ritagliò una pausa, una riflessione,
uno squarcio di tempo immobile e guadagnato. Tempo per guardare in
faccia un fantasma che era e non era il suo passato. Cabanela sapeva
pensare in rosso: l’intensità decisa del colore era un invito, una
spinta in avanti, era sulla sua lunghezza d'onda. La seguì come uno
spartito, impostando un racconto di incertezze e successi al ritmo
delle domande di Sissel, e si sentì di affermare senza timore che i
secondi fossero stati più grandi e importanti del mare di nulla da
cui erano partiti. Aveva avuto una direzione. Quando anche la
conversazione smise di riguardarlo, vide come chi era rimasto in
piedi non avesse intenzione di mollare.
Si scoprì grato che quella vendetta
(dovuta, baby, meritata, quello che vuoi. Ma non dopo Alma, hai perso
ogni diritto, non con quelle parole e non ora, non ora) si fosse
consumata di fronte alle volute calde della stufa, senza trascinare
fuori dalla porta le sue ossa stanche. Fuori c'era la discarica con i
suoi verdi e i suoi blu malsani, i colori stridenti della spazzatura,
il cielo tinto del'alone artificiale della città oltre gli archi di
luce fredda dei lampioni più vicini. Lì dentro poteva restare nel
rosso.
Un tempo aveva mirato più in alto. Si
mise comodo e se lo fece bastare.
Convergenza d’illusi (Nulla è
logico, non dal calar del sole)
“Questa è una notte di miracoli”,
aveva scritto Lynne a bordo del suo quaderno rosa, quello così
segreto che gliel'aveva visto in mano, arrotolato e stretto come un
portafortuna, ogni giorno dacché aveva finito l'addestramento. “Dove
sono i miei miracoli?”
Maiuscolo e in penna rossa, ricalcato e
sottolineato, quel desiderio ancora infantile era riuscito a
strappare un sorriso a Cabanela all'inizio della notte: non riusciva
a non rivedersi nelle speranze della sua bambina, nonostante gli anni
e i gradi di distanza. Stesso percorso, lungo binari paralleli e
sfalsati. Stesso obiettivo, stessa cocciuta speranza fin sull'orlo
del precipizio – la differenza era che Cabanela confidava in un
risultato, non sperava in un miracolo. I miracoli capitano, i
risultati conseguono e come capo dell'Unità Investigativa Speciale
aveva imparato ad abbandonare i sogni e mettere un cauto piede
davanti all'altro (e spostarlo a lato, e batterlo, e piroetta). Un
giorno il suo risultato si sarebbe avvicinato fino ad arrivare in
vista, da ottenere ai suoi termini, al suo ritmo, e allora si sarebbe
preparato ad accoglierlo. Non prima. Se avesse proseguito al traino
delle sue stesse aspettative, l'eventualità che quel giorno potesse
non arrivare mai ad avvicinarsi abbastanza sarebbe stata un colpo
troppo duro da ingoiare.
Ma quando fosse stato sicuro che quel
giorno si fosse fatto vicino si sarebbe preparato ad accoglierlo con
stile degno della sua reputazione, sicuro, impeccabile: doveva
allestire un Gran Discorso che non poteva permettersi di lasciare al
caso. ...Coreografia really, ma nel suo quotidiano le due cose
tendevano a concidere. E quel Discorso, se mai se ne fosse presentata
occasione, sarebbe stato degno di cinque anni e di notti insonni, a
viso aperto, potendo finalmente ridere dell'indagine perché se l'era
lasciata alle spalle e non perché non doveva importare a nessuno
fuorché a lui. Un “Visto che tu non ti credeeevi l'ho fatto io,
baby” o un qualcosa del genere, un “Nothing like it – nothing
to it per meglio dire”, ma doveva ancora pensarci, e gesti bianchi
uno dopo l'altro, perché non aveva niente da nascondere, solo da
spiegare, un mucchio di giorni da spiegare. Cinque anni di
incomprensioni iniziavano a saltare al naso anche a lui, ma che
importava? Tutto si sarebbe chiarito al finire delle danze. “Hai
piena facoltà di offrirmi da bere, baby”, avrebbe detto,
all'incirca.
O avrebbe potuto atteggiarsi a cavalier
servente, paladino dalla giacca scintillante, per puro gusto di
tornare ad arruffargli le penne (e rispedire al mittente quella
gloriosa legata al dito di sette anni prima, perché veramente Jowd,
“Piuttosto Merlino, ma nel senso di diavolo mancato” a chi? Ed
erano sobri, tutti e due). Se avesse risposto a tono, smontando la
sua pantomima battuta dopo battuta, lasciandolo a ridere di se stesso
e delle sue assurdità, avrebbe avuto la certezza che una parte del
passato fosse tornata al suo posto. Se invece l'avesse preso sul
serio... forse per una volta se lo sarebbe meritato.
Ma più probabilmente si sarebbe
limitato a fare il detective fiero del proprio lavoro, la volta che
fosse riuscito a trascinarlo per un orecchio in un tribunale e a
tirarcelo fuori innocente.
Ok, self, baby, forse un pochiiino
ci hai pensato.
Non che cambiasse molto, ridotto
com'era e senza nuove dai suoi ragazzi appostati là fuori. Preferiva
continuare a pensare che il grande show della sua vittoria fosse una
massa ancora informe da preparare con calma, in privato, misurando le
pause e i tempi delle battute.
Così quando il suo miracolo gli rise
in faccia e irruppe nella stanza non seppe che pensare, sprofondò
nella sedia e restò zitto.
Il tunnel alle spalle resta buio
Alma non sarebbe tornata. Questo lo
sapeva. Lynne non sarebbe tornata bambina e sapeva anche questo, la
vedeva ogni giorno affannarsi da sorella e madre. Jowd era marcito in
prigione con la sola compagnia dei suoi pensieri chiusi e circolari,
senza nessun volontario che glieli risbattesse sul grugno uno per uno
prima che diventassero pericolosi o che lo prendesse in contropiede
con un paradosso ben piazzato, senza nemmeno la via d'uscita di
Kamila – dèi, Kamila.
Avevano perso tutti almeno cinque anni.
I più fortunati. Sarebbe corso a fare da scudo a tutti loro dalle
ombre che erano rimaste sul loro cammino, ma rimaneva alla fastidiosa
mercé di due gambe poco collaborative. Avrebbe espiato a tempo
debito.
Per il momento restò a osservare la
normalità schiacciante di Jowd che arrivava e gli soffiava
l'indagine, com'era giusto che fosse, come doveva girare il mondo, e
Lynne al seguito con gli occhi che le brillavano.
Lungi dall'essere perfetto, ma ne era
valsa la pena. Almeno per quello. Una piccola parte del presente che
voleva aveva ripreso a scorrere.
Si chiese cosa avrebbe potuto fare di
meglio – ignorò, per il momento, la voce insistente che diceva “lo
sai benissimo e lo sapevi anche dieci anni fa”. Dopo quello.
Se ne sbaglia sempre una, baby.
Soffice, caldo e fine
Si sentì spostato. Movimenti
sgraziati, gomiti ovunque. Si dichiarò che se c'era una cosa che
odiava più di non avere controllo sull'ordine in cui i suoi muscoli
eseguivano un casqué era l'affidarlo a un veterinario mancato.
Almeno gli avevano lasciato il
cappello. Aveva, singolare: sentiva il berretto di lana appollaiato
come una cornacchia sui ciuffi irrigiditi dal gel e non c'era da
dubitare di chi fosse l'autore di una simile alzata d'ingegno.
“Se stai cercaaando di lanciare una
moda”, biascicò, ma il Prof non sembrò prestargli attenzione e
non era davvero sicuro di aver pronunciato tutta la frase. Forse
stava parlando a sua volta, ma non riuscì a concentrarsi a
sufficienza per capire di cosa né con chi.
E non stava succedendo nulla. Di nuovo.
Odiava le attese – tutto il tipo sbagliato di tensione.
Sissel lo osservava in silenzio, palese
nella sua preoccupazione anche sotto la massa degli occhiali scuri:
l'angolo della bocca era teso, la fronte aggrottata, con le mani
cercava un polsino o un bottone della giacca senza poi sapere che
farsene, fino a che non perdeva consistenza scivolando in un oggetto
o nell'altro.
Poteva sollevarlo da quello strazio
tendendogli la mano e riportandolo per qualche tempo nello spazio
ovattato dei fantasmi, certo. In quelle pause tornava volentieri a
scherzare, a cercare di capire chi avesse davvero davanti con battute
angolate che non trovavano riscontro, a scoprire un'intesa con il
piccolo guerriero protettore di Kamila, ma il punto era proprio che
dovevano aspettare. Nel mondo reale. Che due persone reali
raggiungessero un risultato reale.
Cercò, sentendo di avere una presa
salda almeno sul pavimento (l'esserci sdraiato sopra poteva aver
giocato un qualche ruolo nella situazione), di raggiungere un
compromesso accettabile di presentabilità, che almeno somigliasse
alla posa di un eroe caduto più che a quella di un mucchio di
lenzuola cui è stato sbagliato il lavaggio. Finì per urlare.
Quando riprese conoscenza, perfino il
benedetto piccione lo stava guardando storto.
Il tempo passava e bruciava.
“Sissel. Per favore. Riportali
indietro, baby. Tutti e tre”, disse in un momento di lucidità. Non
sufficiente a riconoscere di aver barattato il pavimento dell'ufficio
per un materasso né ad aprire gli occhi e scoprire il bianco di una
stanza di ospedale.
Lontano, sotto il mare, lo spirito di
Sissel scomparve da quel presente. Quel presente scomparve insieme a
lui.
Note: l'ultima volta che ho avuto così
tanto da dire su una singola maledetta stanza ero a K'veer =/
'nyways.
@peeerso proiettile e orologio: sono il
suo gambetto, ma non può avere certezza che pagheranno. (a tal
proposito – posso dire chi mi sembra veramente il più
“one-step-ahead” in questa trama? No?)
@ la cosa di Merlino: mi sono scavata
la fossa da sola e l'unica soluzione che ho trovato è un po' troppo
nerd, me ne scuso. Certe fonti danno Merlino come figlio di un
diavolo destinato a diventare l'Anticristo ma poi no perché fu
battezzato. Se Cabanela aveva provato ad atteggiarsi a Galahad o che
so io, e ipotizzando che si possa citare il ciclo arturiano in
quest'ambientazione (cosa di cui dubito tantissimo, ma transeat)...
posso vedermi selfappointed!Artù!Jowd che lo smonta così XD
@ this is a time of miracles – where
my miracles at?: citazione diretta da sworcery. Amo amo AMO i testi
di quel gioco.
@ normalità di Jowd che arriva e gli
soffia l'indagine: lo dice lui nel gioco.
@ soffice, caldo e fine: fine nel senso
di finale, perché la mamma mi ha fatta leziosa.
@ sentirsi spostato + finire in
ospedale: il finale del capitolo timeskippa due ore. Quando Sissel si
telefona sullo Yonoa, Cabanela è scomparso dal campo visivo. Per me
ha senso che abbiano chiamato un'ambulanza... il Prof comunque è
dottore in medicina.
@ Cabanela e Missile potenziali BFF: un
po' lo dice il finale, un po' lo dice Shari e in effetti i punti di
contatto ci sono XD
|