Come il Serpente ed Adamo

di Lavi Bookman
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Faceva abbastanza caldo quel giorno. Non il caldo afoso che rende difficili anche i movimenti più semplici, non quel caldo torrido da sopprimerti le parole in gola, era un caldo semplice, accettabile per essere a fine settembre.
Frugò brevemente in tasca alla ricerca delle chiavi di casa sino a trovarle. Le rigirò nella toppa con fare automatico ed aprì la porta. Sapeva cosa avrebbe trovato al suo interno. Era sempre così, una di quelle abitudini che non cambiano neanche a pagarle, neanche a chiedere in ginocchio che vengano dimenticate e taciute... E lui sapeva che, nonostante tutto, l'avrebbe ritrovata in casa, sul divano davanti alla televisione. Sbuffò leggermente assaporando il profumo di mandorle e vaniglia del suo shampoo.
Provò il desiderio di uscire scappando, nuovamente, ma probabilmente ciò non l'avrebbe allontanata. Probabilmente sarebbe solo riuscito a rendersi ancora più impotente difronte alla spiazzante semplicità di lei.
La amava, certo, ma probabilmente non come lei sperava. Avrebbe voluto, e preferito, amarla sinceramente, senza nessun compromesso, senza nessun presentimento che Dio potesse metter parola a riguardo di ciò che facevano. Non aveva mai creduto in Dio, o quanto meno non aveva mai pensato che potesse interessarsi a lui, ma da quando era diventato parte di un 'loro' con la persona sbagliata, aveva cominciato a pensare che, forse, attirava maggiormente l'attenzione anche ai piani alti.
- Mel, che scusa hai inventato questa volta? - chiese con voce stanca togliendosi la giacca.
La ragazza comparve da dietro il muro che divideva il salotto dall'ingresso, sorridendo.
- Oggi sono da una mia amica a consolarla perchè il suo ragazzo l'ha lasciata! -
- Prima o poi se ne accorgerà, lo sai anche tu... -
Gli si avvicinò, protendendo le braccia e avvinghiandole al suo collo abbracciandolo. Ed in quell'abbraccio c'era più intimità che in qualsiasi altro gesto. C'erano la sua disperazione, il suo dolore, la sua innocenza mal celata e la sua stupidità, tanta tanta stupidità.
- Non ha importanza... - disse stringendosi maggiormente a lui, sperando che ricambiasse l'abbraccio, ma, come era ovvio, non lo fece.
- Ha importanza se ogni volta inventi scuse su scuse per andare avanti, non credi? -
- Ma che cazzo ti prende oggi? Le altre volte stavi più zitto -
- Non ho niente - disse sciogliendosi velocemente dall'abbraccio ed allontanandosi in cucina. Sapeva benissimo il genere di espressione che aveva in volto lei, e sapeva altrettanto bene che non sarebbe bastata una risposta seccata a farla desistere.
- Niisan, che cos'hai? -
La voce della ragazza apparve più innocua di quello che in realtà era, e il sorriso sul suo volto aveva lasciato spazio ad una preoccupazione sciocca, inutile. La risposta l'aveva avuta mille volte, eppure non era mai riuscita ad imprimersela nella mente.
- Dannazione, non chiamarmi 'niisan'! Sai benissimo che non basta chiamarmi così in giapponese per cambiare le cose! Tu sei mia sorella, cazzo, ficcatelo in testa. Ecco cos'ho, sono stanco di te! -
- Non è vero. -
- Tu cosa ne sai, eh? Vieni qui e ti aggrappi a me come se io fossi il tuo ragazzo, come se io potessi rappresentare davvero per te qualcosa al di sopra del fratello maggiore.  Io non posso, capisci? E tu non puoi obbligarmi ad esserlo, non puoi... -
Si avvicinò a lui, fissandolo e vedendo la rabbia che gli distruggeva gl'occhi. Sorrise. Era ciò che meglio le riusciva: sorridere. Glielo aveva insegnato lui: sorridi, sempre. Lo trovava difficile, doverlo fare anche quando in realtà aveva voglia di tirare pugni al muro, e quello era uno di quei momenti.
- Vuoi che me ne vada? -
Bastarono quelle parole per farlo scattare. La prese per le spalle, spingendola contro il muro e poggiò la fronte contro la sua clavicola.
Rimasero immobili per qualche secondo, qualche interminabile secondo. Alla fine, lo abbracciò ancora. Gli accarezzò i capelli, dolcemente.
- Se vuoi che me ne vada, dillo... -
- Voglio che te ne vada -
- Allora spostati, per favore – e provò a premere sul petto del fratello, invitandolo ad alzarsi da lei – sei un dannato stupido, cazzo. Stupido, stupido, stupido! –.
- Lo so... -
Passò circa un minuto perchè si decidesse a lasciarla andare, ad allontanarsi da quel corpo che in realtà avrebbe vuoluto avere ancora e ancora. Perchè, infondo, lui non voleva lei. Non voleva l'amore che sarebbe stata disposta a dargli, quello era troppo da accettare senza condizioni e compromessi da elaborare.




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