Come le colombe

di La Mutaforma
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Volano. Alti nel cielo.

Volano. Osano. Oltre ogni confine.

Volano. Nella luce del sole, nel bagliore rosato dell’alba, sfuggendo alle sue tiepide dita luminescenti. Nella pioggia, nel vento, e nel gelo. E niente li ferma.

Non c’è dimora per chi possiede le ali. Il mondo è la propria casa.

 

Non capiva perché Laverna li odiasse tanto. Perché scacciarli? Perché odiarli?

Per invidia forse? Perché le statue non possono muoversi, non hanno ali abbastanza grandi per volare. E lasciare la cattedrale. Ma Laverna non voleva fuggire. A lei piaceva il campanile.

Anche alle campane, alle candele, alla luce soffusa e proibita di quell’angolo senza nome, sospeso sul cielo, di cui lui era l’unico abitante.

Ricordò un tempo, quando restava immobile sul parapetto, con le braccia e le gambe salde sul suo posto. Immobile come una statua. Un volto di pietra.

E gli capitava, nei giorni più fortunati, di sentire un battito d’ali sulla sua testa, un paio di zampine sulle braccia immobili, una beccata tra i capelli. Non un fremito, un respiro.

Così immobile, non era troppo diverso dalle altre statue. Era brutto quanto quelle sculture arcigne, ferme, appollaiate in ogni anfratto sulle facciate della cattedrale.

 

E gli uccelli passavano. Mai gli stessi. Elemosinavano un buco asciutto dove passare la notte, fare il nido, e poi ripartire. Nomadi del cielo, colonizzatori di terre inesplorate e bellissime. La splendida cattedrale era solo uno dei tanti luoghi di transizione in cui avrebbero trovato casa per il tempo necessario.

Quasimodo li accoglieva con benevolenza, cercando di proteggerli dalle proteste di Laverna. Senza chiedere pigione o saldo per l’affitto, accontentandosi dei loro tubare pacato.

Di certo non un canto melodioso, ma il racconto di terre lontane che avrebbe tanto voluto vedere. Mentre stormi di ali bianche affrontavano il cielo e le nuvole, fissava i suoi piccioni avventurarsi lontano, e sapeva di aspettarli. Aspettare il loro ritorno. Perché il mondo non è così grande, e presto di torna indietro, di nuovo a Notre Dame.

Di nuovo a Parigi.

Come vagabondi, come zingari, accoglieva il loro rumoroso stormire con il più bel sorriso che era concesso ai prigionieri come lui.





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