Ciao a tutti. Io sono Alessia. Questa non
è la prima fan fiction che scrivo e sinceramente non so
neanche se si può chiamare tale.
E' una storia completamente
inventata, con personaggi e situazioni inventati. Non ho preso spunto
da niente in particolare, solo un po' dalla mia vita.
Per scrivere questa storia ho
ovviamente usato la musica, in particolare finora ho ascoltato
canzoni di Adele e dei Bat for Lashes, ma per questo primo capitolo non
c'è una canzone che possa accompagnare la lettura.
Ok, spero che vi piaccia questo
primo capitolo e che commenterete dandomi consigli e pareri.
Sono molto critica nei miei
confronti, dunque non abbiate paura a dirmi quello che pensate
(ovviamente senza offendere).
Credo che ci siamo.
Buona lettura.
-Set Fire to my
Heart-
Capitolo 1.
(Balance of Real Life)
Ero appoggiata con i gomiti al
balcone del mio piccolo appartamento, osservavo la città che
si svegliava.
La nebbia autunnale iniziava
ad alzarsi e le luci notturne si spegnevano, i rumori del piccolo porto
si facevano sempre più forti.
Le prime persone si facevano
coraggio ed uscivano a quel freddo così pungente, sembrava
quasi
inverno, e si immergevano nella vita del paese.
Mi strinsi nel mio maglione
di lana, fatto ai ferri dalla mia vecchia nonna tanti anni prima, uno
di quei cimeli di famiglia che mi portavo addosso da sempre.
Diedi un'ultima occhiata
alla vita esterna, inspirai un po' di quell'aria fresca che al mattino
ti fa stare bene, e rientrai in casa.
Andai verso la camera di
Sophie, aprii piano la porta e mi sedetti sul bordo del suo letto.
"Sophie, sveglia." Le dissi
accarezzandole il viso con dolcezza.
Mia figlia aprì gli
occhi contro voglia e iniziò a stiracchiarsi da sotto le sue
calde coperte.
"Mamma, dai è
già ora di svegliarsi? Non ne ho voglia, uffa."
Ogni mattina la stessa
frase, ma ricordavo sempre che anch'io alla sua età non
avevo
mai voglia di svegliarmi presto, era un vero e proprio trauma.
Mi diressi in cucina,
lasciandole il tempo di prepararsi per una nuova giornata di scuola e
nel frattempo preparai la colazione per tutte e due.
Ormai ogni situazione era
diventata un rito per noi due, sole.
La svegliavo, facevamo
colazione insieme, la portavo a scuola e poi ci rivedevamo nel
pomeriggio. Non cambiava quasi mai niente nei nostri programmi. Poteva
sembrare monotono, ma avevamo trovato il nostro ritmo in quella vita
così piatta e finalmente eravamo tranquille.
La salutai di fronte a
scuola, mentre lei correva verso le sue amiche. Mi lanciò un
bacio da sopra i gradini e poi scomparve dietro le grosse porte di
metallo.
Tornai in macchina e accesi
il riscaldamento al massimo. Era davvero freddo e non ero ancora
abituata, soprattutto per una persona così freddolosa come
me.
Il lavoro mi aspettava a
braccia aperte, purtroppo e così andai al Tory Harbor
Cafè, la tavola calda dove lavoravo ormai da 5 anni.
Era il bar del porto ed era
sempre pieno di persone di ogni tipo, gente del paese, ma anche
forestieri o semplicemente marinai che venivano a fare la pausa da un
tragitto all'altro.
Odiavo quel posto, per
l'umidità che lo circondava, ma soprattutto per il mio capo;
un
ometto di mezz'età, grassoccio molliccio e viscido. Jack era
sempre pronto ad attaccarti per qualsiasi minuscolo errore commettessi,
o semplicemente, se la mattina si svegliava con la luna
storta,
diventavi il bersaglio del suo malumore. Non era piacevole, ma almeno
ogni mese avevo la mia paga che mi permetteva di tirare avanti.
Il bar era già
affollato, così corsi nel retro a cambiarmi e andai ad
aiutare
la mia cara amica Claire che era già sommersa di ordini.
"Ehi Elly, eccoti.
Stamattina è assurdo, ognuno vuole qualcosa di diverso,
ognuno
ha una lamentela da fare e ovviamente Jack ha l'umore nero
come
la pece, dunque preparati" mi disse mentre mi abbracciava.
"Tranquilla, ora ci
divideremo lamentele e umore nero in due" dissi sorridendo. Quella
mattina stavo bene, ero allegra ed ero convinta che niente avrebbe
potuto cambiare lo stato in cui mi trovavo.
La giornata passò
veloce e frenetica. Il mio turno stava per finire, quando Jack venne da
me e mi chiamò nel suo ufficio. Sospirai esasperata, mentre
Claire mi osservava da lontano, sapevo che sarebbe stata al mio fianco,
qualsiasi comunicazione avessi ricevuto dal "grande capo".
"Jack avrei finito. Dimmi cosa
c'è?" gli chiesi quando entrai nell'ufficio tirandomi via il
grembiule.
Quando alzai lo sguardo
quello che vidi non mi piacque per niente, il ghigno dipinto sul volto
di Jack e il suo tamburellare nervosamente con le dita sulla sua
scrivania erano un cattivo presagio.
"Siediti Eloise, siediti cara."
Continuai a guardarlo dura in
viso, mentre mi sedevo. Ero in attesa della brutta notizia.
"Ebbene, ho preso una
decisione. Qui al bar a parte me siete in 4, tu Claire e le altre due
pasticcione. I turni sono ben coperti, ma non sono molto contento delle
due giovani ragazze che coprono il turno serale. E così
chiedevo
se da oggi potevi venire a fare qualche ora anche alla sera" continuava
a guardami con aria di sfida e sapevo bene che questa non era una
proposta, ma un ordine.
"Jack, sai bene che non ho
nessuno che possa tenere mia figlia alla sera, non posso portarmela
dietro. E sai anche che Claire è nella stessa situazione
mia"
dissi sperando che a quell'uomo così frustrato fosse rimasto
un
briciolo di buon senso.
"No cara, non vorrei Claire
comunque anche se potesse. Voglio te, sei la migliore, potrei darti un
aumento, ma ricorda che se non accetterai ci saranno delle conseguenze"
ecco le parole magiche: conseguenze.
"Che conseguenze ci saranno
Jack, spiegamelo grazie" dissi sempre più nervosa, sapevo
che
dovevo mantenere la calma per poter avere almeno quello straccio di
lavoro, ma certi giorni era davvero complicato.
"Non so ancora di preciso che
conseguenze ci saranno, ma stai certa che ci saranno. Non ti licenzio,
questo no, ma ti abbasserò la paga e dovrai fare molte
più commissioni durante il tuo turno" ecco le sue ultime
parole,
non potevo certo permettermi una paga inferiore a quel minimo che
già prendevo, ma non potevo neanche pensare di lasciare a
casa
mia figlia da sola per le ore serali che avrei dovuto coprire.
"Jack, puoi lasciarmi qualche
giorno per scegliere quale dei due mali è il minore?" gli
chiesi sul punto di esplodere.
Il "grande capo" si
alzò, girò intorno alla scrivania e venne dietro
di me,
appoggiò le sue luride mani alle mie spalle e
iniziò a
muoverle.
"Certo cara, un paio di
giorni posso aspettare, ma dopo questi se non avrai ancora deciso,
deciderò io per te" sentire il suo fiato pesante sul mio
collo e
la sua presa molliccia sulle mie spalle mi faceva venire la nausea.
Aveva già provato
anni prima a toccarmi dove non avrebbe dovuto e rimediò un
bel
calcio nelle parti basse, e una denuncia. Sapeva che accettavo molte
cose, ma il mio corpo era solo mio, e di certo le minacce non mi
portavano a letto con lui, anche se lui avrebbe voluto.
Spostai le sue mani dalle mie
spalle e mi alzai.
"Bene, in questi giorni ci
penserò e poi ti verrò a dire quale decisione ho
preso.
Buona giornata Jack" mi girai e scappai da quel tugurio che lui
chiamava ufficio. Non mi sarei meravigliata se un giorno l'avessi visto
banchettare insieme a scarafaggi e topi di fogna sulla sua scrivania
piena di scartoffie, con resti di cibo ormai ammuffito.
Quando uscii dall'ufficio
avevo gli occhi di Claire puntati addosso come un radar, mi vide e
capì ogni cosa, mi fece un cenno. Ci saremmo viste poco dopo
davanti a scuola dei nostri figli e le avrei spiegato tutto. Lei
doveva finire di mettere a posto alcune cose e doveva aspettare le
altre ragazze che arrivassero.
Claire era la mia migliore
amica da tempi ormai lontani, eravamo cresciute insieme e quando decisi
di trasferirmi in questa piccola isoletta, lei mi seguì
senza
avere dubbi "tanto qui a Dublino non ho nessuno, le nostre figlie sono
amiche, tu sei la mia migliore amica. Rinizieremo a vivere insieme"
ecco cosa mi disse 7 anni fa.
La nostra storia era simile,
due madri single che cercavano di sopravvivere. Le differenze
sostanziali erano due. Lei aveva divorziato dal marito, mentre il mio
fidanzato era scomparso non appena ebbe notizia della gravidanza. La
seconda differenza era che i suoi genitori c'erano e l'aiutavano sempre
in ogni modo, mentre i miei erano latitanti. Mio padre non lo sentivo
da troppo tempo e mia madre, abitando a Londra, faceva quel che poteva.
In poche parole ero davvero
sola, ma non mi importava poi molto. Ero finalmente riuscita a trovare
un giusto equilibrio nella mia vita e in quella di mia figlia e non me
lo sarei certo fatta rovinare da uno stronzetto che pensava di essere
padrone del mondo.
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