Titolo: A
wish for something more, capitolo I
Prompt:
pacchetto sogni, speranza.
Personaggi:
Luise (fem!Germania), Feliciano (Italia), Julchen (fem!Prussia), Sophia
(fem!Austria), Lavinia (fem!Romano), Antonio (Spagna), Francis
(Francia), Gary (male!Ungheria), vari ed eventuali - in questo
capitolo: Luise, Julchen, Sophia, il sig. Weilschmidt
Pairing:
principalmente GerIta, un po' di Spamano, triangolo
Prussia/Austria/Ungheria
Rating: PG,
direi
Genere:
fluff, romantico
Avvertenze:
Gakuen AU, genderbent di molti personaggi, praticamente solo coppie
eterosessuali
Riassunto:
Luise è un'adolescente decisa, ma un po' insicura del suo
aspetto, timida ed impacciata soprattutto nei confronti dell'altro
sesso. Questo è il suo primo giorno di scuola nel liceo
frequentato anche dalla sorella più grande, che, al
contrario di lei, è l'apoteosi della sicurezza di
sé e dell'estroversione. Al di sotto dell'apparenza
impeccabile della sua divisa inamidata, Luise spera di non fare
figuracce, e, soprattutto, che nessun ragazzo le si avvicini troppo. Ma
poi...
Beta: Yuki
Delleran
Note:
partecipa all'Hetalia prompt-athon 2011 su hetafic_it @
LiveJournal // il titolo viene dall'omonima canzone di Amy MacDonald.
L'ho sempre associata alla GerIta :D
“...e questo cosa significa?”
Luise lanciò un'occhiata alla sorella, che la osservava con
aria incuriosita, appoggiata scompostamente allo stipite della porta,
ma non le rispose. Gli occhi azzurri della ragazza tornarono, critici,
al suo riflesso nello specchio. C'era qualcosa che non andava? La
camicia era perfettamente abbottonata, le bretelle della gonna della
lunghezza giusta, perfettamente pari... Certo, quella divisa avrebbe
potuto essere più lunga, ma questo non era qualcosa a cui
Luise potesse rimediare.
“Intendo quello!” Julchen storse la bocca, puntando
un indice accusatore in direzione della sorella. Luise le rivolse uno
sguardo interrogativo.
“Quei capelli! Perché mai?!”
ribadì la maggiore, con un sospiro esasperato.
“Oh. Questi.” La sua mano dell'altra corse
involontariamente alle ciocche corte che le ricoprivano la nuca. Era un
gesto che aveva ripetuto spesso, dalla sera prima; non si era ancora
abituata al taglio nuovo, e si meravigliava ogni volta che le sue dita
non incontravano le lunghe ciocche bionde che, fino al giorno prima, le
scendevano morbidamente lungo il collo.
Si strinse nelle spalle, tornando ad aggiustarsi la cravatta della
divisa con precisione millimetrica.
“Erano troppo appariscenti. Inoltre, poco pratici. Ho
intenzione di iscrivermi a un club sportivo, e di andare in palestra
per conto mio, quindi ho pensato che un taglio corto sarebbe stato la
soluzione ideale.” commentò semplicemente.
Dalla soglia, Julchen la osservava allibita.
“...troppo appariscenti!? Lieschen*, ma cosa sei, un
maschiaccio?! Ora, mi rendo conto che tu non voglia farti crescere una
magnifica capigliatura come la mia... del resto, non tutti possono
portarla con così tanta disinvoltura come la sottoscritta,
modestamente – anzi, ma che dico, che modestia e
modestia?!” La maggiore ridacchiò, le dita curate
che pettinavano una lunga, lunghissima ciocca di capelli candidi. Lisci
e luminosi, le cadevano morbidamente attorno alla vita, ed erano uno
dei tanti – troppi – vanti della sorella.
“Ma insomma! Avevi quei bei capelli dorati! Ora mi
chiederanno tutti se ho un fratellino, invece che una sorellina,
kesesese!”
Luise arrossì, voltando le spalle a Julchen e andando a
prendere la cartella. Tanto per cominciare, detestava essere chiamata
con quel nomignolo. “Luisella”,
“Lisetta”, “Luisina”...
seriamente?! Non aveva niente di “ino”, Gott!
In più, era consapevole di somigliare ad un ragazzo, con
quel taglio; del resto, lo aveva fatto apposta.
In cuor suo, sperava che quelle ciocche corte, combinate alla sua
altezza e alla sua costituzione robusta, sviassero l'attenzione dal suo
petto prosperoso e dalle sue lunghe gambe che, ai suoi occhi, la gonna
dell'uniforme scolastica lasciava decisamente troppo scoperte. Era
ancora una volta colpa della sua altezza? Forse le ragazze
più basse non avevano questo problema.
Si allacciò i bottoni della giacca, decidendo che non
l'avrebbe tolta, una volta a scuola. Al di sotto, la camicia bianca era
troppo tirata sul petto e sottolineava impietosamente il suo seno
prosperoso. Luise si sentiva già arrossire all'idea degli
sguardi che si sarebbero posati su di lei. Che cosa aveva fatto di
male, perché madre natura la dotasse di tutto
quell'armamentario scomodo?
Julchen la osservò senza parlare. Da sorella più
grande, poteva intuire vagamente cosa passasse nella mente della sua
sorellina – sorellina, poi. Luise era più alta, ed
aveva due taglie di reggiseno e qualche numero di scarpe in
più di lei. Eh, i tempi in cui lei le passava le magliette e
la biancheria smesse erano finiti... da più di qualche anno,
ja.
Eppure, a vederla così preoccupata, la mattina del suo primo
giorno di liceo, a Julchen faceva tenerezza.
“Kesesesese! Lieschen, non è che se anche ti tagli
i capelli gli altri non ti sbaveranno dietro, sai? Del resto, sei la
sorella della qui presente magnificenza! Solo questo porterà
tutti ad adorarti incondizionatamente!”
Luise arrossì vistosamente, uscendo dalla camera senza
degnare la sorella di uno sguardo.
“Ma non ti preoccupare!!! Ci penso io a salvarti dai
molestatori! Se c'è qualcuno che ti infastidisce, lo dici
alla sorellona, e ci pensa lei, capito?” continuò
Julchen, inseguendo la sorella per il corridoio.
Luise annuì impercettibilmente, scendendo al piano di sotto,
dove il padre le stava aspettando. Fuori, l'auto era già
accesa, carica dei loro bagagli per il semestre.
“Siete pronte, ragazze?”
“Ja, Vati!
Magnificamente in forma!” rispose Julchen, saltando gli
ultimi due gradini e uscendo di volata dalla porta.
L'uomo osservò Luise mentre questa seguiva la sorella in
cortile, la schiena diritta ma il passo tranquillo. Un po' gli
dispiaceva che la figlia si fosse tagliata quei bei boccoli dorati, che
somigliavano tanto alla sua lunghissima, biondissima chioma - quando
ancora non era rigata qua e là da strisce di bianco, almeno,
ah. Ma sapeva anche che l'adolescenza era un periodo difficile,
specialmente per due ragazze cresciute senza una madre. Per questo,
quando Luise era tornata a casa dal parrucchiere quasi senza capelli,
il padre si era limitato ad annuire. Pratici e sempre in ordine, eh?
Poco ma sicuro, Luise era l'esatto contrario delle adolescenti frivole
e truccate da circo che ogni tanto si vedevano in giro, e di questo il
signor Weilschmidt non poteva che essere grato.
Certo, questo era un lato di sua figlia che egli apprezzava molto.
Preferiva di gran lunga il suo fare pragmatico e rigoroso, piuttosto
che quello superficiale di certe sue coetanee, ma spesso si chiedeva se
quell'approccio così serio alla vita non fosse stato, in un
certo senso, il risultato della carenza della figura materna a fare da
esempio.
La madre di Luise e Julia era venuta a mancare quando entrambe le
bambine erano ancora molto piccole, e questo aveva certamente influito
sulla loro educazione, anche se il padre aveva sempre tentato il
possibile per non far loro mancare nulla. Eppure, il signor Weilschmidt
si domandava spesso se non aveva imposto loro un'educazione troppo
spartana e rigida, poco femminile.
Julchen era venuta su spavalda e attaccabrighe, ma con un coraggio e
una vitalità che la rendevano l'orgoglio di papà.
Luise, invece, era rimasta più chiusa, quasi ad imitare al
contrario l'evoluzione della sorella. Dove questa amava circondarsi di
amichetti e programmare festicciole, l'altra preferiva rintanarsi nella
sua stanza a leggere un libro; dove la prima si metteva a cantare a
squarciagola su alcune delle più rumorose canzoni offerte
dalla radio, l'altra collezionava CD di Bach o Beethoven per
ascoltarseli in santa pace nei momenti di tranquillità.
Luise aveva sempre preferito giocare a pallone in giardino, piuttosto
che in casa con le bambole, indossare jeans e felpe, piuttosto che
certi abitini tutto pizzo che sembravano essere i preferiti delle sue
coetanee. Poi, durante lo sviluppo, era cresciuta in altezza, ben
più di quanto gli altri si aspettassero. Fisicamente
somigliava al padre, su questo non c'era dubbio. Eppure, a parte la
statura e la struttura ossea robusta, Luise aveva una pelle chiara,
delicata, occhi blu dalle ciglia folte ed un modo di arrossire
impunemente che la rendevano estremamente femminile. Fino al giorno
prima, poi, quei morbidi boccoli che le circondavano il viso erano una
cascata d'oro, una vera gioia per gli occhi.
Del resto, era per quello che li aveva tagliati. Non le servivano certo
ulteriori motivi per attirare l'attenzione su di sé. Era una
ragazza timida, Luise, un dettaglio strano per un carattere deciso e
testardo come il suo. Aveva grande autodisciplina e parecchia
pignoleria, anche con se stessa, eppure niente di questo la aiutava
quando si trattava di relazionarsi al prossimo nella vita di tutti i
giorni. Bastava che un paio di compagni di scuola la fissassero
più del dovuto, che arrossiva impietosamente. Luise, dal
canto suo, la considerava una maledizione: orgogliosa com'era,
detestava sentirsi avvampare tutte le volte che la distanza tra lei e
il prossimo veniva accorciata. Per questo, spesso, finiva per
rispondere male a chi tentava di approcciarla, o a lanciare nei
confronti dei suoi ammiratori qualche occhiata poco incoraggiante - per
non dire spaventosa, a volte.
Luise lo sapeva, comunque: la parte dell'amante della compagnia e
dell'amata dal pubblico era di sua sorella Julchen. Quanto a lei,
preferiva starsene in disparte, rimediare ai pasticci che l'altra
combinava, tenere la testa sulle spalle ed assicurarsi che la vita
procedesse con ordine. E siccome amava le cose ordinate e la routine
prevedibile, sperava che anche la nuova vita al liceo fosse destinata
ad andare avanti nello stesso identico modo.
L'accademia era un enorme complesso di edifici, situato nell'estrema
periferia cittadina. Comprendeva la scuola vera e propria, fornita di
aule, laboratori e mense, una grande palestra, campi di pallavolo e
calcio alternati da cortili verdi di aiuole e alberi, ed i due edifici
gemelli che ospitavano i dormitori maschili e femminili, dove
alloggiavano gli studenti di tutti e tre gli anni di corso.
La scuola era frequentata soprattutto da rampolli di famiglie
benestanti e proveniente dall'estero, i cui genitori desideravano
un'educazione di prima scelta e la possibilità di
interazione con altri ragazzi nella loro stessa condizione: stranieri
in suolo straniero, figli di imprenditori o commercianti che
viaggiavano quasi costantemente. Anche per questo, la retta della
scuola (parecchio elevata) comprendeva anche il vitto e l'alloggio. I
ragazzi potevano essere tranquillamente parcheggiati in quella sede per
tutta la durata dell'anno scolastico, senza che i genitori dovessero
eccessivamente preoccuparsi di loro. Nel frattempo, entravano in
contatto con il resto della giovane crème del mondo degli
affari, rigorosamente internazionale. Quale modo migliore per cementare
fin da subito future e proficue amicizie?
Da casa Weilschmidt, l'accademia distava poco meno di un paio d'ore
d'auto. Erano partiti presto, e l'incontro di benvenuto sarebbe
iniziato alle undici di mattina: le ragazze avrebbero avuto tutto il
tempo di sistemare i bagagli nelle loro stanze e darsi un'occhiata
intorno, una volta arrivate.
Il signor Weilschmidt le aiutò a portare le valigie fino al
grande portone d'ingresso dell'accademia, dove stavano già
sciamando frotte di studenti, con accodati qua e là parenti
e genitori.
Mentre Julchen si sbracciava a salutare tutti, Luise stava zitta zitta,
lievemente rossa in viso, apparentemente molto impegnata nell'arduo
compito di piegare un fazzoletto per farlo entrare in tasca.
“Uhm... ho forse sbagliato qualcosa? Forse non avrei
dovuto...?” fece il signor Weilschimidt, ravviandosi indietro
i capelli, il tono pacato, ma con il malcelato timore di aver messo in
imbarazzo la figlia. C'erano altri genitori, nei paraggi, ma sapeva che
ogni tanto agli adolescenti dava fastidio farsi vedere mentre venivano
accompagnati a scuola.
“Eh? Nein,
Vati! Sei un papà magnifico ad aiutare le tue
magnifiche figlie con le loro magnifiche valigie!” rispose
Julchen, abbracciandolo d'impulso. “Ora dobbiamo andare,
però! Lieschen ha molte cose da vedere ed imparare prima che
inizino le lezioni, kesesesese!” fece, afferrando le maniglie
delle sue borse.
“J-ja, ich
glaube's auch.” borbottò Luise,
lanciando un'occhiataccia alla sorella per via del nomignolo.
Diede al padre un abbraccio veloce e lo salutò. Il signor
Weilschmidt rimase ad osservare le due figlie mischiarsi agli altri
studenti e poi, quando le vide sparire per la scalinata principale
dell'edificio, infilò le mani in tasca e tornò
all'auto.
Si chiese quanto sarebbero cambiate, quando sarebbero tornate a casa
per le vacanze di Natale. Lo aveva già sperimentato con
Julchen, in questi due anni: bastavano pochi mesi, per le
trasformazioni profonde delle adolescenti.
Saperle a scuola insieme, comunque, gli dava un certo senso di
sollievo. Da un lato, si augurava che Luise avrebbe saputo porre un
freno all'irruenza di Julchen (che più di una volta aveva
causato improvvise telefonate a casa e firme su assegni per la
riparazione dei danni più disparati), ma, dall'altro,
sperava che un po' di quell'estroversione contagiasse la sorella minore
che, nonostante la sua altezza e il suo bell'aspetto, sembrava sempre
cercare di far qualsiasi cosa per passare inosservata.
Le due sorelle approdarono presto nell'ala femminile del dormitorio.
“Sono tre piani di camere. Io sto al secondo, tu sei al
terzo. Niente maschietti sporchi e puzzolenti, in questi corridoi,
kesesese~ quindi mi raccomando, i tuoi ragazzi introducili in camera di
nascosto, okay? Se ti serve una mano per pianificare, chiedimi pure
tutto!” spiegava Julchen, un sorriso malandrino sulle labbra.
“...Schwester. Una cosa del genere non accadrà
mai.” si limitò a rispondere Luise, secca, mentre
con lo sguardo scorreva con una certa ansia le targhette che
riportavano i numero delle stanze. La sua camera era a quel piano, o
così diceva il foglio, che però non svelava chi
sarebbe stata la compagna di stanza. Sperava con tutta se stessa che si
trattasse di qualcuno con cui la convivenza sarebbe potuta essere
civile.
“Arrivate! Kesesesese! Chissà chi sarà
la fortunata compagna di stanza della mia magnifica sorellina,
eh?” esclamò, spalancando la porta senza nemmeno
curarsi di bussare prima.
“Guten Tag,
signorina! Questo è il tuo giorno fortuna- urgh!”
Julchen si fermò prima di finire la frase, il sorrisone
trasformato in una smorfia di disgusto.
Preoccupata, Luise guardò nella stanza da sopra le spalle
della sorella: cosa poteva aver visto, di tanto terribile?
“Julia Weilschmidt. Dimmi che hai sbagliato
stanza.” rispose atona la ragazza in piedi accanto ad uno dei
due letti.
La smorfia sul volto di Julchen si contorse.
“Sophia Edelstein, che orrida sorpresa. Per mia fortuna,
abbiamo un piano di scale a separarci.”
“Spero sia abbastanza per non far arrivare alle mie narici il
tuo puzzo di sudiciume, Weilschmidt.” fu la risposta.
Luise sollevò un sopracciglio, osservando lo scambio tra le
due. Sophia Edelstein... aveva sentito Julchen fare quel nome, ogni
tanto, sempre corredato da una vasta gamma di insulti, naturalmente.
“Vedi di non soffocare la mia sorellina con il tuo, di puzzo,
mocciosa.” replicò Julchen, alzando il mento per
osservare l'altra dall'alto in basso. Poi, decidendo che aveva degnato
l'infima creatura di attenzioni sufficienti, tornò a
voltarsi verso la sorella.
“Sei stata proprio sfigata, Lieschen. Ma non temere,
dirò a Vati di mandarti un deodorante per ambiente. E
possiamo chiedere al preside di spostarti di camera.”
Luise annaspò, imbarazzata. “Ma no, Schwester,
credo...”
Prima di lasciarla finire, comunque, Julchen aveva già
girato i tacchi e si era diretta verso le scale in fondo al corridoio.
“Ci vediamo in aula magna tra un'ora.” le
urlò, poco prima di sparire giù per i gradini.
Luise sospirò. Si iniziava alla grande.
“Es tut mir
leid...” disse, finalmente entrando nella stanza
con tutte le sue borse. Non sapeva che cosa mai avesse fatto a Julchen
questa Sophia, per inimicarsela così tanto, ma era anche
consapevole che, spesso, i comportamenti della sorella erano parecchio
irrazionali.
L'aria della camera, comunque, non puzzava, anzi. C'era un piccolo vaso
di fiori violetti, su una delle due scrivanie, che spandevano intorno
un profumo sottile e gradevole.
Sophia, in ogni caso, non sembrava particolarmente interessata alle sue
scuse, impegnata a disfare le valigie e a riporre attentamente i suoi
abiti nel piccolo armadio in fondo al letto. Se non altro,
pensò Luise osservandola, sembrava una persona molto
ordinata, e questo deponeva a suo favore.
“Uhm, io sono... Luise Weilschmidt. Sono del primo anno.
Piacere.” disse, allungando timidamente una mano, incerta su
come comportarsi.
Sophia la squadrò per qualche istante, come chiedendosi se
la “piccola” Weilschmidt avesse lo stesso odio
dell'altra, nei suoi confronti. Per la ragazzona che era,
però, sembrava di indole decisamente più quieta
della sorella, valutò l'altra osservandola.
Alla fine, proprio quando Luise stava iniziando ad arrossire di nuovo,
temendo di essersi messa in imbarazzo, le strinse la mano.
“Sophia Edelstein, terzo anno. Benvenuto a scuola.”
Il tono era serio, formale, ma se non altro non sembrava odiarla.
Luise la osservò ancora un po': aveva lunghi capelli scuri,
pelle chiara, un neo sotto il labbro che le conferiva un'aria
raffinata. Una ragazza graziosa, non troppo appariscente.
Chissà, avrebbe potuto rivelarsi una buona compagna di
stanza, o almeno lo sperava.
Ad un tratto, la vide tirare fuori un'enorme scatola piena di CD. Oh
no, pensò Luise, musica. Che genere era? Dance? Techno?
Hip-hop? Qualcosa di tremendamente fastidioso che l'altra avrebbe
ascoltato tutti i giorni mentre lei tentava di studiare?
“...t-ti piace la musica, eh?” chiese, goffamente,
in un'umile tentativo di conversazione, nonché nella
speranza che quei CD non contenessero un inferno per le sue orecchie.
Sophia la guardò inespressiva.
“Ja.
Classica. Spero che ti vada bene e che tu non preferisca tutte quelle
cose... uh... tunz tunz che si sentono in giro.” disse
l'altra, sollevando un sopracciglio in aria di disapprovazione.
A Luise scappò una risatina di nervoso sollievo.
“No, no, per carità. Amo la classica.”
Sophia, a sua volta, si concesse un minuscolo sorriso. “Bene.
Suoni uno strumento?”
“Oh, no, io non.. non sono portata per queste cose,
credo.” rispose Luise, passandosi le dita tra i capelli per
sistemarsi dei riccioli che non c'erano più.
“Oh, è un peccato.” Sophia
tornò a sistemare i dischi su una mensola sopra la
scrivania, ma poi si voltò di nuovo verso l'altra ragazza.
“C'è un bel club di musica, qui. Sono la
presidentessa. Potresti iscriverti anche solo per provare uno
strumento, se ti va.”
“Ah. Uhm. Magari.” Nel frattempo, Luise stava a sua
volta impilando la sua biancheria nei cassetti dell'armadio. Sophia la
osservava, intenta anch'ella a valutare il grado di ordine della
neo-compagna di stanza. “Tu... cosa suoni?”
“Il pianoforte.”
“Schön.
Ne avevamo uno, a casa.” Luise piegò
meticolosamente una serie di calzini bianchi e di mutande in tinta
unita, guadagnandosi uno sguardo di approvazione da parte dell'altra.
Conversazione, si disse Luise, devo continuare la conversazione!
“E... ehm... quale compositore ami di
più?”
“Chopin.” rispose Sophia, il tono lievemente meno
formale di prima. “La sua musica...”
Mentre parlavano e finivano di svuotare le valigie, Luise
sentì la tensione allentarsi. Stava chiacchierando con la
sua compagna di stanza! E questo, nonostante l'inizio burrascoso e le
male parole della sorella. Decisamente, un inizio migliore di quello
che aveva sperato.
Nel frattempo, al piano di sotto, Julchen stava traslocando alla
rinfusa il contenuto della sua valigia all'interno del suo guardaroba.
Sophia Edelstein...!!! Questo significava che le sarebbero venuti i
conati di vomito tutte le volte fosse dovuta entrare in camera della
sorella. Ma perché, perché?!
Richiuse le borse, e le lanciò con rabbia al di sopra
dell'armadio, chiudendo le ante con una spallata.
...ma no, ehi. Non si sarebbe lasciata rovinare l'inizio del terzo anno
di scuola da questo inconveniente!
Era il suo ultimo anno di liceo, e Julchen sperava che...
macché sperare, kesesesese! Lei sapeva che sarebbe stato un
anno magnifico, memorabile, anche più memorabile di quelli
precedenti!
Si buttò sul letto con un tonfo. Ancora pochi minuti, e
avrebbe potuto presentare la sua sorellina a tutti i suoi amici.
Ridacchiò, pregustando il momento di gloria, e lanciando in
aria il suo inseparabile pulcino di pelouches. Gilbird le
rimpiombò sullo stomaco, e Julchen si rigirò a
pancia in giù, posando l'animale sul cuscino: anche lui non
vedeva l'ora di incontrare di nuovo i loro compagni di avventure.
Oh, Luise li avrebbe adorati.
~*~
*= Lieschen:
diminutivo vezzeggiativo di Luise. Un po' antiquato, Julchen lo usa per
prenderla in giro. Quel “sch” non si legge
né come “lisce” ne come
“lische”, ma non ho idea di come si chiami
foneticamente il suono che ne viene fuori – ho trovato qui
questa spiegazione: "ch sequenza di grafemi che corrisponde ad una
fricativa velare sorda [x] dopo i fonemi /o/,/a/, /u/; il punto di
articolazione diventa palatale [ç] dopo /i/ e /e/ e le
vocali con la dieresi (si pronuncia più avanti nel palato,
come dicono i tedeschi "come un gatto cattivo")"
J-ja, ich glaube's auch:
Sì, lo credo anch'io.
Schwester:
sorella.
Es tut mir leid:
mi dispiace
Schön:
bello
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