magie
MAGIE DI NATALE
Il panorama quella sera era triste. La notte era già scesa da
qualche ora e la neve iniziava a cadere lentamente e a sovrapporsi a
quella già caduta nei giorni precedenti.
Osservavo gli alberelli di Natale addobbati di mille lucette colorate
nei giardini delle case e le decorazioni pubbliche appese tra i
lampioni.
Era sempre bella Aspen nel periodo natalizio. Così colorata,
così allegra e festosa. La tipica cittadina di villeggiatura che
si appresta a fare palate di soldi con l’arrivo della
festività più importante, il Natale.
I turisti stavano arrivando a frotte e gli alberghi avevano già il tutto esaurito.
Anche il White Swan Hotel, il nostro hotel, non aveva più nemmeno una camera singola vuota.
Ero orgogliosa del mio operato. In quei mesi in cui avevo preso in mano
la gestione il fatturato era andato in crescendo e le previsioni per
quei giorni erano davvero ottime. Avremmo superato tutti i record di
presenze da quando l’hotel era stato aperto, cinquant’anni
prima, da mio nonno.
Il White Swan Hotel era il fiore all’occhiello della nostra
catena alberghiera e il primo ad essere stato aperto. Aveva un volere
storico e affettivo inimmaginabile per tutta la famiglia e tutta la
famiglia faceva carte false per poterlo amministrare. Nella lotta tra
titani, l’avevo spuntata io. Mio padre mi aveva si appoggiato ma
non era stato di parte. Lo zio Eleazar avrebbe preferito che andasse a
quella sciacquetta di sua figlia, nonché mia cara cugina Tanya,
ma io non lo avrei mai permesso. Nessuno avrebbe rovinato il mio
miglior sogno e il mio più grande investimento finanziario.
“Isabella?” Respirai a fondo, sentendo l’aria che
sapeva di neve entrarmi nei polmoni e l’odore di un Natale
così vicino eppure così lontano per me.
“Isabella?” Il ragazzo alle mie spalle mi chiamò di nuovo.
“dimmi Jasper.” Era giovane, molto volenteroso e
carismatico. La persona adatta a smistare il putiferio del periodo
natalizio alla reception.
“suo padre vuole vederla. La sta aspettando nel suo
ufficio.” Gli avevo detto dove trovarmi, sulla terrazza del
tetto, in caso di bisogno.
Mio padre? Cosa voleva? Farmi la solita ramanzina sull’importanza
del Natale e sulla sua magia che io imperterrita mi ostinavo a non
vedere? Secondo lui era fondamentale percepire questo fantomatico
spirito del Natale per poter gestire un hotel nel periodo più
importante della stagione invernale.
Me lo aveva ripetuto milioni di volte in quegli anni, me lo aveva
ripetuto persino meno di dodici ore prima al telefono. E ora me lo
ritrovavo qui.
“arrivo Jasper.” Presi il cappotto che avevo lasciato sul
parapetto. Per qualche strano motivo lo avevo tolto, facendo entrare il
freddo dentro di me. Ero forse speranzosa che lo spirito di Natale mi
attraversasse corpo e anima e mi mostrasse la strada da intraprendere?
“arrivo.” Mormorai mentre, con un ultimo sguardo al cielo
plumbeo, passai dalla porticina per rientrare nell’albergo.
“papà...” Entrai nel mio ufficio e con disappunto lo
trovai a fumarsi quell’odioso sigaro puzzolente sulla mia
poltrona di pelle scura. Era appartenuta al nonno e ne facevo un grande
vanto averla ritrovata nel magazzino dell’hotel, impolverata ma
ancora in ottimo stato.
“tuo nonno adorava questa poltrona.”
“lo so.” Presi posto davanti a lui, incrociando le braccia
sotto al petto, in attesa. “è una sorpresa vederti qui,
papà.”
“quando eri piccola adorava tenerti sulle ginocchia e farti saltellare su e giù.”
“papà...” cercai di riportarlo al presente.
“eri la sua nipotina preferita e avrebbe tanto voluto essere
ancora vivo per fare testamento e lasciarti questo posto.”
“papà, senti. Sono felicissima che tu sia qui, ma mi
spieghi il motivo? Non sei mai stato un sentimentale e quindi non
prendermi in giro, non qui solo per ricordare il tuo caro
vecchio.” Ribattei secca e lui rise di gusto. Mi lasciai andare
anche io a un sorriso. Mi chiese di accompagnarlo in giro per
l’albergo, voleva vedere come me la stavo cavando. Tre mesi di
assoluta libertà e ora la prima visita di controllo, mi sentivo
sotto esame.
Mio padre osservava ogni minimo particolare, non si lasciava sfuggire
neanche un granello di polvere. Lo seguivo attentamente, cerando di
anticipare ogni sua domanda. Parlava con il personale con gentilezza,
li interrogava su come andavano le cose nell’albergo e su come
trovassero la nuova gestione. La mia gestione. Indelicato farlo con me
alle sue costole.
“mi sembra che tu stia facendo un ottimo lavoro, Bells.”
Emise il suo verdetto quando finalmente ci sedemmo per la cena, in un
angolo appartato del ristorante.
“grazie papà.” Mi sentii orgogliosa di quel
commento, avevo dimostrato a una persona importante e capace come
Charlie Swan che ero stata degna della sua fiducia.
“il tempo di prova è terminato...” sentii
l’esultanza montare dentro di me come un fiume in piena che rompe
gli argini. “purtroppo zio Eleazar non ti vuole ancora
lasciare la gestione.” I sacchi di sabbia posti ad arginare il
fiume sortirono il loro effetto. L’acqua si ritirò piano
piano e con essa la mia gioia svanì.
“come mai?” cercai di tenere un certo contegno, ma era difficile.
“vuole un’ultima prova. Dice che il periodo natalizio è il più difficile...”
“ed è sicuro che non ce la potrò mai fare, vero?
Affidare a sua figlia questo posto è come condannarlo al
patibolo senza processo.”
“Bella, comprendo la tua rabbia...”
“davvero? Comprendi anche il lavoro che ho fatto a Chicago per
non far fallire il Michigan Swan Hotel dopo la gestione di Tanya?”
Mio padre sospirò. “sa che il tuo punto debole è il
Natale. Dopo quello che è successo tu...lasciamo stare. Invece
Tanya è un asso nell’organizzare le feste.”
“ma è un disastro in tutto il resto.” Mi sporsi
verso mio padre e lo implorai di far cambiare idea a suo fratello.
Purtroppo erano soci al cinquanta percento e così avrei dovuto
sottostare a questo ricatto del mio caro zio, così come si era
dovuto piegare mio padre. Tentai in tutti i modi di trovare una
soluzione e una scappatoia.
“certo,” mi arresi con una punta di acidità.
“perderò tutto per un mese o forse due e poi dovrò
tornare e svenarmi per rimediare.”
“magari riuscirai ad organizzare un Natale come quelli di tuo nonno.”
Speranza vana. Quelli del nonno avevano qualcosa di speciale, un
profumo, un’atmosfera magica...erano animati di uno spirito tutto
loro e espandevano nell’aria una forte dose di pace e
serenità.
“te li ricordi? adoravi questo posto il giorno di Natale.”
“papà, sono passati secoli da allora e tu non sei un
sentimentale.” Mi strinse le mani tra le sue forti e sorrise
dolcemente.
Per un solo piccolo istante sentii la felicità dei Natali passati.
Ero nella Casetta di Babbo Natale che avevo fatto allestire in un
angolo della hall. Era in legno chiaro e sembrava un piccolo salottino
con il caminetto con il fuocherello finto, l’albero decorato con
luci, festoni e palline e una poltrona su cui si sarebbe seduto
l’attore che avrebbe interpretato Babbo Natale.
All’esterno c’era una slitta con le renne meccaniche che
muovevano la testa e alzavano una zampa anteriore. Raccolsi alcuni
pupazzetti caduti dalla slitta. L’idea era quella di far
consegnare la letterina a Babbo Natale (letterina poi abilmente girata
ai genitori) e di far esprimere i loro desideri proprio all’uomo
vestito di rosso, ma anche di regalare un piccolo pensiero ai bambini.
Sulla carta sembrava una buona idea anche se non proprio originale, ma
sempre ben apprezzata. I bambini andavano matti per Babbo Natale, non
era sempre stato così? Inoltre avevo fatto allestire un piccolo
rinfresco, con ciambelle e cioccolata calda per i più piccoli e
caffè per i genitori.
Mi spostai all’indietro per osservare l’effetto
complessivo, quello che avrebbero visto gli ospiti dell’hotel il
giorno successivo, all’inaugurazione.
Inavvertitamente urtai qualcuno.
“mi scusi!” Mi girai subito per esprimere il mio
dispiacere. Non stavo guardando dove stavo andando, convinta di essere
l’unica nell’area ancora recintata e coperta da un
bellissimo drappo rosso.
“molto bella.” La ragazza urtata non sembrava molto
sconvolta dal fatto che le fossi andata addosso e indicava la casetta
sorridendo.
“le serviva qualcosa?”
“oh, si. Quel bel ragazzo che sta alla reception mi ha detto che
potevo trovarla qua, signorina Swan. Sono Alice Cullen, mi ha assunta
la settimana scorsa.”
Non l’avevo riconosciuta. Era la stessa ragazza dai capelli
corvini a caschetto e dagli occhi scuri che si era presentata per il
posto di folletto aiutante di Babbo Natale. Il suo compito era tenere
un po’ in ordine i bambini e consegnare loro il regalino.
“si si, certo. Mi scusi ero distratta.”
La invitai a seguirmi fino alla reception dove, come ogni sera, stava lavorando Jasper.
“dai alla signorina Cullen tutte le indicazioni per trovare
l’amministrazione. Deve firmare il contratto e prendere il suo
vestito da folletto.” Salutai e stavo quasi per andarmene quando
tornai sui miei passi. “già che ci sei, Jasper, dai alla
signorina anche il tuo numero di telefono, così non verrà
più da me a dirmi quanto sei affascinante.”
Il giorno dell’inaugurazione dello spazio natalizio era arrivato.
Nelle retrovie tutti erano in fermento. La cucina del ristorante aveva
approntato un bancone intero solo per il buffet e camerieri che avevo
assunto per l’occasione facevano avanti e indietro, assicurandosi
che il tavolo fosse sempre imbandito.
Il folletto Alice Cullen si stava aggiustando le scarpette verdi a punta quando la raggiunsi.
“pronta? Tra poco si va in scena.” Cercai di sorridere, ma
ero io quella totalmente impreparata. La prospettiva di giocarmi tutto
in una sola serata mi contorceva le viscere.
“oh, signorina Swan!” lei si che sorrideva rilassata e
sincera. “sono prontissima! Ha per caso visto Babbo Natale?”
Mi guardai attorno, notando solo in quel momento l’assenza della star principale della serata.
“non...non è ancora arrivato?”
Alice scosse la testa e io mi attaccai alla ricetrasmittente.
“Jasper! C’è un problema!” la mia voce
rasentava l’isterismo. “dove diavolo è Babbo
Natale?”
Ma nemmeno il mio fidato collaboratore seppe darmi una risposta.
“chiamalo, rintraccialo, mandagli la polizia a casa, fa qualcosa, ma trovami quell’uomo.”
Mi sedetti sconfortata sulle panche di metallo dello spogliatoio.
“se vuole posso intrattenere i bambini con qualche favola natalizia, mentre trova un sostituto...”
Alzai gli occhi verso la ragazza. “si, è un’ottima
idea. L’apertura ufficiale è prevista tra mezz’ora
circa e ce c’è una bella folla lì intorno. Nel
programma doveva essere Babbo Natale a tagliare il nastro rosso, ma
immagino che possa farlo anche tu.”
Lei annuì confidandomi le sue intenzioni, creare quasi un alone
di mistero su cosa si celasse dietro la tenda e poi aprirla in modo
plateale. Così il mio tempo per trovare un sostituto sarebbe
salito a circa un’ora.
“Isabella, sono Jasper.” La ricetrasmittente
gracchiò e io ritrovai la speranza. “Babbo Natale è
arrivato.” Stavo per esultare ma Jasper mi fermò.
“l’ho rispedito a casa, aveva la febbre e non era un gran
bello spettacolo.” Quanto meno l’uomo aveva una giustifica
seria per non aver svolto il lavoro.
Salì di corsa nel mio ufficio conservavo i numeri dei candidati
scartati, avrei provato a chiamare l’uomo che si era classificato
secondo.
Non feci neppure a tempo ad alzare la cornetta e a comporre il numero che la porta si aprì e comparve mio padre.
“non è un buon momento.”
“ho saputo del tuo Babbo Natale ammalato.”
Avrei voluto sbattere la testa sulla scrivania.
“io e tuo zio siamo venuti per vedere come te la stavi cavando.”
“papà non ce la farò mai. Sto per prendere la
borsa, il cappotto e andarmene prima che tutto questo inizi.”
Charlie spense il suo sigaro nel posacenere. “tuo nonno si sta
rivoltando nella tomba per una frase del genere. Al tuo vecchio non sta
bene il rosso?”
Lo guardai speranzosa. “mi farai da Babbo Natale?” Non
attesi neppure risposta che mi ero già fiondata tra le sue
braccia. Prima che gli impegni di lavoro fossero troppi e troppo
gravosi adorava fare Babbo Natale e lo faceva nell’albergo della
catena in cui si trovava, almeno per una sera.
“il rosso ti sta benissimo. Chiamo la sarta così ti
sistema il vestito.” Passai dietro la scrivania e composi il
numero della sartoria interna. “sai papà, si un po’
ingrassato.” Strizzai l’occhio al mio caro vecchio prima di
dare le disposizioni per il vestito nel mio nuovo Babbo Natale.
Ero appostata in un angolo, dirigendo il traffico quando ce ne era
bisogno. Per lo più tutti se la stavano cavando bene. Persino
mio padre, il quale erano anni che non vestiva le vesti del nonnetto
del Polo, era riuscito ad entrare perfettamente nella parte e a
interpretarla magistralmente. Mi chiesi se il suo segreto non fosse che
lui aveva dentro di sé ancora una parte bambina che aveva
rispolverato per l’occasione.
Adorai mio padre per essere lì con me in un giorno così
importante. Adorai mio padre perché era tutta la mia famiglia. E
lo adorai ancora di più per avermi salvato da un bel guaio.
Avevamo concordato di non dire nulla allo zio Eleazar sull’attore
ammalato. Con lui sostenemmo la tesi che era già stato decido
che Charlie sarebbe stato il Babbo Natale della serata, una sorpresa
per tutti, anche per lui.
Quando si allontanò in compagnia della figlia (oh, si era venuta
anche lei per “vedere l’albergo che avrebbe dovuto gestire
presto”), io e mio padre ci guardammo negli occhi e scoppiammo a
ridere, eravamo sicuri che non se la sarebbe bevuta e così non
era stato, ma almeno non aveva dato più fastidio.
Alice non interpretava solo il folletto aiutante. Era un folletto vero
e proprio. Saltellava di qua e di là, teneva compagnia ai
bambini che non erano impegnati a raccontare i loro desideri a Babbo
Natale e aveva fatto una perfetta apertura, con storielle su Babbo
Natale e il Natale, raccontate con tanta maestria che i giovani ospiti
erano rimasti tutti a bocca aperta e ne era seguito un grande applauso.
Dopo gli inchini al suo pubblico, la giovane aveva preso delle forbici
enormi e aveva tagliato il nastro rosso.
La mia avventura natalizia era iniziata così. Solo che non avevo previsto il resto.
Il giorno dopo scesi nella hall e già i bambini si accalcavano
vicino alla casetta di legno, in attesa di Babbo Natale. Non mi
illudevo: volevano tutti i biscotti con la cioccolata calda e i
regalini omaggio.
Tutto era andato a meraviglia la sera prima, eppure non ero del tutto
soddisfatta. Non si poteva paragonare questa festa a quelle che
organizzava il nonno.
No, mancava decisamente quello spirito di Natale che lui continuava a
lodare e che lo rendeva sempre così allegro. Era tutto
così freddo e impersonale, da centro commerciale, non da grande
famiglia che si riunisce per festeggiare.
La mia festa era priva di quell’allegria e di quella magia che
rendeva tutto speciale. Se almeno avessi saputo il segreto del nonno!
Avrei potuto cercare di rimediare in qualche modo...
“Jasper, per favore, trova tu il sostituto di Babbo Natale, mio padre partirà questa mattina.”
Ieri sera non avevo avuto né la forza né il tempo di
contattare chicchessia e, visto che mi fidavo di Jasper, affidai a lui
la scelta. Forse sarebbe stato più fortunato di me. Inoltre
vedevo ormai lontana la possibilità di riuscire a mantenere il
mio posto. Il sorrisetto trionfante di Tanya mi aveva fatto crollare
anche le ultime speranze. Avevo dalla mia mio padre, sicuramente. Ma
non bastava, era un arbitro davvero imparziale e anche se si era
divertito un mondo, sapevo che non lo avevo convinto del tutto.
“ci sarebbe...si, ecco.”
“Jasper sei a corto di parole?” Lo stuzzicai, visto che stava diventando anche rosso.
Tossicchiò imbarazzato.
“Alice...il folletto...mi ha dato il suo numero e mi ha detto che
suo fratello maggiore avrebbe potuto fare benissimo Babbo Natale.”
“perché allora non ha presentato domanda prima?”
“è arrivato solo ieri dal college.”
“chiamalo. Questa sera, alle sette, puntuale.”
Me ne andai nel mio ufficio a fare pulizia. Se dovevo sbaraccare il mio
posto, non mi sarei fatta trovare impreparata, ma con gli scatoloni
già imballati. Mi assicurai anche che collaboratori del calibro
di Jasper non si ritrovassero da un giorno all’altro sulla strada
solo per l’incompetenza di mia cugina che avrebbe avuto al
contrario bisogno di tutto l’aiuto disponibile.
Charlie Swan venne a dare il suo saluto prima della partenza.
“che stai facendo Isabella?” Chiese stupito vedendo il casino dell’ufficio.
“mi preparo alle cattive notizie.”
“non hai proprio fiducia nei miracoli di Natale?Magari
sarà proprio Babbo Natale a farti un bel regalo. Hai scritto la
letterina?”
“papà...questo conferma solo le mie più funeste
previsioni. Lo zio ha già detto a Tanya che può
ridipingere lo studio e buttare via la poltrona del nonno. No,
dovrò fare qualcosa, me la farò spedire nella casa di
Forks...” Mormorai osservando la pelle consunta.
“non volevo dire questo.” Mio padre era di sicuro a
disagio. Immaginai che avesse avuto una discussione piuttosto accesa
con suo fratello. Continuava ad accendere, senza riuscirci, il
mozzicone di sigaro che aveva tra le labbra. Faceva sempre così
quando era nervoso.
“gli altri non salutano nemmeno? Che peccato.” Dichiarai
ironica. “ah, e scordati che io poi venga a sistemare il casino
di Tanya. Se oltrepasso la porta principale non ci rimetterò mai
più piede.” Conclusi categorica.
Mio padre non poté far altro che comunicarmi che avrebbero fatto
ritorno proprio il venticinque per vedere come stavano andando le cose
e per comunicarmi la loro decisione definitiva.
Quando se ne andò, mi lasciai cadere a peso morto sulla poltrona e la voltai verso la finestra.
Aveva ripreso a nevicare.
Il giovane Edward Cullen non aveva nulla a che fare con la sorella.
Forse era il costume di Babbo Natale ripieno di cuscini per rendere la
forma della pancia o i capelli di quello strano color ramato che faceva
a pugni con il rosso del capello...
Ma si, non aveva proprio nulla che fare con Alice. Lei era sempre
attiva, saltellava ovunque e aveva una grande vitalità. Edward
era più pacato, rilassato e serio.
Eppure il suo sorriso era stupendo. Non era a trentaquattro denti e non
mostrava neppure le gengive. Non era esagerato ma trasmetteva la sua
sincerità e la sua dolcezza. Era a mezza bocca, un po’
storto ma non ironico.
Quando lo conobbi fu la prima cosa che mi colpì. Il suo fisico
slanciato era nascosto dall’ingombro del costume e la bocca quasi
soffocava sotto la barba bianca. Ma il sorriso si vedeva, era lì
ed era caldo. Era calore allo stato puro.
Lo incontrai solo la sera tardi, quando finalmente mi ero decisa a
scendere dall’ufficio, riemergendo dai mille pensieri che mi
avevano tenuto con lo sguardo incollato alla finestra.
Si stava togliendo il cappellino e si spazzolava con foga con una mano i capelli.
“borotalco?!” chiesi alzando le sopracciglia.
“peggio. Farina.” Scoppiammo entrambi a ridere. “mia
sorella ha cercato di coprire almeno un po’ il mio colore
naturale. Voleva addirittura tingermeli!” Fece una faccia
disgustata e poi riprese a ridere.
Mi tese la mano. “sono Edward Cullen, ovvero il suo babbo Natale.”
“Isabella Swan. Come si è trovato?”
“molto bene grazie. Mi è piaciuta l’idea di far
decorare gli alberelli ai bambini. Anche a mia sorella è
piaciuta ma ieri non me ne aveva parlato. E le assicuro che mi aveva
raccontato tutto mentre lodava un certo Jasper.” Annuì,
avevo notato l’interesse per il mio receptionist.
“è stata la novità di quest’oggi. Ogni
bambino riceverà una pallina in omaggio da appendere sugli
alberi in giro per l’albergo. C’è un piccolo
cartellino sul cui potranno scrivere il loro nome. Così a fine
vacanza potranno imprenderla e portala a casa come ricordo.”
“me li mostra?”
“cosa?” Chiesi stupita.
“gli alberelli! Così potrò consigliare ai bambini i punti migliori per mettere le loro palline!”
Quel ragazzo mi stupiva. Aveva passato una serata intera con bambini
urlanti e non era ancora morto. Anzi...in questo assomigliava alla
sorella. Era pieno di vita ma non esuberante come lei.
“le dispiace se ci diamo del tu?” Mi chiese mentre si
spettinava ancora e altra farina cadeva sul pavimento. Somigliava tanto
alla neve che avevo osservato tutto il giorno...
“d’accordo, Edward. Seguimi ti faccio fare il giro.”
Lo scortai per tutti i corridoi e lui, non appena vedeva un alberello,
si chinava verso di esso, lo osservava e contava le palline che vi
erano disposte.
“qui va male, molto male.” Commentò serio al quarto
piano. L’albero, alto poco più di un metro, contava una
sola pallina con il nome Paul.
“su questo piano ci sono pochi bambini. Per lo più sono
coppie di giovani sposi. Cerco di fare le camere in modo che la gente
possa conoscersi e socializzare.”
Annuiva mentre glielo spiegavo, ma non mi sembrava del tutto convinto.
Era perplesso, glielo si leggeva in faccia e fissava quella pallina
come dovesse farla lievitare e spostarla solo con la forza della mente.
“qualche problema?” Domandai, quasi temendo una critica.
Ero sempre ben disposta verso i consigli, ma in quei giorni di consigli
non voluti e malevoli ne avevo avuti fin troppi.
“Isabella, tutto qui è così perfetto...ma anche così impersonale.”
Lo sapevo bene e quindi sospirai rassegnata.
“manca qualcosa, lo sento anche io. Il problema è scoprire cosa.”
Senza dire una parola, mi tese al mano e, non appena io gliela afferrai
titubante, mi trascinò giù nella hall ormai deserta.
Andò alla reception e chiese quante coppie ci fossero al quarto
piano. Dopo un mio cenno di assenso l’impiegato gli fornì
il numero esatto. Tutte le camere erano occupate, per un totale di
venti ospiti. Ero curiosa di sapere che cosa avrebbe combinato, visto
che chiese dei nastri, dei foglietti colorati, due paia di forbici e
quaranta palline. Si fece mettere il tutto in un cestino di vimini.
Poi, sempre con la mia mano nella sua e con il cestino sotto braccio,
tornò al quarto piano. Si sedette per terra e mi invitò a
fare lo stesso.
“sul pavimento?”
“si, non essere sempre così ingessata.” Mi fece l’occhiolino.
La perplessità andava di pari passo con la curiosità di
scoprire che avrebbe fatto. Prese le prime due palline e le legò
insieme con un nastro dorato che fece passare anche in due foglietti
rossi bucati nell’angolo in alto con le forbici.
“su aiutami.”
“e che cosa dovrei fare?”
“esattamente quello che sto facendo io. Lega insieme queste decorazioni. Forza.”
Feci come mi aveva detto, seguendo le sue indicazioni.
“non sei molto pratica.” Osservò sorridendo.
“direi di no. Ho sempre snobbato i lavori di questo tipo, non mi
sono mai piaciuti.” Confessai. Lo guardai negli occhi e feci una
confessione ben più profonda. “devo dire che è
divertente...siamo seduti in mezzo al corridoio di un grande albergo a
legare insieme delle palline per chissà quale strano motivo a
un’ora improponibile della notte.”
“Non curarti sempre del motivo. È Natale.”
Avrei voluto dirgli che quello non era sufficiente a trattenermi
lì ma, come gli avevo detto, era divertente e tanto mi bastava.
Per i minuti successivi nessuno fiatò. Lui con la lingua che
sporgeva dalle labbra, concentrato. Io facendo attenzione a non
tagliarmi con le forbici.
“tutta questa manualità da dove viene?”
“dal reparto pediatrico del Sant Mary di Chicago. Sto facendo lì la mia specializzazione.”
“sei un pediatra?” Non avevo pensato nemmeno un attimo a
che potesse essere un medico. “tua sorella mi aveva detto che eri
appena tornato dal college.”
Alzò le spalle, noncurante. “per lei sono la stessa cosa,
visto che sto ancora studiando. Quando mi ha proposto di fare il Babbo
Natale ho accettato subito. Vedere per una volta bambini sani e gioiosi
è un sollievo.”
Quando finimmo il nostro lavoro, lui era stato molto più bravo
di me che a malapena avevo fatto dieci coppie, mi tese la mano per
alzarmi e prese ad appendere la palline sui pomelli delle porte e
ovviamente lo aiutai avendo cura che non cadessero nell’esatto
momento in cui mi allontanavo dalla porta.
Guardai l’orologio appeso alla parte. Le due di notte, si era fatto ancora più tardi.
“che ne dici? Non sei soddisfatta del tuo lavoro?”
Annuì convinta. Sentivo qualcosa in fondo al cuore, avevo fatto
con le mie mani un piccolo pensiero per quelle persone. Stavo bene.
Mi mostro la pallina del piccolo Paul, presto non sarebbe stata più sola ma contornata da tante altre palline colorate, unite dal filo dorato.
“grazie. Davvero.” Dissi sincera. “ti andrebbe...ti
andrebbe di venire in un posto con me?” Questa volta fui io a
tendergli la mano e a portalo sulla terrazza del tetto, la stessa che
mi aveva visto congelare qualche sera prima.
“è un bellissimo posto.” Commentò osservando
il panorama innevato, aveva smesso di nevicare. “anche se fa un
po’ freddo.” Si strinse nella casacca rossa che non si era
ancora cambiato.
“era il posto preferito di mio nonno. Mi portava sempre
quassù quando nevicava. Lui si che era un mago delle
feste.”
“ho sentito parlare del vecchio Swan. Ti manca tanto?”
“si. Non mi mancherebbe così tanto se riuscissi a sentire
il Natale come quando era con me.” Sospirai. “ho cercato di
ritrovarlo dopo la sua morte...ma dicembre dopo dicembre ho capito che
non ne avrei mai più sentito lo spirito.”
“ognuno lo trova in quello che gli sta più a cuore.”
Sentivo il suo sguardo su di me, ma non mi voltai, ancora presa a contemplare le luci della strada.
“questo Natale potrebbe essere il mio ultimo ad Aspen. Se non
riesco a ricreare quel calore, mio zio farà di tutto per
togliermi la gestione. Le luci e le decorazioni non sono
sufficienti.”
Mi attirò a sé e tentai di protestare, dare la mano era
una cosa, sentire il suo corpo contro la mia schiena era un’altra.
“lo senti? Questo è calore.”
E si, lo sentivo. Sentivo quel calore che riscalda da dentro, che fa
pulsare il cuore. Anche il nonno mi teneva così, tra le sue
braccia, mentre la neve mi bagnava i capelli.
“tu conosci il segreto del Natale.”
Non badò alla mia affermazione facendomi un’altra domanda.
“è solo per la morte di tuo nonno che non senti più questo calore?”
Odiavo parlare di lei e di quella brutta storia. Ma quello che mi stava
regalando Edward, e non era solo un abbraccio o un po’ del suo
tempo, era così puro e sincero che risposi.
Mi schiarì la gola e iniziai con voce bassa e tremante.
“qualche anno prima che il nonno morisse c’era anche
un’altra persona che amava il Natale. Era mia madre, lo amava
così tanto che quando arrivava la festa, la casa era un tripudio
di colori, decorazioni e profumi. La cannella, lo zenzero, lo zucchero.
Hai mai sentito l’odore dello zucchero? È così
lieve, impercettibile, eppure c’è. Dolce, buono. Forse
anche il Natale ha l’odore dello zucchero...non lo senti ma sai
che c’è e ti piace. Lei e il nonno si potevano sfidare a
chi faceva il Natale più bello e profumato.”
Feci una pausa e lui mi strinse forte.
“Ero ancora una bambina quando se ne andò.”
“mi dispiace. Non volevo farti rivivere la sua morte.”
“morte?” Mi voltai verso di lui e parlai con più
foga di prima. “era il giorno dopo Natale e pensava che nessuno
la sentisse mentre trascinava la valigia giù dalle scale. Il
cielo era ancora buio, non so che ore fossero. Scesi anche io, convinta
che stesse preparando quei buoni biscotti alle mandorle che mi
piacevano tanto. Quando vidi la porta aperta la chiamai, le chiesi che
stesse facendo, ma non mi rispose. L’ultima immagine di lei che
ho è quella di una valigia firmata che attraversa la soglia. Non
si voltò nemmeno a salutarmi. Adorava così tanto il
Natale che non volle rovinarselo, ma scappò il giorno dopo come
una ladra senza mai darmi una vera spiegazione. Ecco perché per
tutte le cose deve esserci un motivo.”
“Isabella.” la sua mano gelata accarezzò la mia
guancia rossa per la rabbia di quel ricordo. Parlare con uno
sconosciuto di quello che era successo era stato meno terribile del
previsto.
“tu ha qui dentro il Natale.” Posò la mano sul mio
cuore. “non sono le luci che fanno la festa, è
l’amore di una famiglia, degli amici e di qualcuno che ti stia
accanto amandoti.”
Sentivo le lacrime premere dagli occhi quando continuò
spiegandomi che quando lo avevo aiutato mi ero sentita bene
perché avevo qualcuno al mio fianco nel fare un gesto semplice e
disinteressato per gli altri.
“su quel piano ci sono solo coppie. Così anche le palline
sono legate a due a due. È per simboleggiare il loro legame.
Scriveranno il loro nome sui cartoncini e lo faranno insieme.”
Lo abbracciai.
Nei giorni che seguirono io e Edward salimmo spesso su quel tetto a
vedere le stelle nelle notti serene o a sentire la neve che silenziosa
cadeva, ma non prima di aver fatto il nostro dovere con i bambini.
Lui come Babbo Natal, mentre io leggevo le storie di Natale a chi
voleva. Quegli esseri pestiferi mi stavano dando una prova della gioia
che si prova solo quando fai qualcosa per gli altri in modo totalmente
disinteressato.
“quando il Natale sarà finito, pensi che potremmo vederci
ancora?” Mi chiese una sera. Eravamo nella stessa posizione
dell’altra volta, la mia schiena sul suo petto, ma da allora
eravamo diventati più saggi, avevamo i cappotti.
“perché no? Sei il mio Babbo Natale preferito. Mi hai dato
il regalo più grande del mondo. Mi hai rivelato un segreto. E
poi siamo diventati amici, no?”
“solo amici?” Stare tra le sue braccia era fantastico ma
ancora più fantastico fu il bacio che mi diede a fior di labbra.
Così venne il giorno di Natale.
E tornarono anche mio padre, mio zio e la cara Tanya. Un Natale in famiglia, no?
Quando varcarono la soglia dell’albergo ero impegnata con il mio
fidato gruppetto di ascoltatori e non li notai. Si avvicinarono piano e
in silenzio per non disturbare la fine della favola.
“...e vissero tutti felici e contenti.” Conclusi. I bambini applaudirono e vennero ripresi dai genitori.
“complimenti Bella. Sei un’ottima lettrice.” Tanya
era la solita altezzosa ma non mi importava. Come mi aveva insegnato
Edward, quello che contava era come mi sentivo io dopo la fine di ogni
racconto.
“Buon Natale, papà. Buon Natale zio. E Buon Natale anche a
te Tanya.” Abbracciai tutti mentre glielo auguravo e di sicuro
erano stupiti di questa accoglienza così calorosa.
“stai bene Bells?” mio padre era decisamente preoccupato.
Non mi vedeva così felice il giorno di Natale dalla morte del
nonno.
“benissimo vecchio!” gli feci pure una linguaccia, stare
con i bambini mi faceva regredire allo stato dell’infanzia.
“andate a rinfrescarvi che poi mangiamo insieme.”
Padre e figlia se ne andarono mentre Charlie rimase accanto a me, anche
quando riposi il libro nel mio ufficio di nuovo in ordine e con tutti
gli oggetti al loro posto. Gli scatoloni erano spariti.
“sputa il rospo. Che c’è?”
Non sopportavo più il suo silenzio stupito.
“sono io che devo chiedere a te che c’è. Non ti
riconosco quasi. E anche questo posto...sembra che sia tornato tuo
nonno...”
“ho scoperto il suo segreto ma non te lo dirò mai.”
La risata di mio padre si sparse nella stanza.
“sono felice per te bambina. Non mi chiedi nemmeno se l’albergo sarà tuo?”
Feci spallucce, non mi interessava più molto. Avevo scoperto che
il Natale si può avere ovunque e sempre con sé, nel
proprio cuore, non era necessario essere ad Apsen per sentirne la magia.
“è tuo. Lo zio dovrà ammettere che hai fatto un
ottimo lavoro. Abbiamo respirato tutti l’aria del Natale,
è innegabile. Beh, l’unica scontenta sarà tua
cugina ma credo che l’albergo delle Hawaii sarà perfetto
per una tipa come lei.”
Si sedette sulla poltrona di suo padre e ne lisciò i braccioli. Mi guardò fisso negli occhi e mi chiese serio.
“mi dici almeno chi o cosa ti avrebbero rivelato il segreto?”
Sentii il mio sorriso allargarsi e aprirsi di felicità.
“Babbo Natale.”
p.s. dell'autrice: questo è il
mio piccolo regalo di Natale. una piccolo one shot che ha partecipato
anche al contest "Luci di Natale".
spero possa essere di vostro gradimento e che possiate respirare anche voi, come Isabella, la magia del Natale =)
un caloroso augurio di buone feste a tutti =)
Sara
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