Once Upon a Christmas ~
Scena Prima
{ I don’t want a lot for Christmas, there’s just one thing I
need }
Non
era una cosa insolita, in casa Blanchard, scovare
Mary Margaret ben sveglia e attiva davanti ai fornelli già praticamente
all’alba. Emma aveva registrato la cosa fin dal primo giorno di
convivenza, archiviandola come il dato di fatto di un’altra
realtà, quella di una persona che ogni giorno raggiungeva il posto di
lavoro a piedi. Non che la scuola elementare fosse molto distante – Storybrooke era praticamente un angolo di case sfuggite ai
boschi per miracolo. E tuttavia Mary Margaret pareva svegliarsi a
quell’ora non per una tanto pragmatica necessità, ma per il puro,
semplice gusto di muoversi in casa quando tutto intorno era silenzio, quando la
luce non era ancora abbastanza forte da disegnare un’ombra al di qua
delle finestre. Era una di quelle cose per le quali Emma si sentiva del tutto
inadatta alla civile coesistenza. A Boston l’alba era alle dieci di
mattina e il tramonto alle tre di notte, ma... Be’, dettagli.
Ad ogni modo la sorpresa vera fu la melodia
mugolata tra le labbra di Mary strette in un sorriso. Sentirla canticchiare,
specie dopo la breve e disastrosa esperienza con un certo signor John Doe, era una novità assoluta.
Alzò gli occhi dalle frittelle solo
quando Emma prese posto a tavola con un «ehi» assonnato.
Ricambiò il saluto, senza smettere di gioire tra sé.
Emma allungò distrattamente la mano verso
una tartina già imburrata, cogliendo di sfuggita il proprio riflesso
scarmigliato in un cucchiaio.
«Sembri di ottimo umore.»
Mary Margaret rise leggera, sistemando quasi con
amorevolezza le pile di frittelle nei
due piatti. Emma lottò con l’istinto di stropicciarsi gli occhi
per verificare di non essersi sbagliata. Nessuno
ride alle sette del mattino.
«Suppongo di esserlo.» Aggiunse una
dose generosa di sciroppo d’acero, lanciandole uno sguardo da testimonial
pubblicitaria. Aveva un futuro, la ragazza. «Ma è normale, sai...
È la vigilia di Natale.»
Emma assimilò la notizia.
«Oh» fu il suo solo commento.
Per la prima volta, Mary Margaret parve
vacillare. «Come sarebbe, ‘oh’?»
La tartina assunse di colpo un sapore
amarognolo. Emma si costrinse a masticarla con cura. Intanto ebbe il suo bel
daffare a sfuggire agli occhioni sgranati di Mary.
«Sarebbe» disse deglutendo, «che
per me è un giorno come tanti.
Non mi cambia niente.»
Mary Margaret appoggiò sul tavolo la
bottiglia di sciroppo. Si sedette di fronte a lei, lentamente, così
lentamente da farla sentire a disagio – e Emma non si sentiva mai a disagio; solo con lei le
succedeva.
«Non ti piace il Natale?»
Se fosse stata un po’ più sveglia e
lucida avrebbe sogghignato. «Non è che abbia mai avuto molto da
offrirmi, sai. E poi, seriamente, alla fine di che si tratta? Qualche albero,
qualche chilo di troppo...»
«È per via dei tuoi genitori,
vero?»
Emma la guardò. Mary se ne stava
immobile, il mento posato nella mano a coppa, l’espressione di chi cerca
– con discreto successo – di radiografare il mondo. Eccola
lì di nuovo. Lei e le sue domande scomode e comprensive... Sbuffò.
«Se anche fosse?» Per non essere
costretta a sostenere quello sguardo limpido, superò la nausea e
attaccò una seconda tartina. «L’unica cosa che mi viene in
mente è che avrò qualche ora in più per starmene per i fatti
miei.»
Mary Margaret era sì curiosa, ma
abbastanza discreta da non insistere mai troppo. Chinò il viso e per
qualche istante parve concentrarsi sul proprio piatto.
Aveva smesso di canticchiare e anche di sorridere.
«Quindi» fece Emma a un tratto,
più per gentilezza che per altro, «dov’è che passerai
la giornata? Non a scuola, immagino.»
«No, certo» rispose Mary
conciliante. Con una mano si spianò una piega invisibile del golfino
azzurro. «Vado in ospedale a far compagnia a quelle povere persone. Per
loro deve essere molto dura, in un momento così felice, ritrovarsi
chiuse tra quattro mura e legate a un letto...»
«Mmm»
assentì Emma, interessata a metà.
«Perché non vieni con me?»
Alzò gli occhi. Mary Margaret aveva il volto
luminoso della bambina che scarta il regalo sotto l’albero in anticipo.
«Capisco che tu sia sempre stata sola, ma
pensavo che... potresti stare con me, oggi. Henry probabilmente dovrà
passare tutto il giorno con sua madre e... Insomma, se... se ti fa
piacere...»
A giudicare dall’abbassamento del suo
tono, l’espressione di Emma doveva parlare da sé. Mary
capitolò di colpo, scuotendo la testa con energia e facendosi scudo col
barattolo della marmellata.
«Senti, non importa. Volevo solo che
passassi la vigilia di Natale in compagnia. Ma mi rendo conto che la vedi in
modo diverso. Fa’ come se non avessi detto nulla, ti prego.»
Emma si appoggiò pesantemente allo
schienale della seggiola, con un sospiro che avrebbe voluto mandar fuori ben più che il fiato. Si portò
alle labbra un bicchiere di succo, approfittando anche lei di quel misero
riparo.
«Non preoccuparti. Lo apprezzo, sul serio.»
Mary Margaret sembrava sollevata. Emma si
strinse nelle spalle.
«È solo che...»
«Lo so» la interruppe, e poi non
disse nient’altro.
Prima che i raggi del sole arrivassero a
sfiorare il tavolo, Emma si chiese se lo sapesse davvero.
Scena Seconda
{ I don’t care about the presents underneath the Christmas tree
}
Non
ci aveva mai fatto caso, prima che la signorina Blanchard
gli regalasse il libro. Allo stesso modo in cui non aveva mai notato un mucchio
di altre cose.
A Storybrooke non
nevicava mai.
Henry detestava il Natale. Era la cosa
più fastidiosa che gli capitasse di vivere una volta all’anno, ogni anno. Gli altri bambini erano ben
contenti di correre fuori a schiacciare il naso contro le vetrine delle
pasticcerie, fantasticando sui regali che avrebbero ricevuto, con la scuola
chiusa e tutto il resto; ma essere ‘il figlio del sindaco’
significava tante cose da fare e tantissime altre da non fare, e così i suoi Natali erano tutti uguali: noiosi,
luccicanti e freddi. Proprio come pezzetti di ghiaccio. Proprio come il sorriso
di sua ‘madre’.
«Devi mangiare qualcosa.»
«Non ho fame.»
«Henry...»
«Non mi va.»
La voce della Regina Cattiva si abbassò
pericolosamente. «Non intendo lasciarti digiunare, oggi come qualsiasi
altro giorno. Mangia.»
Henry ruotò sulla sedia, così che
la finestra, che aveva catturato la sua attenzione fin dall’inizio del
pasto, diventò l’unica cosa nel suo campo visivo. Puntò il
gomito sul tavolo, e la mano sulla tempia escluse del tutto la figura seduta
all’estremità opposta della tavola.
«Oh» la sentì sussurrare.
«La metti così.»
Rimase immobile a fissare il cielo pieno di
nuvole sopra il giardino. Non ci sarebbe riuscita. Lui non le avrebbe permesso
di fare niente. Già era
abbastanza schifoso sapere di vivere con una strega che aveva strappato il
cuore a tante persone – e forse anche al povero sceriffo che era sempre
stato tanto gentile con lui. Ma almeno
per la maggior parte dell’anno il sindaco doveva uscire. Oggi, invece, gli toccava restare chiuso in casa con lei
senza alcuna possibilità di sfuggirle.
Un altro motivo per cui i suoi Natali facevano
schifo.
Senza contare che non poteva neppure correre a
fare gli auguri a Mary Margaret e a...
Il rumore di una sedia spinta indietro sul
tappeto lo richiamò alla realtà, ma non si lasciò sfuggire
nessun sussulto. Non si mosse neanche quando la Regina Cattiva gli venne vicina
e si chinò su di lui, intontendolo col suo odioso profumo,
sussurrandogli la sua minaccia con la stessa cattiveria che doveva aver avuto
con la povera Biancaneve.
«Sia pure. Faremo a modo tuo, Henry. Ma
sappi che non ti alzerai da questa sedia finché non avrai mangiato e non
ti sarai mostrato adeguatamente felice
di passare il Natale con la tua mamma... E, lo sai, se ti muovi di qui lo saprò.»
Henry sentì i suoi tacchi allontanarsi,
lasciandolo lì solo alla tavola ancora apparecchiata. Fece un grosso
sospiro.
Sì, sarebbe stato felice di passare il
Natale con la sua mamma.
Scena Terza
{ I just want you for my own, more than you could ever know }
Kathryn aveva dato sicuramente il meglio di
sé, perché l’albero che torreggiava nel salotto era un
trionfo di colori e neve finta. Ci lavorava da giorni; persino adesso, alla
mattina della vigilia, David vide uno svolazzo dei suoi capelli biondi fare
capolino tra i rami dell’abete sintetico e rischiare di impigliarsi in
tutte quelle decorazioni. Non poté trattenere un sorriso.
Ricordava ancora molto poco di quella donna, sua moglie. A volte, sì, aveva
dei lampi improvvisi: l’immagine di lei che rideva davanti al frigo
vuoto, dicendo che le sue lacrime avrebbero inondato casa; un litigio risolto
in un abbraccio; oppure ancora quella porta sbattuta che aveva sancito la fine
– o l’inizio?... Eppure era difficile riconoscere quella
realtà come giusta.
Benché l’avesse accettata, non passava un giorno senza che si
dicesse che quelle carezze, quei baci avevano un sapore del tutto sconosciuto. Non come le labbra che l’avevano
salvato.
Non era ancora riuscito a fare l’amore con
lei.
Kathryn emerse
dall’albero sistemandosi i capelli, ansante ma radiosa. Lo vide sulla
soglia e gli andò subito incontro.
«Buon Natale, amore.»
David si lasciò baciare, ricambiando l’abbraccio
senza stringere. Socchiuse un occhio e sbirciò l’orologio sulla
parete.
«Voglio che sia una giornata
speciale» riprese Kathryn, restando aggrappata
a lui mentre si guardava intorno nella stanza con aria eccitata. «Ci
pensi? Non abbiamo solo il Natale da festeggiare, ma anche la nostra
riappacificazione. E il fatto che sei... che sei...» gli sorrise con gli
occhi lucidi, «vivo.»
David abbozzò un mezzo sorriso in
risposta, chiedendosi disperatamente perché
continuasse a vedere altri occhi,
davanti ai suoi, riempirsi di lacrime e restare lo stesso così belli da
mozzare il fiato...
«Ci divertiremo, vedrai. Cosa ti
piacerebbe fare? Potremmo passare da Regina, le farebbe piacere vedere che stai
bene...»
«Meglio di no» la interruppe,
«la signora Mills mi spaventa.»
Kathryn rise. «Non dire
sciocchezze! È una donna squisita!»
David si sforzò di non alzare gli occhi
al cielo. Un’altra cosa da tenere a mente: era evidente che lui e sua
moglie non avevano la stessa concezione del termine ‘squisito’.
Guardò ancora una volta l’orologio:
chissà se poteva mettere in pratica quella pazzia... Non sapeva niente
di quella roba. Ricordava con sorprendente chiarezza soltanto l’orario di
apertura dell’ospedale.
«Ho anche sentito Ellen, ieri, e ha detto
che sarebbe stata felice di ospitarci a cena. Ma ti capisco, vorresti qualcosa
di più intimo... Perché allora non ce ne stiamo qui, soli»
e intanto lo attirava con dolcezza verso il divano, dove si lasciò
cadere a sedere tenendogli le mani nelle sue, «a recuperare tutto il tempo
perduto?»
David non oppose resistenza. Quando si ritrovò
tra lo schienale morbido e il petto di Kathryn che
sfiorava il suo, per un minuto chiuse gli occhi e cercò di convincersi
che, ma sì, era giusto
così. Erano un uomo e una donna che vivevano insieme e che erano anche legati da un vincolo che
ottimisticamente veniva detto inscindibile – per quanto lui non
ricordasse nulla del giorno del loro matrimonio. Ma quella era la donna per la quale aveva rinunciato a una scelta
veloce e istintiva che pertanto avrebbe potuto rivelarsi sbagliata. Era la
certezza di un passato incerto, che però c’era.
Ma non era
lei.
Si ritrasse e impedì alle mani di Kathryn di scendere sulla sua camicia.
«No, aspetta...» bofonchiò,
«ho un’altra idea.»
Kathryn soppresse in fretta la
delusione, accoccolandoglisi in grembo come in
attesa. «Ti ascolto.»
«Be’...» esordì David.
Era decisissimo a mascherare le sue vere
motivazioni. Ricorse alla salvezza di una mezza verità. «Lo sai,
il Natale è un giorno importante... Non si tratta solo di stare insieme,
ma anche di farsi del bene, l’uno con l’altro. Ed è
un’occasione unica per dare una mano a chi ne ha bisogno.»
Kathryn annuiva, partecipe. Il
suo sguardo appassionato lo incoraggiò.
«Dunque cos’hai intenzione di fare?»
David sorrise. Dovette lottare con se stesso per
non tornare con la mente a quegli occhi
più belli – e per non sentirsi troppo in colpa.
«Hai mai pensato al volontariato?»
Scena Quarta
{ Santa Claus won’t make me happy with a toy on Christmas day }
Avrebbe
dovuto immaginarlo.
Mary Margaret era uscita presto, come
annunciato, avvolgendosi in un cappotto e in una lunga sciarpa, lasciandola
alle prese con la sua personale solita solitaria vigilia. Emma aveva dovuto
amaramente constatare che, se in una metropoli quella poteva rivelarsi una
giornata seccante anche al di là
dei molteplici locali in cui chiunque poteva sempre rifugiarsi e mescolarsi
alla folla, per illudersi di non essere solo, qui in questo buco di mille anime
dove tutti conoscevano tutti era ancor più difficile tentare di arrivare
a sera senza dare di matto. Non si vedeva un solo fiocco di neve, ma il paesino
era invaso lo stesso da quella febbrile atmosfera natalizia che induceva la
gente a urlarsi gli auguri da una strada all’altra, stile cartone animato
firmato Disney. E lei avrebbe dovuto immaginarlo che sarebbe finita col
barricarsi in un altro posto chiuso, sorda a tutto quanto le accadeva intorno.
Quest’anno, poi, era peggio del solito.
Mary Margaret aveva ragione. Oggi non avrebbe
certo potuto vedere Henry. E da quando Graham...
Forse non avrebbe fatto male ad andare in
ospedale con lei, dopotutto. Pensare al dolore degli altri è il rimedio
più efficace per dimenticare il proprio. Dicono.
«Spero
di sbagliarmi, ma sospetto che la mia cioccolata calda non ti piaccia.»
Emma sorrise colpevolmente a Ruby, che
già da qualche minuto si era fermata di fronte a lei al bancone a
osservarla a braccia conserte. La caffetteria era silenziosissima, non
c’erano altri clienti da servire.
«Non è la cioccolata, sono io ad
avere la bocca amara.»
«Perché la cosa non mi
sorprende?»
Emma sogghignò. «Vuoi rubarmi il
mestiere?»
Ruby scosse la testa così forte da far
svolazzare alcune ciocche vermiglie di capelli. «Per carità,
sceriffo Swan! Io ho tutta una strada davanti. Cioè,
non ho ancora ben chiaro dove sia, però c’è. Lo so che c’è.»
Emma apprezzò talmente la sua ironia che
fu per pura riconoscenza che si sforzò di finire la cioccolata ordinata
più di dieci minuti prima, ridotta ormai a una mistura gelida sul fondo
della tazza.
Ruby iniziò a passare uno straccio sul
banco, ma forse era solo un modo per poterle fare domande senza mostrarsi
troppo curiosa.
«Dovrai sentirti sola, a passare il Natale
in un paese che non conosci ancora.»
Per l’appunto. Ma che furba.
«Sopravviverò»
le rispose con una scrollata di spalle, sentendo distrattamente la porta
aprirsi e lasciar entrare uno spiffero freddo assieme a un altro avventore
solitario. «E comunque non c’è poi così tanto da
conoscere, qui.»
«Ah, be’,
non posso darti torto.» Ruby la sbirciò. «Ehi, ti va di
venire a cena dalla nonna, stasera? Cioè, lo so che non è il
massimo delle attrattive, per una che viene da Boston...»
«Ruby» la fermò, «sta
bene così. Ti ringrazio, ma non ho problemi a stare sola a Natale. Sono ventotto
anni che ci convivo. Non preoccuparti, ok?»
Ruby sembrava sul punto di rispondere, ma il
cliente che era rimasto in piedi dietro Emma attrasse la sua attenzione.
«Salve, dottore. Cosa le porto?»
Emma si voltò. Archibald
Hopper rivolse a entrambe un cenno di saluto con la mano guantata
che stringeva l’immancabile ombrello.
«Perdonate l’interruzione... Auguri
a entrambe... Solo un caffè, grazie, Ruby. Marco mi sta aspettando e
sono già in ritardo.»
«Arriva» fece Ruby, abbandonando lo
straccio al suo misero destino e voltandosi verso la macchina dietro il banco.
Mentre sedeva sullo sgabello accanto a lei, Emma
si sentì distintamente addosso l’occhiata indagatrice di Archie.
«Dalla breve conversazione che ho
involontariamente origliato mi è parso di capire che il Natale non la
rende – come dire? – felice, signorina Swan.»
Emma gli concesse un altro sogghigno, identico a
quello che aveva rivolto a Ruby. «Brillante intuizione. Cosa gliene ha
dato prova, le mie parole o la mia faccia?»
Archie sorrise imbarazzato.
«Non era mia intenzione sembrarle indiscreto...»
«Non si preoccupi» tagliò
corto, alzandosi per trafficare con le tasche del soprabito, in cerca degli
spiccioli. «Lei è uno strizzacervelli, no? È il suo
lavoro.»
Ruby depositò una tazza di caffè e
una bustina di zucchero sul banco, prima di allontanarsi scusandosi e
portandosi il cellulare all’orecchio. Archie
posò l’ombrello accanto a sé, strappò la bustina e
mescolò lo zucchero in silenzio per un pezzo.
«Signorina Swan,
lei forse non ci crederà, ma io... be’...
le devo molto. Perciò vorrei fare a mia volta qualcosa per lei.»
Emma lo fissò sbigottita. Sì,
forse capiva a che genere di ‘molto’ si riferiva, ma... Attese per
un lunghissimo istante.
«Devo aspettarmi un altro invito a
cena?»
Le orecchie di Archie
diventarono di brace, e il sorrisetto che seguì era più
imbarazzato che mai. «Oh, non pretendo certo che lei ne accetti uno da
parte mia... Volevo solo darle un consiglio.» Posò il cucchiaino
sul piatto e si voltò a guardarla. «Perché non va a dare
un’occhiata all’albero che è stato allestito nella piazza
principale?»
Emma sgranò gli occhi, colta alla
sprovvista.
«Le assicuro che non se ne
pentirà» aggiunse Archie, portandosi il
caffè alle labbra.
Ci pensò su. Non le sembrava poi un
consiglio tanto complicato, anche se non ne vedeva proprio alcuna
utilità.
«Mi sta parlando da un punto di vista
puramente accademico?»
«No» sorrise lui, più
apertamente. «Le sto parlando da un punto di vista puramente umano.»
Emma era ancora impensierita mentre lasciava sul
piano il conto per Ruby. Salutò Archie con un
breve cenno, chiedendosi se non si fosse per caso messo in testa di farsi una
nuova cliente.
Un albero di Natale? Ma dai.
Scena Quinta
{ I’m just gonna keep on waiting
underneath the mistletoe }
La
donna distesa nel letto più vicino alla porta non era né giovane
né vecchia, ma il suo volto solcato da rughe sottili recava la
stanchezza di chi ha perso tutto. Mary Margaret non sapeva quasi nulla di lei
– Malina Thorne,
così recitava la scritta al suo polso scarno, non aveva mai ricevuto una
visita da un parente o da un amico; era stata ricoverata molto tempo prima dopo
un intervento di non meglio specificata natura, che neppure il dottor Whale sembrava ricordare, e da allora, come un qualunque
John Doe, era sempre stata là sola. Eppure
c’era un’evidente nota di vitalità nei suoi occhi di quell’azzurro
stupefacente.
«Combatti una battaglia persa,
ragazzina» le ripeteva, ogni volta che Mary riempiva di fiori freschi il
vaso sul suo comodino.
«Ma a me fa piacere stare un po’ con
lei, signora Thorne.»
La donna sbuffava, sprezzante, e giaceva
immobile fissandosi i capelli scomposti sul cuscino.
Anche quel giorno l’aveva accolta con la
solita insofferenza; aveva rotto il proprio mutismo solo per emettere un verso
disgustato quando Mary Margaret le aveva mostrato orgogliosa il cesto pieno di
vischio.
«Stai scherzando, ragazzina.»
«Assolutamente no, signora Thorne. Coraggio, è
Natale!»
«Oh, certo»
quasi sputò, «ma quello è vischio. Non essere ridicola.»
Mary finse di non sentirla e continuò ad
addobbare a festa la stanza, con gran gioia degli altri pazienti del reparto. Malina Thorne borbottò
ancora per qualche minuto, ma non le rivolse più la parola.
Le sarebbe davvero piaciuto che anche Emma fosse
lì: per quanto ne potesse pensar male – e Mary era sicura che vedesse il volontariato come
una mera valvola di sfogo – lei ci stava bene. I vecchietti che veniva a
trovare erano come i suoi bambini a scuola, come un’altra famiglia.
Dopotutto erano sole entrambe; la
differenza era che Emma, chissà se con sincerità o meno, non
voleva che le cose cambiassero. E dire che col suo arrivo ne aveva cambiate
tante, di storie, a Storybrooke.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse
passato quando il dottor Whale le passò
accanto, distraendola dalla lettura del giornale a beneficio di un uomo anziano
con un braccio ingessato.
«Hai visto chi c’è?»
Un tono così informale sul posto di
lavoro la sorprese. Mary distolse lo sguardo dal quotidiano e seguì
quello di Whale fino a un punto accanto alla porta
che dava sul corridoio.
Il cuore le saltò un battito.
«Signori Nolan,
che sorpresa. Cosa posso fare per voi?»
Presente a se stesso, Whale
li aveva già raggiunti; Kathryn si
voltò a salutarlo, ma lui
– David – si rivolse deliberatamente altrove, e Mary Margaret dovette fare uno sforzo per non chinare in
tutta fretta il capo e tradirsi. Vide che aveva le braccia cariche di scatole
di cartone, di quelle che si ritirano in pasticceria per i dolcetti da
compleanno: sperò che la curiosità bastasse a farle dimenticare
tutto il resto.
«Grazie, dottore, ma per una volta saremo
noi a fare qualcosa di utile» diceva intanto una raggiante Kathryn Nolan. «Il mio
David ha pensato che sarebbe stata una buona idea trascorrere questo giorno a
fare del volontariato, e io sono stata subito d’accordo. Abbiamo portato
dei dolci natalizi per tutti e... Be’, naturalmente solo se a lei non
dispiace averci qui.»
«Ogni aiuto è un dono, per queste
persone» rispose Whale sorridendo. «Vi
assicuro che il vostro gesto è per tutti noi una graditissima
sorpresa.»
I pazienti avevano seguito la conversazione con
interesse, e ora, al vedere Kathryn avanzare sicura
con altre scatole di paste, molti di loro si raddrizzarono contro i cuscini.
Mary Margaret si ricordò del vecchietto cui stava leggendo il giornale.
Quando si voltò di nuovo a guardarlo, lo scoprì assopito.
Ne approfittò per alzarsi e ritrarsi
verso la parete opposta alla porta, fingendo di voler sistemare una ghirlanda.
Kathryn si accorse di lei e le indirizzò
un saluto cortese ed educato. David la guardava fisso. Mary sperò di
cavarsela con un sorriso, poi diede loro le spalle.
E così era stata un’idea del signor
Nolan? Era davvero soltanto slancio umanitario? O
magari c’era dell’altro, qualcosa in più che l’aveva spinto a voler uscire di casa il
giorno della vigilia di Natale e presentarsi in un posto in cui sapeva per certo che avrebbe trovato lei? Dio, quell’uomo voleva farla
impazzire. Non sapeva più cosa pensare di lui.
Era stato tutto così stupido, eppure si era illusa così tanto...
Cominciò a esaminare ogni decorazione che
le si presentava davanti agli occhi, spostandosi lungo il perimetro della
stanza e avvicinandosi sempre più a una seconda porta, comunicante con
un reparto diverso. Ebbe una fugace visione del dottor Whale
che aiutava Kathryn Nolan a
tagliare una fetta di torta dall’aspetto incantevole per la signora Thorne.
Quando si fermò sulla soglia, cercando a
tentoni l’ennesima ghirlanda da ‘sistemare’, non fu una
così grande sorpresa sentire una mano che guidava la sua.
Si voltò e si trovò faccia a
faccia con David. Le sorrideva appena, incerto ma apparentemente sereno.
Pensare che non erano più stati così vicini da quella notte al ponte non le fu di alcun aiuto.
«Buon Natale, Mary Margaret.»
Mary fu tentata dall’idea di correre via.
Invece si limitò a sfuggire alla sua mano, restando immobile al suo
posto.
«Buon Natale, signor Nolan.»
Lo sguardo di David fu attraversato da
un’ombra che in cuor suo avrebbe tanto voluto giudicare come rimpianto, ma che forse non era altro
che sollievo.
«Posso sperare nel tuo perdono,
allora?»
Si sforzò di sorridere. «Non
c’è niente da perdonare.»
Rimase a lungo a guardarla in silenzio, con
l’aria di non crederci e di non credersi. Mary Margaret si concesse solo
qualche istante per riflettere: stargli così vicina doveva essere dannoso
per la sua salute, non c’era altra spiegazione. Guardandolo negli occhi
aveva l’impressione di averlo
conosciuto, chissà quanto tempo fa. Sembravano vere e proprie
allucinazioni... Forse gli era allergica; il calore sul viso e il prurito agli
occhi potevano benissimo essere dei sintomi. Soltanto dei sintomi.
Alla fine si allontanò, decisa a
raggiungere la signora Nolan per darle una mano nella
buona azione che lei e suo marito erano venuti a compiere.
Soltanto allora – quando intravide,
all’altro lato della sala, l’espressione derisoria di Malina Thorne – si rese
conto di aver lasciato David, solo e pensieroso, sotto un rametto di vischio.
Scena Sesta
{ Santa, won’t you bring me the one I really need? }
La
Regina Cattiva non aveva fatto i conti con la tipica popolarità del
sindaco di una piccola cittadina. A sera, quando il signor Sidney e sua moglie passarono
per gli auguri – Henry non credeva che sarebbero rimasti a cena: se non
erano del tutto stupidi non avrebbero mai accettato neanche una mela da lei – finalmente ebbe la
possibilità di saltar giù dalla sua sedia e sgattaiolare via dal
soggiorno.
Gli sembrò che gli scricchiolassero tutte
le ossa! Chissà se anche Biancaneve si era sentita così rigida
quando il Principe Azzurro l’aveva sollevata dalla bara di cristallo.
Sbatté forte i piedi a terra per
ristabilire il flusso del sangue, come gli aveva insegnato Archie.
Sì, perché la Regina Cattiva non gli aveva insegnato un bel
niente di utile. Quando sentì
di potersi muovere più facilmente corse alla porta e sbirciò
nell’ingresso: dovevano essersi spostati in una delle salette in cui il
sindaco riceveva gli ospiti più graditi.
Il portone lo attirava come una calamita, ma quella era sicuramente una cattiva idea.
Non poteva uscire a quell’ora. Avrebbe passato dei guai più grossi
del solito e gli sarebbe toccato restare barricato in casa per tutte le
vacanze. E non voleva nemmeno peggiorare la situazione di Emma. No, era una pessima idea.
Ci pensò un attimo su e alla fine
trovò la soluzione. Come aveva fatto a non pensarci? Era la cosa
più ovvia.
Be’, dopotutto lui non aveva mai avuto qualcuno a cui fare gli auguri di Natale,
prima di quest’anno.
Tese le orecchie per assicurarsi che la Regina
Cattiva non fosse nei paraggi; poi scattò verso le scale. Le percorse
fino all’ultimo gradino e si fermò, ansante, di fronte alla stanza
proibita.
Il cuore gli batteva così forte da
rimbombargli nella testa, ma ancora non si sentiva nessuno, nessuna voce che lo
chiamava furiosa e gli ricordava di ‘non muoversi da quella sedia’.
Poteva farcela. Era fatta!
Afferrò la maniglia e senza esitazione
entrò.
Non era mai stato nella camera da letto di sua
madre. Era proprio come ci si aspettava da lei, elegante e perfetta.
Pensò con nostalgia al disordine che regnava in casa della signorina Blanchard da quando Emma viveva lì.
Ma non c’era tempo da perdere.
Lasciò la porta socchiusa, per riservarsi
una via di fuga nel caso in cui la voce della strega si fosse alzata
all’improvviso. Poi cercò attentamente in tutti i cassetti. Il
sindaco Mills era una di quelle persone
‘perbene’ che usavano il cellulare solo quando ne avevano assoluto
bisogno, quindi solamente in ufficio o comunque fuori casa – a Henry era
sempre sembrata una stupidaggine per mascherare il fatto che tanto non c’era nessuno che la
cercasse mai, ma in quel momento gli stava benissimo così.
Lo trovò quasi in fondo al comodino. Era
spento, ma non per niente lui aveva
messo in piedi l’Operazione Cobra. Conosceva da secoli il codice per
l’accensione.
Digitò le quattro cifre, aspettò
impaziente per un altro mezzo minuto – ancora silenzio dabbasso –
e, quando il segnale annunciò di aver trovato la rete, aprì la
rubrica.
Il numero che cercava era sotto la S di Swan.
Evidentemente la Regina Cattiva non considerava la sua vera mamma neppure
meritevole di essere chiamata per nome. Henry soffocò la rabbia: odiava
il fatto di non poter semplicemente andare da lei... Ma almeno le avrebbe fatto
sapere che la pensava anche e soprattutto oggi.
Premette il tasto di invio della telefonata e si
portò il cellulare all’orecchio.
Dopo tre squilli, la voce di Emma gli rispose
seccatissima: be’, doveva essere molto
fastidioso trovarsi sul display il nome di Regina
Mills che pretendeva di parlare con te. Questa
volta il pensiero lo fece ridacchiare.
«Senta, sindaco, se ha intenzione di
rovinarmi l’ennesima serata si sbrighi. Non ho tempo da perdere con lei.»
Henry sorrise nel ricevitore. «Buon
Natale, mamma!»
Le
sciocche chiacchiere di Sidney e consorte sulla gioia del Natale e dell’odierna
possibilità di stare tutti insieme felici
e contenti l’avevano seccata. Li aveva congedati più in fretta
del solito e ora marciava spedita su per le scale. Aveva bisogno di una
pastiglia per il mal di testa.
Regina Mills era una
donna rispettata e temuta che non temeva né rispettava nessuno, tranne
che un pensiero – un ricordo, un rimorso
– che di tanto in tanto, maledizione,
si ripresentava a bussare alla sua porta cogliendola puntualmente impreparata.
Tutta quella storia del Natale era peggio di
qualunque veleno, per il suo cuore avvizzito dai sensi di colpa.
Restò immobile sul pianerottolo,
sorpresa: la porta della sua camera era socchiusa.
Henry.
Per un attimo provò l’istinto di
precipitarsi su di lui come una furia, ma poi
sentì la sua voce eccitata e gioiosa.
Si fermò.
Passarono dei secondi interminabili. Sulla
parete alla sua destra era appeso uno specchio; Regina lo fissò
intensamente, nella disperata ricerca della coscienza di sé, del proprio
essere ancora qui e del proprio
essere nel giusto. E ascoltando le parole che suo figlio rivolgeva alla donna
che l’aveva messo al mondo – ascoltando le parole che lei non avrebbe potuto pronunciare mai
più – in qualche modo ogni proposito di gettarsi sul telefono e
farlo a pezzi svanì.
Fu soltanto per non vedersi le lacrime negli
occhi che mosse un passo indietro e, il più silenziosamente possibile,
tornò sulle scale.
Buon
Natale...
Non poteva privare quel bambino del diritto di dirlo a qualcuno.
Scena Settima
{ Make my wish come true: all I want for Christmas is you }
Ci
mise un po’ ad abbassare il braccio o ad alzare lo sguardo.
La chiamata di Henry l’aveva sorpresa, ma non quanto il sentirsi chiamare in quel
modo per la prima volta.
Lo schermo si spense gradualmente, lasciando la
sua mano nella penombra del crepuscolo e nei riflessi di luci della piazza.
Emma si cacciò il cellulare in tasca e per un po’ rimase
così, le dita protette dalla stoffa, sola ai margini di una piccola
folla che non poteva toccarla.
C’erano tutti: Archie
e Marco, lontani, ridevano di una battuta che a lei non era dato conoscere;
Ashley e Sean e la loro piccola Alexandra, tutti e tre stretti e sorridenti al
riparo di un porticato, con la bimba che agitava le manine come per catturare
quelle luci lontane; David e Kathryn Nolan, lei avvinghiata al suo braccio, lui col sorriso
assente e distratto che sembrava cercare chissà chi; Ruby, naturalmente,
col chewing-gum in bocca e il cellulare all’orecchio e il rossetto
più accentuato del solito; e persino quel tizio dall’aria poco
raccomandabile, quel Leroy, sembrava esser venuto a
dare un’occhiata. Chissà, magari stava ripensando a quando Graham
gli aveva detto di sorridere e di non mettersi nei guai...
«Signorina Swan,
sta bene?»
Trasalì dalla sorpresa – smascherata – e fu ancor
più stupefacente trovarsi accanto il signor Gold,
che l’osservava assorto sopra una sciarpa scura dall’aria comoda e
accogliente.
Perché
quell’uomo
compariva sempre quando lei si sentiva più fragile?
«Sto benissimo, grazie»
borbottò, realizzando di colpo che lui era stato l’unico in tutto
il giorno a non avvicinarsi a lei col consueto ‘buon Natale’.
«Ha l’aria di essere lontanissima da
qui.» Gold sorrise appena. Senza insistenza,
spostò l’attenzione sul centro della piazza, il punto dove
confluiva tutta quella festosa allegria che
non era ancora riuscita a toccarla. «Non mi aspettavo di incontrarla,
oggi. Per qualche motivo ho la sensazione che queste cose non facciano per
lei.»
«Immagino che lei mi abbia capita
benissimo, allora» gli rispose con un sorriso storto. Chissà
perché, era grata che non la stesse guardando.
L’uomo rimase in silenzio per molto tempo,
il volto in ombra per metà. Emma si ritrovò a pensare che anche lui sembrava lontanissimo da lì.
«Sta bene, signor Gold?»
Sorrise di nuovo, segno che non si era
dimenticato della sua presenza – e che il rovesciamento di ruoli lo
divertiva.
«Mi perdoni. Pensavo solo a quanto siamo
simili, lei e io.»
Emma inarcò le sopracciglia, e rimase
ancorata al suo scetticismo finché Gold non si
voltò. Gli occhi che la scrutavano erano quelli di una persona che aveva
molto, troppo da non dire. Ma per una
volta non riusciva a trovare in quel silenzio un senso negativo.
«Il Natale è una festa per chi sa
amare, non trova? È molto difficile che le persone sole lo apprezzino pienamente. Siamo portati a pensare che non ci
riguarda, che le cose per noi non
cambiano, non possono cambiare, in un’unica fredda giornata di
dicembre.»
Emma rivisse nella mente il colloquio al mattino
con Mary Margaret. Tacque, per non lasciargli capire quanto lo capiva.
«Eppure qui è anche la differenza
tra noi due, signorina Swan.» Ecco cosa
c’era in quel sorriso: tristezza.
«Lei, dopotutto, non è davvero sola.»
Faceva freddo. Sì, era il freddo a farla
rabbrividire.
Nella tasca sfiorò il display spento del
cellulare. Buon Natale, mamma!... Già,
lei non era davvero sola.
Guardò Gold che
le si avvicinava di un altro passo, svolgendosi la sciarpa dal collo.
«Ha le labbra così screpolate,
signorina. Congelerà. Tenga questa.»
Mentre la circondava di quella stoffa comoda e
accogliente – proprio come le era sembrata – Emma pensò di
scorgergli una scintilla della solita luce negli occhi.
«Uhm, per questa si aspetta qualcosa in cambio?»
«Oh, niente affatto. Lo consideri il mio
regalo di Natale.» Rise piano, coprendole le spalle con particolare cura.
«Ora le suggerirei di tornare a casa, prendersi una bella tazza di
tè fumante e pensare a quanto non
sa di essere fortunata.»
Un altro brivido: strano, eppure la sciarpa era calda.
«Si unisce a me?»
Non avrebbe saputo dire cosa l’avesse
spinta a dirlo. Probabilmente era solo
quell’accenno di condivisione, o quel sorriso triste che da quell’uomo
non si sarebbe mai aspettata. Magari era solo che era quasi Natale, Dio santo, e sembrava la cosa più giusta
da dire...
Gold la guardò da
vicino, il respiro che si condensava in piccole nuvole e si mescolava al suo.
Alla fine scosse la testa.
«Meglio di no.» Si ritrasse, tirando
su il bavero del cappotto. «Buon Natale, signorina Swan.»
Annuì. «Buon Natale, signor Gold.»
Per un po’ rimase a guardarlo allontanarsi,
finché non fu sparito lungo la strada verso il polveroso negozio dei
pegni.
L’albero al centro della piazza,
circondato da sorrisi allegri e carole stonate, l’attrasse di nuovo.
Iniziava a capire perché Archie l’avesse
mandata lì. Ma forse non era tutto merito suo...
Be’, forse
una capatina dalla nonna quella sera poteva farla.
Voltò le spalle al punto in cui il signor
Gold era sparito, pronta a unirsi a Ruby, ma mosse
soltanto due passi prima di sollevare di nuovo gli occhi, sbalordita.
Nevicava.
Spazio dell’autrice
Tutto
ciò andava pubblicato ieri o il giorno della vigilia, me ne rendo conto,
ma spero comunque che apprezziate il mio tardivo augurio di un felicissimo
Natale. ♥
Ho
progettato questa storia settimane fa, quando ho letto che Once Upon a Time
avrebbe dedicato un episodio alla festa di San Valentino ma – contro ogni
tradizione di serie tv! – non avrebbe incluso uno special
sul Natale. Di conseguenza ho immaginato come gli abitanti di Storybrooke l’avrebbero vissuto e ho scritto quella
che inizialmente voleva essere una raccolta di flashfic,
ma che poi si è rivoltata contro di me ed è diventata una one-shot a tutti gli effetti, perché un ‘episodio’
non si può condensare in una raccolta. Be’, io ci ho provato.
Un
appunto sulla parte inerente a Regina: è complessa. È molto complessa. E non sono sicura di
averla già capita. Quindi invoco il vostro perdono per averla liquidata
così in fretta. ;_;
Ipoteticamente
questa storia si ambienta dopo i primi sette episodi, ergo i riferimenti alla
sparizione dalle scene dello sceriffo Graham (posso farcela. Non piangerò.
Posso farcela); nel finale, sviluppando
il discorso del signor Gold a Emma, ho lasciato delle
minuscole tracce di spoiler sull’ottavo: dunque l’accenno Gold/Emma è a vostra totale discrezione
*fafintadiniente* perché, per una volta, il mio scopo era proprio quello
di alludere alla somiglianza/differenza tra i due personaggi riguardo l’argomento
‘figli’.
Infine,
‘Malina Thorne’:
alla prima persona che capirà chi è scriverò una fic su commissione, non sto scherzando. xD
Le
lyric che accompagnano le ‘scene’ sono
tratte da All I want for Christmas is you di Mariah Carey. Non c’entra niente, lo so,
ma cavolo, quella canzone fa troppo
Natale!
Rinnovando
i miei auguri fuori tempo massimo, posso perlomeno aggiungere have a happy new year ♥
Aya ~