Prologo (parte 2).
“Non
credi che in cambio di
questa obbedienza io possa chiederti… qualcosa?”
Meido
sentì la voce scivolarle
sul collo, fino alla scollatura della camicia, cominciando a farsi
strada sul suo
corpo. Odiava quella vita. Odiava quel modo di fare. Purtroppo era
l’unico che
funzionava, in quella scuola corrotta.
“Ferma
gli ippogrifi, tesoro.”
Mormorò, divincolandosi dalla stretta possessiva del mago di
fronte a lei.
Attraverso il buio riuscì a distinguere i capelli biondi e
il tipico baluginio
lussurioso degli occhi del suo professore di Arti Magiche di Attacco.
Verme
schifoso. Guarda te cosa era costretta a fare per qualche protezione
legale.
“Prima l’attestato di
Intoccabilità.”
Lui
sorrise, e, dopo quale
mescolamento in un cassetto lì vicino, tirò fuori
un plico legato con un nastro
rosso. “E ora…” mormorò,
prendendola per un polso, ma lei si divincolò ancora:
“Scusa tanto, ma prima preferirei leggerlo.”
L’uomo,
accontentandola di nuovo,
accese con un rapido movimento della bacchetta le candele della stanza,
fermandosi poi ad osservare la figura sinuosa della ragazza, scorrendo
con lo
sguardo sui suoi lunghissimi capelli biondo cenere, gli occhi color
mare
intenti nella lettura, il seno dall’abbondante profilo, i
fianchi morbidi ed
eleganti, i glutei sodi e muscolosi, le gambe lunghe e ben disegnate,
pensando
poi che si vedeva lontano un miglio il fatto che quel corpo
così perfetto fosse
quello di un demone e non di una donna umana. Lei sembrò
convincersi del fatto
che l’attestato fosse autentico, come in effetti era, e lo
infilò in una tasca
della tunica da strega, che sfilò subito dopo.
“E
ora che ne dici di provare
quel materasso?” disse, quasi innocentemente, afferrandola
per i fianchi e comprimendola
tra le sue mani e il proprio bacino pulsante. Meido decise di dover
stare al
gioco, e infilò una mano nei pantaloni del proprio
insegnante, graffiandolo
lievemente con i suoi artigli demoniaci. Lui non si aspettava certo
un’azione
così decisa da parte di lei, e si lasciò guidare
fino al letto, permettendosi
solo di cominciare a denudarla.
Meido
si sistemò a cavalcioni
sopra di lui, iniziando a muoverglisi sopra con movimenti lenti ed
estenuanti,
fino a raggiungere un ritmo serrato, che lo spinsero al limite della
sopportazione.
Lui
voleva averla in quel
momento, seduta stante. Sentì le sue mani salirle al di
sotto della gonna,
afferrandole con forza le natiche, stuzzicandola
nell’interno, strappandole via
gli ultimi indumenti. Lei rise, di una risata calcolata e carica di
malizia,
cristallina eppur torbida di eccitazione: “Siamo
già al limite, Dohor?”
ridacchiò, prendendolo in giro, facendo pressione
sull’area del suo corpo
ancora troppo chiusa dagli indumenti: “Vorresti
questo?” mormorò, abbassandogli
di scatto i pantaloni e l’intimo, facendo sfiorare le loro
due intimità, ma
ritraendosi ad un tentativo di affondo che lui avanzò
spingendo in avanti il
bacino. Rise ancora, sempre più divertita: “Come
siamo impazienti!”
“Piantala!”
ringhiò lui, a metà
tra l’irritato e l’ansimante. C’era una
sorta di incantesimo nel corpo nudo di
quel demone, un incantesimo attraente e letale, tanto da ridurre in uno
stato
di completa obbedienza anche uomini che non si lasciavano facilmente
sottomettere, come lui. C’era qualcosa nel suo tocco
malizioso e leggero, nelle
sue dita artigliate che scorrevano con una facilità
allarmante sul suo membro,
qualcosa da affascinare non solo lui, che in quel momento godeva di
quelle
attenzioni estenuanti, ma anche qualsiasi altra persona nella scuola,
qualsiasi
studente, professore o inserviente, che, si vedeva, gettavano lunghe e
desiderose occhiate nell’ammirare quel corpo capace di
chissà quale potenza
demoniaca, di chissà quale lussurioso piacere.
Meido
sapeva tutto questo, mentre
si lasciava lascivamente violare ancora una volta per salvarsi la
pelle, lo
sapeva e ne approfittava, capendo ormai che nel mondo in cui viveva era
fortunata ad avere un mezzo del genere per imporsi. Trattenne un gemito
nel
sentire un’altra estranea presenza dentro di sé,
ma, nonostante l’impulso
sempre più violento di gettarsi via, lontano dal carnale
piacere di cui era
capace, cominciò a far leva sui propri muscoli per finire
ciò che aveva
cominciato. Si lasciò penetrare fino in fondo, sempre
più velocemente, guidando
quella danza monotona di spinte e ansiti che ormai aveva praticato
così tante
volte fino alla fine. Sono una puttana
pensò, inarcando la schiena nella foga dell’apice solo una puttana.
Scivolò
lontano da lui prima che
potesse pretendere il bis, rivestendosi velocemente aiutata dalla
nascente e ritrovata
vergogna e dalla rapidità congenita della sua stirpe di
demoni e correndo fuori,
nel parco.
Ad
un certo punto, esattamente il
momento in cui il suo carattere freddamente fiero, calcolatore e
malizioso
riprese il sopravvento, sentì un tumulto, una sorta di
sconclusionata lotta per
la sopravvivenza, ma soprattutto un’aura demoniaca di
estensione mirabile venir
soppressa all’improvviso, con un suono secco come uno
schiocco.
“Sta
accadendo qualcosa, laggiù.”
Si disse, guardando la foresta. Se fosse stata una veggente sarebbe
scappata a
gambe levate.
Arlene
guardava con disincanto la
foresta che le si proponeva davanti, attratta da qualcosa che non
avrebbe
potuto definire. Forse una persona, dall’altra parte, bramava
in incontrarla, o
forse era semplicemente il casuale sguardo che avrebbe potuto
incontrare se
avesse eliminato tutti gli alberi di fronte a lei.
“Muoviti,
numero XII.” Rivolse
un’occhiata di puro odio al proprietario di
quell’ordine perentorio, sibilando:
“Non mi pare di essere io, quella lenta e vecchia,
Even.”
L’uomo
la squadrò come per dire
“giovane maleducata” ma non proferì
parola.
“Devi
comunque sbrigarti,
l’esperimento deve essere cominciato, e sai quanto Xehanort
odi i ritardatari.”
Soggiunse un’altra voce, appartenente ad un ragazzo dai
capelli blu e due
felini occhi gialli, che squadrava i due come traditori solo per colpa
di quel
lieve ritardo. “Ho capito, ho capito!”
esclamò la ragazza, muovendo la mano per
reprimere in anticipo ogni altra parola. “Aggrappati a
me.” Disse, rivolgendosi
all’unico umano del gruppo, e Even si ancorò con
forza alle spalle
apparentemente esili della loro compagna di esperimenti.
“Londra
arriviamo!” trillò lei,
ritrovando quella scatenata passione che tanto la caratterizzava,
cominciando a
correre ad una velocità disumana, seguita dal ragazzo dai
capelli blu, verso un
serpente di binari che, lo sapeva, li avrebbe direttamente condotti da
Hogwarts
a King’s Cross.
Ebbra
del vento e
dell’eccitazione data dall’esperimento
gridò, scherzosa, rivolgendosi all’uomo
che portava sulla schiena: “E non mi palpare il
culo!”
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e qui è finito
il prologo.
è stato
introdotto il personaggio di MEIDO ZANGETSUHA, inventato da me e di mia
esclusiva proprietà. il nome viene da una tecnica di
Tessaiga, la spada di Inuyasha in "Inuyasha", e difatti, nel mio
immaginario, Meido sarebbe la figlia di Shishinki, il vero inventore
del Passaggio per l'Aldilà nel manga e nell'anime creato da
Rumiko Takahashi.
chi poi volesse
utilizzare questo personaggio deve prima chiedermi il permesso. Ne sono
molto gelosa perchè ha una caratterizzazione peculiare che
mi è costata due mesi di ponderamenti.
Arlene, Even il compagno
dai capelli blu e il citato Xehanort sono i personaggi di KH II che poi
diventeranno alcuni membri dell'Organizzazione XIII, quelli che si
leggono qui sono i loro nomi da umani, prima di diventare Nessuno.
ebbene, spero che il
fututo sviluppo della storia possa in qualche modo ispirare qualche
recensione.
Buon Natale e Buon Anno
Nuovo.
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