Anima
Bruciata.
C'erano
cose che di
lei nessuno sapeva. Nemmeno lei le sapeva, alcune cose di se stessa.
Aveva rinunciato a conoscersi, perchè sapeva di essere
difettosa dentro.
Aveva qualche meccanismo interno che la rendeva
allergica alle persone, che si rifiutava di farla collaborare se le
presenze intorno a lei diventavano troppo insistenti, oppressive,
soffocanti.
Perchè era pesante internamente, e sopportarsi
sapendo di essere un peso – per gli altri, per sé,
per chi cercava di coinvolgerla in tutti i modi – era troppo
difficile.
Oppure, come al solito, non era capace di reagire fino in fondo.
Quindi perchè gli altri avrebbero dovuto cercare
di conoscerla?
Era noiosa,
sempre a guardare il lato negativo e fare pensieri malinconicamente
strambi, a
pensare al passato, a ciò che sarebbe destinato a finire:
una canzone, un film, una pizza.
Un'ora, una giornata, un anno, la
vita.
Quindi capiva le persone, se dopo un po' che parlavano con lei se
ne andavano via, da altri, lontano. Per divertirsi, svagarsi, ridere e
trovare qualcuno che non rispondesse solo a monosillabi o frasi veloci
perché non si sentiva a suo agio.
Lei stava male, quando le facevano domande personali.
Però nel contempo voleva qualcuno che s'interessasse a lei.
Solo che le davano sempre l'impressione che stessero mettendo il naso
nei suoi affari, per spettegolare e curiosare, non per reale interesse.
Chi aveva ragione?
Avrebbe dovuto
abbandonare quel suo stato di perenne difesa che si metteva addosso?
Chi vorrebbe una macchina rotta,
che parte per poi lasciarti a metà strada?
Lei faceva
così: iniziava, convinta, poi s'insinuavano i dubbi
– dovuti a un gesto, una parola: bastava poco per farle
cadere tutte le certezze che le si costruivano attorno, piano,
immensamente piano
– e lei si tirava indietro, per paura.
Perchè immaginava che dietro quei gesti o quelle parole ci
fosse altro, anche se poi non era vero ed erano cose a cui avrebbe
dovuto passare sopra.
Ma era come se la recezione, ciò che le persone pensavano di
lei le arrivasse subito, come una stilettata: percepiva
subito se era una presenza non gradita o facilmente trascurabile, di
contorno.
Aveva imparato a non farsi illusioni, a tenersi a debita
distanza dalle persone – tanto da temerle, da evitare un
contatto con loro – per non scottarsi.
Perchè
già in passato era successo; e ancora una volta era stata
colpa sua, sua e della paura che le persone scappassero da
lei,
allontanandosi.
Quando vedeva le persone escluderla reagiva di
conseguenza, isolandosi e facendosi vedere palesemente triste.
Che atteggiamento da
egoista ignorante.
Con il
tempo, però, aveva imparato a nascondere la cosa, passarci
sopra, bruciando dentro e rimanendo impassibile fuori: un sorriso
finto, un “Non
fa niente, va tutto bene, non
preoccuparti”, una finta conciliazione fuori
mentre dentro
esplodeva.
Ma era importante l'apparenza: le persone erano tranquille, come se
avessero la coscienza pulita e leggera; lei faceva finta che tutto
andasse nel verso giusto e procedesse come sempre, passando sopra a
quelle, che per lei, erano mancanze.
E tutto il suo mondo fatto di cristallo crepato e tagliente
messo in bilico su se stesso evitava di rompersi per sempre.
|