Ferite.
Le dita
fredde si mossero verso la ferita. Rimasero per qualche secondo in
attesa, come spaventate, prima di sfiorare la pelle. Chiunque
avrebbe scambiato quel forellino scuro, quasi invisibile, per un
volgare neo.
Ormai
è una moda.. Le solite occhiate, allusioni, risatine...
adesso fanno parte del mio essere.
E'
ovvio che se camminerò in una stanza la gente si volterà
a guardarmi.
E'
naturale che le loro labbra mormorino chi sono, instancabili...
E'
giusto che abbiano paura di me.
Io,
che facevo di tutto per sembrare una persona qualsiasi e per qualche
strana legge della vita ottenevo l'esatto contrario.
Più
nascondevo la testa tra le spalle, più occhi erano voltati
verso di me. Sembrava una formula matematica: precisa, perfetta,
inviolabile.
Quel
giorno Simon era irrequieto. Più del solito, almeno. Si
guardava sempre intorno e con la mano stringeva il petto, all'altezza
del cuore.
Sembra
che me ne freghi di cosa fanno gli altri,ma in realtà osservo
costantemente i loro movimenti. Mi differisco dalle altre persone
solo per il fatto che non lo do a vedere.
Un
occhio affannato e pieno di pensieri, per di più velato da
quella patina fatta da fede e preghiere, non avrebbe mai intravisto
una forma animalesca che si mimetizzava tra le pieghe della sua
maglia.
Era
un animale piccolo, certo, per riuscire a celarsi interamente sotto
il vestito di un bambino.
Suor
Nives era intenta ad addobbare, si fa per dire, quella sottospecie di
legnetto che costituiva il nostro albero di Natale. Quei piccoli
ammassi di plastilina, modellati dai ragazzi dell'orfanotrofio,
pendevano dagli scarni rami. Erano brutti e sgraziati, dalle varie
forme che andavano dalla patata schiacciata a serpentello
rinsecchito. Più che palline di Natale, sembravano tumori.
Approfittai
della mancanza dell'occhio vigile della suora per seguire Simon, che
nel frattempo aveva fatto uno scatto verso il cortile.
Era
severamente vietato uscire durante il pranzo, ma me ne infischiavo. I
ragazzi strillavano per ogni minima cosa, le suore pensavano ai fatti
loro, quindi con quella confusione era semplice raggiungere
silenziosi la porticina sul retro.
Seguii
Simon stando sempre pronta a nascondermi, nel caso avesse girato la
testa.
Com'era
freddo. Era un Natale senza neve quello. Solo grigio, nuvole basse e
un paesaggio brullo.
Si
accucciò sopra l' umido fango inglese ed estrasse la preda dal
suo semplice maglioncino. Era un coniglio. Morto.
Ne
vedevamo a bizzeffe dalle nostre finestre, saltellare nel cortile
quando finalmente non c'era più traccia di disturbi umani. Di
norma potevamo avere il piacere di rivederli nei nostri brodi, ma
questa è un'altra storia.
Dalla
tasca dei suoi pantaloni sporgeva un cucchiaino, che non avevo
notato. Simon lo afferrò e cominciò a scavare, poi finì
il lavoro con le mani.
Un
semplice nascondiglio? O una tomba?
Prese
il povero coniglio per le orecchie e... si girò. Questa volta
mi colse impreparata.
“ Tu!
“ esclamò, i denti che tremavano... un po' per il
freddo, un po' per paura.
“ Cosa
stai facendo?” chiesi avvicinandomi.
“ F-fatti
gli affari tuoi! Va via!”
“ Non
ho voglia.”
Sul
suo viso si era formata una nuova espressione... come una smorfia
divertita.
“ Dirò
tutto a Suor Nives.”
Indietreggiai
di un passo.
“ Non
puoi fare la spia! Poi punirebbe anche te!”
Simon
strinse le orecchie del coniglio.
“Lo
so. Ma quella terrorizzata dalle punizioni sei tu, non io.”
Vero.
Diceva il vero.
Buttò
il coniglio nel fango, improvvisamente sembrava che non gliene
fregasse nulla.
Iniziò
a piovere.
“ Vado.”
Scattai
lesta, sentendo lo stimolo del pianto che bussava ai miei occhi.
“ No
ti prego! Aspetta!”
Un
secondo prima che Simon potesse stringere le dita sulla maniglia
della porta, lo presi per il colletto e lo buttai all'indietro.
“
Fermati! “ strillai, cercando di tenerlo
inchiodato a terra.
Simon
provava a respingermi mettendomi le mani sporche sul viso, ma non
demordevo.
Non
doveva assolutamente avvertire Nives.
Era
furbo, lui. Scartando la carta della violenza, scelse il jolly
infallibile, una difesa indolore: il solletico.
Prese
la mia maglia e la tirò su scoprendo la mia pancia.
No.
Non
riuscivo nemmeno a ridere.
“ No
Simon! Basta!”
Purtroppo
le sue mani giunsero sulla mia schiena.
E
la toccò.
Sentendo
la strana consistenza della mia pelle in quel punto, ritrasse la mano
con un'espressione schifata... terrorizzata.
Gemetti
di dolore, le mie lacrime che pendevano dalle guance e cadevano a
terra come acqua infetta.
Quando,
sette anni dopo,lo vidi davanti a me trasformato in un ghoul, aveva
la stessa espressione... mi correggo, nei suoi occhi c'era la totale
mancanza di calore umano e sentimento. Non erano occhi quelli che mi
fissavano... erano palle di vetro sintetiche e opache.
La
pioggia si insinuava tra i miei capelli, bagnava la pelle e si
mischiava alle lacrime. Rannicchiata nel fango, sentii delle urla di
donna e dei passi affrettati che mi si avvicinavano.
Era un ricordo che aveva portato con sé per tutta
la vita... e in seguito, per l'eternità.
Una piccola fossettina, niente di più.
Le aveva causato un dolore immenso, il dolore più
grande che avesse mai provato.
Sentì qualcosa muoversi nell'oscurità, una
mano d'ombra che si posò sulla sua.
Lei non reagì. Rimase immobile, impassibile.
“ Sei
ancora persa nei ricordi.” disse
una voce sconsolata, che le proveniva dal cuore.
Sbatté le lunghe ciglia, e strinse la mano che le
veniva tesa nell'ombra.
Si rannicchiò sul fianco assumendo una posizione
fetale.
“ Mentre
stavo morendo...” pensò,
affossando la testa tra le spalle.
“ Sentivo
ogni mio ricordo svanire. “
“ Beh,
non che fossero bei ricordi.” ribatté
la voce maschile in tono sarcastico.
“ La maggior parte non lo era, infatti.”
Chiuse gli occhi.
“ Ed
ero quasi contenta di perderli. Ma non potevo smarrire i ricordi
della mia famiglia. “
Lui
ridacchiò. “ Mhm, naturalmente.”
“ Mi
stai prendendo in giro? “
chiese l'altra, con un tono che si sforzava di essere serio ma che
lasciava trasparire una nota divertita.
“ No,
certo che no.” rispose
mettendole una mano sul fianco e appoggiando la testa sulla sua
spalla.
“ Ora
sono serio.”
“ Bravo.”
Fissò il vuoto davanti a sé.
“ Forse
non mi rendevo conto di cosa sarei diventata, ma... non volevo
perdere la mia umanità. “
L'uomo d'ombra la ascoltava, finalmente silenzioso.
“ Da
viva queste memorie mi perseguitavano. Cercavo di non pensarci, e
loro puntualmente spuntavano fuori come trappole, tra una rara risata
o un urlo di rabbia. Ingenuamente, volevo dimenticare. “
“ Beh
dai, mi sembra più che normale... io per esemp... “
Lei si girò scoccando al buio un'occhiata
eloquente.
“ Avevi
detto che stavi zitto.”
“ Ah,
giusto. “
Scosse la testa e continuò il suo racconto.
“ Adesso
è buffo pensare che volevo sbarazzarmi di quei ricordi, da
umana... poi invece, non hai idea di quanto mi aggrappavo ad essi per
non dimenticare ciò che ero stata. Per quanto dolorosi
fossero, erano tutto ciò che mi rimaneva. “
Accarezzò le tenebre, per darsi coraggio.
“
All'inizio il Master mi disprezzava per la mia
debolezza e attaccamento alla mia vita passata. In seguito, ha saputo
riconoscere che quello che aveva sbagliato era proprio lui, perché
aveva completamente rinnegato la sua umanità... che ora tanto
ammira in me e negli stessi uomini. “
Sentiva una parte di sé ragionare.
“ Sai,
alla fine rimanere senza ricordi è come non aver vissuto. E'
tutto ciò che siamo. Sono le esperienze che accumuliamo negli
anni che non ci fanno più sbagliare. Far affiorare una memoria
di cose stupide che hai fatto, è quasi divertente... E' amaro
ricordarsi di quanto abbiamo sofferto nel passato, ma questo ci dà
forza perché riconosciamo di aver superato quel periodo. “
Lei si mise a ridere.
“ Che
discorso serio! E meno male che avevi detto di chiudere la bocca.”
“ Ahahah!
Dai, lo so che ti piacciono i miei discorsi. “
“ Mhm,
forse... “
Sorrise girandosi e stringendolo.
Le mani dell'ombra percorsero la sua schiena...
Aspettò il momento in cui le avrebbe toccato quel
punto...
Strizzò gli occhi, in attesa.
I polpastrelli di tenebra seguirono la linea della pelle
ancora un po' rialzata, laddove il proiettile era evaso dal suo
corpo, lacerandole la carne.
In quei secoli il suo corpo era stato ridotto a
brandelli più e più volte, ma in pochi secondi
riprendeva la forma di una giovane splendida e dannata.
Ma quella... quella non osava toccarla. Quasi non sapeva
nemmeno se poteva riuscire a farla sparire. Era una ferita troppo
profonda... più nella sua mente che nel corpo.
“ Eri solo una bambina.” mormorarono
le ombre, tristi.
Sospirò. Non che le servisse, visto che il suo
cuore era da tempo più simile ad un sasso ricoperto di muschio
che a un organo.
“ Però
dai, è solo una cicatrice. A poco a poco sparisce...”
cercò di rassicurarla,
sussurrando.
Sentì la mano della tenebra prenderle il mento,
qualcosa come capelli invisibili sfiorarle il viso.
“ No.”
Prima che potessero toccarsi,
lei si girò.
“ E'
una ferita.”
<
Ce l'ho fatta alla fine! Sono
riuscita a scriverla! * musica epica di sfondo* . Ci rincontriamo,
fans di Hellsing. Questa è la mia seconda fanfiction sul mio
anime preferito.
Era da tempo che mi era venuta
in mente un'idea del genere, delle ferite e dei ricordi, ma non
sapevo come scriverla. Beh, ecco qui lo schif... risultato.
Amo Seras, non è il mio
personaggio preferito, ma sicuramente mi ritrovo tanto in lei. È
molto autobiografica questa one shot, infatti più che lei
sembro io quella che parla XD * si ricorda le vecchie suore
dell'asilo e sospira *
Considerate una ragazza della
terza media che si vede l'episodio 7 qualche giorno prima di Natale.
Ohh, che trauma! Sarà sempre il mio episodio preferito,
però... quanto ho sofferto la scena dei suoi ricordi.
Mi sono documentata: le ferite
di pistola a volte non sono nemmeno visibili, mentre invece se il
proiettile passa da parte a parte il corpo provoca un grande buco nel
luogo dove esce...
Non so come mi è venuta
in mente la storia del povero coniglio, del poliziotto Simon,
guardate, non lo so nemmeno io.
Il finale... beh, dov'è
Seras? Dentro la sua bara? E' nuda? E' diventata uno spirito errante?
Cosa sono le tenebre, le ombre o il buio che la toccano e le
parlano?
Allora, in ordine: non lo so,
non lo so, non lo so, non lo so, sono Pip.
Per sdrammatizzare ho aggiunto
dei piccoli giochetti tra i due piccioncini ( sono pucciosi,
andiamo). Inoltre c'è un'atmosfera sexy dark che mi piace,
uhuh.
Mi piace non aver detto il nome
di Seras né di Pip, volevo che lo scopriste da soli ( a poco a
poco lascio indizi inconfondibili).
Il finale è proprio come
lo volevo. Inaspettato, triste, netto.
Verso la fine di mia volontà
non ho detto sempre chi parlava o chi si muoveva, perché Pip e
Seras sono diventati una cosa sola, quindi indistinguibili ^^ ( non
sono fan della coppia, nooo.)
Siete ancora qui? Mii, siete
forti. Vi stimo.
Non è completa perché
magari, chissà, potrei aggiungere storie su altri personaggi
di Hellsing sempre però col tema delle ferite. Boh.
Ah, l'immagine finale è
un disegno della cara Yukari Toshimichi, alias Solid & Etc.
Beh, tolgo il disturbo.
( ditemi quando avete capito che
parlavo di Seras che sono curiosa).
Arys.
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