~apatia
I
got a hangover, wo-oh!
I’ve been drinking too much for sure
I got a hangover, wo-oh!
I got an empty cup
Pour me some more
So I can go until they close up
And I can drink until
I’m told up
And I don’t
ever ever want to grow up
Taio Cruz, Hangover.
- ...fanculo!
La porta d'ingresso
sbatté con violenza: così si concluse l'ennesima
litigata. Le lacrime, fino a quel momento aghi negli occhi, poterono
finalmente scorrermi lungo le guance. Per niente al mondo piangerei
davanti a lui; prima di tutto, perché mostra la mia
debolezza. La seconda ragione è che lo fa sentire in colpa
ed è una cosa che non sopporto: da ipocrita qual
è, solo le mie lacrime possono farlo tornare sui suoi passi,
per quante ragioni io possa avere. Alla fine i miei singhiozzi furono
liberi di riecheggiare nella casa vuota e silenziosa, e potei
nascondermi nel mio mondo segreto: la vasca da bagno. Qui entro sempre
in uno stato di totale apatia, non penso a nulla e ne esco, in qualche
modo, con le idee chiare e più forte, come se la schiuma
potesse costruire una corazza intorno a me. Dunque, appena il mio
pianto si placò un poco, mi alzai, chiusi la porta a chiave
e mi diressi spedita verso il bagno, pregustando il sollievo dell'acqua
calda e del profumo leggero di lavanda. Mi immersi fino al collo e
sentii subito una grande calma diffondersi attorno a me. La pelle
tirava dove le lacrime erano passate, gli occhi bruciavano, ma
costrinsi il mio sguardo a fissarsi sulle mattonelle color crema delle
pareti e in contemporanea la mente si svuotò.
Non so quanto tempo
passai lì dentro... so solo che quando mi sentii pronta per
uscire era già buio, e Adam non era ancora tornato.
Incrociai le dita perché cenasse fuori e mi avvolsi
nell'asciugamano più morbido che ho, una piccola coccola in
vista della battaglia che m'attendeva. Nello specchio, una donna dagli
occhi gonfi mi fissò con un'aria inquietante, stanca, quasi
spettrale. Le voltai le spalle e andai in camera da letto per vestirmi.
Poi sentii il click della chiave nella porta. Merda.
Adam varcò
l'ingresso a grandi passi, rumorosamente, e neanche tre secondi dopo
era davanti a me, come se sapesse già in quale stanza
cercarmi. Odorava di sudore e terra.
- Dove sei
stato? - chiesi secca. In realtà non mi interessava, volevo
solo finire in fretta i convenevoli. Lui alzò le spalle. -
Faccio una doccia, okay?
Non mi diede nemmeno il
tempo di rispondere e sparì dalla mia visuale. Un moto
d'irritazione si fece strada in me come il calore dell'alcol il sabato
sera. Sentii il cuore accelerare il proprio battito, preparandosi allo
scontro. Tra cinque
minuti uscirà dalla doccia e riprenderà la
discussione da dove l'ha lasciata, devo essere pronta,
pensai. Mi tormentai l'unghia del pollice, indecisa sul da farsi. So
che a volte sarebbe meglio arrendersi subito, è solo che mi
secca dargliela vinta.
Dalla camera da letto
passai alla cucina: ovviamente, tutto ciò che avrei
preparato sarebbe stato solo per me. Sapeva come prendere del formaggio
dal frigorifero.
Ma, per la prima volta
nella sua vita, Adam mi sorprese: uscì dal bagno con indosso
solo l'asciugamano, l'acqua che gocciolava ancora dai capelli corvini;
percorse spedito il corridoio fino a me e mi abbracciò. -
Scusa, ho esagerato, - disse. - Non parliamone più. - Mi
stampò un bacio in fronte e tornò indietro, in
direzione della camera.
Restai a guardare il
vuoto dove prima c'era lui, sbigottita, sentendomi le braccia umide
lì dove avevo avuto un contatto con la sua pelle bagnata.
Aveva lasciato perdere?
Quando tornò
in cucina ero ancora esterrefatta, nella stessa posizione in cui mi
aveva lasciata. Rise e iniziò ad apparecchiare. - Non essere
così sconvolta. Sto cercando di essere una persona migliore.
Sorrisi.
***
Questa mattina mi sono
svegliata di buonumore. Lo lascio dormire, preparo il caffè
e fischiettando apro l'oblò della lavatrice. I vestiti di
ieri mi guardano dalla cesta della biancheria sporca, pronti per essere
lavati. Prendo in mano la maglietta bianca che indossava e la rigiro
tra le mani, alla ricerca di macchie da trattare con particolare
interesse. Intravedo una striscia rosso scuro sul davanti: sangue
secco. Ultimamente perde spesso sangue dal naso mentre è al
lavoro. Come ogni uomo degno di questo nome, si rifiuta categoricamente
di accettare un aiuto e quindi di andare dal dottore. Sospiro, metto
uno smacchiatore sul segno rosso e infilo la maglietta in lavatrice;
poi lo sveglio con un bacio e, finalmente, bevo il caffè,
indispensabile per svegliarmi.
Poi lo sguardo mi cade
nell'ingresso, dove è rimasta qualche traccia di terra che
probabilmente era sotto le scarpe di Adam. Mi chiedo ancora dove sia
stato ieri sera e sento qualche sospetto nascermi dentro, sospetto che ovviamente se ne va
come la scopa passa sul terriccio e se lo porta via, intrappolandolo
nella paletta. Probabilmente ha fatto una passeggiata.
Nel dubbio, forse
è meglio chiederglielo.
- Amore, -
dico con il tono più leggero che mi riesce, appena entra in
cucina - dove sei stato ieri sera? Giusto per sapere - aggiungo
noncurante, anche se la mia mente è stata attraversata da
un'enorme insegna luminosa che recita a caratteri cubitali "Ha
un'amante!". Lui si versa il caffè con attenzione, si volta
a guardarmi e sorride. - Sono andato al bar e mi sono bevuto un paio di
birre per calmarmi. Perché?
Annuisco. E' andato al
bar, certo. Un bar in campagna. - Niente, è solo che c'era
un po' di terra nell'ingresso e pensavo fossi andato a fare una
passeggiata...
- No, hai
pensato che fossi andato dalla mia amante. Non è
così? - chiede con una punta d'irritazione nella voce.
Merda. Mi conosce
troppo bene.
- Stai
tranquillo. Mi fido di te. - Dico in fretta, ma lui non sembra
credermi. Scuote la testa ed esce di casa, ancora una volta sbattendo
la porta. Si capisce che è arrabbiato, ma basta davvero
così poco per litigare? D'un tratto tutte le mie certezze
crollano. Non siamo giusti insieme. Non passa giorno senza discussione,
e mi rendo conto di non poter più reggere questo ritmo di
discordia tra noi. L'armonia è spezzata e io non voglio
più stare con questa nervosa e cinica parodia del ragazzo
con cui, tre anni fa, ho deciso di convivere.
Esco sul pianerottolo e
lo chiamo. Torna su. - Cosa vuoi?
- Penso che
non dovremmo più stare insieme. - Rispondo, con una
tranquillità che non sento mia. Sento la mia anima
sollevarsi. Non sono più io a parlare, sono entrata nella
modalità apatica che si mostra solo quando sono nella vasca
da bagno.
Per un momento mi
scruta con tanto odio che penso che voglia uccidermi. Poi si rilassa. -
Sei sconvolta, litighiamo troppo e non ce la fai più. Ho
capito. Non preoccuparti, ne riparliamo questa sera. Ciao. - mi guarda
con sufficienza e se ne va.
La rabbia non mi monta
dentro come dovrebbe. Lo saluto con calma e chiudo la porta alle sue
spalle.
Durante il giorno penso
a quant'è successo e mi rendo sempre più conto di
aver esagerato. E' l'uomo che amo, e quando ho accettato di vivere con
lui pensavo che fosse per la vita. Così dev'essere. Lo devo
amare incondizionatamente,
sempre.
Devo perdonarlo ed aiutarlo, e smettere di pensare alla vendetta ogni
volta che mi fa un torto. Piano piano si accorgerà che siamo
perfetti insieme e tutto tornerà come prima.
Sì,
decido all'improvviso. Faremo pace questa sera.
Gli telefono per dirgli
che ceno fuori con un'amica e che tornerò verso le nove; poi
inizio a prepararmi. Indosso il completo intimo che preferisce e mi
avvolgo nella vestaglia di seta, quella che mi fa sentire una
sgualdrina e che infatti indosso solo per occasioni particolari
(anniversari o il suo compleanno, per esempio). Mi profumo
all'inverosimile e mi trucco con particolare attenzione. Voglio
rinnovare il nostro amore, voglio che torniamo innamorati persi come un
tempo.
Mi sto rimirando
compiaciuta nello specchio del bagno quando sento la chiave nella
toppa. Speravo che avrebbe cenato fuori lui, per lasciarmi
più tempo. Programmavo di aspettarlo sul letto, ma mi ha
colta impreparata. Pazienza, mi dico. Lo sorprenderò
ugualmente.
Apro la porta del bagno
e mi muovo con più eleganza che posso verso di lui, che non
si è nemmeno accorto della mia presenza. Quando si volta e
mi vede, mi lancia uno sguardo perplesso. - Ma non eri a cena fuori?
- Ho deciso
di aspettarti qui per fare la pace - dico seducente, sbattendo le
ciglia. Adam mi guarda, senza cogliere l'allusione. Quando capisce, fa
un passo indietro. - Non ce n'è bisogno - dice in fretta,
guardandosi intorno. - E' tutto a posto.
Mi sento ferita,
respinta; ma per noi, per il nostro bene, cerco di farmi coraggio e ci
riprovo. Inizio a giocare con la lampo della sua felpa, inspirando
l'odore familiare che mi accompagna da tre anni. Lui s'irrigidisce. -
Non ne ho voglia adesso.
- Non essere
stupido - rispondo, tirandola giù. - Non lo facciamo da... -
le parole mi muoiono in gola quando mi accorgo che sulla sua T-shirt
grigia c'è, tra le altre, una grossa macchia di sangue. A
forma di mano.
Mi ritraggo,
spalancando gli occhi. Lui alza gli occhi al cielo, ma mi accorgo che,
impercettibilmente, il suo respiro s'è fatto più
veloce. - Non avevo il fazzoletto - inizia a spiegarmi, ma i suoi occhi
non sono limpidi ed io non sento più il resto. So che sta
mentendo. - Che cos'hai fatto? - chiedo, indietreggiando con quanta
più calma possibile. - La verità. - la mia voce
s'è ridotta a un flebile pigolio spaventato.
- Mi
è uscito ancora il sangue dal naso... dài, mi
cambio. Ti porto fuori a cena, ti va?
- Non ti
credo.
Sbuffa ed alza di nuovo
gli occhi al soffitto. - Cosa credi, che abbia ucciso qualcuno? Non
essere ridicola.
E' così
sereno che piano piano decido di credergli. Sono ancora un po' dubbiosa
quando annuisco e, in silenzio, vado a vestirmi.
La cena è
fantastica. Beviamo vino, ordiniamo frutti di mare e quand'è
il momento di pagare il conto, mi aiuta a indossare il cappotto come un
galantuomo. Ridiamo come due ragazzini quando usciamo dal ristorante,
aggrappati l'uno all'altra, e non vediamo l'ora di tornare a casa per
stare soli. Mi aiuta a salire sull'auto sportiva che s'è
comprato con anni di duro risparmio. Ne è così
orgoglioso che la lava due volte la settimana. A volte penso che tenga
più a lei che a me, addirittura.
Nell'abitacolo
però c'è un odore strano, pungente. Come di carne
marcia. Adam ride e mi assicura che non è niente, ma persino
nella mia ubriachezza capisco che qualcosa non va. E che quell'odore
proviene dal retro dell'auto.
Mi alzo traballando sui
tacchi. Lui mi ferma e mi avvolge in un goffo abbraccio, cercando di
spingermi di nuovo verso il sedile. Mi rifiuto. La strada ondeggia, il
baule gira su se stesso. Spingo via Adam, troppo brillo per reagire
subito, e prima che possa rendermi conto di cosa sta accadendo apro il
baule. L'odore di carne in putrefazione m'investe, i conati non tardano
ad arrivare e vomito accanto all'auto mentre due occhi scuri e vacui mi
fissano accusatori dal vano aperto. Il sangue è ormai
rappreso sui capelli della giovane, i quali alla luce dei lampioni
sembrano brillare. Vedo Adam riprendersi e venire verso di me con una
lentezza impressionante, vedo, nonostante il buio, le mani legate della
ragazza, il sangue secco sui suoi abiti, sotto le sue unghie, la testa
in quella strana posizione ed intuisco che è quasi del tutto
staccata dal corpo. Capisco tutto, la terra, il sangue sulle magliette,
la sua calma dopo essere andato "al bar".
Ancora una volta,
sprofondo nell'apatia e sento una voce, la mia, sussurrare -
Seppelliamola insieme alle altre.
Dopotutto, lo devo
amare incondizionatamente. Sempre.
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