Disclaimer:
Personaggi, luoghi e nomi di questo racconto sono di mia invenzione ed
appartengono solo a me.
Suzanne,
come qualsiasi studentessa delle superiori, adorava le gite scolastiche o, come
preferiva chiamarle, le uscite didattiche. Per lei la gita era un’occasione
preziosa per arricchire il suo già vastissimo bagaglio culturale e non una
buona scusa per sfuggire al controllo dei genitori per un paio di giorni anzi,
dormire in albergo insieme alle sue compagne era ciò che Suzanne meno gradiva
delle uscite didattiche.
Quel
giorno la giovane era seduta da sola, gli occhi color pece persi
nell’ammirazione del paesaggio e gli auricolari del suo mp3 nelle orecchie.
L’autobus turistico noleggiato dalla scuola avanzava pigramente sotto il
plumbeo cielo francese, diretto alla cattedrale di Sainte-Marie. Il gotico era
l’unico stile architettonico che non piaceva a Suzanne e la giovane non era
esattamente entusiasta della prima visita della giornata, non vedeva l’ora di
trasferirsi nella valle della Loira e godersi gli stupendi castelli che si
affacciavano sul fiume.
Una
volta giunti alla cattedrale, i giovani alunni e i loro professori dovettero
correre a rifugiarsi nel chiostro del monumentale edificio, dato che aveva
cominciato a piovere a dirotto. La guida non era ancora arrivata e così la
scolaresca ne approfittò per concedersi uno spuntino prima della visita.
Suzanne
sedeva un po’ in disparte, ascoltando di sfuggita i discorsi dei suoi compagni
di classe. Il suo sguardo corvino, però, non poteva evitare di posarsi su
Michelle e Jean, la coppietta più popolare della classe, se non dell’intero
liceo.
Michelle
e Suzanne erano amiche sin dai tempi dell’asilo ma Suzanne non si era resa
conto che per Michelle la loro amicizia era terminata ormai da tempo: per la
prosperosa brunetta, infatti, la timida secchiona era soltanto una povera
sfigata, utile per copiare i compiti per casa e per ottenere suggerimenti
durante la verifiche. Purtroppo, per ottenere dei simili favori, Michelle
doveva fingere di essere ancora amica di Suzanne ma, fortunatamente, si
trattava di un’impresa piuttosto semplice: quella cervellona anemica, infatti,
era incredibilmente ingenua. Alla bella giovane bastava ricordare a Suzanne
che, se si fossero frequentate anche a scuola, i popolari non avrebbero gradito
e Michelle si sarebbe ritrovata sola.
Suzanne
aveva anche sorvolato sul fatto che Michelle si fosse messa insieme a Jean, pur
sapendo dell’infatuazione che la dolce secchiona aveva nei confronti del “bello
e dannato” della classe. In fondo, pensava Suzanne, che speranze aveva una
ragazza senza forme, pallida e dai capelli indomabili come lei di conquistare
quel bellissimo ragazzo biondo, palestrato e perennemente abbronzato? Michelle
non aveva certamente agito con cattiveria, lei e Jean formavano una bellissima
coppia, anche se vederli insieme provocava un certo dolore a Suzanne.
“Ehi,
mia bella tenebrosa! Che ci fai tutta sola e triste?” Trillò una giovane donna
bionda e slanciata, fasciata in un aderente tailleur nero.
Suzanne
trasalì, distraendosi bruscamente dai suoi pensieri. Chi diavolo era quella
pazza?
“Ah,
che sbadata, credo sia il caso che mi presenti! Sono Francine, la vostra guida.
Come ti chiami?” Si presentò la donna, notando l’espressione diffidente di
Suzanne.
“Mi
chiamo Suzanne, piacere.” Si presentò la giovane, continuando a squadrare
Francine come se fosse stata una squilibrata pericolosa.
“Non
hai risposto alla mia domanda, come mai sei tutta sola?” Domandò nuovamente
Francine, estraendo una piccola scatolina in metallo dalla sua ampia tracolla.
“Non
ho molta voglia di fare conversazione.” Rispose Suzanne, alludendo anche
all’eccessiva confidenza che l’esuberante guida si stava prendendo.
Francine
parve comprendere e le rivolse un sorriso zuccheroso, prima di porgerle la
scatolina in metallo, ora aperta: conteneva delle caramelle dure di vari gusti.
“Prendine pure una, sono sicura che ti piacerà! Io adoro quelle rosse.”
Aggiunse la guida.
Suzanne,
esitante, afferrò una rotonda caramella color rubino, ringraziando. Francine
sorrise per poi dirigersi verso i professori, pronta a cominciare la visita
guidata.
Dopo
un breve appello e una spiegazione generale sulla storia della cattedrale,
Francine condusse i giovani all’interno dell’edificio.
Suzanne
si sentì subito a disagio, ricordando perché il gotico le piaceva così poco: la
cattedrale era grande, decisamente troppo grande. Quegli spazi immensi erano
adatti ad accogliere un gigante, non un essere umano! Si sentiva piccola,
insignificante: era una sensazione che conosceva fin troppo bene e le chiese
gotiche non facevano che amplificare la sensazione di inadeguatezza che la
giovane avvertiva quotidianamente.
Francine
avanzava sorridente, mentre i maschi facevano commenti non troppo galanti su di
lei e fantasticavano sulle sue capacità amatorie. Michelle era avvinghiata al
braccio di Jean e gli stava sussurrando qualcosa all’orecchio: probabilmente i
due stavano cercando un modo per trascorrere la notte insieme senza farsi
scoprire dai professori.
Mentre
Francine spiegava l’importanza dell’organo della cattedrale (e tralasciando le
varie risatine e battutine ambigue che la parola “organo” provocò nella
scolaresca), Suzanne cominciò a sentirsi strana: era stordita e faticava a
concentrarsi. L’unica cosa che riusciva a percepire chiaramente era l’intenso
sapore di ciliegia della caramella ed un intenso calore, che la stava facendo
sudare.
La
giovane si allontanò un po’ dal gruppo, cercando di prendere un po’ d’aria.
Francine le rivolse un’occhiata preoccupata, ma Suzanne la invitò a proseguire
con un cenno.
Suzanne
aveva sempre più caldo: si era levata sia la giacca che la felpa ed aveva ormai
rinunciato a seguire le parole della guida. Francine parlava, parlava senza
sosta: parlava di guglie, di pinnacoli, di pilastri, di vetrate colorate,
rosoni ed archi ad ogiva. Parlava, parlava, ma che stava dicendo?
Come
ci si liberava da quel maledetto sapore di ciliegia che pareva averle
anestetizzato il cervello?
Alcune
ragazze ridacchiarono e Suzanne si convinse che stessero ridendo di lei. Passò
brevemente una mano sotto l’ascella e la sentì fradicia di sudore, non c’era da
stupirsi che quelle oche giulive la prendessero in giro, invece di chiederle
come stava.
Nessuno,
in effetti, pareva prestare la minima attenzione a Suzanne: gli insegnanti
erano rapiti dalla fluida parlantina di Francine, mentre gli alunni parevano
più rapiti dalle sue curve. Le ragazze, invece, prestavano attenzione soltanto
alle sue parigine in pelle scamosciata e al suo splendido rossetto color ciliegia.
Solo
Francine, di tanto in tanto, osservava di sfuggita la povera Suzanne, per poi
proseguire imperterrita nel giro turistico.
Una
goccia. Suzanne era sicura di aver avvertito una goccia caderle sulla testa.
Poi un’altra. Un’altra ancora.
La
giovane mise una mano tra i capelli corvini e se la portò davanti al viso:
c’erano tracce rossastre ed appiccicose. Perplessa, Suzanne portò la mano al
naso, annusando la misteriosa sostanza: aveva un odore vagamente familiare,
sgradevole e ferroso. Suzanne alzò lo sguardo verso il soffitto e cacciò un
urlo terrorizzato: un enorme ferita si era aperta sul tetto della cattedrale e
stava lentamente grondando sangue sui visitatori. Perché nessun altro se ne
rendeva conto?
Francine
s’interruppe al grido di Suzanne e tutti i presenti si voltarono verso la
giovane, rendendosi conto dello stato in cui si era ridotta: ormai madida di
sudore e rossissima in viso, Suzanne strillava spaventata, indicando il
soffitto. Molti alzarono lo sguardo, senza notare nulla di strano.
“Il
sangue, non vedete il sangue?!” Domandò, istericamente, Suzanne.
Francine
rivolse un’occhiata preoccupata ai professori, che non avevano la più pallida
idea di cosa stesse accadendo a quell’alunna tanto tranquilla e brillante.
“Michelle,
accompagna fuori Suzanne e cerca di calmarla un po’. Sei la sua migliore amica,
no?” Disse il professor Delacroix, l’anziano docente di Storia dell’Arte. Non
voleva interrompere una visita tanto interessante soltanto perché un’allieva
stava dando i numeri!
Una
risatina si levò dagli alunni all’ultima affermazione del professore ma
Michelle, dopo aver sbuffato scocciata, si diresse verso Suzanne e cercò di
prenderla per mano .
Suzanne,
ormai paonazza, indietreggiò spaventata e fissò l’amica con puro terrore. Francine,
che stava per riprendere la spiegazione, s’interruppe e portò la scena
all’attenzione dei professori.
Suzanne
era terrorizzata: cos’era quel mostro che aveva davanti?
Perché
nessuno urlava terrorizzato dinanzi a quella megera dai capelli di serpi e
dalle orbite vuote?
Perché
nessuno veniva in suo soccorso?!
“Vattene,
mostro!” Urlò la giovane, indietreggiando lungo la navata. Alcune risate si
levarono dai compagni delle due giovani: Michelle un mostro? Forse Suzanne
stava facendo uno scherzo di pessimo gusto e nulla più!
Michelle
avanzò ancora, decisa a vendicarsi dell’insulto di quella sfigata. Il professor
Delacroix, intanto, era corso a cercare i guardiani dell’edificio per
affidargli Suzanne.
Michelle
scattò avanti e riuscì ad afferrare Suzanne per un polso, facendo urlare la
giovane dal terrore. “Se io sono un mostro, tu cosa sei sgorbio?” Sussurrò
Michelle, sorridendo.
Suzanne
reagì immediatamente, pronta a difendersi dall’attacco dei rettili posti sulla
testa di quel mostro: afferrò rapidamente il collo di quel demone con la mano
liberà e sbatté con forza il cranio del mostro contro un pilastro, stordendolo.
Ora
Suzanne aveva entrambe le mani libere e le utilizzò per stringere il collo di
quell’immonda creatura, senza curarsi delle sue urla disumane e dei morsi che i
serpenti continuavano ad infliggerle sulle braccia.
Tutti
i visitatori osservarono impietriti la scena per alcuni secondi, poi Jean e un
uomo di un’altra comitiva corsero verso Suzanne, costringendola a fatica a
liberare il collo di Michelle.
“Non
respira più! Non respira più!” Urlò Jean, terrorizzato, prendendo il corpo
esanime della sua ragazza tra le braccia.
“Chiamate
un’ambulanza, qualcuno chiami un’ambulanza!”
Suzanne
nel frattempo inveiva contro l’uomo che l’aveva immobilizzata, convinta di
dover uccidere quel mostro orrendo che l’aveva aggredita. Come se non bastasse
quel maledetto sapore di ciliegia si faceva sempre più intenso, così come il
caldo.
“Non
riesco a respirare!” Urlò Suzanne, cercando di divincolarsi dalla presa
dell’uomo, che ormai faticava a trattenerla.
Alcuni
compagni di Suzanne accorsero per immobilizzarla ma, mentre l’afferravano, la
giovane si accasciò al suolo, per poi venire scossa da forti convulsioni.
L’intera
cattedrale era nel panico, mentre osservava la giovane folle che si contorceva
orribilmente sulla navata centrale. Quando le convulsioni terminarono, Suzanne
riuscì soltanto a mormorare“
è tutta
colpa del veleno dei serpenti” prima di perdere i sensi.
Nessuno
si accorse di Francine, che aveva osservato l’intera scena con espressione
impassibile.
Due
ambulanze giunsero alla cattedrale di Sainte-Marie, anche se per Suzanne c’era
ben poco da fare. Nessuno sapeva cosa fosse accaduto alla giovane e l’intera
scolaresca era sconvolta.
Francine
sedeva nel chiostro, fumando una sigaretta: per tutta la vita quella povera
ragazza era stata ignorata da tutti, ma di sicuro chi si trovava nella
cattedrale di Sainte-Marie quel piovoso giorno di Marzo non l’avrebbe mai
dimenticata. L’aveva resa celebre, anche se in maniera un po’ drammatica.
Sorrise:
c’era un motivo se i genitori avvertivano sempre i loro bambini di non
accettare caramelle dagli sconosciuti. Era per colpa di una strega cattiva ma
molto furba che si divertiva a regalare alle persone dei fluidi velenosi ed
allucinogeni che sembravano delle buonissime caramelle alla ciliegia.
Nessuno
aveva paura della strega, quando la incontrava, perché sembrava una ragazza
bella e gentile, anche se un po’ stupidina.
No,
ragazzi miei, non si accettano caramelle dagli sconosciuti.
L’angolo
dell’autrice
Eccomi
qua con un piccolo esperimento horror! Questo racconto è stato (purtroppo)
l’unico partecipante al contest [WAR] Horror Pairing, indetto da LeftEye sul
forum di Efp.
Non
c’è molto da dire, tranne che ringrazio la giudice per aver comunque valutato
la mia storia e per aver realizzato il bannerino.
A
presto,
Carmilla Lilith.