Le
dita scorsero rapidamente sul tessuto ruvido e fastidioso della
cravatta che era annodata, ormai scompostamente, attorno al suo
collo. Con una leggera pressione dei polpastrelli riuscì ad
allentare la morsa che, a sua detta, non gli permetteva di respirare
come doveva. Mosse qualche passo incerto sullo scricchiolante
pavimento del loro vecchio appartamento e una volta raggiunta la
poltrona vi si abbandonò con fare inerme, strappandosi con
esasperazione la cravatta dal collo.
La
tenne saldamente nel pugno, reprimendo la sua frustrazione e
spostando lo sguardo appesantito e affaticato sul mobilio che lo
circondava, riportandogli alla mente vecchi ricordi. Quel silenzio
era del tutto innaturale, quel caos che aveva finalmente acquistato
un senso era privato della sua principale motivazione, perfino quelle
piante verdi e silenziose gli recavano fastidio all'idea che potevano
sopravvivere senza di lui. Avrebbe tanto voluto
poter essere
una di quelle piante.
Chiuse
gli occhi lanciando il capo indietro, contro il morbido della
poltrona, reprimendo tutto il suo dolore nella piacevole e
confortante consapevolezza di poter respirare il suo profumo, il suo
odore. Avrebbe voluto che la sua essenza gli impregnasse le vesti, la
pelle, i capelli per il resto della sua vita. E invece...
Lo
scroscio della cascata tornò così vivido nella
sua mente,
rimbombando continuo e prepotente nelle sue orecchie che credette di
essere tornato indietro nel tempo, a quel preciso momento. Una
lacrima solitaria, concentrato del suo dolore, gli solcò la
guancia
ruvida marcando e segnando la pelle di una sofferenza eterna. Quando
cadde dolcemente sul bavero della camicia il dottore era
già caduto
tra le braccia di Morfeo, in un sonno privo di sogni.
Aprì
gli occhi avvertendo un brivido freddo percorrergli la schiena.
Quanto era passato da quando si era addormentato? Non sapeva
precisamente le ore, i minuti o i secondi che aveva trascorso
nell'incoscienza, eppure a giudicare dal cielo fattosi più
scuro,
aveva trascorso su quella poltrona, in quella stanza, tra quei
ricordi, più tempo di quanto avrebbe voluto ammettere.
Poggiò
i gomiti sulle ginocchia e si passò le mani sul viso,
cercando di
riprendersi. Ancora nella sua mano la cravatta che si era sfilato in
un moto di disperazione. Improvvisamente però un respiro che
non gli
apparteneva risuonò decisamente troppo vicino alle sue
orecchie. In
modo quasi meccanico raddrizzò la schiena, rimanendo
comunque seduto
sulla poltrona e, abbandonata inerme la mano stretta attorno alla
cravatta, si voltò verso il proprio fianco.
Una
zazzera nera e un profilo che conosceva bene catturarono
immediatamente la sua attenzione. Non impiegò un istante per
riconoscere i lineamenti burberi e trasandati dell’uomo che
aveva
imparato ad amare. Con un misto di sorpresa e incredulità
studiò la
posa di Holmes, seduto sul pavimento in modo scomposto, abbandonato
contro il fianco della poltrona sulla quale lui aveva dormito fino a
pochi attimi prima, completamente immerso in un sonno profondo.
L’espressione
era serena e tranquilla, mentre stringeva a se il docile Gladstone:
sembrava un bambino che stringeva affezionato e devoto il suo peluche
preferito. -Holmes...- Soffiò Watson raddolcendo i toni
mentre una
strana pace gli invadeva le membra nel constatare la realtà
di
quell’immagine. Percorse con lo sguardo il suo corpo fasciato
da
una camicia bianca leggermente usurata, priva di qualche bottone, un
paio di braghe nere piuttosto strette e i piedi nudi.
Accarezzò con
lo sguardo la sua mascella irta di barba, risalendo sui capelli neri
come la pece scompigliati e disordinati.
L’innalzarsi
lento e regolare del suo petto gli fornì una
serenità che non
provava da tempo ed una definitiva consapevolezza lo investì
senza
dare adito a troppe domande: era vivo. Era tornato, per lui.
Poggiò
distrattamente il viso sulla mano e studiò l’uomo
ancora per
parecchi minuti, senza concedersi tregua. Assaporandosi
l’immagine
di Sherlock Holmes che intatto, vivo, incolume, riposava tranquillo e
beato al suo fianco.
In
modo distratto allungò un braccio, immergendo le dita nei
capelli
ribelli dell'investigatore, riassaporandone la consistenza fine e il
meraviglioso profumo che questi emanavano. Non riuscì ad
interrogarsi su come fosse sopravvissuto, ne perché avesse
impiegato
così tanto tempo per tornare, l'unica cosa che la sua
razionalità
gli concedeva di pensare fu l'enorme sollievo misto gioia che lo
cullava lentamente.
Si
alzò appena dalla poltrona gettando la cravatta vicino alla
giacca e
al bastone. Gladstone sgattaiolò dalla presa
dell’investigatore
per seguire la traiettoria della cravatta, intercettando
l’accessorio
e iniziando a mordicchiarlo pigramente. Il dottore con un sorriso
divertito si piegò, inginocchiandosi al fianco del suo
migliore
amico. Gli sfiorò la guancia ancora incredulo e con un
sorriso che
accese gli occhi si chinò su di lui lentamente, facendo
attenzione a
non svegliarlo.
Il
respiro caldo di Holmes gli soffiò sul volto facendo
rabbrividire
mentre l'innocenza della sua espressione gli strappò un
debole
sorriso divertito. Premette dapprima timidamente le sue labbra contro
quelle dell'uomo, lasciandosi inebriare dal sapore del suo respiro e
con le mani si aggrappò alla camicia dell'uomo, ora non
più
disposto a permettergli di dormire.
Si
sentì investire da diversi sentimenti, come ad esempio la
rabbia, il
dolore, la necessità e solo quando avvertì una
mano posarsi tra i
suoi capelli corti e premere con una prepotenza famigliare il suo
viso contro quello di Holmes comprese l'astratto e indescrivibile
quadro dell'amore. -Watson. È un piacere rivederla.-
Asserì
l'investigatore con un tono del tutto formale mentre una strana luce
gli infervorava gli occhi, non appena si separarono da quel contatto.
Non
riuscì a nascondere o celare l'affanno che gli sconquassava
il petto
e anzi, con un gemito rassegnato si preoccupò di annullare
nuovamente la distanza fra le loro labbra con maggior passione. -Lei
è un maledetto egoista bastardo.- Ringhiò
semplicemente mentre le
mani di Holmes percorrevano indecentemente i bottoni della sua
camicia e si perdeva con sollievo in quello sguardo innamorato.
HopelessGirl's
corner
Ammetto
che è uscita una schifezza. Ma è la prima volta
che mi cimento
nella scrittura di questi personaggi (per questo l'avvertimento OOC),
nonostante ho cercato ardentemente di mantenere l'integrità
del
carattere dei nostri amati Sherlock e John. A voi giudicare se ci
sono riuscita o meno. Va aggiunto che, questa one-shot, che prende
luogo dopo la presunta morte di Sherlock in SH-Game of Shadows, mi
è
stata ispirata da una meravigliosa fanart ideata da una mia
conoscente. Se mi darà il suo consenso, in seguito
provvederò a
postarvela perché è davvero meravigliosa. Detto
questo, spero che
questo missing moment vi sia piaciuto nella sua insensata
inutilità.
951
parole e 6186 caratteri
Un
bacio
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