acqua viva
Note:
Non ho saltato i mesi tra Maggio e Settembre, li scriverò
dopo :)
Ringrazio Garth Herzog per l'idea di base di questo episodio; me la
diede per la raccolta 'Imagining', ma si adattava ad essere inserita in
Acqua viva, per cui eccola!
Note sulle traduzioni
sap = slang per 'sdolcinato', 'smielato'
needy = bisognoso, in questo testo con accezione negativo
weak = debole
that's it = 'ecco', oppure, 'tutto qui'
that's good = 'bene'
explain yourself = 'spiegati'
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Settembre/1
Diciotto anni.
Non sono settembre
Non sono estate
Sono giorni come altri
L'mmaginazione di adesso
Voltarmi e sapere
che mi sto pensando.
Pensieri di una ragazzina impressi su carta.
Ami accarezzò la
pagina ruvida. Aveva intitolato il quaderno 'Poesie': sui fogli aveva
riportato con cura tutte le parole a cui negli anni aveva dato una
forma degna. Erano pensieri sparsi, scampoli di lunghe giornate
trascorse a
studiare.
Quattordici anni e riflettere su un futuro distante
trecentosessantacinque giorni per quattro.
Sorrise.
A quel tempo si era immaginata di diventare grande, matura... diversa,
perché no. Ovviamente diretta senza stop verso un cammino
universitario, ma forse circondata da persone nuove. La
giovane Ami pre-Usagi, pre-Sailor, pre-Alexander, aveva coltivato
fantasie modeste: avere accanto una vera amica - non aveva creduto di
essere tipo da gruppo - e, chissà, riuscire a
incontrare un ragazzo speciale, che l'avrebbe compresa senza metterla
in discussione.
Con Alexander era cascata male.
Lasciò scorrere velocemente le pagine contro il pollice, il
leggero solletico un riflesso del tempo
trascorso.
La prima poesia del quaderno era datata ottobre 1990. L'aveva scritta a
dodici anni.
Rileggersi, pensò, era come ricordarsi e permettere
ad altre Ami di rivivere. La Ami del sesto anno delle elementari, per
esempio: una bambina convinta di non avere pari in intelligenza. Oppure
la Ami della prima media, che si
era
scoperta sola per scelta altrui. Ami quattordicenne aveva scelto di
ribellarsi
silenziosamente a logiche sociali che non comprendeva, convincendosi di
poter andare avanti senza amici: era bastato l'incontro con due code
bionde a farle cambiare idea.
Ami quindicenne era serena, scriveva ascoltando melodie che
trasparivano dalle rime dei suoi versi.
Ami sedicenne era spigliata. Protetta dalle sue amiche, si era
avventurata con la testa fuori dal proprio mondo fatto di libri,
convinta di
poter essere vivace e spensierata come qualunque altra ragazza.
Ami diciassettenne era stata inquieta, da principio. Aveva accettato le
proprie peculiarità e si era convinta che nulla l'avrebbe
divertita come discorrere di un libro, per quanto Minako sostenesse
il contrario. Ne era derivato un senso di abbandono indefinito: le sue
amiche, che pure amava, non erano state più sufficienti a
completarla.
Non aveva avuto il tempo di mettersi alla ricerca di una risposta.
Alexander era arrivato senza preavviso e non aveva avuto
pietà:
l'aveva costretta ad uscire dal
suo guscio e a rischiare per lui.
Posò il palmo aperto sulla pagina con gli ultimi versi che
aveva scritto.
Erano solo tre parole.
Tu.
Per me.
Un'ode senza tempo. In qualunque momento, lui, per lei. La sua
presenza, quello che faceva, come le stava accanto, la sua sola
esistenza.
Tu, per me.
Non voleva
racchiuderlo neppure in un foglio, voleva solo provarlo e dirglielo a
brevissimo, quella stessa mattina, nel giorno in cui compiva gli anni.
Perché Ami diciottenne era felice, tanto da non
desiderare parole.
Anche se, sospirò, era un pochino triste.
Alexander sarebbe partito il giorno successivo, per una vacanza di tre
settimane. Il viaggio lo avrebbe portato a fare tappa a Londra - un
paio di giorni, il tempo di rivedere nonna Foster - e poi... via, in
giro per l'Europa. Forse in Norvegia, le aveva lui
detto all'inizio, ma
l'aveva vista rimirare le immagini dei fiordi scandinavi e aveva
cambiato i propri piani.
Infilò il dito in una pagina a caso del quaderno e si
ritrovò tra le mani, sotto gli occhi, le paure di Ami
quattordicenne.
Parlava di mostri - le sue poesie più cupe - e di perdita.
Qualunque timore avesse avuto a quel tempo, lo aveva riversato su
carta, non sulle sue compagne.
Tra le righe, qualche pagina dopo, compariva una nota di speranza.
Tenero,
mi corteggia timido.
Ryo Urawa, ricordò.
Insieme erano stati spaventati ma coraggiosi, più grandi dei
loro anni e piccoli quanto allora non
erano stati in grado di capire. In lei le certezze erano state poche: i
timori dovevano rimanere sepolti e nessuno doveva morire; il sacrificio
a cui era stato intenzionato Urawa, con la sua mite e spavalda
arrendevolezza, l'aveva turbata. Si sarebbe comportata nello stesso
modo al suo posto, ma a lui aveva dovuto fare forza.
Insieme avevano affrontato le loro paure. Insieme, un
concetto
chiave per lei: aveva voluto
sinceramente bene a Ryo Urawa, che le era stato così simile.
Per lo stesso motivo, lo aveva
dimenticato
con
serenità, forse troppo in fretta. Non era rimasta la Ami di
quei giorni, timida, esitante, nel profondo insicura. Aveva
desiderato... uscire. Cambiare. Piano piano, coi suoi tempi.
Urawa se n'era andato con la Ami che in un giorno d'inverno aveva
salutato la vita, partendo con le sue compagne per il Polo Nord.
Quella Ami era morta, in un certo senso.
Non pensando più a quei giorni lei aveva lasciato dietro di
sé anche il senso di fallimento e solitudine - orribile -
che l'aveva accompagnata nei suoi ultimi momenti di battaglia, prima di
spegnersi.
Sacrificandomi faccio la
cosa giusta, amo le mie amiche. Sono quella che, tra tutte, ha meno da
perdere. In fondo della mia vita non ho fatto quasi niente.
Parole che non aveva scritto, ma il pensiero lo ricordava quasi
a
memoria. La morte era crudele nella sua sincerità.
Invece, sorrise, lei era stata crudele con Urawa.
Che cosa stava facendo lui ora?
Accarezzò la pagina. Sei
cresciuto anche tu? Sei riuscito a vivere la tua vita nel presente,
dimenticandoti di futuro e passato?
Un'ombra oscurò il suo quaderno.
Lei capì chi era prima di alzare gli occhi. Fu un
presentimento, una sensazione.
Lui parlò. «Sempre china su un libro...
Ami-san.»
Con le mani infilate
nelle tasche Urawa sollevò le spalle, cercando di
affossare
insieme affetto e imbarazzo.
Il suo viso si era fatto meno tondo, le
sue spalle un po' più larghe. Era cresciuto in altezza, non
molto, ma standole davanti si presentò solamente come il
ragazzino che era stato un tempo: il giovane possessore di un cristallo
dell'arcobaleno, tormentato e solo, che ce l'aveva fatta.
In lei si colmò un vuoto appena creato. «Stavo
pensando... a
te.» La contentezza le bloccò il respiro. Si
alzò in piedi e sentì formicolare le
braccia: voleva abbracciarlo per essere ancora lo stesso di un tempo,
per quanto stava bene.
«So che mi pensavi» annuì piano Urawa.
«Per questo ti ho trovata qui.»
Man
mano che rimaneva visibile davanti a lei sembrava sempre
più reale, ma il significato delle sue parole fu sufficiente
ad adombrarla.
«Usi ancora i tuoi poteri.»
«No, non... Solo adesso. Per rivederti. Sono a Tokyo per...
Sono
passati tanti anni, ma mi faceva veramente piacere l'idea di rivederti.
Vedere come...» Soffocò un sorriso
timido.
«Non conosco il tuo presente, Ami-san. Non ho mai
più
guardato nel futuro di nessuno, nemmeno nel mio. Tutto quello che so
davvero di te da quattro anni a questa parte è quello che
vedo
adesso e... sono contento.» Riuscì a trasmettere
solo
gioia. «Splendi. Con una forza come la tua, non potevi
diventare
nulla di meno.»
Lei non seppe perché, ma scoppiò a ridere.
«Ryo!» Gli avvolse quaderno e braccia attorno alle
spalle, ridendo ancora. «Siamo amici, quante cose abbiamo
passato noi due.» Niente imbarazzi. Gli diede due pacche
sulla schiena. Forza
forza, a entrambi. Non era tempo di commuoversi, non
potevano essere
sciocchi come bambini. «Sono contenta anche io di
rivederti.» Lo
invitò a sedere accanto a lei, nella panchina della
piazza. «Parlami di te.»
Finalmente sciolto, Ryo cominciò a splendere a sua volta.
«Mi sono trasferito prima a...»
Per il compleanno di Ami, Alexander si sentiva al contempo felice e in
colpa. Felice, perché era il compleanno di lei. Aveva una
scusa per costringerla a
festeggiare senza freni.
In colpa... Sarebbe partito il giorno seguente. Per tre settimane, per
nessuna ragione che fosse seria. Si trattava di una semplice vacanza.
Era stato testardo: aveva scelto consapevolmente di andare in vacanza e
di andarci senza
Ami.
Lei aveva deciso di non venire con lui - non aveva mai accennato
all'ipotesi di potersi unire al suo viaggio - e lui... Quando aveva
seriamente cominciato a riflettere sull'opportunità di non
partire, la sua relazione con Ami lo aveva messo per la prima
volta a disagio.
Per quale motivo, si era chiesto, non poteva sentirsi libero di andare
via per sole tre settimane? Era incapace di starle lontano? Era
convinto che in quelle tre settimane sarebbe successo qualcosa, che al
suo ritorno Ami avrebbe improvvisamente... cosa? Cambiato idea su di
loro?
Ridicolo.
Aveva diritto di partire nella vacanza che si concedeva tutti gli anni.
Ami
non stava neppure cercando di impedirglielo, era solo lui a farsi
problemi. A lei non sembrava dispiacere troppo l'idea
di una
sua lontananza. Ami tendeva sempre a non volergli dare
pensieri, era privi di egoismi, ma a lui pretese
del genere avrebbero fatto piacere. Lo avrebbe reso felice
sentirle dire 'Resta!' o vederla chiedere, con convinzione, 'Non
andare lontano da me'.
Le avrebbe detto di sì in un istante, avrebbe fatto tutto
quello
che voleva lei e, a volte - solo a volte - gli sembrava di essere... il
solo. L'unico che temeva di staccarsi, l'unico che voleva essere
completamente coinvolto.
Nove mesi di relazione.
Capiva sempre meno il bisogno di distanza fisica che per lei era come
un dogma: non potevano fare altro che baciarsi perché...
sì? Non esisteva una ragione valida ed Ami nemmeno aveva
pensato ad una
spiegazione - per se stessa, sicuramente, e di conseguenza neppure per
lui.
Lui non aveva trovato indispensabile averne una: aveva pensato che lei
era
fatta così e che con pazienza, piano piano, la situazione si
sarebbe evoluta da sé.
Lo credeva ancora. Ci avrebbe sperato sino a quella fine che non voleva
nemmeno concepire.
Adesso che stava per andare via, ora che per la prima volta si stavano
separando davvero e che sarebbero stati lontani persino dalla
possibilità di sentirsi al telefono, per non avere altri
dubbi lui avrebbe voluto solo poche parole.
'Mi mancherai'.
Almeno questo. Almeno un segno che... non era il solo.
Strinse nelle mani la scatoletta che conteneva il regalo di lei.
Era andato oltre la benevola definizione di 'sap'. Stava
diventando
'needy'. E
debole.
Andare via gli avrebbe fatto bene.
Al ritorno, dopo tre settimane di lontananza che non erano una tragedia
né tantomeno degne di nota, sarebbe tornato
indietro e avrebbe visto che era rimasto tutto come prima. Sia loro due
che
Ami, che lo avrebbe accolto a braccia aperte.
Ne era sicuro, solo che...
Solo che,
sospirò, scuotendo la testa.
Il problema era dentro di lui. Viaggiando si sarebbe fatto sparire quei
dubbi e sarebbe tornato indietro più forte di prima. Come
Ami.
In quella situazione, in fondo, a comportarsi da adulta era proprio lei.
«Alexander!»
Si fermò in mezzo al marciapiede e cercò dietro
di sé. Impiegò un momento a capire quale ragazza
potesse chiamarlo per nome senza essere Ami: aveva quattro
possibilità e fece il collegamento un attimo prima di
intravedere una lunga massa di capelli biondi.
Squadrò la mano alta di lei alzando le sopracciglia.
«Minako» annuì.
Minako Aino interruppe la propria corsa a due metri da lui. «Hello!»
«Hello.»
Una risata lo interruppe dal continuare.
Aino aveva un modo singolare di ridere: se il suono non fosse
stato tanto musicale, sarebbe stato apertamente fastidioso.
«Ahh, che fortuna essere arrivata in tempo per beccarti! Ami
mi ha chiamato per dirmi che arriverà al vostro appuntamento
con un'oretta di ritardo.»
In ritardo. Perché?
«Ha avuto una piccola emergenza.»
«Quale emergenza?»
«Non me l'ha detto, forse si tratta di vestiti. Da brava
amica disimpicciona, non gliel'ho chiesto.»
Da quando non era
impicciona? Scosse la testa ed evitò anche il
commento sul vocabolo sbagliato. «Perché non ha
chiamato direttamente me? Ho il telefono.»
Minako scrollò le spalle. «Stava per farlo. Sono
stata io a chiamarla a casa, per chiederle lumi sul suo regalo di
compleanno. Non gliel'ho ancora comprato!» Si
mangiò un labbro. «Le stavo parlando di questo
problema e lei mi viene a dire che purtroppo è in ritardo e
non ha tempo. Voleva chiamarti, ma io mi
trovavo già in zona, era inutile. Potevo parlarti
di persona, no? Meglio anzi! Posso tenerti compagnia mentre
aspetti.»
La ringraziava sentitamente per il proposito, ma no.
«Ami ha pensato subito fosse una buona idea, così
ha risparmiato anche sulla chiamata a te.»
Ami era in ritardo - una delle primissime volte, per di più
nel giorno del suo compleanno - e non lo aveva chiamato per...
risparmiare?
Doveva esserci una spiegazione più sensata. Da Minako
non poteva sperare di ottenerne una.
«Okay.» Si trattava solo di un'ora, avrebbero
accorciato la visita al nuovo acquario - o magari lui ce l'avrebbe
portata
al suo ritorno, in ottobre. Nel frattempo... iniziò a
guardare dietro le spalle di Minako. Nel luogo d'incontro c'erano delle
belle panchine e si era giusto portato dietro il nuovo romanzo di-
«Insisto.» Minako gli afferrò un
braccio. «So che stai pensando di andare ad aspettarla
lì con un libro, ma a che serve annoiarsi? Facciamo un
giro.»
Perché mai?
«In realtà questa è un'occasione d'oro:
era da un po' che volevo fare una chiacchierata a quattr'occhi con
te.»
«Su cosa?» Si scostò all'indietro. Non
smise di seguirla, ma ristabilì la distanza tra loro.
«Su Ami, no?»
Su... Ami.
«Quindi... Vorresti chiedermi qualcosa o dirmi
qualcosa?» Non era interessato a dare risposte, non le doveva
a nessuno.
«Tutte e due.» Minako lo studiò cauta.
«Penso di poterti dire qualcosa che ti interesserà
molto.»
«Ami può farlo da sola.»
«Certo, ma...» Minako fece sparire ogni traccia di
risata.
Non avrebbe dovuto essere capace di diventare tanto seria.
«Avrai intuito che ci sono cose di Ami che non hai compreso,
no? Io... posso farti capire.»
La tentazione di andare a leggersi il libro non fu facile da vincere.
Meglio della narrativa vera e propria o quella uscita dalla testa di
Minako?
Naturamente Minako voleva bene ad Ami, ma tra loro due era lui
a capire meglio la sua ragazza. Ne era assolutamente convinto.
«Ehi.» Minako
s'imbronciò. «Adesso mi segui o non ti
dico niente. Dovrai aspettare Ami e la sua pazienza.»
Alexander ebbe l'impressione che entrambi sapessero molto bene di cosa
stavano parlando: le titubanze di Ami stavano iniziando a sembrare
leggendarie anche a lui.
Senza dire niente, si limitò ad avanzare oltre Minako.
Lei comprese di aver ottenuto il suo interesse e camminò
assieme a lui.
«Non sono mai spariti, allora.»
Ryo scosse lentamente la testa. Era diventato un ragazzo meno nervoso
da quando non aveva più visioni incontrollate a turbarlo.
«Ho imparato a convivere con questi poteri. A renderli
negativi ero io. Avevo paura di tutto. Gli incubi se ne sono
andati dopo la vostra vittoria.»
Intuire il significato delle sue parole la stupì.
«Tu... ti sei reso conto di quando abbiamo sconfitto il Regno
delle Tenebre? Non hai dimenticato tutto quanto?»
«No. Ma Usagi ha fatto in modo che se ne dimenticassero
tutti, non è vero?»
Sì. La memoria della battaglia finale e dei suoi effetti era
sparita dalle menti di chiunque. Lei e le sue amiche avevano
ricordato solo dopo, ma prima di loro c'erano stati solo Luna
e Artemis a
conservare memoria di quanto era accaduto. Nemmeno Yuichiro - che pure
secondo Rei si rammentava del loro viaggio in montagna di tanti anni
addietro - ricordava qualcosa degli eventi che si erano avuti a Tokyo
mentre loro erano al Polo Nord. L'intera città era piombata
nel buio - era successo in tutto il mondo, a detta di Artemis - e il
cielo si era tinto di un nero crudele, pronto a porre fine al pianeta.
Ryo annuì. «Sapevo che stavate combattendo. Ero
certo che avreste vinto.»
«Grazie.» Non seppe cos'altro dire in risposta. Lei
non era stata certa di uscirne, ma aveva avuto fiducia che almeno Usagi
ce l'avrebbe fatta. Era stata Usagi Tsukino - Sailor Moon - a vincere
per tutte loro.
Gli occhi scuri di Ryo puntarono il cielo.
Il suo sguardo le faceva tenerezza: lui si era fatto più
grande, ma i suoi occhi lo tradivano in continuazione. Forse stare
davanti a lei lo metteva ancora in imbarazzo come tanti anni addietro.
«Ami» le disse lui d'improvviso.
Sentirlo omettere il san
la sorprese, ma lo trovò un buon passo: i formalismi erano
di troppo oramai. «Sì?»
«Ti chiederai perché io sia qui oggi.»
Per rivedere una vecchia amica, no? «Ehm...»
Lanciò un'occhiata in tralice all'orologio da polso. Quello
che si stava chiedendo lei era il motivo del ritardo di
Alexander. Sarebbe dovuto essere lì già da... mezz'ora?
«Sei sempre rimasta in una parte della mia testa. Non al
centro perché sono cresciuto-»
Cosa?
«Voglio dire che non mi sono fissato con te. Ho fatto la mia
vita.» Esitò. «Capisci?»
«Non devi spiegarmi perché volevi
rivedermi, Ryo-kun. È normale ricordare con nostalgia il
passato.» Era capitato anche a lei quel giorno.
Lui prese a scuotere la testa. «Cercavo di spiegare che
quattro anni fa ero un ragazzino che tu hai salvato. Non mi sentivo
alla tua altezza. Oggi...» Arrossì.
«Volevo rivederti. Volevo sapere...» Non seppe come
andare avanti.
Lei invece iniziò a capire.
«In questo sei stata la mia sfida più grande,
Ami-san... Ami. Ho resistito dal guardare nel tuo futuro e nel tuo
presente, anche se volevo disperatamente sapere. Però
desideravo di
più un approccio... normale. Quasi.
Volevo rischiare. Rivederti e sapere se...»
Lei cominciò ad aprire bocca, ma Ryo notò il
movimento e si irrigidì.
«Non ti sto chiedendo niente, non voglio una risposta di quel
tipo. Volevo solo sapere se ti piacerebbe... rivederci. Se potrebbe
essere la stessa cosa per te.»
Lei cercò di trovare molti modi per rispondergli, ma alla
fine
capì che il meno crudele sarebbe stato il più
breve e incisivo di tutti.
«No.» Le sfuggì un sorriso triste.
«In questi anni sono...»
«Cambiata» terminò per lei Ryo.
Deglutì e cominciò ad annuire al nulla, cercando
di non guardarla.
Contraddirlo purtroppo sarebbe equivalso a mentire. Sarebbe stato
difficile rifiutare la sua proposta se non avesse avuto nessuno, ma
anche in quel caso... nella sua testa lui era rimasto solo un amico.
Niente era cambiato da quando lei
aveva cominciato a crescere, piano piano: Ryo aveva rappresentato
ciò era stato, andato.
«Il fatto è che...»
«Eri l'unica parte del mio passato che tornava a
cercarmi.»
Non lo interruppe.
«Ho già avuto una ragazza» le
confessò lui. «Mi sono trovato bene con lei, ma
con
te... So che abbiamo passato qualcosa
insieme.»
Era così. «Qualcosa di speciale. Nei giorni in cui
ci siamo conosciuti... tu hai imparato a non avere più paura
dell'inevitabile, no? Ti sei ribellato. Anche io» sorrise.
«Alla mia timidezza. Allora avevo davvero una piccola cotta
per te.»
La dichiarazione di quel passato lo sorprese e, forse, gli diede una
speranza che lei tenne a non alimentare. «Amo qualcun
altro.»
Volle con tutta se stessa non avergli trasmesso tanta tristezza con
quelle semplici parole: anche la sua era una battaglia, voleva
farglielo capire. «Non credevo che fosse possibile trovare
una persona che... Qualcuno di cui avrei voluto fidarmi.»
Ryo si rassegnò. «Lui sa di te. Di voi.»
No.
«Ho paura, non voglio ancora dirglielo.»
«Ami...»
Sapeva bene che era importante! «Ho paura tutte le volte che
ci penso. L'anno scorso ne ho avuta talmente tanta che sono arrivata a
troncare tutto.»
Ryo non disse nulla. Disapprovava.
Non capiva.
«Sto imparando a fidarmi. Può far
paura con una persona normale, ma...»
«Come puoi essere sicura che lui ti accetterà
quando
saprà tutto?»
Era una domanda crudele, ma privi di artifizi.
«È questo ciò che conta davvero: non ne
sono
sicura, ma non importa. Ho fiducia in quello che lui prova per me e so
quello che provo per lui, per questo sono disposta a rischiare. A
soffrire, se servirà.»
«Penso che tu abbia già sofferto troppo.»
Le uscì un sorriso. «Ryo... Stai pensando ai
combattimenti che sono seguiti ai nostri?»
«Per due anni, da quel che ho visto. Sempre che adesso non
stiate ancora
combattendo.»
«No, non più. Quelle battaglie... non sono
state meno difficili, ma io ero pronta quando le ho
affrontate. Non ho sofferto tanto. Ho lottato tanto,
piuttosto.»
Lui cominciò a capire. «... non sono state un
peso?»
Lei guardò il cielo azzurro, privo di nuvole. «Ci
si adatta, come hai fatto tu. I tuoi poteri, le mie
battaglie...
non potevamo mandarli via. Ma potevamo essere noi a cambiare.»
Ryo aveva aggrottato la fronte. «Mi sento di nuovo come se tu
mi
stessi insegnando qualcosa.»
«No, scusami.»
«Perché? Pensavo che fossi rimasta... come
me.»
«Anche tu sei cresciuto. Quello che riesci a controllare
ora... la tua battaglia non è stata meno dura della
mia.»
Lui stava sorridendo, infelice. «Quanti anni hai,
Ami?»
«Diciotto. Oggi.» Non essere triste.
«Io li compio il mese prossimo, ma credo che ci dividano
almeno dieci anni d'esperienza.»
Ryo si stava sottovalutando enormemente. E sopravvalutava lei.
«Minako dice di me che a volte sembro ferma alle
medie.»
Lui fu attraversato da un ricordo sereno.
«Aino-san?»
«Sì. Dice che sono troppo ingenua, ancora troppo
timida... Ha ragione, Ryo-kun.» Rise piano. «Ti
sembro matura perché tengo a te e ti ricordo come un
amico...» Rimarcare quel concetto le sembrò poco
delicato. «Sei stato una persona importante. Non riesco a
stare in silenzio mentre ti giudichi male e pensi che io invece sia
diventata...» Scosse la testa. «Il mio ragazzo si
chiama Alexander.»
Ryo cercò di mascherare il disappunto.
«È
straniero.»
«Somiglia sia a me che a te, a modo suo. Gli piace molto
studiare.»
«A me non piaceva studiare tanto quanto a te»
sorrise lui.
«Beh, anche lui è timido e chiuso, sai?
Però ha affrontato il suo carattere in una maniera diversa.
Si espone. Attacca.» Il che lo rendeva spesso scontroso,
sorrise. «Non lascia che il mondo gli accada.»
«Questa è quello che hai fatto anche tu, Ami. Non
eri stata tu a chiedermi di uscire insieme?»
Infatti. «Quello era stato il massimo del mio coraggio.
Alexander... insieme io e lui siamo migliori. Io mi apro, lui... ha
più fiducia.»
Ryo non era soddisfatto. «Un ragazzo diffidente è
pericoloso.»
Lei non riuscì a prendersela. «A quale titolo me
lo dici?»
«Come persona che tiene a te e basta. Non preoccuparti per il
resto,
Ami-san. Ho... capito.»
«Puoi continuare a chiamarmi Ami.»
Guardò di nuovo l'orologio.
«Stavi aspettando qualcuno?» le chiese Ryo.
«Lui.» Perché non era ancora arrivato?
Gli era successo qualcosa?
«Oggi non è il tuo compleanno?»
Infatti. «È in ritardo. Non è mai in
ritardo.»
Ryo incrociò le braccia e si appoggiò contro lo
schienale della panchina. «Non ne ho alcun diritto,
però... posso chiederti una cosa?»
Lei ritornò a scrutare la via gremita di gente. La folla del
sabato mattina stava cominciando a crescere in numero.
«Vorrei prendermi cura di te in un solo modo, se me lo
permetti. Vorrei poter guardare questo... ragazzo. Capire che tipo
è.»
«Alexander?» Le venne da ridere.
«Non dirò niente, non ti darò fastidio.
Voglio solo...» Sorrise debolmente. «Secondo me tu
pensi che io sia felice.»
In fondo, lo credeva anche lui. «Certo.»
«E questo ti fa contenta. Lascia che succeda lo stesso per
me.»
«Non sarai geloso?»
«No, resisterò.»
Ryo era davvero più forte e non se ne rendeva conto. La sua
cotta per lei era più un'idea che una
realtà, ma sentirsi rifiutato lo aveva comunque
ferito.
Eppure era ancora lì con lei, non era fuggito.
Le venne voglia di dargli una carezza sulla spalla come
incoraggiamento, ma capì che sarebbe stata ingiusta con lui.
«Aspettiamo allora. Alexander sarà qui tra
poco.» Sicuramente.
Per Minako, Alexander Foster aveva un grosso problema: non era ancora
riuscito a conquistare Ami.
Certo, i due tubavano dal minuto in cui si vedevano fino a quello in
cui si salutavano. Dicevano di amarsi e si amavano.
Ma i fatti? Ami non gli aveva ancora detto niente di sé, di
quella parte di sé che era vera quanto l'altra. Non gli
aveva ancora concesso fiducia, nemmeno a livelli più terra
terra: dov'era la passione, dov'era quel coinvolgimento assoluto che
non ammetteva segreti? Perché Ami aveva invitato anche loro
in vacanza al mare a casa di lui, invece di passare quei giorni da sola
col suo ragazzo?
Usagi continuava a dire che Ami era timida timida, diversa da loro. Era
verissimo, ma Ami era anche innamorata.
Perché non si decideva a vincere un poco quella
ritrosia?
E perché diavolo Alexander Foster - che le era sembrato
tanto una casanova la prima volta che l'aveva visto - non riusciva a
smettere di comportarsi come un pesce lesso senza sapore? Non si dava
da fare!
Lei lo aveva apprezzato tantissimo per come era riuscito a far aprire
Ami, ma da mesi le cose erano ferme.
Mummificate! E adesso saltava fuori che lui partiva per un viaggio da
solo. In Europa! Per tre settimane!
«Non penserai mica di vivere un flirt vacanziero,
vero?»
Alexander stava cercando di leggere la copertina di un libro e
contemporaneamente di ignorarla. «No. E non ho voglia di
subire
questo tipo di domande.» Passò ad un altro volume
dello scaffale.
Per convincerlo a parlare Minako capì che doveva essere la
prima a sbilanciarsi.
«Prima non hai capito cosa volevo dire.»
«Non voglio venire a sapere da te di grandi segreti. Supposti, grandi
segreti.»
Era giusto. Ma allora perché era ancora lì?
«So che Ami vuole avere fiducia in te. Ma tu devi...
dimostrarglielo di più.»
«Lo faccio già.»
«No, devi... Andiamo, ci sono cose per cui Ami non
prenderà mai l'iniziativa, lo sai? Parlo di...
esperienze.» Non per forza quella a cui stava
sicuramente pensando lui. «L'amore non è una serie
di bla bla bla e bacetti-»
«Grazie della lezione.»
Brontolone! «Se ti ho portato qui è
perché io tengo tantissimo ad Ami.»
«Quello che hai detto e fatto finora non ha questo
senso.»
Prendersi il suo sguardo divenne una sfida per lei.
«Potrebbero esistere persone in grado di capirla
più di te.» Come Ryo Urawa.
Alexander finalmente si voltò.
Forse tra lui e il povero Ryo non c'era paragone a livello di aspetto
fisico o in quanto a capacità di risolvere inutili
equazioni, ma Ryo... Poco fa, in quella piazzetta in cui Minako li
aveva visti
insieme, Ami aveva abbracciato
Ryo Urawa, dopo tanti anni che non lo vedeva. E un simile
trasporto, con
Alexander... Okay, era capitato, ma...
«Stai parlando di qualcuno in particolare?»
Noo. Se ti dico che ti
ho portato via dalla tua ragazza per lasciarle il tempo di stare con la
sua vecchia fiamma, penso che mi ammazzi.
A breve però lei avrebbe dovuto affrontare quel pericolo,
mentire
a lungo termine non era un'opzione. La sua storiella non avrebbe retto.
«Il punto non sono gli altri, ma tu. Non sta a me
dirti cos'ha passato Ami, ma anche noi...» No, si stava
scoprendo troppo se si includeva nel discorso. «Forse non ha
voglia di parlarti di
qualcosa che ti porterebbe a giudicarla.»
«Forse?»
«Sì, forse.» Non aveva alcuna intenzione
di servirgli su un piatto d'argento quello che lui non era riuscito a
guadagnarsi da solo.
«Ami sa bene che non la giudicherei.»
«Nemmeno se, per ipotesi, fosse una cosa che creerebbe
domande in
qualunque persona, qualcosa di... non positivo?»
Lui aveva smesso di fingere indifferenza. Rimise a posto la rivista che
aveva tirato fuori.
Accanto a loro non c'era nessuno.
«Mi stai spaventando.»
Oh, no.
«No. Nono. Non nel senso che...» Non voleva farlo
preoccupare, loro erano solo guerriere Sailor con superpoteri.
«Ad
Ami non è successo niente di orribile.» Dipendeva
dai punti di vista, ma comunque tutte loro stavano benissimo, avevano
superato qualunque trauma da battaglia.
Alexander non si stava divertendo. «Quindi? Tu pensi davvero
che lei abbia paura di quello che penserei?»
Lei si mangiò la risposta sulla punta della lingua.
«Non lo so.» Era convinta di sapere molte cose, ma
non stava assieme ad Alexander e ad Ami quando erano soli. Non li
vedeva
quando non c'era nessun altro con loro, quando - sicuramente - Ami era
più contenta che mai con lui.
Alexander cominciò ad andare via.
Certa di averlo perso, Minako lo seguì solo per confessargli
la
verità prima che la scoprisse da solo.
Forse si sarebbe risparmiata la decapitazione.
Lui si fermò all'ingresso della libreria, nel reparto
riviste internazionali. «Forse pensi che io abbia dei
problemi
con Ami.»
Esatto, problemi non comuni, ma...
«Tutti hanno problemi, qualunque coppia. I nostri... non sono
problemi se non li rendiamo tali.»
Era un ragionamento contorto e ingenuo.
Alexander prese in mano un giornale rosa. Lo strinse forte tra le mani.
«A me non interessa se Ami adesso... Se ancora non sono
riuscito a tagliare tutti i muri. Ci sono person con cui ci vogliono
anni.»
Ma esattamente quanti anni voleva aspettare lui?
«A me non importa. Ho dei difetti anche io, dei problemi.
L'importante è che si voglia stare insieme.»
«In generale? O voi?»
«Noi. Vogliamo stare insieme. Lo so, ne sono sicuro. Non...
non posso spiegarti cosa vuol dire, Aino. Ad essere sincero, non ne ho
nemmeno voglia.»
Ora lui era di cattivo umore. Ebbe l'impressione di non essere stata
solo lei a
metterlo in quella disposizione d'animo, ma di sicuro aveva contribuito.
Adocchiando il sacchetto di carta che lui portava in mano,
Minako cercò di cambiare discorso. «Che cosa le
stai
regalando?»
Lui fece silenzio per un momento prima di rispondere. «Una
collana.»
Uhh, una collana. Bella, sicuramente costosa... e banale.
«Non era meglio un regalo più
personalizzato?»
«È un regalo personalizzato.»
«Se me lo fai vedere mi tolgo dai piedi.» Ormai
aveva dato a Urawa abbastanza tempo, inoltre... Alexander stava
cominciando a farle pena. Forse era più innamorato di Ami di
quanto lei non lo fosse di lui.
In silenzio e sempre concentrato sui giornali, lui le
passò il sacchetto del regalo con un grugno annoiato. Voleva
farla
evaporare, era
evidente.
Lei recuperò la scatolina in velluto nero dal fondo del
sacchetto di carta.
Velluto nero? Ahh, se solo avesse avuto un ragazzo ricco anche lei!
La aprì con estrema cura, attenta a non sbilanciarla.
Sarebbe potuto cascare fuori di tutto da là dentro.
Sussultò. Non un anello, vero?!
La vista della confezione aperta le tolse quella ridicola paura. Dentro
c'era proprio una collana. Una collanina brillantissima, costosissima,
deliziosa. Da Ami.
Non resistette, dovette toccare le pietruzze blu. «Sarebbe...
il segno dell'acqua?» Due onde?
«Dovrebbe essere il segno zodiacale, ma ad Ami non
importerà. È solo acqua.»
Alexander si era girato di nuovo verso di lei. Guardava il retro della
scatola aperta.
«È solo azzurro. Le starà bene. Spero
che le
piaccia.»
«Perché hai scelto l'acqua? Lei ti ha detto che le
piace?»
«No. La guarda molto. Ma guarda anche al cielo, l'erba, gli
alberi...» Gli uscì un sorriso. Accennò
al regalo col mento. «Ami è come quelle onde.
Scende e sale in armonia. Quando cambia o rimane la stessa,
è sempre lei, sempre...» Non gli venne
l'aggettivo. Forse non ebbe voglia di dirlo davanti a lei, ma trasmise
ugualmente la
portata di quello che provava. «Bisogna
solo capirla.»
Minako richiuse la confezione. «Devo dirti una
cosa.» Rimise il regalo nel sacchetto e glielo
passò prima di lasciarsi scappare una sola altra parola.
«Puoi uccidermi, se vuoi. Quando torni dal tuo viaggio,
voglio
dire. Lasciami almeno queste tre settimane.»
Forse Alexander aveva capito bene anche la natura di lei,
perché la sua
espressione lasciò intuire che aveva un'idea del tipo di
guai che poteva avergli combinato.
«Tu cosa faresti se una tua carissima amica potesse essere
molto felice?» tentò lei.
«Non le daresti
un'opportunità?»
Lui la lasciò parlare, attento.
Stava cominciando a farle paura.
«Se un amore è vero e profondo, non deve temere
l'incontro con piccoli ostacoli, no? È questo che ho
pensato.»
«Just explain
yourself.»
Ingiusto, era già arrabbiato!
«Ho pensato che le dovevo un momento con una persona che...
beh, una persona che conosceva già quel problema di cui lei
non vuole parlare al
suo attuale ragazzo.» Ahhh, si era sbilanciata troppo!
Alexander era rigido. «Di che stai parlando?»
Meglio buttarsi. «Ami non era in ritardo. Ha incontrato per
caso» sicuramente per caso, «un ragazzo che
conoscevamo tutte tanti anni fa. Si tratta di Urawa, Rei mi ha detto
che ti ha
parlato un pochino di lui.»
Alexander perse ogni traccia di rabbia; a riempirlo fu un'altra
sensazione, qualcosa di molto diverso dall'ira.
«Li ho visti insieme che parlavano e ho pensato
che potevo dar loro qualche minuto insieme. Tanto voi due passerete
tutta la
giornata da soli.» E i prossimi mesi e i prossimi anni, se
Ami era davvero intelligente, perché a sentir parlare di
Urawa Alexander non si era ingelosito. Si era
spaventato.
«Dove?» le chiese.
«Dove dovevate incontrarvi.»
«E lei pensa che io sia in ritardo nel giorno del
suo-» Lui riacquistò un briciolo di rabbia, una
fiammella che spense
subito. Fu molto furbo nel non perdere altro tempo. Se ne
andò e
basta.
Cinquanta minuti dopo le dieci e mezza, Ami fu felice di alzarsi in
piedi. «Ehi!»
Ryo si alzò con lei, ma non sembrò capire che
la persona che stava correndo verso di loro era proprio quella che
stava
cercando.
Lei non fece nemmeno in tempo a preoccuparsi della fretta di Alexander.
Il tempo di formulare il pensiero, e lui era già arrivato.
«È successo qualcosa?» Gli
toccò una
spalla, cercando di calmarlo.
«No, io-» Lui cercò di riprendere fiato.
Inquadrò Ryo con lo sguardo.
«Mentre aspettavo ho incontrato questo mio amico.»
Ami
glielo presentò. «Si chiama Ryo Urawa, ti ricordi
del ragazzo che...» Sorrise e scosse la testa. Se lui non
ricordava, era
meglio. «Ci siamo incontrati per caso dopo tanto
tempo.»
«Sì.» Il respiro di Alexander era ancora
erratico. Mandò giù una grossa boccata d'aria.
«Sì, ricordo.»
... ed era agitato? «È successo
qualcosa?»
«No. Te lo spiego dopo.» Allungò una
mano verso Ryo. «Ciao.»
Ami fece fatica a concentrarsi su di lui, ma riuscì a
notare che il contatto e il rapido scambio di sguardi era rimasto
sereno. O almeno così credette, fino a che la mano di
Alexander non
continuò a rimanere su quella di Ryo.
«Vivi a Tokyo?» gli chiese.
«... No.»
«Starai qui a lungo?»
«Riparto oggi.»
«That's good.»
Alexander avesse inteso farsi capire o no? Non fu chiaro, ma tutto
terminò lì. Annuendo una seconda
volta, lui rimise le mani in tasca. Al polso aveva un sacchetto di
carta.
Il suo regalo, sorrise lei. «Urawa-kun voleva solo
conoscerti.» Si
girò verso di lui. «Visto?»
Ryo era perplesso, ma per metà soddisfatto. E divertito.
«Sì.» Le offrì un breve
inchino del capo. «Ami... è stato bello.»
«Anche per me.»
«Forse...»
No, era brutto parlare di addii. «Un giorno ci
capiterà di rivederci, sicuramente.» Sorrise.
«Chissà quanti altri anni passeranno.»
«Buona fortuna» annuì lui. Si
riempì di un momento di rimpianto prima di lasciarselo
dietro.
«Buona fortuna» gli augurò lei a sua
volta.
Sorrisero.
Ryo mantenne gli angoli della bocca piegati all'insù anche
per Alexander. Ma il sorriso che riservò a lui fu diverso.
«Ciao.»
Se ne andò così, senza girarsi di nuovo.
Non vi era alcuna ragione, si ripeté Alexander, alcuna ragione per
cui quel tizio potesse sentirsi in diritto di renderlo geloso.
Lui aveva fiducia in Ami. A lei quello non interessava, se n'era reso
conto
appena li aveva visti insieme. «Perché trovava
divertente che mi preoccupassi della sua presenza?»
Non riuscì a pentirsi della domanda: Ami poteva non
aver provato niente, ma lui voleva sapere esattamente tutto
quello che aveva fatto tale Ryo Urawa nei dannatissimi cinquanta minuti
in cui era rimasto da solo con lei. Minako Aino era già
morta e sepolta.
Ami si abbandonò a una risatina.
«Beh... oggi mi ha detto che gli interessavo
ancora.»
Lui aveva creduto di poter ridurre tutto quello che era
successo a uno scherzo, a una specie di strano incubo. Invece non era
ancora finito.
«Gli ho detto che io...» Ami scrollò le
spalle. «Ovviamente. Vederti
preoccupato sarà stata la sua rivincita, che
sciocco.»
Davvero?
Ami si adombrò. «Saresti sciocco anche tu a
preoccuparti sul serio.»
Sì. Forse. «Non sa forse cose di cui io non sono a
conoscenza?» Non fu specifico, ma - diavolo - non fu nemmeno
necessario: Ami capì tanto bene da impallidire visibilmente,
cercando di
non mostrare alcuna reazione e fallendo miseramente.
«Cosa vuoi dire?»
«Sono in ritardo per via di Aino. Vi ha visti insieme e
voleva darvi un po' di tempo. Mi aveva fatto pensare che saresti
arrivata dopo.»
«Minako?» Ami riprese parte del proprio controllo e
deglutì. «E che cosa ti ha detto?»
«Che quel ragazzo sa cose che io non so.»
«... solo questo?»
Sì, dannazione.
«Non volevo sapere niente
da lei. Se c'è qualcosa di cui parlare, voglio sentirlo dire
da te.»
Ami prese a scuotere la testa. «Non ho detto niente a Ryo.
Lui era semplicemente lì quando...»
Basta, basta con 'quella faccia'.
«Lui era con me quando avevo quattordici anni. Per
pochissimo, tutto qui. Cosa può sapere,
Alex?»
Se era una bugia, era la menzogna più sincera che lui avesse
mai
sentito pronunciare ad anima viva.
Detestava sentirsi nella posizione di costringerla a qualunque
confessione inutile che lei non volesse fare da sola. Ma detestava
sentirsi escluso anche da cose inutili. «C'è
qualcosa che... ?» No. «Niente.»
Ami si era fatta seria e triste. «Perché eri
agitato quando sei corso qui? Pensavi di dover essere
preoccupato?»
«Domani me ne vado per tre settimane.»
Ami non disse nulla.
Non capiva. Aveva ragione.
Lui non resistette più. «Non vuoi venire con
me?»
La sorprese. «Cosa?» La costernò.
«Io... Non posso.»
«Lo so. La scuola.» Era già iniziata,
era un maledetto problema, la ragione per cui lui non si era nemmeno
azzardato a insistere sul serio con quella proposta. «Non ti
sto chiedendo se vuoi venire, ma se ti piacerebbe. Se vorresti... Se io
dovrei...» Si sentì idiota.
Mandò giù un bel respiro. «Facciamo una
cosa.» Le prese la mano. «Ignora quello che ho
detto adesso. Avevo in mente di portarti in un posto. Forse riusciamo
ancora ad arrivarci.»
Voleva andare all'acquario e ritrovare se stesso nella calma di quegli
ambienti
semibui.
Ami non collaborò nel muoversi. «Io avrei un posto
dove voglio andare.»
Sì?
«Casa tua.» Lo sorpassò senza dargli
il tempo di rispondere. «Andiamo.»
Ami osservò mesta la mano di Alexander che girava la chiave
di casa sua.
Per i suoi diciotto anni, come regalo di compleanno, lei desiderava
innanzitutto poter sistemare
qualunque cosa stesse andando storta. Non si poteva fare in un parco,
per strada, in giro. C'era bisogno di
silenzio e di muri che fungessero da barriera di protezione, dove
potersi sentire al sicuro.
Entrò in casa. «Io...» Non
riuscì ad aspettare oltre. «Certo che mi
piacerebbe partire con te domani. È un bel
viaggio.»
Alexander si bloccò brevemente, quindi terminò di
chiudere la porta con più calma. Sembrava rassegnato.
«Non importa.»
«Non devi sentirti in colpa se vuoi andare senza di
me.»
«Non è questo. Non importa.»
Non comprenderlo la faceva sentire impotente.
«Perché ti preoccupava che fossi con Urawa? Anche
se mi ha detto che era interessato a me...» Lui avrebbe
dovuto riderne.
«Io non potrei mai innamorarmi di qualcun altro.»
Alexander studiò la sua frase. «Hai ragione. Alla
fine, that's it.»
Chiuse la distanza tra loro e le prese il volto tra le mani.
«Curami un poco.»
Ma coi baci lei voleva dargli di più. Gli offrì
ugualmente il primo. E il secondo. «Per cosa?»
Lui stava scuotendo piano la testa. «Mi stai già
curando.» Continuò a tenere la bocca sulla sua, ad
appoggiarla e ad allontanarla di pochissimo. Ad un certo punto la
strinse forte e non fece altro.
Che cos'hai?
«Sai che può essere l'occasione per un bel regalo
a tutti e due?»
Lei lo guardò negli occhi. Alexander la osservava come se
volesse... mangiarla.
«Oggi potresti lasciare che ti baci dappertutto. Senza
smettere.»
Lei si sentì evaporare, bollire, morire d'imbarazzo.
Lui iniziò a ridere piano. «Sul viso, Ami love. Stavo
scherzando, sei tutta rossa.» La lasciò andare, ma
continuò a tenere stretta
la sua mano. «Siediti, su. E fai un bel respiro.»
La situazione si era invertita, era lui quello stabile ora.
Lei si rifiutò di lasciarsi battere da uno scherzo.
«Non stai pensando di non partire, vero?»
«No.» Lui si sedette sul divano del salotto con
lei.
«Parto.»
Infatti. Lo aveva programmato da molto tempo. «Dovrai fare
molte foto, così potrò vederle. E quando hai
tempo non preoccuparti se l'orario è strano: chiamami.
Così potrò sentirti.»
Lui accennò ad un sorriso incerto, scherzoso. «Ti
mancherò?»
Certo, annuì lei. Ma erano solo tre settimane, sarebbero
volate via. Lo sperava, almeno Se iniziava a
lamentarsi già ora, come avrebbe
fatto a resistere quando lui sarebbe andato in America a studiare?
«Penso che quando
tornerai...» Si sentì di nuovo arrossire.
«Penso che sarò io a non voler smettere di
baciarti.»
Lui fece un attimo di silenzio. Deglutì. «That's beautiful.»
Iniziò a ridere e si sporse in avanti.
Lei si sentì accerchiata dalle sue braccia, catturata e...
strana, avvolta nel silenzio, seduta sulle sue ginocchia a stringerlo.
Non voleva rimanere ad abbracciarlo troppo a lungo su quel divano,
senza equilibrio, senza controllo. Erano più belli i baci
che poteva gustare piano e i
sentimenti che poteva provare intensamente - provare davvero - senza
farsene vincere.
Era lenta, lo sapeva. Fallace. Anomala, in molti sensi. Ma aveva un
ché di meraviglioso abituarsi piano ai
brividi sottili che le provocava il respiro di lui sul retro del collo,
dove le sembrava di morire per il solletico e le troppe sensazioni
dolci, intime.
Un giorno sarebbe arrivata a non morire di rossore di fronte al
pensiero di
quello che seguiva. Quando avesse smesso di vergognarsi, tra loro
avrebbe potuto
essere davvero bello. Lo sarebbe stato sicuramente, come lo era tutto
il resto.
Ebbe un ripensamento e non lo trattenne. «Mi mancherai
moltissimo.»
«Ma devo partire lo stesso?»
«Sì.»
Alexander posò gli occhi sui suoi, il naso sul suo.
«Ti stai sacrificando?» Sorrideva.
«No. In viaggio ti divertirai.»
«In queste tre settimane magari diventerai meno
altruista.»
«Con te no.»
Gli ripeté la ragione con un sussurro.
«Lo so» ammise lui. «Oggi sono stato
così strano da essermi persino dimenticato di dirti una
cosa.»
Hm?
«Happy
birthday, my love.»
NdA : devo rileggere questa storia nella sua interezza. L'ho riletta
pezzo per pezzo, l'ho sentita mentre la scrivevo, penso sia venuta
bene, ma la sensazione che mi lascia è diversa ad ogni
pezzo,
è... sospesa. Era quello che volevo, credo, ma devo
rileggerla.
Se mi dite cosa ne pensate voi, mi date una vera mano.
ellephedre
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