Nuova pagina 1
Autore: SHUN DI
ANDROMEDA/KungFuCharlie
Fandom: Mimi Wo Sumaseba
Personaggi: Seiji Amasawa, OCs
Rating: Verde
Avvertimenti: OneShot
Genere: Introspettivo, Generale, Romantico
Introduzione/riassunto: Seiji è partito per l'apprendistato a Cremona e, presso
il liutaio che lo ospita e gli fà da mentore, conosce la nipote di lui, la quale
gli insegnerà qualcosa di molto importante.
WHISPER OF THE
HEART
La poca luce, che si spandeva nel piccolo
e disordinato laboratorio, rendeva le forme degli oggetti, disposti sugli
scaffali strapieni e sui banchi da lavoro, simili a quelle di fantastiche
creature, colorando d'oro i trucioli di legno abbandonati sul pavimento e dando
all'ambiente quel tocco magico che tanto lo faceva somigliare a un quadro
fiammingo.
Un'ombra umana, snella e agile,
s'affaccendava nell'alone di luce della lampada, appesa poco sopra la grande
tavolata in fondo alla stanza mentre un piccolo, e obsoleto, giradischi,
nell'angolo più estremo alla sinistra del banco da lavoro, mandava fuori dalle
sue casse una vecchia partitura per violino: certo, i più esperti l'avrebbero
riconosciuta come eseguita da una delle più famose orchestre italiane, ma
neppure loro avrebbero mai immaginato che i violini che la eseguivano erano
stati tutti creati e plasmati su quel medesimo piano ligneo, su cui il giovane
allievo Seiji Amasawa lavorava.
Una settimana.
Tanto era trascorso da quando il treno da
Milano l'aveva depositato nel centro di Cremona, a neppure due ore
dall'atterraggio del volo che da Tokyo l'aveva portato in Italia.
Sette, lunghi giorni, in cui la sua terra
natale sembrava così lontana e nebulosa, ogni volta che ripensava a lei, in quei
rarissimi momenti di nostalgia; un alternarsi frenetico di soli e lune che
avevano scandito il suo soggiorno presso mastro Ghinini e sua nipote Letizia.
Un'importante famiglia di liutai, quella
dei Ghinini, di cui la ragazza, sua coetanea, e il nonno di lei, Maurizio, erano
gli ultimi esponenti: amici di vecchia data, conosciutisi durante un festival
proprio lì in Italia, il nonno di Seiji e il nonno di lei erano rimasti
continuamente in contatto.
E l'apprendistato di Seiji non era stato
che un nuovo, importante tassello nei rapporti tra le due famiglie.
Le ombre della notte calavano sempre
troppo in fretta, per il ragazzo, che si rendeva conto, ogni giorno di più,
della difficoltà nel creare strumenti perfetti: troppe erano le cose da
imparare, troppi erano gli ostacoli che si paravano sul suo cammino.
Ma ciononostante, la guida esperta
dell'anziano liutaio contribuiva non poco a semplificargli le cose.
E anche Letizia non era da meno.
Stiracchiandosi, il giapponese si lasciò
andare a un'innocente sbadiglio, mentre i suoi occhi assonnati indugiavano sugli
attrezzi sporchi di segatura e le narici erano piene del penetrante odore di
trementina e vernice, i cui barattoli aperti erano poggiati al centro del
disordinatissimo tavolo, che Seiji aveva eletto come suo laboratorio sin dal suo
arrivo.
Su un banchetto più basso, erano impilati
una serie di fogli e libri, accanto a quaderni di appunti compilati in una
fittissima calligrafia hiragana.
Una cosa era certa: il ragazzo prendeva
estremamente sul serio quell'apprendistato.
All'improvviso, con una giravolta elegante
e il grembiule sporco che volteggiava con lui, Seiji si voltò verso la porta
della bottega: aveva sentito un rumore, come un cigolio.
Che fosse entrato qualcuno?
Anche il fruscio della puntina sulla
superficie lucida del vinile s'interruppe, rompendo la multicolore bolla di
sapone che sembrava aver inglobato come un sogno la realtà del giapponese, in
quella manciata di minuti.
Senza paura, in un italiano un po'
incerto, si rivolse alle ombre: “Chi c'è?” chiese, asciugandosi le mani
nell'ampia superficie di tela.
Una risata femminile s'udì dal piccolo
ingresso, prima che la figura di Letizia, coi suoi foltissimi capelli rossi e il
viso punteggiato di lentiggini, e macchie di vernice, comparisse nel cono di
luce della lampada: “Mi stavo chiedendo dove ti fossi andato a infilare, avrei
dovuto immaginare subito di trovarti qui.” dichiarò lei, rifacendo la coda che
le legava i folti ciuffi color della fiamma.
Seiji scoppiò a ridere: “È che la tua
ultima lezione mi ha lasciato molto perplesso.” ammise lui, tornando a sedersi
sul basso sgabello ed esaminando attentamente gli appunti, “Volevo capire, anche
a costo di passarci la notte.”.
Letizia mise su un'espressione
imbronciata: “Si, e poi chi lo sente il nonno, se domattina mentre mescoli la
vernice ti addormenti? In ogni caso, la tua insegnante è qui, tormentala con
tutte le domande che ti frullano per la testa!” esclamò con entusiasmo,
sporgendosi oltre la spalla del ragazzo.
Lui le puntò addosso i grandi occhi scuri,
pieni di aspettativa e curiosità.
“Cosa
vuol dire << Sentire i sussurri del legno allo stesso modo di quelli del cuore
>>? Tu mi hai detto che è necessario essere in grado di sentirli, per capire
come intagliare il legno, e per capire anche le persone. Ma come si fa?”.
Per un attimo, Letizia restò interdetta:
di tutte le cose che aveva spiegato in quei giorni, si era aspettata che quella
fosse stata la più facile da comprendere, per Seiji; in effetti, tutti i
procedimenti di carteggio del legno e di intaglio delle sagome reputava fossero
molto più complessi e bisognosi di spiegazioni, non un concetto così semplice.
Poi però scosse la testa con
rassegnazione: doveva ammettere però che anche per lei, all'inizio, capire quel
particolare insegnamento del nonno era stato difficoltoso, non poteva
biasimarlo.
Con pazienza, si levò il grembiule,
gettandolo in un angolo, e gli si sedette accanto.
Poi, poggiò sul petto del ragazzo la sua
mano sottile e con l'altra prese in mano un cubo di legno massiccio, abbandonato
nel cumulo di trucioli e avanzi sparsi per il pavimento, chiudendo infine gli
occhi.
Sotto le sue dita, sentiva il battito del
cuore del ragazzo attraverso la stoffa e, al tempo stesso, sentiva anche il
pulsare della vita, un fievole sussurro quasi, provenire dall'oggetto
apparentemente inanimato.
Poi, con un gesto rapido, la ragazza prese
lo scalpello e cominciò a picchettare gentilmente sulla superficie grezza del
cubo: come ipnotizzato da quei movimenti, Seiji restò a fissarla per parecchi
minuti, mentre davanti ai suoi occhi, a poco a poco, prendeva forma ciò che la
ragazza voleva mostrargli.
Era meraviglioso, come se, davanti a sé,
stesse sbocciando un fiore, dalle forme complesse e incredibilmente raro.
Dopo quella che il ragazzo, a malapena,
riuscì a quantificare come un'ora trascorsa lì, tra le mani della giovane era
comparso un violino.
Certo, era appena abbozzato, grezzo e poco
rifinito, per non parlare del fatto che fosse solo una sorta di statuetta, come
quella del Barone, ma agli occhi di Seiji sembrava il più grande miracolo
dell'universo.
Trionfante, Letizia lo sollevò,
depositandolo tra le mani tremanti e aperte del giapponese.
“Ecco
quello che intendevo.” annunciò lei con un sorriso.
Ma l'occhiata di Amasawa era più confusa
di prima.
“Vedo
che non hai compreso...” borbottò la ragazza, scuotendo la testa sconsolata:
“Ascolta bene. Il legno è vivo, non importa che sia inanimato.” cominciò,
giocherellando con lo scalpello, “Il compito del liutaio è quello di saperlo
ascoltare, di riuscire a intuire quale sia il punto ideale per intaccarlo e così
cominciare a lavorarlo, per creare i violini. Riuscire a sentire i sussurri del
legno è lo stesso che sentire quelli del cuore, sia del proprio che delle altre
persone, così da interpretare quale sia il punto ideale per 'intaccarle' e
riuscire a trovare un punto di contatto. Non c'è un vero e proprio metodo per
sentire questi sussurri, bisogna trovare da sé la strada. È un po' come vivere.”
gli spiegò.
Seiji sembrava pensieroso.
“Il
legno è come il marmo. Per fare una scultura, l'artista sa esattamente da dove
cominciare perchè riesce a sentirne il soffio vitale. Allo stesso modo, noi
liutai dobbiamo essere in grado di sentire quello del legno. Non quelle
tavolette da nulla, di compensato!” sembrata infervorata mentre lo diceva:
“Sarebbe troppo facile... Il gioco funziona solo col legno massiccio, e
nient'altro. Solo quando ci sarai riuscito, avrai superato la prova.”.
Seiji era rimasto basito, senza parole
quasi.
Così... Era quello che doveva fare per
superare la prova del suo apprendistato?
“Comunque
non preoccuparti, hai ancora parecchio tempo! Vedrai che non ti ci vorrà molto a
capire, hai la stoffa del liutaio, mio caro. Fidati del mio giudizio, devi
solo... Come dire... Accordare le corde del violino del tuo cuore e drizzare le
orecchie.”.
Il sorriso della ragazza era contagioso e,
per un attimo, nella mente di Seiji, si sovrappose a un altro, molto lontano da
lì, fisicamente parlando, ma da quando era arrivato in Italia, non si era mai
allontanato dalla sua mente.
Shizuku gli mancava tantissimo.
Si era reso conto di quanto veramente
fosse importante solo dopo aver posato i piedi sull'asfalto, appena sceso dalla
scaletta dell'aereo: in quel momento, si era sentito come sull'orlo di un
baratro, sperduto.
La lontananza da casa, la sensazione di
avere il fiato spezzato in gola...
Ma la sua espressione imbronciata della
sera in cui avevano cantato e suonato assieme aveva spazzato via ogni paura,
ogni preoccupazione, e gli aveva dato la forza di muovere quei primi,
sudatissimi passi sul suolo italiano.
E da quel momento, era stato come un
piccolo faro verso cui dirigersi nelle difficoltà di ogni giorno.
“Ehi,
bella statuina. Svegliati. Non dormire in piedi come i cavalli, o ti mando
veramente a stare nella stalla con loro!”.
La risata comprensiva di Letizia riscosse
all'improvviso Seiji dal suo torpore, facendogli abbassare lo sguardo
imbarazzato.
“Stavi
pensando alla tua bella?” lo canzonò lei, improvvisando alcuni passi di danza
sul parquet ingombro di trucioli: lo spostamento d'aria della sua gonna generava
piccoli vortici di segatura che, vuoi per la luce che li investiva, vuoi per
l'atmosfera quasi magica, a Seiji sembravano quasi assumere lo splendore
dell'oro.
“Forza,
andiamo a letto, che domani ti aspetta una giornatina niente male!” esclamò poi
la ragazza, afferrandolo per il polso e trascinandoselo dietro, malgrado le
vivaci proteste dell'apprendista a rimbombare nel laboratorio ormai deserto.
§§§
Letizia lo lasciò davanti alla porta della
stanza degli ospiti, augurandogli la buonanotte e intimandogli di svegliarsi
presto, il mattino seguente: “Non sognare troppo, mi raccomando! O il nonno
domattina se la prenderà con me!” rise lei, sparendo poi nella propria camera.
Con un sospiro stanco, Seiji entrò,
buttandosi di peso sul letto senza neppure levarsi il grembiule ma beandosi
dell'odore di pulito che emanava la federa del cuscino su cui aveva affossato il
viso.
Non aveva neppure acceso la luce, e
dopotutto a cosa sarebbe servita?
Se chiudeva gli occhi, poteva vederla da
sé.
La finestra con le tendine di pizzo, i
muri dipinti di bianco, il grosso armadio in noce in fondo, accanto alla
porta...
E il comodino accanto al letto.
Si prese qualche istante per gustarsi la
vista delle lunghe e minuziose lettere, disposte in bell'ordine sulla
superficie, che suo nonno gli aveva mandato da casa; ormai le sapeva a memoria.
Era un debole legame col Giappone, ma
finchè durava era ben contento: anzi, sperava che giungesse presto un'altra
lettera.
Sentendosi improvvisamente stanchissimo,
il ragazzo si levò il grembiule, buttando poi i vestiti alla rinfusa sul
pavimento, prima di recuperare il pigiama da sotto il cuscino: un minuto dopo,
era già sprofondato nel mondo dei sogni, popolato da cubi di legno, cuori
pulsanti, e il vento, simile al canto di un violino, che gli sussurrava qualcosa
di inintellegibile all'orecchio.
Ma era certo che sarebbe riuscito a
capirlo, prima o poi.
Era la sua missione, il suo obiettivo.
Di lettere, nei giorni seguenti, non ne
arrivarono, e ciò, anche se frustrava e preoccupava il giovane apprendista,
d'altra parte lo spronava a impegnarsi sempre più seriamente nel lavoro: mastro
Ghinini era una persona esigente ma i suoi insegnamenti avevano spalancato a
Seiji un mondo sterminato come il cielo.
L'uomo era soddisfatto di come le cose
stavano andando con il suo allievo: non era stato raro, per Letizia, sentire il
nonno parlare del moro con entusiasmo agli amici liutai del circondario e ogni
volta che accadeva, la ragazza correva a tutta velocità nel laboratorio, dove
sapeva esserci il giapponese, e gli raccontava tutto.
Lei era fiera di lui.
Trascorse infine anche la seconda
settimana e fu proprio il lunedì mattina della terza che Seiji trovò, fuori
dalla porta di casa, una candida busta.
Era appena sorta l'alba e il postino
doveva essere passato da poco, forse anche una manciata di minuti.
La raccolse e si precipitò in casa,
salendo a due a due le scale e facendo probabilmente un chiasso indiavolato: ma
voleva leggere quella lettera senza avere nessuno tra i piedi, e la sua camera
gli sembrava il luogo ideale.
Si ributtò tra le coltri stropicciate,
stringendo al petto la busta vergata nella calligrafia stentata del nonno.
Concessosi un minuto per riprendere fiato
e regolarizzare i battiti del cuore, con mano tremante, andò ad aprire
delicatamente la busta: lesse avidamente ogni singola parola e lettera scritta
sul leggero foglio di carta all'interno, bloccandosi infine su una frase in
particolare, che aveva attratto la sua attenzione per alcuni kanji fin troppo
familiari.
La prima volta che li aveva visti erano
stati scritti da una mano infantile, non da quella di un vecchio, ma l'emozione
che provava era la stessa.
“Shizuku-san
ha deciso di mettersi alla prova, come te. Mi ha detto che scriverà un racconto
e che vuole utilizzare il Barone come protagonista. È una brava e volenterosa
ragazza.”.
A quelle parole, Seiji ebbe un tuffo al
cuore, seguito da un'insolita sensazione di calore: se anche lei si era decisa a
fare una cosa del genere, allora lui non doveva essere da meno, non poteva
assolutamente permettersi di sbagliare.
Doveva arrivare in fondo a
quell'apprendistato, riuscire a risolvere il quesito di Letizia.
Ancora inebetito dalla notizia, restò a
fissare il soffitto per qualche minuto, godendosi il silenzio di una Cremona
ancora addormentata mentre, dalla finestra lasciata aperta, oltre al vento
entrava anche la luce dell'alba.
Poteva vedere un lembo di cielo dorato
dalla sua posizione.
Certo, non era bello come quello che
vedeva dal suo “posto segreto”, dalla sua tana, ma in un certo senso contribuiva
a rafforzare la sua risoluzione: “Voglio portarci Shizuku, voglio farle vedere
lo spettacolo della foschia argentata mentre viene spazzata via dal Sole!”
annunciò a voce alta.
“E
voglio chiederle di...”
Quest'ultima frase la mormorò a fior di
labbra, sentendosi subito dopo le guance in fiamme per l'imbarazzo, spezzandola
alla fine: non riusciva quasi a pensarla, figuriamoci a dirla, una cosa del
genere.
Però una cosa era innegabile.
Lui, Shizuku la amava.
Se n'era reso gradualmente conto in quei
giorni: si era ritrovato più volte a canticchiare o fischiettare quella sua
Concrete Roads, o Country Rods - non era mai stato molto ferrato in
inglese - e a pensare a lei sempre più spesso.
A poco a poco, aveva compreso che il
sentimento che provava non poteva essere altro che amore, come quello dei
romanzi che lui e lei avevano letto, inseguendosi per la biblioteca a suon di
racconti e libri.
E aveva deciso che l'avrebbe sposata e
resa felice!
Sarebbe diventato un mastro liutaio e
l'avrebbe amata per sempre!
“È
questo ciò che mi dice il cuore!” annunciò al Sole ridente al di là del vetro
mentre balzava in piedi e s'affacciava alla finestra: “Io sposerò Shizuku!”.
Nessuno gli rispose, si udivano solo gli
uccellini che fischiettavano infastiditi per il suo chiasso.
Allegro come mai si era sentito in vita
sua, Seiji spuntò un nuovo giorno sul calendario e uscì dalla camera,
dirigendosi al piano di sotto della casa senza accorgersi della presenza di
Letizia che, nell'ombra del corridoio, esultava.
“Dai
che sei sulla buona strada, Seiji.”
§§§
Un mese.
Era trascorso un mese, aveva ancora
davanti a sé una trentina di giorni, e l'allegria della lettera ormai era
sfumata: sentiva di avere ormai la soluzione a un passo da lui, eppure questa
continuava a sfuggirgli!
Ed era certo che Letizia sapesse cosa
doveva fare, quel suo ghignetto perennemente sulle labbra lo confermava!
Ma, ciononostante, la ragazza si ostinava
a tenere la bocca cucita e a non lasciarsi sfuggire neppure il più piccolo
indizio o suggerimento.
No, in effetti un consiglio glielo aveva
dato, ma era più contorto e sibillino dei discorsi degli yokai nei libri di
favole che gli leggevano da bambino.
Non aveva assolutamente tempo da perdere.
Come già all'inizio del soggiorno, aveva
sempre più spesso preso a rinchiudersi nel laboratorio, in compagnia del piccolo
violino che Letizia aveva intagliato e di un cubo di legno della stessa
grandezza e fattura di quello da cui era nata la statuetta.
A volte, si dimenticava anche di mangiare.
Letizia, all'ennesimo vassoio lasciato
intonso, si lasciò andare a un sospiro rassegnato: “I maschi sono proprio
stupidi e ciechi, vero, Paganini?” borbottò lei con fare da sorella maggiore,
quella sera, rivolgendosi al pasciuto gattone rosso che sonnecchiava sopra
il pendolo nell'ingresso di casa.
Questi le soffiò contro, disturbato nel
suo pisolino ma la pigrizia gli impediva di alzarsi e punirla adeguatamente: si
limitò a voltarsi dall'altra parte, agitando la coda con fare regale e
scatenando nella ragazza un violento accesso di risa, che rimbombarono un po'
per tutta l'abitazione.
Poi, lei gli si avvicinò, accarezzandogli
affettuosamente le orecchie: “Certo che da Paganini hai preso solo il nome, non
hai neppure un briciolo della sua irrequietezza.” brontolò.
“Sei
pigro come un gatto di casa qualunque.” concluse soddisfatta, sparendo subito
dopo in cucina con il vassoio in precario equilibrio sulla mano; il micio sembrò
quasi ignorarla anche mentre si allontanava ma, non appena ella fu scomparsa al
di là della porta, lui spalancò gli occhi e balzò giù dal suo letto
improvvisato, muovendosi elegantemente verso il laboratorio, con le brillanti
pupille a scrutare il buio e le sue ombre.
Nel piccolo ambiente dove si trovava,
Seiji era, come al solito, seduto alla scrivania, più ingombra di fogli che mai:
era concentratissimo, si vedeva, e il gatto, agitando piano la coda, lo
osservava con curiosità, domandandosi forse il perchè di tutta quell'agitazione.
In fondo, la soluzione era così semplice da dare...
Con un balzo elegante, si portò sotto la
luce della lampada, proprio davanti al giovane apprendista: lo scrutò con
severità, cercando di attirarne l'attenzione con bassi miagolii ma il giapponese
non sembrava sentirlo.
Frustrato, il felino si avvicinò a lui,
graffiandogli la mano e facendogli fare uno sgorbio sul foglio.
Seiji sobbalzò, frastornato e dolorante,
mentre Paganini gli puntava addosso i penetranti occhi luminosi.
Per un attimo, Amasawa pensò di avere
davanti il Barone: quello splendore era così simile a quello delle pupille del
tesoro del nonno...
“Scusa...”
borbottò il ragazzo, massaggiandosi il dorso ferito: “Non volevo ignorarti,
davvero.”.
Il bel pelo rossiccio dell'animale sembrò
gonfiarsi per il disappunto mentre questi, sfregando la morbida testa contro il
cubo in legno, spargeva lunghi peli un po' dappertutto.
Con un sospiro stanco, Seiji gli fece due
carezze, parlandogli a bassa voce: “Sono proprio stanco, lo sai, Paganini-kun?”
gli disse in giapponese, “Più ci penso e più non riesco a venire a capo del
quesito di Letizia...” brontolò, guardando con espressione vacua l'oggetto dei
suoi crucci, “Che diavolo vuol dire sentire i sussurri del legno al pari di
quelli del cuore??? A sentire lei, è tutto facilissimo e banale, ma non mi
sembra proprio!” sbottò esasperato lui, buttando per terra tutto con una manata.
Il micio lo guardò impassibile, come a
dirgli: “E ora? Ti senti meglio dopo tutto questo?”.
Quel rimprovero silenzioso da parte
dell'animale imbarazzò non poco il moro che, calmatosi, tornò a sedersi.
Mormorando qualche parola di scusa, cercò
di tornare al lavoro ma la mente era da tutt'altra parte, assorbita dalle
preoccupazioni: e se non fosse riuscito a capire?
Se i sussurri del legno non fossero stati
comprensibili per lui?
Avrebbe dovuto rinunciare al suo sogno, e
di conseguenza al sogno di sposare Shizuku?
Prese in mano quel dannato cubo,
esaminandolo nuovamente da ogni angolo e soppesandolo, stringendolo tra le dita:
era normalissimo, anche chiudendo gli occhi e concentrandosi, come aveva fatto
la sua coetanea, non riusciva a cavare un ragno dal buco.
In quel momento, però, si accorse che
Paganini lo stava fissando con vivo interesse, leccandogli con la linguetta
rosata la punta delle dita e mordicchiandogli i polpastrelli: sulle prime, pensò
che volesse solo attirare la sua attenzione per giocare, ma poi ricordò che la
pigrizia ai limiti del possibile era la caratteristica più pregnante del felino.
E se volesse invece fargli notare
qualcosa?
L'interesse del ragazzo si fece spasmodico
nei confronti dell'animale mentre questi, allungando la zampina, sfiorò con gli
artigli la foto di Shizuku a poca distanza.
Che fosse un caso il fatto di averlo visto
soffermarsi maggiormente sulla mano sinistra della ragazza, in particolare sul
suo anulare.
“Vuoi
dirmi che...?
Il gatto annuì.
Seiji era stupito: se era veramente così,
allora era già arrivato alla soluzione da un pezzo senza essersene accorto!
“Per
sentire ciò che il legno ha da dirti devi aprire il tuo cuore, e per farlo devi
essere in grado di sentire quello che lui stesso ha da dirti. Per questo ti ho
detto che è un po' come vivere.”.
La voce divertita di Letizia precedette la
comparsa della ragazza dalle ombre.
“Nel
tuo caso, la soluzione era talmente ovvia che mi sono stupita del fatto che non
te ne sia accorto prima! Insomma, hai praticamente urlato la soluzione a tutti i
cremonesi che dormivano beati.” rise lei, prendendo in braccio Paganini: “Ora
vediamo cosa sai fare.” gli disse con tono serio, ammiccando verso lo scalpello.
La prova durò tutta la notte: concentrato
com'era, Seiji non si accorse del trascorrere del tempo fino a quando non sentì
la sveglia di mastro Ghinini suonare dal piano superiore. Lui e la ragazza
sobbalzarono spaventati, facendo cadere a terra con un tonfo attutito il povero
micio, addormentato sulle ginocchia della sua padrona.
La fronte del giapponese era imperlata di
sudore e aveva il fiato mozzo per la stanchezza: aveva lavorato per tutta la
notte, ma finalmente aveva concluso.
Chiedendo mentalmente scusa al felino,
Seiji esaminò il piccolo violino, perfettamente intagliato, alla luce della
lampada.
Era perfetto.
I particolari, la cassa armonica... Anche
le corde erano state rifinite alla perfezione.
Con orgoglio, sempre tenendo tra le dita
la propria creazione, il ragazzo prese in mano quella di Letizia e glieli passò
entrambi con espressione di sfida.
Quella manciata di minuti da lei impiegati
a confrontare le due opere furono i più lunghi della vita di Seiji.
Poi venne la sua risata, sincera e
allegra, e il giapponese capì che aveva vinto.
§§§
Le settimane, da allora, si susseguirono
frenetiche.
Sempre più spesso, Letizia e Seiji si
chiudevano nel laboratorio, intenti ad armeggiare con qualcosa che mastro
Ghinini non riusciva a comprendere fino in fondo.
Ma si fidava di loro, sapeva, aveva capito
a sua volta, quanto potenziale veramente Seiji avesse e se la nipote aveva preso
così a cuore il suo apprendistato, allora il giapponese aveva veramente le
possibilità per diventare qualcuno.
E lisciandosi la barba, ogni volta che si
allontanava dalla porta chiusa, non poteva fare a meno di pensare, con
curiosità, a quale fosse stata la strada intrapresa da Amasawa per “sentire” il
legno.
La passione che il ragazzo ci metteva, nel
suo lavoro, gli aveva dato un indizio: il suggerimento che, probabilmente, era
l'amore ad averlo spinto in avanti. E in quello erano molto simili, quasi
uguali.
Anche per lui era stato così.
Ora, tutto quello che doveva fare era
attendere.
E l'attesa non sarebbe durata a lungo.
§§§
“Nonno,
dobbiamo farti vedere una cosa.”.
La voce di Letizia suonò timida e stanca,
quella sera, quando lei e Seiji raggiunsero l'anziano artigiano nel salotto,
riscaldato dal caminetto.
L'uomo si alzò, guardandoli con attenzione
e paterna apprensione dipinta sul viso rugoso.
I due ragazzi si tenevano per mano,
Amasawa aveva con sé una lucida custodia da violino.
“Seiji
ha finito il suo strumento, e vorrebbe farti sentire un pezzo.”.
Mastro Ghinini sgranò gli occhi ma non
disse nulla mentre il giapponese, poggiata la scatola sul tavolo, prese in mano
la sua nuova creatura: con la cura di un padre alle prese con il primo figlio
appena nato, allo stesso modo l'apprendista sfiorava leggero il ponte e la cassa
dello strumento, il legno lucidato e dipinto aveva ancora un vago sentore di
trementina.
Socchiuse gli occhi, trattenendo il fiato
per un attimo soltanto mentre, nella sua mente, si materializzavano come per
magia le note della canzone, accompagnate dalla voce che più di tutte desiderava
risentire.
Nel momento esatto in cui aveva riaperto
gli occhi, l'archetto semplicemente era partito, scivolando con maestria sulle
corde tese.
E mentre suonava la canzone che Shizuku
gli aveva fatto conoscere, sul violino nato dai sentimenti che provava per lei,
Seiji aveva una sola ed unica certezza.
Quel sentimento era la sua Country Road,
la strada che lo avrebbe portato nuovamente da lei, che aveva permesso tutto
quello.
La sua strada.
§§§
Prima classificata: SHUN DI
ANDROMEDA “Whisper of the heart” con punteggio 46,5
A) Lingua italiana: 9
Non ci sono errori di grammatica basilare, solo alcuni accenti invertiti (acuti
invece che gravi, e Word questi li segnala, come mai non li hai corretti?). Un
altro punto che mi ha stonato un po’ è la punteggiatura alla fine del discorso
diretto. Questo è un punto caldo e dolente, nel senso che ogni scrittore di
fanfic utilizza un metodo tutto suo, ci sono accesi dibattiti sull’argomento e
non sempre se ne viene a capo. Ciò di cui sono sicura è che la punteggiatura si
può mettere dentro o fuori le virgolette, ma ad ogni modo, basta che venga messa
una volta sola. Ad esempio:
“È questo ciò che mi dice il cuore!” annunciò al Sole ridente al di là del vetro
mentre balzava in piedi e s'affacciava alla finestra: “Io sposerò Shizuku!”.
Qui il punto non ci va, alla fine, perché hai già chiuso con il punto
esclamativo alla fine della frase.
O ancora:
“Comunque non preoccuparti, hai ancora parecchio tempo! Vedrai che non ti ci
vorrà molto a capire, hai la stoffa del liutaio, mio caro. Fidati del mio
giudizio, devi solo... Come dire... Accordare le corde del violino del tuo cuore
e drizzare le orecchie.”.
Anche qui, hai messo due punti. Io toglierei quello fuori, perché c’è già
dentro; altri preferiscono mettere la punteggiatura fuori; scegli tu, ma mettine
uno solo (e segui lo stesso criterio in tutta la fanfic!)
B) Padronanza ed esposizione dei contenuti: 9
Sembra quasi che tu sappia come si costruiscano violini! Hai utilizzato, in ogni
frase, le giuste parole e con la sicurezza di chi è avvezzo del mestiere. Mi
piace quando un tema così particolare ed insolito viene affrontato con tanta
padronanza, perché questo rende la lettura fluida e non lascia dubbi al lettore.
Per quanto riguarda la parte invece “sentimentale” della vicenda, l’ho trovata
un po’ ingenua e smielata (l’amore che gli fa trovare la direzione giusta), ma
in molti casi questo fa parte di Miyazaki, quindi posso passartela.
L’utilizzo del prompt è ottimo, perfettamente funzionale alla vicenda senza
essere fastidioso.
Un unico punto interrogativo riguarda il gatto: inizialmente dici che è nero
come la pece, poi che ha il pelo rossiccio. È vero che alcuni gatti neri hanno
la base del pelo, quella vicino alla cute, simile al fulvo, ma detta così la tua
sembra una svista; se intendi mantenere i due colori, forse dovresti aggiungere
una brevissima frase che spiega i riflessi rossi.
C) Stile ed espressione: 10
Nulla da ridire, l’ho trovato efficacissimo ed adatto alla vicenda; è buona
l’impalcatura generale del racconto, che è abbastanza lungo, e mi è piaciuta in
particolare l’idea di cominciare con una musica (quella del grammofono, con i
violini costruiti in quello stesso laboratorio) e di finire, alla stessa
maniera, con la musica (il violino di Seiji). La chiusura in particolare è
secondo me ben fatta, per niente retorica o scontata. Anche la lunga descrizione
iniziale è affascinante, il pulviscolo e i giochi di luce sembrano quasi reali.
D) Originalità: 10
Non credo siano molte le fanfic su questo fandom, e questo sicuramente ti ha
dato una marcia in più; del resto, credo sarebbe stato più banale rappresentare
la storia d’amore, magari qualche anno dopo, tra Shizuku e Seiji, mentre tu hai
deciso di affrontare il tempo che lui passa da solo in Italia, mostrandoci la
sua lotta per crescere e migliorarsi (visto che nel film ci viene mostrata solo
quella di lei). È una bella idea, ed apprezzo anche molto che tu ti sia
impegnata nel creare dei personaggi originali caratterizzandoli con attenzione
(mi riferisco soprattutto a Letizia).
E) IC e coerenza interna: 8,5
Seiji è molto simile a quello del film, l’ho trovato IC quanto basta. Il liutaio
compare pochissimo, quindi è impossibile per me valutarlo, mentre Letizia è un
personaggio molto vivo e simpatico, e sembra decisamente un prodotto di Miyazaki;
in particolare mi ha ricordato (non so se ti ci sei ispirata anche tu) la
ragazzina protagonista di Porco Rosso. I due ragazzi fanno sicuramente discorsi
che sono un po’ troppo elevati e contorti per l’età che hanno (mentre nel film
una delle cose che ho apprezzato è proprio la loro semplicità ed a volte
ingenuità), ma è l’unica pecca che ho riscontrato. Il gatto è un personaggio
simpatico, e mi piace perché riprende uno degli elementi chiave del film;
sicuramente però è poco credibile ed un po’ troppo “umanizzato”, quando indica a
Seiji come trovare la sua strada.
|