quel che sarà
Quel
che sarà
When I was just a little girl
[Quando ero solo
una bambina
I asked my
mother: what will I
be?
Ho chiesto a
mia madre: Come sarò?
Will I be pretty? Will I
be rich?
Sarò bella? Sarò ricca?
Here's what she said to
me:
Ecco ciò che mi disse:]
Que sera, sera
[Quel che sarà, sarà
Whatever will be, will
be
Qualsiasi cosa sarà, sarà
The future's not ours to
see
Non ci è dato
vedere il futuro
Que sera, sera
Quel che
sarà, sarà
What will be, will be
Quel che sarà,
sarà]
Isabeau sapeva, fin da bambina, quale sarebbe stato il suo dovere, e le
andava bene così. Era, forse, un bello smacco al
romanticismo,
ma davvero il pensiero di un matrimonio combinato e di una vita
interamente decisa da altri non le causava grandi turbamenti. Era la
normalità, in fondo.
Solo ogni tanto le capitava di fantasticare su quell'esistanza
già calcolata: era sicura che sarebbe stata agiata, serena,
ma
sarebbe stata felice,
sul serio?
Quando lo aveva chiesto a sua madre, esitando, questa aveva riso. La felicità,
aveva detto, non si decide a tavolino,
nemmeno un conte può farlo; è il buon Dio che
la manda a coloro che
agiscono con rettitudine.
All'espressione intimorita della figlia, aveva aggiunto, gentilmente,
che una bambina bella e buona come lei sarebbe stata senza dubbio molto
felice.
Isabeau non si riteneva proprio bella: sua madre insisteva,
dicendo che lei stessa, crescendo, si era fatta più
graziosa, e che da bambina era bassa, mingherlina, con i capelli
ribelli e il viso tondo esattamente come lei, e le diceva di avere
pazienza, perché senza dubbio l'avrebbe superata in
bellezza; ma Isabeau non era propensa a crederle, perché non
riusciva a immaginare nessuno - lei, poi! - più bello di sua
madre.
Allo sguardo sconfortato della piccola, la dama aveva sorriso con
dolcezza, carezzandole i capelli. Non
crucciarti, bambina, aveva detto, accetta ciò che il
futuro ti offre. Quel
che sarà, sarà.
When I grew up and fell
in love
[Quando sono cresciuta e mi sono innamorata
I asked my sweetheart:
what lies ahead?
Ho chiesto al mio amato: cosa c'è davanti?
Will we have rainbows,
day after day?
Avremo arcobaleni, giorno dopo giorno?
Here's what my
sweetheart said:
Ecco
ciò che il mio amato ha detto:]
Que sera, sera
[Quel che sarà, sarà
Whatever will be, will
be
Qualsiasi cosa
sarà, sarà
The future's not ours to
see
Non ci è dato
vedere il futuro
Que sera, sera
Quel che sarà, sarà
What will be, will be
Quel che sarà,
sarà]
A poco più di vent'anni d'età, Isabeau aveva
poche certezze, e su tutte svettava la consapevolezza che la vita segue
percorsi strani e articolati, che nessuno, fra noi, può
indovinare. Le era già sembrato abbastanza straordinario,
sposarsi per amore, per di più con un uomo - Isabeau si
vergognava a pensarlo, ma era vero - praticamente saltato fuori dal
nulla. Sommato a ciò, c'era il sapere che suo marito fosse
in grado di entrare e uscire dal suddetto nulla, con una dinamica che
lei ancora non era riuscita a comprendere. Non aveva potuto accantonare
del tutto l'inquietante ipotesi su una creatura soprannaturale, ma, in
un impeto di ribellione molto raro, aveva deciso che non le
interessava. Si fidava di Ian Maayrkas, punto e basta.
Isabeau era felice, o quasi: non poteva fare a meno di pensare "e se lo scoprisse il mio
tutore?".
La prospettiva era raccapricciante, ed era un grosso ostacolo a quella
pace domestica che la ragazza agognava.
Ne aveva parlato con Ian, il quale aveva condiviso cupamente le sue
preoccupazioni: del resto, era sempre stato più catastrofico
di lei. Tuttavia, poiché nel suo sposo l'amore coniugale era
più forte delle paturnie esistenziali, Ian l'aveva
rassicurata come poteva, rammentandole che nessuno conosce il futuro,
e che dovevano avere fede, cosa che sarabbe suonata alla ragazza come
una mera e vuota consolazione se lui non le avesse sfiorato i capelli
con dolcezza, in una carezza delicata che la riportava indietro nel
tempo. Inutile
tormentarsi, visto che non possiamo fare niente, aveva
mormorato il suo sposo, affidiamoci
alla Provvidenza, e
quel che sarà, sarà.
Now I've children on my
own
[Ora
ho dei bambini miei
They ask their mother:
what will I be?
Chiedono alla loro madre: come sarò?
Will I be handsome? Will
I be rich?
Sarò bello? Sarò ricco?
I tell them tenderly:
Io gli dico teneramente:]
Que sera, sera
[Quel che
sarà, sarà
Whatever will be, will be
Qualsiasi cosa sarà.
sarà
The future's not ours to
see
Non ci è dato vedere il futuro
Que sera, sera
Quel che
sarà, sarà
What will be, will be
Quel che sarà, sarà
Que sera, sera!
Quel che
sarà, sarà!]
Quando immaginava la sua vita di madre, Isabeau non pensava certo che
avrebbe trascorso le giornate domandandosi cosa potesse aver combinato,
il suo primogenito, per far infuriare in tal modo la cara balia, e dove
potesse essersi cacciato, il suo figlio minore, così dolce e
tranquillo ma con la preoccupante tendenza - eredità
paterna? - a sparira dalla vista della nutrice per rifugiarsi a leggere
o a chiacchierare con la servitù.
Data anche la profonda indulgenza del loro padre, incapace di
prendersela alla vista delle faccine innocenti dei figlioli, toccava a
Isabeau rimproverare aspramente i pargoli, cercando di scoraggiarli da
nuove malefatte.
I due fanciulli, per quanto adorabili, non erano modelli di
virtù, e nonostante facessero regolarmente comunella, quando
gli conveniva, il più delle volte Isabeau doveva sedare i
litigi su chi sarebbe diventato, in futuro, il cavaliere più
valoroso e avvenente.
Chiamata ad arbitrare la contesa, Isabeau replicava che sarebbero stati
entrambi forti e bellissimi, con la sicumera tipicamente materna, che
rende incapaci di pensare che la propria creatura sia meno che
meravigliosa.
Quando le chiesero di più, "porteremo gloria al casato?",
"passeremo alla storia?",
domanda curiosamente messa loro in testa dal padre, Isabeau sorrise con
la stessa dolcezza con cui sua madre aveva sorriso a lei, vent'anni
prima.
Isabeau non conosceva il futuro, non poteva nemmeno immaginare che suo
marito provenisse dal terzo millennio. Non sapeva che i monaci di Saint
Michel stessero scrivendo un libro che sarebbe stato sfogliato ancora
dopo ottocento anni, non sapeva che il casato dei Ponthieu avrebbe
attraversato l'oceano e sarebbe sopravvissuto fino al ventunesimo
secolo. Isabeau non sapeva chi fosse a scrivere il destino, se Dio, la
Provvidenza, o un gioco di ruolo chiamato Hyperversum, sapeva
solo che la vita va avanti come vuole, non si può prevedere,
solo vivere, e fu questo che disse ai suoi bambini, carezzando con una
mano la testolina scura di Marc e con l'altra quella bionda di Michel,
finalmente felice, davvero felice, per quei doni - inaspettati, tutti - che la vita
le aveva concesso.
Abbiate fede, bambini,
sussurrò, grata e fiduciosa, quel che sarà,
sarà.
Note
La mia prima song-fic!
Normalmente, non mi piace scrivere su personaggi inflazionati, ma
Isabeau mi piace, perché nonostante sia fra i personaggi
principali, nel libro si parla pochissimo dei suoi pensieri.
Principalmente, perché viene vista con gli occhi di Ian e
Daniel, che la descrivono come "bellissima" e "perfetta", ma sul suo
mondo interiore non si soffermano mai.
La canzone, come immagino si sia intuito, è Que sera, sera di Doris Day,
ed erano secoli che volevo scriverci una storia sopra! Credo che quasi
tutti la conoscano (ho messo anche una traduzione, un po'
approssimativa, visto che non si sa mai) ma per chi volesse ascoltarla,
eccola: http://www.youtube.com/watch?v=aIl8zlmAMS8.
Sulla prima parte, posso dire che ho sempre sognato di scrivere di
un'Isabeau piccola, timida e bruttina.^^ E per sua madre, beh, in
verità mi sono ispirata a mia nonna: questa storia
è per lei, anche se non la leggerà mai.
Sulla seconda parte, preciso che secondo me Isabeau è molto
più pragmatica di Ian.^^
Infine, spero vi piaccia come ho reso i pulcini - ho in mente tutto il
loro carattere, ma sarebbe complicato da spiegare.
A presto!
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