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PoW
Serie
di storielle
senza pretese, più o meno lunghe, più o meno sensate, di cui ha
colpa Atlantis Lux, che insiste a farmi scontrare con i fandom più
strambi. Fino a quando mi ha presentato manga vari, la cosa non ha
sortito danni, però qui si è trattato di farmi riscoprire un
vecchio compagno d’infanzia. E ne sono stata felice, perché, come
ha detto lei, i transformer della G1 hanno un grande potenziale
comico, ma uno altrettanto grande drammatico e io sono sempre a
caccia di psicosi che fanno morti. Chi meglio di un branco di alieni
capaci di portare avanti una guerra per svariati milioni di anni,
distruggere il loro mondo e darsi al massacro reciproco con tutta
l’allegra esuberanza di un branco di adolescenti sociopatici armati
di seghe elettriche?
Avviso:
personaggi e
scenario generale sono basati sui fumetti scritti da Furman per la
G1, dove i cybertroniani sono una specie di piaga galattica che vaga
di mondo in mondo lasciandosi dietro solo desolazione, la trama non
si limita a scaramucce per qualche pulciosa raffineria umana che i
decepticon riescono a perdere anche quando le probabilità sono
astronomicamente a loro favore, la guerra è portata avanti con il
cervello molto più che con i pugni (infiltrazioni, raccolta
informazioni sui mondi bersaglio, protocolli bellici... insomma,
quelle cosine che si fanno nelle vere guerre), non ci sono naufragi
sulla Terra e Optimus non è precisamente il compiacente schiavetto
dell’umanità. Comunque questo è un What If e non seguo alla
lettera il canon di Furman, un po’ perché molte cose non mi
piacciono, prima di tutto l’esistenza della classica organizzazione
segreta che combatte gli alieni, cliché che mi urta come pochi, poi
ho le mie idee inamovibili sulla possibilità dei terrestri di
fronteggiare i cybertroniani. Viceversa, non mi importa assolutamente
niente del fanon e delle caratterizzazioni da fanon. Quindi niente
cuori di panna, buoni sentimenti e dolci, teneri, ingenui robottoni.
E non trasformerò aerei da combattimento in tremebonde e lacrimose
verginelle in fuga dal cattivo comandante che attenta alla loro
virtù.
A Deo rex
Optimus
non ha
ricordi della vita di Optronix.
E’ risaputo che
coloro nati da una formattazione, persino coloro che hanno ricevuto
solo componenti nervose da donatori, soffrono per la persistenza del
vecchio ospite. Sensazioni fantasma, di solito, o memorie discordanti
e sovrapposte. L’ombra ostinata di una vita, resistente anche ai
più ingegnosi degli algoritmi di elisione. Ma nessuno di loro è mai
stato l’ospite della Matrice e questo, suppone, fa differenza.
Quello
che lui sa
della sua antica vita lo sa perché lo ha imparato, come chiunque
altro, e le storie narrate non sono neppure coerenti l’una
all’altra. C’è chi lo vuole solo un operaio, chi un archivista,
chi un agente della sicurezza. Si aspetta di sentire raccontare,
prima o poi, che Optronix fosse il fratello gemello di Megatron o un
generale decepticon riformato e, per quanto lo riguarda, non può
neppure escluderlo.
Tutti
gli altri hanno qualcosa prima.
Prima
è un tempo contemplabile, un’esistenza oltre lo spartiacque della
guerra che a lui non è stata consegnata, una continuità con quello
che erano e quello che sono. Tutto ciò che lui ha è una barriera
invalicabile, situata fra la morte di Optronix e la nascita di
Optimus. Lui inizia in quel momento.
Neanche
il nome è
certo. Optronix, sì, ma a volte è Orion. Non è neppure sicuro che
sia stata una sola persona e non due, o tre. E’ possibile. E’
possibile che siano esistiti Optronix e
Orion. L’archivista
e l’operaio. O forse il poliziotto. E’
possibile che siano
esistiti altri di cui non resta neanche il nome. Che sono stati
semplicemente cancellati, perché meno interessanti, perché inutili.
Perché di troppo.
Possibile,
sì.
Qualche
volta scandaglia le sue banche dati, risalendo metodicamente le
correnti della memoria, alla ricerca di qualche pensiero alieno,
qualche immagine spettrale, anche solo una sensazione non
cannibalizzata dalla Cosa che porta dentro. Qualsiasi cosa non sia
Optimus,
persa fra i meandri della sua psiche.
Non
c’è niente.
Non
sa neppure come
sia stato per i suoi predecessori, perché, nonostante una credenza
diffusa, la Matrice non conserva dentro di sé sensazioni o emozioni
o ricordi di qualcosa vissuto come individuo.
Così,
tutto ciò
che gli resta sono solo quelle informazioni frammentate e ambigue. E
voci che poco dopo la sua creazione avevano già sapore di leggenda.
Sospetta
che simili
voci siano state incoraggiate di proposito, molte di esse addirittura
inventate, da coloro che lo hanno creato, così come di proposito è
stata eliminata ogni traccia attendibile della vita preesistente, di
tutto quel che potrebbe trasformare un Prime in qualcosa di più
simile a un uomo e più lontano da un’icona.
E’
giusto. Un
impiegato non può essere anche la voce di Dio e il condottiero di un
mondo.
Non
si conserva la
storia delle esistenze precedenti dei Prime e per legge, tradizione e
cortesia, nessuno domanda mai loro nulla, nessuno li chiama con nomi
differenti, nessuno si azzarda mai neppure a suggerire che ci sono
state altre vite e che quelle vite sono state sacrificate per
permettere le loro.
Anche
se, a lui, una
volta un uomo ha osato chiedere. Una domanda indistinguibile da
un’affermazione, rivolta nel grossolano, sgraziato codice ibrido
che rappresenta la lingua comune ai due schieramenti. Di fronte a
tutti, fra stupore scandalizzato e risate sguaiate.
Ricordi
i
sacerdoti del tuo Tempio Celeste, quando ti hanno portato di fronte
alla Matrice e ti hanno fatto a pezzi? Ricordi com’è essere
davvero vivi? O, invece, cerchi di dimenticarlo?
Consolati con il
nome che ti hanno dato. Non cambia il fatto che sei una carcassa
riciclata e rianimata a beneficio di un parassita.
Ma Megatron si è
sbagliato se ha voluto alludere a un qualche morboso interesse per la
sua morte e qualsiasi cosa ci sia stata nel momento della
transazione, se mai c’è stato. Optimus non nutre alcuna curiosità
per la morte. La conosce troppo bene perché lo incuriosisca.
E’ che, spesso,
cerca di immaginarsi in una vita di pace e non ne è in grado.
Ha visto
innumerevoli forme di guerra e anche innumerevoli forme di pace,
tante quante i pianeti abitati che ha visitato. Non è difficile
figurarsi uno stato di pace. Quello che è impossibile è collegare
quello stato a sé stesso.
Per lui, pace è
solo una condizione transitoria, una pausa momentanea nel conflitto,
un intervallo di tranquillità che separa due battaglie. Un tempo
utile per prepararsi a un nuovo scontro. Ma pace intesa come stato
ordinario e non straordinario dell’esistenza è una situazione
esotica e bizzarra, qualcosa di osservabile come si osserva un
curioso fenomeno naturale, non sperimentabile di persona.
La
pace è come il
volo. Qualcosa che Optimus può ammirare, può invidiare e persino
desiderare, ma che non gli appartiene. Qualcosa che, se tentasse,
trasformerebbe solo in una distorta e rovinosa copia dell’originale.
Qualcosa che, se insistesse a possedere, finirebbe solo per farlo
schiantare.
Optimus
sa che non
ci sarà una vita senza guerra, per lui. Non è possibile perché lui
esiste per combattere, nato a causa della guerra solo per fare la
guerra. Guidare la guerra. Una guerra diretta a coloro che hanno
tradito la loro stessa natura.
Negarlo
vorrebbe
dire diventare proprio quella cosa contro cui è stato creato e, in
quel momento, la pace si frantumerebbe di nuovo e, questa volta, il
traditore sarebbe lui.
Per
questo cerca i
ricordi di Optronix. O di Orion. O di tutti e due.
Perché
Optimus non
può avere niente oltre la guerra, ma Optronix forse sì.
“Siamo
ancora in tempo per voltarci e tornare da dove siamo venuti. Questo
mondo non è un punto di rilevanza strategica.” la voce di Ratchet
è tanto alta che, probabilmente, lo hanno sentito in tutta la nave.
Di
certo, è
sufficiente a riportare il livello cognitivo primario di Optimus al
presente, a coloro che lo circondano e al responsabile dell’attacco
di collera di Ratchet. Un pianeta coperto di acqua, con una luna in
proporzione così grande da fare sì che sia, più che altro, un
sistema di due pianeti gemelli, piuttosto di un mondo con il suo
satellite.
Un
nuovo mondo.
L’ennesimo nuovo mondo che presto diventerà il vecchio mondo. Uno
dei tanti vecchi mondi nella sequenza di mondi sterilizzati che
segnano la loro strada.
Questo
è il suo
passato. Una serie di pianeti identici, distinti solo dal numero di
cadaveri lasciati sulle loro superfici.
“Qual
è il tuo problema, Ratchet?” sbuffa Ironhide, esasperato dalla
continua opposizione del medico.
“La
gente muore. Per me è un problema fondamentale.”
“In
guerra, la gente muore.”
“Morire
per un obiettivo insignificante? Una miniera come ce ne sono tante?”
Ironhide
gratta la
superficie del tavolo e il suono che ottiene convoglia l’attenzione
di tutti sugli artigli ostentatamente sguainati.
“E’
diventata diversa dalle altre nel momento in cui Megatron ha deciso
di atterrare qui. Una qualche importanza il pianeta deve averla.”
E’
un’affermazione
che potrebbe fare Prowl, questa. Una cosa logica, ragionevole.
L’effetto di una causa.
Optimus
non è
altrettanto sicuro che sia così. Potrebbe essere solo un caso, lo
sventurato pianeta scelto aprendo le mappe stellari alla cieca, o
perché Megatron ha perso una scommessa, o qualcuno nell’umorale
stato maggiore decepticon ha deciso che gli piace la configurazione
delle masse continentali.
Da
tempo ha imparato
a non stupirsi per le azioni di Megatron, ma capirlo gli è proprio
impossibile. A volte ha l’impressione che il suo nemico agisca
senza la minima premeditazione, muovendosi in modo accidentale. Non è
una considerazione gradevole, visto che si parla dell’uomo che ha
fatto crollare il loro mondo sotto il peso dei suoi stessi errori.
Può significare che l’universo è davvero privo di senso. Oppure
che la loro civiltà è stata priva di senso, nata dal caso e caduta
per caso.
Nell’ipotesi
più
ottimista, a essere insensato è il solo Megatron, ma, in questo
caso, un uomo folle è stato capace di spezzare un popolo.
Continua
a non
essere una prospettiva gradevole.
Al
momento,
comunque, Megatron e le sue ragioni, o mancanza di tali, possono
attendere. E’ evidente che ha deciso di occupare il pianeta e non
c’è molto che possono fare per fargli cambiare idea o
impedirglielo.
Ratchet
è un
problema molto più immediato.
Jazz
osserva con una
mezza espressione di aspettativa, in attesa dell’inevitabile
massacro. Mirage è annoiato. Red non interviene, ma, d’altra
parte, non interviene mai quando non c’è un nemico, vero o
presunto, su cui riversare la sua paranoia.
Ironhide
ha commesso
un errore fatale quando ha deciso di contrastare il medico nella sua
tirata ed è un errore che Ratchet intende usare a suo piacere.
“Megatron
è qui e prima era sul pianeta precedente e quello precedente ancora.
Da qualche parte deve pur essere.”
“Adesso
è qui.” ripete Ironhide. Per lui è una spiegazione sufficiente.
“Sì,
è qui. Secondo i protocolli decepticon di acquisizione, significa
che hanno già una testa di ponte sul pianeta e abbiamo sempre perso
ogni pianeta arrivato a questo stadio di occupazione. E non so
neanche perché devo dirlo proprio a te. Comincio a credere di essere
il solo a conoscere il suo mestiere.”
L’esoscheletro
di
Ironhide si scurisce sin quasi ad assorbire ogni luce, mentre le
linee di fotofori fiammeggiano onde lunghe.
“Ratchet,
stai superando i limiti.”
Ratchet
scopre i
denti, ignorando l’ordine implicito di tacere.
Lui
non ha un rango
tanto elevato nell’esercito. Tecnicamente, non è neppure un
ufficiale, ma i medici di guerra si comportano con i privilegi che la
loro funzione permette. Non è saggio inimicarsi chi, prima o poi,
stringerà i fili della propria esistenza e Ratchet non è mai stato
tanto sconsiderato da non approfittare della sua immunità.
“Quale
limiti? Quelli di una frontiera che tracciamo di volta in volta? Sei
un guerriero, amico mio, ma a pensarci, che razza di guerra stupida
combatti. Stupida fin dall’inizio, stupida per come è condotta...
Non è neppure una guerra. E’ un gioco a rincorrersi. Perdiamo?
Cosa? Un mondo come migliaia di altri, né più né meno importate di
ogni altro. Vinciamo? Ci lasceremo subito il territorio conquistato
alle spalle, perché non ci importa nulla di esso. Non è per noi di
nessun vantaggio, a meno che non lo spogliamo di ogni risorsa e le
usiamo come scorte di energia prima di partire nuovamente. Finisce
sempre nello stesso modo. La gente muore solo per rimandare alla
volta prossima la soluzione definitiva. Una volta prossima qualsiasi,
tranne che ora.”
Prowl
interviene
prima che Ironhide abbia modo di ribattere.
“Se
posso interrompere, dovremmo preparare le procedure di controffensiva
e di primo contatto.” una pausa, sufficiente a permettere qualsiasi
obiezione, o sottolineare come nessuno si azzardi a farne “Il
vantaggio temporale di Megatron non è recuperabile, a meno di
eventuali errori di rotta o di manovra e non mi affiderei alla
probabilità di errore di un pilota o di un navigatore decepticon.
Approderà prima di noi, preferirei non dargli anche modo di
orientarsi e ristabilire la sua posizione contro eventuali dissidenti
prima del nostro arrivo.”
Optimus
dubita che
l’intromissione sia intesa a salvare Ironhide dagli artigli
dialettici di Ratchet. Con ogni probabilità, Prowl è solo
infastidito dall’atteggiamento del medico, almeno quanto lo è
dalla reazione rabbiosa di Ironhide. Mai disturbare Prowl con qualche
insignificante e fuorviante manifestazione emotiva.
Quel
che è
insolito, semmai, è che abbia interrotto i contendenti con la
notizia di una necessità, non dibattendo il soggetto della contesa.
Più
di una volta
Prowl ha dimostrato di trovarsi a disagio di fronte a quei
comportamenti che considera irrazionali, ma ora non è né confuso né
a disagio. Non è l’incomprensione che lo ha spinto a intervenire
per chiudere la discussione e neppure ritiene illogici gli argomenti
di Ratchet.
Insolito,
sì, ma
Optimus non ha altra scelta che fidarsi. La ragione cristallina di
Prowl gli è aliena nella sua complessità. Può solo supporre che lo
stratega abbia considerato più efficiente un’interruzione dovuta a
un’esigenza improrogabile, piuttosto che correre il rischio di
offrire a Ratchet l’appiglio per un’ulteriore polemica.
In
ogni caso, le sue
parole hanno la forza di un ordine che conclude la discussione,
escludendo di fatto la proposta di Ratchet.
Uno
dopo l’altro,
tutti si ritirano dalla rete chiusa limitata ai membri della riunione
e al collegamento con il sistema informativo ed escono dall’ufficio.
Nel momento in cui Ratchet accenna ad alzarsi, Optimus gli fa cenno
di restare.
Ironhide
esita per
lanciare al medico una rapida occhiata diffidente, prima di
allontanarsi.
Non
è timore, ma
Ironhide non ha un buon rapporto con chiunque lo contrasti, chiunque
sia, e ha l’abitudine di non dimenticare gli affronti, qualunque
sia il contrasto.
Ironhide
è un
essere semplice, uno degli esseri più semplici che Optimus abbia mai
incontrato. E uno dei più pericolosi. C’è troppo poco spazio di
manovra nel suo sistema di riferimento. Amici e nemici, con una
frontiera netta a dividerli.
Una
soluzione
efficiente per un combattente come lui. Ridurre il mondo ai minimi
termini diminuisce i tempi di reazione a possibili minacce, perché
elimina la necessità di soffermarsi a valutare campi di possibilità
più ampi.
A
suo modo, Ironhide
è logico e razionale quanto Prowl.
Ora
che nella sala
restano solo lui e Ratchet, anche Optimus interrompe il flusso di
dati relativi al pianeta loro prossima meta. Per il momento, ha tutte
le informazioni che gli servono.
“Ratchet...”
“Sì?”
“Quando
sei in disaccordo con me, parlamene in privato. Non contrastarmi di
fronte ai soldati.”
“Tu
sei infallibile per definizione, Optimus. Cerca di non convincerti di
esserlo realmente, non al punto di essere al di sopra delle
critiche.”
“Stai
parlando a un Prime.”
“Sto
parlando a un uomo. Io lo so. Ho visto cosa hai dentro, ci ho messo
le mani in quello che hai dentro e, credimi, non è sufficiente a
fare differenza, per me.”
“Allora
cosa
fa differenza, per te? Qualcosa deve essere, o non mi seguiresti.”
Ratchet
irradia
rabbia. Rabbia e desiderio di conflitto. Colori e luci si
intensificano e schemi cromatici spettrali di linee curve si
susseguono sulla corazza, scorrendo nel bianco uniforme da medico. Di
riflesso, anche i livelli di aggressività di Optimus fremono.
La
discussione
precedente è stata solo il preludio a una battaglia che Ratchet è
deciso a vincere e lui non ha intenzione di perdere. Avrebbe potuto
vietargli di assistere alla riunione, ma sarebbe stato solo
toglierselo momentaneamente dalla vista per rimandare lo scontro.
Quella
di Ratchet è
una testarda opposizione già manifestata nel passato, con solo
qualche variante, elementi minori di espressività in una trama già
scritta e recitata più volte, ogni volta più inasprita, e il medico
è un nemico speciale. Uno che deve essere piegato, non abbattuto, e
questo è sempre più difficile che uccidere.
“Devi
capire una cosa, Ratchet. L’uguaglianza rappresenta il caos. Ogni
individuo ha un ruolo. Rigettarlo è confusione e la confusione
genera solo instabilità. Il potere non si spartisce e non è
commutabile. Non possiamo dividerci i compiti e non siamo
intercambiabili perché non siamo uguali, io e te, e io sono
infallibile. Perlomeno, sono meno fallibile di chiunque altro. Il
che, al fine pratico, è la stessa cosa.”
“Questo
dovresti dirlo a coloro che ucciderai con le tue decisioni. Poi
perché non fai lo stesso discorso a tutti quelli che ti
questionano?”
Chiedendo
questo, Ratchet ha costruito il primo elemento della sua disfatta,
perché usare una
critica
come difesa è solo indice di mancanza di argomenti validi, o nel non
credere nella loro validità. In ogni caso, Optimus decide di
ignorare la domanda.
“I
decepticon sono convinti della basilare uguaglianza di tutti. O
meglio, sono convinti che la diversità è qualcosa da conquistare
con le capacità individuali, a prescindere da quello che sei e da
come sei, da ruolo e programmazione. Neppure lo stesso Megatron si
esime da questa filosofia e mantiene il potere mettendosi alla prova
praticamente ogni giorno. Ogni decisione che prende, deve imporla.
Può farlo con il convincimento, con la ragione, con la forza. Quel
che conta è che i suoi uomini sanno che non è infallibile. Lui
stesso sa di non avere necessariamente ragione, che la ragione è
semplicemente quella di chi è capace di prevalere, non quella reale.
Così, nelle loro fila esiste sempre una resistenza a eseguire i suoi
ordini. In realtà, a eseguire gli ordini di chiunque, perché ogni
individuo è intimamente convinto che tutti sono uguali, tutti
possono sbagliare, tutti possono fare scelte errate, tutti possono
decidere meglio di chi ordina. Dentro di loro c’è sempre il
dubbio. La catena di comando è instabile, soggetta ad attacchi
interni. Persino nel migliore dei casi, passano il tempo in continui
conflitti solo per riaffermare gerarchie già stabilite. E’ la loro
principale debolezza. Fondamentalmente, è il nostro solo vantaggio,
la cosa che controbilancia le forze in gioco, a dispetto della loro
superiorità strategica e individuale. Questo, perché Megatron è
convinto di dover dimostrare di essere il più forte, non di essere
quello che prende le decisioni giuste.”
“Non
girare intorno alla questione. Sai che non lo tollero.”
“Ratchet,
c’è solo un uomo importante quanto il Portatore delle Matrice e,
quando si arriva alla resa dei conti, interessa più avere intorno un
guaritore che un simbolo. Quindi la tua voce ha più forza di quella
di chiunque. In certi casi persino della mia, e questo non può
essere. Non può neanche avere lo stesso peso della mia. Le obiezioni
degli altri sono solo parole, le tue diventano il preliminare di una
frattura. Capisci?”
“Capisco.
Tu non puoi permetterti di crederti meno che infallibile, Prime.”
“Cosa
credo io non è in discussione. Quello che non posso permettermi è
che gli altri mi credano meno che infallibile.”
“La
soluzione, quindi, è non discutere con te.”
“No.
E’ non darmi motivo di giustificarmi. Una giustificazione
rappresenta la conferma di un’insicurezza, un’insicurezza è
un’imperfezione. Noi non combattiamo alieni, non combattiamo un
nemico esterno. Combattiamo i nostri stessi fratelli. Siamo uguali,
loro e noi.”
Ratchet
si ritrae, come se il solo ascoltare lo rendesse complice e colpevole
di una simile affermazione, sufficiente a far guadagnare un’accusa
di eresia o, almeno, di simpatia per il nemico, ma Optimus è un
Prime e ci sono cose che un Prime può permettersi di pensare e dire
e fare senza temere conseguenze. Soprattutto un Prime che non ha più
altri poteri a cui dovere rispondere.
“Se
credi una cosa del genere, sei già come loro.”
“Lo
siamo tutti, Ratchet. Siamo
uguali, nonostante le pretese della propaganda. Quello che loro hanno
fatto, siamo in grado di farlo anche noi. Il seme del nemico è
dentro noi stessi, il nemico siamo noi. Se cominciamo a dubitare, noi
diventiamo loro.”
“E
il tuo non
possiamo rifiutare il nostro ruolo,
dove va a finire?”
“C’è
una certa differenza fra non dovere
e non potere,
e non è una differenza semantica.”
Il
campo energetico
intimo di Ratchet è scosso da un uragano di onde anarmoniche e
cuspidi taglienti. Il medico trascina la sua ira come un tesoro
prezioso, insostituibile e pesante. E’ sia il suo modo per
nascondere la sofferenza che la sua valvola di sfogo. Una bolla di
collera che lo separa dal mondo esterno. Che, fino a quando esiste,
gli permette di ignorare paura e dolore. Un sistema grossolano, ma
nonostante la sua intelligenza e il suo acume, in molte cose Ratchet
è come Ironhide, una creatura che risponde a bisogni elementari, che
agisce per impulsi brutali.
Il
medico sfiora la
paratia in un cenno vago verso l’esterno, a un punto ancora fuori
dalla capacità percettiva di entrambi. Un gesto inutile.
Incomprensibile, anche, se Optimus non avesse imparato a decifrarlo,
ma per Ratchet il senso del tatto è primario, ha una gestualità
acquisita basata su esso, anche quando non c’è nulla di concreto
da toccare.
“Un
altro mondo abitato, Optimus. Esistono anche loro, non dimenticare.
Stiamo per coinvolgerli nella nostra guerra, ancora una volta. Li
usiamo come carne da cannone. Li leghiamo a noi, li spingiamo ad
attaccare un nemico che li sterminerà.”
“Se
un pianeta ha attirato l’attenzione dei decepticon, quel pianeta
viene razziato, comunque noi decidiamo di fare. Non possiamo
peggiorare la loro situazione. Semmai, il nostro intervento può
aiutarli e a noi serve stringere ogni possibile relazione diplomatica
con coloro che potrebbero rappresentare forze antagoniste ai
decepticon.”
“Forze
antagoniste, sì. Chiamiamoli così. E’ più facile.” ancora
rabbia, scrosciante e caustica e rossa come pioggia “E i decepticon
spazzano via tutte le possibili forze antagoniste prima che diventino
una minaccia concreta per loro.”
“Questo
non significa che ci riusciranno sempre. Ratchet, è possibile che,
prima o poi, troveremo una civiltà in grado di tenere loro testa o,
addirittura, fermarli.”
rabbiarabbiarabbiarabbia
disperazione
“Splendido.
Quindi, va tutto bene perché è fatto per uno scopo degno. Hai la
tua guerra giusta che se non vinci sarà la fine dell’universo. Ho
sentito dire la stessa cosa o una qualche fantasiosa variante di
questo concetto da tutti i politici di tutti i mondi che ho
conosciuto, nei confronti dei loro rivali. Ho sentito Megatron dire
la stessa cosa, praticamente con le stesse parole. Risparmiami la
recita del maggior bene, Prime. Abbiamo fatto tante cose rivoltanti,
io, tu, chiunque coinvolto in questa guerra, ma almeno lasciamo stare
la pretesa dell’eroe riluttante, perché è davvero disgustosa. Le
buone intenzioni uccidono quanto le cattive azioni.”
Quando
hai a che
fare con la morte tutti i giorni, devi imparare a combatterla a ogni
costo, imparare a volerla scongiurare. Imparare che quando non
riesci, quando non puoi, quando per evitarla ne causi un’altra,
anche una sola in cambio di mille, allora hai perso e non c’è
risultato ottenuto che lo renda meno di una sconfitta. Devi imparare
a odiare la morte, perché l’alternativa è innamorartene.
Lo
ha detto lo
stesso Ratchet, abbastanza mondi prima da avere dimenticato quanti
morti li separano da quel giorno.
Un
discorso
comprensibile, dal punto di vista di un medico. Dal suo punto di
vista, è prenotarsi la propria stessa disfatta.
Questo
è il
problema. La loro amicizia nasconde un divario incolmabile.
Ratchet
può solo
perdere in una simile vita, e Optimus non può esistere in una vita
diversa. Non se non trova ricordi di Optronix, o di Orion. Non fino a
quando è sé stesso.
“Se
il risultato non cambia, tanto vale averle, queste buone intenzioni.”
“Per
salvarci la coscienza?”
“Se
così ti piace credere. Ma la maggior parte di noi non ne ha bisogno.
Combatte per convinzione.”
“La
maggior parte di noi neppure ci pensa a perché combatte. Lo fanno
perché è tutto quello che sanno fare. Odiano nemici che non
conoscono, sono odiati da gente che non li conosce, a ogni perdita
non fanno che accrescere quest’odio fino a quando non è tutto
quello che resta di loro.”
“A
maggior ragione, diamo un motivo che non sia solo odio e apatia.
Ratchet, c’è di peggio che innamorarsi della morte. Puoi
diventarne indifferente. Io sono la cosa che sta fra loro e diventare
assassini solo perché convinti che uccidere è lo stato normale
dell’esistenza.”
Ratchet
pare
indeciso se abbandonare la sala per andare a sbollire da qualche
parte o risolversi in una dimostrazione più fisica del suo
disappunto.
Alla
fine, non fa né
una cosa né l’altra.
“Non
puoi ordinarmi di credere, Optimus. Perlomeno, non puoi obbligarmi a
obbedire. Tutta questa conversazione non avrebbe senso, altrimenti.
Io stesso non posso obbligarmi a credere.”
“Allora
impara a fingere meglio di quanto non fai adesso e dammi ragione.”
“Un
compromesso? Da parte tua?”
“Difficile
è fare il primo. Gli altri sono solo il perfezionamento di un
esercizio già svolto. Ratchet, parliamo chiaro. Preferirei che tu
avessi vera fede in me, ma, in ogni caso, non posso fare a meno del
tuo appoggio. Vuoi chiamarlo compromesso? Come vuoi. Ma se ti trovi
in disaccordo con me, se solo sei irritato per le mie decisioni e non
hai voglia di tacere o fare finta di niente, o aspettare che siamo
soli, allora urlami dietro, insultami, tirami addosso l’ufficio,
prendimi a pugni, anche di fronte a tutti.”
“Questo
non scalfirebbe la tua credibilità?”
“Al
massimo, scalfirebbe la tua. Penserebbero che sei nervoso o, come ha
tanto chiaramente esposto Ironhide, stai esagerando.”
“Che
sarebbe accettabile.”
“Naturalmente,
l’ultima decisione spetta a te. Potresti semplicemente tacere e
risparmiarti qualsiasi imbarazzo. Ma, comunque, sì. Sarebbe
accettabile. Quando stai morendo non ti preoccupi del carattere di
chi ferma il sangue che perdi. Il mio ruolo richiede la fiducia
incondizionata da parte di coloro che mi seguono. Il tuo, invece,
richiede solo un colpo arrivato a segno.”
“Sono
fortunato. Quelli non mancano mai. Non corro il rischio di restare
disoccupato.”
“Tu
cosa faresti? Avanti, Ratchet. Fai la tua proposta, piuttosto di
limitarti a contestare quelle altrui.”
“Tornerei
a casa.” la risposta è immediata, priva di qualsiasi esitazione,
come se Ratchet stia dando voce a qualcosa a cui non smette mai di
pensare.
“Così,
semplicemente?”
“Occupati
a saltare da un pianeta all’altro, in questa specie di caccia senza
fine, ricordiamo che abbiamo un mondo e persone lasciate indietro?
Approfittiamo dell’assenza di Megatron, torniamo a Cybertron e
cerchiamo di riappropriarcene, piuttosto.”
“Cybertron
è molto ben difeso e non possiamo certo stringerlo d’assedio. Ma
ammettiamo anche che noi si riesca a riconquistare il nostro mondo.
Poi? Consegniamo il resto dello spazio nelle loro mani, lasciamo loro
tutto il tempo e le risorse per prepararsi con comodo, mentre noi ci
asserragliamo su un solo pianeta, in attesa del ritorno di una flotta
che ci spazzerà via una volta per tutte? Ricorda che siamo in
inferiorità strategica piuttosto evidente. I decepticon hanno dalla
loro parte la stragrande maggioranza delle forze aeree e spaziali.
Chi controlla i cieli controlla la guerra. Loro possono permettersi
di mantenere una posizione planetaria con ragionevole sicurezza, noi
no. La sola cosa che possiamo fare è logorarli operando su linee
divergenti.”
“Allora
facciamolo seriamente. I decepticon non sanno muoversi senza Megatron
e, forse, un pugno di ufficiali. Manda fuori qualcuno a eliminare
loro, invece di assassinare solo qualche impiegato o qualche tecnico
che lavora alla cosa sbagliata nel momento sbagliato. Si
disgregheranno in una serie di fazioni in guerra l’una con
l’altra.”
“Prowl
passa gran parte del tempo a estrapolare proiezioni di eventi. La
sola certezza a cui è mai giunto è che togliere di mezzo i soggetti
principali introdurrebbe delle variabili incontrollate negli
equilibri. Con tutte le loro divisioni, in una cosa i decepticon sono
uniti e inflessibili. L’odio nei nostri confronti. Uccidiamo
Megatron o qualche altra personalità di rilievo, non in un conflitto
aperto, ma per mezzo di un sicario. Confermiamo l’accusa più
comune nei nostri confronti, che siamo despoti ipocriti e codardi.
Creiamo martiri. Proprio quello che serve perché accantonino buona
parte dei propri dissidi interni. I decepticon non credono in nessun
dio, ma credono negli uomini e hanno fatto dell’esaltazione
individuale una scienza. Molti combattenti sono considerati dalla
loro popolazione veri e propri eroi epici. Assassinali e ci
troveremmo ad affrontare non una sola forza che conosciamo e sappiamo
fino a dove si spinge, ma una pletora imprevedibile di tribù, clan,
stirpi e signori della guerra in possesso delle armi dell’impero
che, nonostante le loro inimicizie, perseguono comunque uno scopo
comune. Vincere su di noi. E ricorda il significato decepticon di
vittoria.
Cancellazione totale del nemico, adesso e nel futuro. Questo senza
poi tenere in considerazione i neutrali, molti dei quali non neutrali
quanto ci piace credere o sperare. Alla fine, Megatron non è
insostituibile per i suoi. Al momento, più che altro, lo è per
noi.”
“Mi
stai dicendo che non c’è modo di terminare la guerra.”
“Non
alle condizioni attuali. Lavoriamo per cambiare queste condizioni.
Frammentare la nazione decepticon è uno dei nostri obiettivi, ma non
a causa della morte di Megatron o dei suoi ufficiali. Al contrario,
con loro presenti. L’ideale sarebbe a causa loro, per incapacità o
attriti.”
“Se
solo funzionasse. Peccato che andiamo avanti così quasi fin
dall’inizio. Finisce sempre nello stesso modo e noi non riusciamo a
fare altro che dare loro fastidio.”
“Ti
piaccia o no, è la linea di azione meno distruttiva per noi.
Ratchet, ti stai arenando in un argomento che conosci benissimo,
cercando la soluzione più immediata per evitare adesso, qui, uno
spargimento di sangue.”
“Di
cosa mi stai accusando?” sibila il medico.
Sul
suo esoscheletro
lampeggiano linee inconsapevoli di cupo infrarosso, manifestazione di
una rabbia sul punto di scatenarsi, ma Ratchet non arriva mai
all'estremo dell'aggressione con loro e, così, riesce solo ad
avvelenare sé stesso.
“Optimus,
di cosa mi stai accusando? Di fare il mio lavoro?”
“Tu
e Ironhide non fate altro che saltarvi alla gola, ma siete identici.
Qualsiasi cosa, per voi, è un attacco personale.”
“Dimmi
che non lo è.”
“La
guerra non inizia e non finisce qui, Ratchet. Ci sono altri pianeti,
altri scontri. Altra gente. Eppure, tu li ignori per piangere su un
angolo di spazio molto piccolo. La mia non è un’accusa, è una
constatazione.”
[Io
non ho
scelto!]
Ratchet
ha usato un
codice e una frequenza privati di comunicazione, il linguaggio più
esposto, più spontaneo, di quelli a cui entrambi possono accedere.
Optimus
rabbrividisce suo malgrado all’impatto delle sensazioni che
impregnano quell’affermazione.
Invidia,
rimpianto,
rammarico.
Indignazione.
Ribellione.
E’
qualcosa di ben
conosciuto. Qualcosa di nemico.
“Nessuno
di noi ha scelto cosa essere. Se avessi scelto tu, saresti qualcosa
di diverso?”
“Come
posso saperlo? Sono stato programmato per essere un medico. Pensare
da medico, agire da medico. Non conosco altro, non conosco neppure il
mio primo nome, lo hanno cancellato quando mi hanno attribuito
questo. Sono intrappolato nel mio essere medico. Come posso sapere se
sarebbe stata la mia
scelta?”
Almeno
Ratchet
ricorda una vita, ricorda un mondo. La sola perdita di un nome è ben
poca cosa.
“Sei
qui e questa è stata una scelta, una scelta tua. Molti della tua
specie si sono rifugiati negli abissi della neutralità. Tu
combatti.”
“Non
combatto. Mi limito a cercare di rimediare a quello che voi fate. Io
non ho un vero scopo, Optimus, non posso fare altro che rincorrerti
senza avanzare mai di un passo. Nel migliore dei casi, posso non
perdere terreno.”
“E’
comunque una scelta, ti piaccia o meno. Ed è la tua risposta. Adesso
dimmi una cosa. E’ per coloro che moriranno, oppure perché presto
le tue paure avranno un volto e questo è troppo difficile da
affrontare?”
Questa
volta è sul
serio convinto che il medico lo colpirà con... qualsiasi cosa su cui
metterà mano, e sente che la vittoria è vicina.
“Tu
credi che ci sarebbe differenza? I morti saranno morti comunque.”
“C’è
differenza anche fra i morti. Probabilmente la differenza più grande
è fra di loro. Chi importa che muoia e chi importa di meno. Non
avremmo questa conversazione, non saresti neppure qui, senza
differenza. Te ne rendi conto ogni volta entri in quella tua
infermeria, quando scegli a chi prestare il tuo soccorso e quando
scegli quali vite usare per salvarne altre. C’è differenza, oppure
non potresti fare quello che fai.”
“Non
azzardarti a credere che io...”
Optimus
lo
interrompe prima che la tirata diventi eccessiva e fuori controllo.
“Il
pacifismo che predichi, questi tuoi scrupoli che di tanto in tanto
saltano fuori, di solito sempre prima di un nuovo scontro, sono solo
un modo per far sì che siano altri a uccidere per te. Tu sei qui e
se affermi di non avere ragioni, allora a fare la differenza è solo
un tuo capriccio. Per questo stesso capriccio adesso pretendi di
ritirarti? Non salverai tutti, Ratchet, in nessun modo. Combattere,
disertare, persino cambiare schieramento... Qualcuno morirà comunque
e qualcuno morirà a causa tua, per tua mano o per mano di qualcuno
spinto dalle tue azioni, o per la tua assenza.”
Ratchet
impallidisce, il suo campo personale si spiana in lunghe onde lente e
torpide e ora è vulnerabile, privo del suo scudo, di fronte a
un’evidenza che non può confutare.
I
nemici raccontano
storie su Ratchet, almeno quante loro ne raccontano sui medici
avversari, e la fama di nessuno di loro è immeritata. In fondo, il
programma di un guaritore prevede anche la possibilità di mettere
fine alla vita, non solo preservarla.
Ma
Ratchet non ha
una prospettiva a lungo termine. Il suo condizionamento lo lega al
presente. Salvare vite, a ogni costo. Le vite di coloro che ha di
fronte. A chi vede, a chi sente. A chi è qui e ora. Lo rende cieco a
ogni altra considerazione.
La
realtà lo
obbliga in una condizione incompatibile con il programma e non ha
ancora imparato a non sentirsene in colpa, soprattutto perché la
colpa non è sufficiente a fermarlo, quando serve.
Direttive
conflittuali si scontrano nei suoi processori decisionali e quel
programma fallace, paradossale, irrealistico, diventa un mostro che
tortura il suo stesso possessore.
Questo
segna la fine
del conflitto. Ratchet lascia dissolvere la sua collera e quello che
resta è solo nuda sconfitta, in una battaglia dove non ha mai avuto
una sola speranza di trionfare.
Optimus
si rilassa,
assaporando le frequenze lambenti della resa.
Quella
che ha
ottenuto è solo una vittoria temporanea. Prima o poi si ritroveranno
di nuovo a discutere di cose già dette, già conosciute, cose di cui
si è già convinti. E’ già successo, più e più volte, e la
situazione non cambierà in futuro. Ratchet è consapevole della
realtà in cui è intrappolato. Solo, di tanto in tanto, ha bisogno
che sia un altro a confermare che non esiste via di fuga, qualcuno
che lo costringa in quella vita. Arrendersi è un modo come un altro
per non perdersi.
Non
è mai
definitivo e non può essere definitivo, ma, certe volte, avanzare
passo a passo per non arrivare da nessuna parte è tutto quello che
si può ottenere.
Ratchet
apre una
connessione con il sistema informativo, senza ricordarsi, o forse
senza preoccuparsi, di proteggere il collegamento.
Incuriosito,
Optimus
accede a sua volta al terminale e si tuffa nel flusso di informazioni
dirette al medico.
Effettuata
così,
senza invito, senza essere collegati in una rete di discussione
intenzionale, è una grossolana indiscrezione e un’azione da
biasimare, ma è certo che, in questo momento, Ratchet non baderà
alla scortesia.
Si
aspetta di trovarlo intento a sguazzare in nostalgiche riproduzioni
del loro mondo - il mondo che non è mai stato suo,
non come è stato loro
- invece sta assimilando nuovamente dati relativi al pianeta su cui
scenderanno presto. Anche questo non lo sorprende in modo
particolare. E’ una cosa che Ratchet fa spesso, voler conoscere
quanto più possibile non il prossimo teatro di battaglia, ma il
Mondo.
Non
ha mai chiesto,
ma sospetta che il suo vecchio amico conservi ricordi di tutti i
pianeti visitati, degli individui che li abitavano. Gli sembra un
comportamento adeguato a lui.
Quando
Ratchet parla
di nuovo, la voce si è impoverita sino alla sola frequenza
fondamentale priva di armoniche. Su di lui restano soltanto i colori
inalterabili che identificano la sua funzione.
“Vorrei
far parte della squadra iniziale.”
“Come
vuoi. Tu e Prowl.”
“Per
favore, non lui.”
“Tu
e Prowl. Oppure Prowl e qualcun altro.”
Ratchet
annuisce
senza ulteriori discussioni, rendendosi conto che questa non è una
decisione soggetta a patteggiamento.
Optimus
può
concedergli di essere il primo a mettere piede sul pianeta, a
iniziare le procedure per ostacolarne l’acquisizione da parte del
nemico. Lo lascerà tentare per l’ennesima volta di salvare un
mondo e i suoi abitanti e qualsiasi altra cosa possa aiutarlo a
trovare un minimo di pace con sé stesso. E quella collera che non è
svanita, solo repressa, ribollente, in attesa, che senza una via
d’uscita resterà a corrompersi come una ferita infetta, troverà
modo di sfogarsi in battaglia.
Ma
Prowl sarà
presente, a controbilanciare ogni tendenza autodistruttiva e
correggere eventuali azioni rischiose per le loro operazioni.
“Se
Megatron venisse a chiedere la fine delle ostilità, tu lo
uccideresti.” L’affermazione di Ratchet è tanto inaspettata che,
per una volta, Optimus è colto di sorpresa.
“A
essere sincero, non riesco a immaginarlo fare una cosa simile.”
Il
medico prosegue
come se non lo avesse sentito.
“Grazie
per il tempo che mi hai dedicato. Non era necessario. Non posso
minacciarti in nessun modo, qualsiasi cosa dica o faccia. La fede in
te è ben cementata nella convinzione di tutti e se qualcuno
dubita... anche in quel caso non devi preoccuparti. Ti aggrappi al
potere quanto Megatron. La differenza è che lui difende il suo a
colpi di cannone, tu con un dogma. Ma sei meglio di lui. Con te è
difficile accorgersi di quello che fai ed è terribilmente difficile
darti contro e non credersi in torto. Non devi più neppure dare
ragioni per le tue azioni. Qualsiasi cosa fai, sono gli altri a
cercare il modo per adeguarsi e questo, in fin dei conti, ti rende
davvero infallibile. Sbagliavo a non crederti.”
Onestamente,
Optimus
non sa cosa dire. Niente, presume, è la scelta migliore. Niente e
lasciare che a parlare sia solo Ratchet.
“Non
vuoi che gli altri pensino che la guerra sia il solo modo di vivere,
Optimus, ma lo è, perlomeno lo è per te, e uccideresti chiunque
possa fermarla. Potresti farlo di fronte a tutti e ti darebbe
comunque ragione, perché sei infallibile. Tu non cerchi una
vittoria. Cerchi solo un nuovo campo di battaglia.”
* *
* * * * * * * * *
Angolo
del
naturalista: I transformer G1 diventano grigi quando muoiono. Un
fenomeno simile a quello di organismi terrestri come pesci e
cefalopodi. In queste creature, le livree subiscono l’influenza, in
modo più o meno intenso, degli stati emotivi. I maghi del cromatismo
sono seppie, polpi e calamari, che hanno un complesso sistema di
comunicazione basato su colori, disegni e, talvolta, luci. La cosa
bella di scrivere di alieni è che si può folleggiare, quindi i miei
cybertroniani non sono verniciati, ma hanno il corrispettivo dei
cromatofori e dei fotofori di un calamaro. Questo e i loro sistemi di
comunicazione fanno sì che, rispetto agli esseri umani, i
transformer sono molto ‘aperti’ nell’esprimere le loro
emozioni. Il che sarebbe pure funzionale in esseri così forti e ben
armati. Anche sulla Terra, le creature più letali sono molto
esplicite. Come i felini. Possono uccidersi l’un l’altro senza
difficoltà, quindi, se sono incazzati e pronti a menare le mani, lo
dimostrano chiaramente, così ogni loro simile che vuole evitare
rogne sta alla larga.
Purtroppo, i
cybertroniani non sono svegli come i gatti. Così, invece di
limitarsi a soffiare e gonfiare il pelo, si sono dedicati al mutuo
sterminio :-(
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