L'occhio dell'Ariete

di marig28_libra
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  Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà di Masami Kurumada; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Note: all’interno della storia compariranno tutti i cavalieri d’oro ( Aiolos e Doko però si vedranno solo nei flashback). L’unico bronze saint di cui si parlerà ( attraverso le vicende di Camus) sarà Hyoga. Oltre i personaggi che già conoscete ve ne sono inseriti degli altri di mia invenzione importanti ed indispensabili per il racconto.
(l’adattamento dei nomi è quello del manga ) 
Vi accorgerete, pian, pian che andrete più avanti che…ho modificato alcune “incoerenze temporali” dell’autore che mi hanno lasciato perplessa…

Tremava. Tremava con tacito panico. Tremava per non urlare e udire l’orribile voce della paura che lo dilaniava. Mu era sull’orlo di un abisso  nebbioso e morto. Con la mano sinistra, scorticata dai graffi, si aggrappava alla cruda roccia di quell’arida montagna mentre con il braccio destro cingeva il corpicino di Kiki.
Ce l’avrebbe fatta ad attraversare la stradina fragile, spigolosa e sottile che gli si offriva dinanzi al pari di un dito scheletrico? Non lo sapeva. Tutto appariva tremolante e piangente come il suo animo. Fissò lo sguardo grigio e apatico del vuoto che si apriva sotto il sentiero… Un brivido velenoso fece vibrare le sue ossa… Era meglio proseguire.
Stringendo il fratellino a sé, Mu continuò a camminare lentamente.
Freddo. Nubi fluttuanti. Nessun rumore: soltanto l’eco dei battiti violenti del cuore gli stordiva i timpani . Il torace  doleva fastidiosamente…
Improvvisamente la stradina sembrò gemere e scricchiolare.
Mu, con le gambe indolenzite dalla fatica e dalla tensione, si fermò di nuovo. Il vento incolore aveva iniziato lugubremente a cantare squarciando i veli del silenzio.
Un altro scricchiolio. Tanti  sassolini volarono nelle fauci del precipizio.
Un altro passo. Il vento seguitava ad ululare funereo.
Un altro passo ancora. Il silenzio fece evaporare nuovamente ogni sibilo e sospiro.
Mu rimase paralizzato. Non riusciva più ad avanzare. Una strana agonia gli intorpidiva le membra. Desiderava disperatamente muoversi, fuggire di lì ma non era in grado di farlo.
Era in trappola. Era solo con un bimbo piccolo da proteggere.  Era perduto dentro e fuori di sé.
Un lieve tremolio iniziò a serpeggiare nella pietra della montagna…delle crepe venarono la  via .
Mu avvertì quel brontolio di distruzione divenire sempre più intenso e potente fino a che il suolo non si sfracellò gettandolo con Kiki nel baratro di fuliggine.
 Era sicuro di star gridando ma le sue orecchie non afferravano alcun suono . Solo i rovi del nulla gli scalfivano il corpo e la  mente.
 
Mu si levò  sudato coi tremiti dello spavento che gli formicolavano lungo la spina dorsale. Si voltò febbrilmente verso il piccolo giaciglio posto affianco al suo: Kiki dormiva tranquillo avvolto in calde coperte di lana.
Il ragazzo tornò a sdraiarsi sul letto con l’animo incupito dalla tristezza e dal dolore…era trascorso un anno da quando aveva lasciato il Tibet per completare l’addestramento di cavaliere nel montuoso Jamir. Erano  scivolati via, agri, foschi e bui soltanto dodici mesi…il tempo camminava troppo lentamente e le sofferenze parevano la lava bollente di un vulcano inestinguibile.
Il ricordo della morte dei genitori continuava a lacerargli il cuore. Mu non aveva dimenticato l’orribile visione del corpo senza vita del padre, quell’uomo forte e intrepido che si era recato fuori dal villaggio per trovare delle erbe mediche  in grado di curare la  moglie malata. “ Stai tranquillo, Mu. Andrò nelle foreste circostanti e cercherò delle piante curative. Vedrai, riusciremo a guarire la mamma. Rimani a casa e bada a lei e a Kiki. Ci vedremo sta sera” gli aveva detto  con i suoi occhi verdi  limpidi come  acque fluviali che   brillano anche recise  dalla tempesta…
Quello sguardo, quella tenera sicurezza che gli aveva sempre cinto le spalle,era andato in frantumi per sempre. Sulle bianche palpebre serrate, il sigillo della morte. Mu non aveva creduto che quell’uomo che giaceva sulla barella dei soccorritori fosse proprio lui, suo padre. Era assurdo…tuttavia, più fissava quel cadavere più la gola gli si serrava in modo straziante. I capelli color fiamma non ondeggiavano indomiti nel vento, non riflettevano  il fuoco del camino di casa. Erano sbiaditi, ricoperti di polvere e di terra. No… Non poteva essere suo padre. Quel  viso poi era una tetra e livida maschera sporca di sangue sulla fronte e sulle labbra. Non era il bel volto pacato che gli si rivolgeva sorridente, insegnandoli il mestiere di scultore. “ L’abbiamo trovato in un burrone”. “ Che tragedia! Ha lasciato sua moglie malata e i due bambini!” “ Ora Mu se la dovrà vedere da solo!” “ Ma ha solo tredici anni!” “ povero ragazzo….che triste destino!” Mu non voleva udire le voci della gente del villaggio ma la disperazione lo ghermiva, lo mordeva, lo schiaffeggiava con la realtà che stava scorrendo davanti a lui. Una lama gli si era conficcata nel petto. Una seconda stava per giungere.
Egli rimembrava quell’alba buia, quell’aurora plumbea priva dei raggi del sole, in cui la madre gli aveva stretto la mano per l’ultima volta. “ Tesoro, perdonami se non riuscirò più a rimanere qui…perdonami se devo lasciarti in custodia Kiki…è una responsabilità enorme…. Inoltre ..dovrai diventare cavaliere di Atena…il maestro Sion ha fiducia in te…ti ha voluto come suo discepolo perché…sei diverso dagli altri…hai…forza… hai una strana energia. Tuo padre lo sapeva. Io lo sapevo... Diventa grande, Mu…”  Non era riuscito a rispondere a quell’ultima fiaccola di vita. Le lacrime l’avevano accecato, rendendolo muto. Aveva provato ad afferrare le mani della madre nell’impossibile tentativo di salvarla dal regno delle tenebre ma a che cosa era servito? A contemplarla sul suo giaciglio eterno? Ad accarezzare il suo piccolo viso freddo e ormai svuotato da ogni  calore? Com’è strana la morte…ricopre tutto con una patina di inverno perenne…Mu aveva fissato a lungo l’esile figura della donna: si era assottigliata ancora di più con la malattia, ma le mani affusolate le erano rimaste sempre belle e il grazioso volto era dolcemente triste e incantevole. Sui lunghi e fluenti capelli lilla una splendida ghirlanda di fiori era stata deposta…era il regalo che aveva fatto Leira…
Leira…al ricordo dei genitori un altro pensiero prese il sopravvento: Mu  vide apparire nel proprio animo il grazioso viso della migliore amica, la ragazzina che conosceva da quando era piccolissimoe alla quale era legato da un profondo affetto. Un affetto che stava sconfinando nell’amore. Il ragazzo avvertiva dolorosamente la sua mancanza …ora più che mai aveva bisogno di lei. Il suo sguardo dorato gli aveva sempre donato conforto e con nessun altra persona aveva un’intesa così straordinaria. Il Jamir era una cella con sbarre di pietra e d’affanno. La dolcezza e la serenità parevano stelle inesistenti.
Ormai privo di sonno, si alzò dal letto e uscì dal rifugio di sassi e legno che fungeva da dimora. Dall’altopiano in cui si trovava, contemplava lo sperduto quadro di montagne e foschia grigie. Nel cupo cielo azzurro una nuova ed acre alba stava per nascere.

          

- Hai sognato ancora una volta di precipitare, Mu?- domandò una voce grave e calda alle sue spalle.

- Maestro Sion!

-Ti sei levato , come al solito, prima del sole…vuoi essere sempre la prima creatura ad assaporare il calore del mattino?

- Calore…beh, è una  consolazione  per tentar di sciogliere il gelido dolore che ho dentro… l’unica cosa che pare splenda in queste terre è proprio il sole…

- L’astro del giorno non brilla realmente per te…l’azzurro del cielo non è così bello e puro per il tuo cuore…nessuno spettacolo della natura, per quanto magnifico sia, ti appare incantevole adesso…

Celare a Sion emozioni, tormenti e riflessioni era inutile. Il suo spirito era una lama di fine e lucente metallo capace di tagliare  l’acqua.
 

-Mu, la burrasca che ti porti dentro, offusca il tuo cosmo e la visione del mondo esterno…stai rischiando lo smarrimento totale…stai rischiando di precipitare davvero dentro un baratro di ombre…

-Maestro, io…mi sento finito, chiuso dentro una morsa…ho paura di proseguire, di vedere oltre…è come se guardassi un futuro che non esiste.

-Allora cadrai.

-Ma come faccio a continuare?! …non posso contare neppure su me stesso…

-Guardati dall’ afflizione. È lei la tua peggiore nemica. È lei che fa male più di qualsiasi sanguinosa ferita. Non puoi permetterti cedimenti, ora.

-Io sono già crollato.

-No… sei vicino al crollo. Puoi ancora però fortificare le tue fondamenta.

-Maestro...e se voi…vi foste… sbagliato?

-Cosa intendi dire?

-Mi ritenete veramente degno di indossare l’armatura dell'Ariete? Pensate che io sia destinato a questo?

-Poni tali domande a te stesso, Mu. Puoi far germogliare il tuo cosmo così come puoi ucciderlo. Il destino ha vita propria fino ad un certo punto. Vi sono cose che non possiamo prevedere..vi sono lutti che non dipendono da noi. La sorte serba  delle prove. Sta in se stessi trovare delle risposte e combattere.

-Le costellazioni però continueranno a brillare con o senza noi.

-Sì...le stelle saranno sempre lì, nel firmamento della notte…ma se non lottiamo cesseranno di luccicare e si offuscheranno…allora, a quel punto, sarà come dimenticarle e farle morire.

Il Sion distolse gli occhi scarlatti  dal  discepolo e si allontanò.
Mu fissava la sua lunga chioma bionda che danzava placida e flessuosa al ritmo di un venticello pacato…non poteva cedere adesso, adesso che il maestro gli avrebbe fatto apprendere gli incantesimi più potenti e pericolosi…come fare però a seppellire il passato, gli affetti defunti? La sofferenza lasciava troppe crepe…
Nell’attimo in cui il sole si sporse dorato, infiammando la fredda arsura dei monti, il ragazzo tirò fuori il talismano che gli aveva donato suo padre. Era un manufatto di bronzo raffigurante la testa di un ariete. Lo guardò a lungo. L’occhio color rubino del’animale splendeva. La sua luce era enigmatica…cosa mostrava? Il riflesso del sangue della vita o le nubi del crepuscolo di ogni certezza?
 
 





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